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Classificone: febbraio
07 mar 2016
07 mar 2016
Il meglio del meglio del mese in classifica.
(articolo)
28 min
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Benvenuti al quinto appuntamento dell’anno con il Classificone de l’Ultimo Uomo, la rubrica in cui mettiamo in lista le cose più belle, e pazze, e interessanti, e strane, e intelligenti capitate nell’universo sportivo nell’ultimo mese.

In questa puntata abbiamo dedicato una particolare attenzione agli sport invernali che già dal prossimo mese inizieranno a lasciarci. Quindi, dopo i tradizionali appuntamenti con i migliori gol e il borsino delle società, abbiamo i migliori gol dei rookie di NHL e le migliori prove di sciatori italiani. Dopodiché: i cinque trasferimenti invernali in Cina che vi faranno perdere la speranza nel calcio moderno e i cinque scambi di Juan Martin Del Potro che ci hanno ricordato quanto ci fosse mancato.

Buona lettura!

I migliori gol

di Daniele Manusia (@DManusia)

5. Cristian Tello vs Atalanta. Assist: Mati Fernández

In questo gol ci sono due cose significative, una bella, l'altra meno. Quella stupenda è la palla di Mati Fernandez e il movimento sul piede perno con cui imprime la forza necessaria al pallone. Necessaria ed esatta. Avevo selezionato anche il target="_blank">secondo gol di Salah proprio contro la Fiorentina per la palla simile di Pjanic (in quel caso di bello c'era anche il colpo di testa di Manolas e l'anticipo immediatamente successivo su Kalinic, sempre di Manolas) ma il cinismo con cui l'egiziano batte Tatarusanu fa sembrare tutto troppo facile.

C'è dell'epicità nella concentrazione con cui gioca Salah, un senso tragico profondo nel suo andare dritto per la sua strada, anche se ha fatto soffrire i tifosi viola e magari un giorno anche quelli giallorossi (tutte le strade portano a Roma, non è detto che ci si fermino). Ma nella finalizzazione di Tello c'è qualcosa che si vede raramente: l'anti-swag.

Tello si ferma davanti al portiere e colpisce con una sciatteria tale che quel pallone non meritava di passare sotto le gambe di Sportiello. In questo modo non solo Tello, ma io che scrivo e tutti voi che leggete questo pezzo impareremo a non dare niente per scontato, e a tirarcela di meno. Se volete un esempio di swag autentico, di uno che trova il modo per fare il figo anche dopo aver sbagliato (non prima come Tello), guardate il gol di Cyril Théréau contro l'Hellas: come sbagliare un tap-in e poi “ribadire” in rete da mezzo metro sentendosi Ibrahimovic. Cyril, ti vogliamo sempre più bene.

4. Mario Lemina vs Atalanta. Assist: la compartecipazione della difesa atalantina.

Questo dovrebbe essere il classificone di febbraio, lo so, ma dato che febbraio è corto (anche negli anni bisestili) mi prendo la libertà di scegliere anche dalle partite giocate i primi di marzo. Ho seguito Lemina nella stagione di Bielsa a Marsiglia, in cui giocava anche davanti alla difesa, e non so che pensare di questa stagione passata praticamente in panchina (a parte che alla Juve il livello concorrenziale è più alto, che Lemina è stato infortunato per due mesi e che in generale Allegri non si assumerebbe mai i rischi di Bielsa, e non dico che sia un male perché i rischi di Bielsa li prende solo Bielsa).

Le qualità sono indubbie e – rispetto a quanto detto per Tello – Lemina fa parte di una generazione e di un tipo di calciatori con swag naturale. Per cui lo swag è uno strumento a disposizione. Lo swag che rimpiazza il trash talking (ormai politicamente scorretto) per demolire mentalmente gli avversari e aprirsi autostrade di spazio dove una resistenza maggiore renderebbe impossibile andare in porta. È quello che succede qui dopo il doppio-passo puramente meccanico di Lemina, un doppio-passo da scuola calcio. L'esecuzione finale poi è splendida, altro grande esempio di swag utile e inutile al tempo stesso.

Forse avrei preferito una puntata sotto l'incrocio, ma io e Lemina siamo di due generazioni diverse.

3. Diego Perotti vs Fiorentina. Assist: Stephan El Shaarawy

La Roma ha segnato 12 gol nelle ultime 3 partite, e anche se la Fiorentina ha più di una scusante va detto che il tridente “leggero” di Spalletti sta raggiungendo un livello di funzionalità davvero alto. Superiore di sicuro a quello che ci si aspettava quando a gennaio sono arrivati El Shaarawy a sorpresa e Perotti senza sapere bene dove avrebbe giocato. Anche se l'argentino sta dando il meglio di sé lontano dalla porta, qui si vede bene come sappia anche attaccare lo spazio quando serve.

La ragione per cui questo gol finisce sul podio, però, sta nel quasi impercettibile rallentamento di El Shaarawy una volta entrato in area: dopo aver bruciato Gonzalo Rodriguez con uno scatto impressionante El Shaarawy aspetta che Astori gli passi davanti scivolando per impedirgli il tiro, creando lo spazio per Perotti. Non ha neanche bisogno di fintare al tiro, tanto Astori non vede Perotti e non può coprire entrambe le opzioni. E poi El Shaarawy non finta perché è in un momento cruciale della sua vita, in cui dovrà mostrarsi per quello che è davvero, al di là della cresta, delle sopracciglia, dei colpi di tacco volanti all'esordio.

Aggiungo che giocatori come Balotelli non hanno mai cercato di capire chi fossero davvero, giocando di conseguenza, ma che c'è speranza per tutti. Cerci, ad esempio, se si sforzasse di scegliere sempre la soluzione più giusta e mettesse un po' più palloni dentro come quello che ha messo per Rigoni contro l'Empoli, avrebbe ancora molto da dare. Quel tracciante destro che attraverso il prisma dei tre avversari che lo separano da Rigoni, non è da tutti, tanto quanto un tiro sotto l'incrocio “alla Robben” (o era il contrario?).

2. Domenico Berardi vs Empoli. Assist: Cannavaro

Quando si dice la cura dei dettagli. Ma anche la fantasia. Perché mandare al tiro da fuori, al volo, incrociando di sinistro da sinistra, Berardi su sponda di Cannavaro da calcio d'angolo ha il coefficiente di difficoltà di un tuffo con almeno un paio di avvitamenti e un paio di carpiati.

C'è un gusto speciale nel segnare su schema: è la soddisfazione che viene dal veder confermata la forza delle proprie idee, l'illusione di poter controllare qualcosa nella vita e sopratutto una situazione caotica e irrazionale come di solito è un calcio d'angolo. Se Berardi ci mette la tecnica con un sinistro al volo efficacissimo, Paolo Cannavaro ci mette il sorriso infantile dopo il gol.

1. Massimo Maccarone vs Frosinone. Assist: Saponara.

Il mese scorso ho citato l'assist ambiguo di Saponara per Zielinski, contro il Milan. Lettori mi hanno detto che era evidentemente un assist casuale, che Saponara non poteva aver visto Zielinski eccetera eccetera. Dopodiché Saponara ha fatto un assist molto simile, sempre per Zielinski, contro il Sassuolo. A questo punto direi che possiamo dire con la quasi certezza che il “finto assist” è una specialità di Saponara. Saponara finge di darla al giocatore più vicino che vediamo tutti, difensori compresi, ma in realtà sta guardando il compagno sul lato debole e scoperto. Contro il Frosinone sembra la stia dando a Pucciarelli (che finisce anche in fuorigioco) ma in realtà la palla è per Maccarone.

La cosa bella è che anche Maccarone sembra sorpreso e parte in leggero ritardo, salvo poi concludere con una sterzata e un tiro sul secondo palo che da soli sarebbero valsi una menzione in classifica (come, ad esempio, il tirone di Sansone contro il Chievo o la bella corsa di Immobile conclusa con un tiro sotto la traversa contro il Palermo).

Questo primo posto in classifica significa: che bello in Italia c'è un giocatore così eccezionale che fa assist che per capirli devi rivedere il gol cento volte e aspettare che ne faccia almeno altri due uguali per essere sicuro che fossero veramente degli assist. Adesso siamo tutti convinti?

Bonus: l'esultanza più brutta del mese

A proposito di anti-swag. Qualcuno dica a Destro che non può tirarsela appena gli riesce qualcosa, altrimenti la sua dimensione è il calcetto con gli amici. Oltretutto, esultare sedendosi e incrociando le braccia, per un attaccante dalla mobilità discutibile, non fa altro che confermare l'impressione che Destro aspetti che i palloni, il successo, l'amore dei tifosi, gli piovano addosso per diritto. Certo, sempre meglio questa esultanza di quella sessuale con la bandierina, che forse gli fa troppa fatica raggiungere adesso.

I cinque trasferimenti invernali in Cina che vi faranno perdere speranza nel calcio moderno

di Dario Saltari (@dsaltari)

5. Jackson Martinez al Guangzhou Evergrande

I rumor di mercato, l’annuncio, l’hype, l’esordio, il ridimensionamento, il flop, la plusvalenza. La breve e triste storia di Jackson Martinez all’Atletico Madrid contiene tutto il peggio del calcio contemporaneo, a parte le sincere ammissioni di fallimento del Cholo Simeone.

Jackson Martinez bullizzato anche su YouTube.

Per il colombiano è durata poco anche la perversa gloria di rappresentare il trasferimento più costoso del calcio cinese. Pochi giorni, giusto il tempo per i dirigenti dello Jiangsu Suning di spendere 50 milioni di euro per Alex Teixeira.

4. Gaël Kakuta all’Hebei China Fortune

Nel 2009 il Chelsea ha messo sotto contratto Kakuta mentre era ancora un tesserato del Lens e per questo motivo si è visto il proprio mercato sospeso per due sessioni consecutive. Dopo sei apparizioni la società londinese ha deciso che Kakuta non era all’altezza e ha cercato di liberarsene in tutti i modi. Dopo sei anni di prestiti il giocatore francese è stato messo sotto contratto dal Siviglia, che l’ha fatto scendere in campo due volte.

La carriera di Kakuta riassunta brutalmente dal sommario di Wikipedia.

Tanto è bastato all’Hebei China Fortuna per decidere di investire cinque milioni di euro. Le poco floride finanze del Siviglia ringraziano.

3. Denilson Gabionetta all’Hangzhou Greentown

Gabionetta era una specie di brand ambassador della Serie B, un feticcio della provincia italiana. Una carriera passata tra Varese, Pisa, Albinoleffe, Crotone, Torino, Parma e Salernitana a segnare gol come questi.

GaBionetta.

Che l’Hangzhou Greentown l’abbia acquistato per 500mila euro, con uno stipendio da giocatore di prima fascia, facendolo diventare quasi una “stella”, dimostra ancora una volta tutta la volgarità della via cinese alla conquista del calcio globale.

2. Apostolos Giannou al Guangzhou R&F

Giannou nasce in Grecia ma cresce calcisticamente in Australia: giovanili tra Oakleigh Cannons, South Melborune e VIS, esordio nell’Under-17 australiana. Nel 2007 torna in Grecia. Prima in Serie B, all’Apollon Kalamarias, poi in massima serie: Kavala, PAOK, Panionios e Asteras Tripoli. Cambio di nazione, cambio di nazionale: tra il 2008 e il 2015 rappresenta la Grecia, prima con l’Under-19, poi con l’Under-21 ed infine con la nazionale maggiore (esordendo in un’amichevole contro la Turchia). Quest’inverno, però, con l’arrivo delle offerte cinesi (prima del Guangzhou R&F, per lui si era fatto vivo anche lo Shanghai Greenland Shenhua) il richiamo dell’estremo oriente ritorna: Giannou annuncia di voler tornare a giocare con l’Australia. Motivi della fuga dall’Europa: feeling con l’allenatore dell’Australia (che lo aveva allenato anche in Under-17), maggior successo dei Socceroos rispetto alla nazionale greca, Asia is the next big thing.

Tutti i gol di Giannou nella sua ultima stagione in Grecia.

Che passare dall’Europa all’Asia per acquisire visibilità e cambiare nazionali come club fossero prospettive più vicine di quanto pensassimo, posso ancora sostenerlo. Ma che ce lo insegni un uomo chiamato Apostolos è francamente inaccettabile.

1. Xin Xu al Guangzhou Evergrande

Se non lo conoscete non vi preoccupate, vuol dire semplicemente che non siete dei nerd di Football Manager. Xin Xu, infatti, in cinque anni di Atletico Madrid non ha collezionato nemmeno un’apparizione in una partita ufficiale della prima squadra. Nonostante ciò, il Guangzhou l’ha comunque pagato 4,3 milioni di euro.

Chissà se Saul ha capito chi fosse.

Se non riuscite a capire il perché, non vi preoccupate, perché non lo so nemmeno io. Ma se il puzzle è ancora irrisolvibile, i pezzi sono già ben visibili sul tavolo: oltre all’ovvia plusvalenza finanziaria (il giocatore cinese è stato tesserato a 16 anni), c’è la sospensione temporanea della FIFA al mercato della squadra spagnola (Xin Xu è uno dei casi presi in esame) e la vendita del 20% delle azioni dell’Atletico Madrid a Dalian Wanda (la società cinese attraverso cui il governo di Pechino si sta espandendo nel calcio globale).

Il disegno complessivo sarà comprensibile a breve, almeno spero.

Bonus tracks

Luiz Adriano che va in Cina e trova i dirigenti dello Jiangsu Suning ad aspettarlo con un contratto in bianco.

Una foto pubblicata da Luiz Adriano (@luizadrianinho) in data: 13 Gen 2016 alle ore 07:40 PST

Luiz Adriano prima del suo viaggio in Cina.

Una foto pubblicata da Luiz Adriano (@luizadrianinho) in data: 25 Feb 2016 alle ore 12:56 PST

Luiz Adriano tornato a Milano.

Obafemi Martins che insieme a Guarin trasforma lo Shanghai Greenland Shenhua nell’ambiziosa operazione nostalgia dell’Inter per conquistare il mercato asiatico.

Per aumentare la credibilità dell’operazione, Martins è stato costretto a sposarsi con la sorella di Balotelli, Abigail Barwuah.

Il cuore di pietra dei dirigenti dello Shakhtar Donetsk che distruggono i sogni di Alex Teixeira e lo vendono al Jiangsu Suning per una cifra con cui potresti acquistare uno tra Busquets, Özil e Modric.

Un uomo distrutto.

Ognjen Ozegovic che a 21 anni elimina la Sampdoria dall’Europa League, segna gol del genere, attira l’interesse delle squadre di mezza Europa e poi va al Changchun Yatai.

Scusatemi amici doriani.

Gervinho che, dopo essere passato all’Hebei China Fortune, prende una maglietta giallorossa da un mucchio di panni sporchi, controlla il nome sulle spalle e poi dice alla telecamera: “Sempre Forza Roma”.

I cinque migliori gol dei rookie in NHL

di Andrea Agostinelli (@AgoTheDrum)

1. Connor McDavid – Edmonton Oilers

Connor McDavid è la Next Big Thing dell’hockey: prima scelta assoluta al Draft 2015, a cui è arrivato dopo aver trascinato il Canada alla vittoria nel Mondiale Under 20 davanti al pubblico di casa.

I paragoni con Wayne Gretzy si sprecano e anche “The Great One" non ha mai nascosto il suo endorsement nei confronti del ragazzo. McDavid non è sembrato intimorito dalla pressione e l’inizio di stagione è stato a tratti esaltante: 12 punti in 13 partite e il premio di Rookie of the Month a Ottobre. La strada verso il Calder Trohpy, il premio per il miglior rookie dell’anno sembrava in discesa e invece la rottura della clavicola subita il 3 novembre lo ha costretto a uno stop di 37 partite.

Durante la riabilitazione si sono perse le sue tracce ma al rientro contro i Colombus Blue Jackets si è ripreso immediatamente il palcoscenico con un assolo straordinario:

2. Shayne Gostisbehere - Philadelphia Flyers

Shayne Gostisbehere è un difensore dei Philadelphia Flyers ma sino a Novembre ha giocato con i Lehigh Valley, la squadra affiliata in American Hockey League. Qui stava riprendendo confidenza con il ghiaccio dopo la rottura del legamento crociato subita durante la scorsa stagione. La classica storia in cui la carriera di un giocatore di talento viene spezzata dagli infortuni ancora prima di iniziare.

I Flyers lo scelsero al terzo giro del Draft. Al termine della stagione 2013/2014 firmò il suo primo contratto da professionista e venne assegnato ai Lehigh Valley. Nel corso della regular season, come spesso accade con i giocatori affiliati, fu integrato temporaneamente alla prima squadra e il 25 ottobre 2014 debuttò contro i Detroit Red Wings.

Pochi giorni dopo il suo ginocchio non resse l’urto di uno scontro con la balaustra e la rottura del legamento terminò la sua stagione. Al rientro gli scout non lo ritengono ancora pronto per il grande salto. A metà novembre la svolta: l’infortunio di Mark Streit libera un posto nel roster e il coach dei Flyers Dave Hakstol punta su Shayne che da quel momento in poi non se ne andrà mai più. Il 18 novembre contro i Los Angeles Kings arriva il suo primo gol ufficiale ma è a cavallo fra Gennaio e Febbraio che costruisce il suo capolavoro: 15 partite consecutive a punti, la seconda striscia più lunga della stagione dopo quella di Patrick Kane (26), la migliore per un rookie dalla stagione 1987/88 e la migliore di sempre per un difensore. Il suo lasershot dalla linea blu è già uno dei più temuti della lega. Non solo perché conclude con una violenza inaudita sugli scarichi ma anche, e soprattutto, perché è in grado di farlo creandosi da solo lo spazio.

Vedere per credere

3. Jack Eichel - Buffalo Sabres

Con un tanking più o meno mascherato, Buffalo ha chiuso la scorsa stagione all’ultimo posto, presentandosi alla Lottery con più probabilità rispetto ad ogni altra squadra di ottenere l’assegnazione del #1 pick. Il sogno proibito, Connor McDavid, tale è rimasto ma la delusione per l’obiettivo mancato è durata giusto il tempo di realizzare che avrebbe potuto scegliere comunque un fenomeno.

Jack Eichel, classe 1996, centro in uscita da Boston University dove è stato nominato Player e Rookie of the Year, in qualsiasi altro draft degli ultimi anni sarebbe stato la prima scelta assoluta, ma la contemporanea presenza dell’altro fenomeno, quello canadese, lo ha regalato alla seconda posizione.

In attacco è una forza della natura. Non ha paura di alcun avversario, segna in tutti i modi ed è un assist-man sopraffino. Inoltre è forte fisicamente, non conosce timidezza, è un ottimo passatore e conduce con grande naturalezza ed efficacia il puck. Nonostante queste sue caratteristiche, il -13 di plus minus, comunque uno dei migliori della squadra, è lì a ricordare che può e deve ancora perfezionarsi e che il processo per riportare in alto la squadra è lontano dal potersi definire concluso.

2. Artemi Panarin - Chicago Blackhawks

La definizione di rookie ad Artemi Panarin va un po’ stretta. D’altronde è approdato negli Stati Uniti all’età di 24 anni con sei stagioni di KHL alle spalle, una Gagarin Cup vinta da assoluto protagonista e una medaglia d’argento conquistata con la Russia agli ultimi Mondiali.

Non solo. Panarin è uno dei perni centrali di una seria, pretendente alla conquista della Stanley Cup. Dalla sera del suo esordio contro i New York Rangers, condita subito con un gol, Panarin ha costruito una stagione dalla produzione offensiva straordinaria che si basa principalmente sull’intesa con Patrick Kane, suo compagno nella seconda linea.

C’è un dettaglio che rende questo rapporto ancora più incredibile: Panarin non parla inglese. La situazione è leggermente migliorata con il passare dei mesi ma il giorno dell’approdo nella Windy City, il suo vocabolario si limitava ai saluti. I problemi lessicali, mitigati sino a quando ha fatto parte del roster da Viktor Tikhonov (suo ex compagno ai tempi dello Ska San Pietroburgo), non gli hanno però impedito di esprimersi al massimo sul ghiaccio, lasciando sbalorditi i tifosi e guadagnando in fretta il rispetto dei compagni.

Contro I New York Rangers ha realizzato anche il suo primo hat trick. Il primo gol è probabilmente il più bello ma la classe che gli permetta di non cadere nella provocazione di Keith Yandle dopo il terzo è forse il lato più sorprendente.

1. Joseph Blandisi – New York Devils

Nell’arco di tre giorni i New Jersey Devils hanno affrontato per due volte i Philadelphia Flyers e in entrambi i match uno dei grandi protagonisti, nel bene e nel male, è stato Joseph Blandisi.

Nella prima sfida, il 21 enne canadese ha segnato un gol tanto bello quanto particolare:

È tecnica mischiata ad astuzia, una giocata estemporanea ma in quel momento l’unica possibile per concludere in porta e sorprendere il goalie avversario. È istintiva ma allo stesso tempo ragionata. Non si tratta di un gesto isolato, come un gol di tacco di nel calcio, ma di una serie di movimenti coordinati: con la mazza per mantenere il controllo del puck nello stretto e con il corpo per crearsi lo spazio necessario a concludere.

È un colpo che in linea teorica non dovrebbe appartenere al bagaglio tecnico di un giocatore scelto con la numero numero 162 (!!!) al Draft del 2012 dai Colorado Avalanche e passato inosservato al Draft 2014 dopo che gli stessi Avalanche lo avevano scaricato.

La sua stagione, però, verrà ricordata per un altro gesto: una pessima simulazione che lo ha portato alla ribalta di tutta la stampa sportiva, persino quella italiana, e che rischia di diventare un fardello per il proseguo della sua carriera.

Borsino Società – Milano special edition

di Francesco Lisanti (@effelisanti)

Inter =

Giovanni Gardini è il 17esimo dirigente inserito nell’organigramma dell’Inter negli ultimi due anni, dopo l’insediamento di Erick Thohir. «Con l’arrivo di Giovanni Gardini, abbiamo completato il nostro management, un grande management», ha dichiarato il presidente indonesiano nel corso della stessa intervista in cui ha categoricamente smentito le ipotesi di una cessione della società.

51enne, nato a Londra e cresciuto a Padova, proprio nel Padova Calcio ha assunto il suo primo incarico, nel 1989. Le sue esperienze principali a Treviso, Livorno e Verona sponda Hellas, società nelle quali ha agito da factotum dirigenziale, eminenza grigia, figura di riferimento in materia di diritti televisivi, sponsorizzazioni, campagne abbonamenti. Gli ambienti in cui ha operato gli riconoscono «il dono della mediazione», «l’ars politica diplomatica», la dedizione al lavoro.

All’Inter coprirà la carica di Football Administrator, una figura di supporto al CEO Bolingbroke, che ne ha riconosciuto la «profonda conoscenza della Serie A». Gardini si è presentato con le idee chiare, «sono pronto a mettere a disposizione la mia esperienza e i miei contatti nel mondo del calcio». Sarà questo strano duo, il corpo estraneo Bolingbroke e il navigato timoniere Gardini, a occuparsi per conto del’Inter dei delicati equilibri di potere nelle istituzioni del calcio italiano.

Un ruolo che sarebbe dovuto spettare a Marco Fassone, poi allontanato a settembre attraverso un confusissimo comunicato, degno dei monologhi egoriferiti del colonnello Petrucci. Fassone, per sua stessa ammissione, aveva un pessimo rapporto con Bolingbroke (il che giustificherebbe l’inadeguatezza per l’incarico: se non sei in grado con il tuo superiore, figurarsi con il resto della Lega) e la loro collaborazione non poteva proseguire.

Non è invece chiaro quanto abbia influito il coinvolgimento di Fassone all’interno di una delle truffe più goffe mai architettate ai danni di una società delle dimensioni dell’Inter. Un faccendiere romano s’era proposto come intermediario tra l’Inter e l’Etihad (mai realmente chiamata in causa) per l’accordo su una sponsorizzazione quinquennale, e contemporaneamente tra l’Inter (in questo caso non chiamata in causa) e una struttura alberghiera romana per l’acquisto dello stabile al fine di creare l’Università dello Sport, presieduta da Roberto Baggio. Il faccendiere ne ha ricavato qualche provvigione, quattro mesi di colazioni presso un Bed & Breakfast e svariate denunce. L’Inter una figuraccia internazionale.

Thohir, che in questo momento non sembra realmente intenzionato a cedere il suo 70% di quote, né sembra avere ragioni per, dovrebbe aver finalmente definito l’organigramma dopo una lunghissima serie di innesti e sostituzioni. Proseguire così fino al giugno 2017 (data di scadenza del settlement agreement con l’UEFA) potrebbe essere un buon inizio. Sanzioni o meno, si vedrà solo allora.

Milan =

Solo qualche settimana fa, a dispetto delle prestazioni della squadra in costante crescita, la Curva Sud lamentava insoddisfazione nei confronti del management, avvalendosi di quel gusto lirico che la contraddistingue: «In campo continuare a lottare, in società c’è tanto da cambiare!».

Effettivamente ai piani alti della dirigenza più chiacchierata di Italia non è ancora realmente cambiato nulla. Barbara Berlusconi e Adriano Galliani condividono ancora il ruolo di amministratore delegato, ma stando alle dichiarazioni del Berlusconi presidente le difficoltà dovrebbero essersi appianate: «Quando c’è tanta differenza di età tra due persone, ci sono due approcci diversi. Ora la situazione si è sistemata, perché abbiamo diviso bene le competenze. Galliani si occupa della parte sportiva e mia figlia di tutto il resto».

In quel “tutto il resto” rientra anche il progetto dello stadio di proprietà, definito da Barbara Berlusconi «il passaggio fondamentale per un club come il nostro». Il progetto c’era, il Milan aveva anche vinto l’appalto indetto da Fondazione Fiera Milano per un’area nella zona di Portello, salvo rinunciarci qualche mese dopo, accusando le norme urbanistiche del Comune: «In quella zona l’impianto avrebbe dato fastidio».

Sempre il Milan aveva rifiutato di inserire nel contratto un diritto di recesso, e ha poi rifiutato di affidarsi a un arbitrato. Fondazione Fiera ha citato il Milan per danni “ben superiori ai 10 milioni di euro”, secondo il Sole 24 Ore, e il contenzioso è ancora aperto (in effetti solo di recente il diritto di superficie è stato ceduto al secondo offerente per una cifra intorno ai 3 milioni, una holding che però in sede d’appalto di milioni ne aveva offerti 4). Se il tribunale dovesse confermare l’effettività del danno, sarebbe una cifra drammatica per una società già fortemente indebitata.

L’ultimo bilancio pubblicato, quello riferito all’anno solare 2014, riportava una perdita di 91 milioni. Quello del 2015 sarà reso pubblico a breve e dovrebbe confermarsi sullo stesso trend. Proprio oggi Barbara Berlusconi sarà ricevuta a Nyon dall’UEFA per strutturare un piano pluriennale di risanamento dei bilanci, come già aveva fatto l’Inter.

Cinque scambi che ci ricordano quanto ci sia mancato Juan Martin Del Potro

di Federico Principi (@fedprinc)

A Delray Beach Del Potro è rientrato a giocare a tennis dopo 11 mesi. Lo ha fatto eliminando gente di livello (Kudla, Smith, Chardy) prima di cedere per pochi punti a Querrey per 7-5 7-5.

Con la quarta operazione al polso (terza a quello sinistro), Del Potro ha aperto la sua nuova, ennesima carriera a 27 anni. Era necessario ricorrere alla chirurgia dopo averlo visto nel 2015 (soltanto a Sydney e Miami) con il male al polso sinistro che lo costringeva al back di rovescio, senza poter spingere a due mani.

In versione-Roberta Vinci a Sydney contro Kukushkin.

Del Potro a Delray Beach è apparso comunque contratto nello swing del rovescio, pur essendo tornato ad eseguirlo con costanza a due mani. Un confronto con il passato evidenzia quanto ora sia attento a bloccare il polso e a non fletterlo verso il basso, cercando timing e profondità per compensare la mancanza della spinta delle stagioni migliori.

Il tennis ha recuperato uno dei suoi migliori interpreti degli anni Duemila. Con l’immutata pesantezza con il servizio e con il dritto, Del Potro ha sfiorato la finale al primo torneo dal rientro, nonostante l’assenza di ritmo partita. Nessun rimpianto per l’esito finale perché «questa settimana ho vinto qualcosa di più di un torneo, sono molto contento di giocare di nuovo a tennis». Siamo felici anche noi, che dopo averlo visto in forma ci siamo realmente accorti di quanto ci fosse mancato.

5. Delicatezza

Una qualità raramente riconosciuta a Del Potro è la sensibilità nel tocco. Mesi di dolori al polso sinistro e conseguenti migliaia di palle colpite in back – nelle sessioni di allenamento e nei match ufficiali, hanno evidentemente aumentato la sensibilità dell’argentino. Qui (nel primo match contro Kudla) si esibisce in un lob tagliato anni Settanta, che nel tennis contemporaneo ha sempre uno scopo totalmente difensivo. A meno che non si riesca a toccare gli ultimissimi millimetri di campo con il pallonetto, e ci vuole, appunto, tanta sensibilità.

4. All’improvviso

Quella delle accelerazioni improvvise e è invece una categoria classica degli highlights di Del Potro. Contro Chardy, il migliore avversario sconfitto a Delray Beach, Del Potro mostra nelle prime fasi un’ottima condizione atletica e lucidità nella conduzione difensiva dello scambio, per nulla scontato dopo 11 mesi senza tornei. Successivamente, messo alle corde, decide di risolverla lì con il più classico degli one shot: effetto-leva massimizzato e dritto incrociato cannone (da sempre il suo colpo migliore) da almeno due metri fuori dal campo. La convalescenza sta terminando, è evidente.

3. Contrattacco

Del Potro aveva completamente capovolto l’inerzia della finale (poi vinta) dello US Open 2009 – contro Federer – grazie a questi due passanti di dritto mentre lo svizzero serviva per portarsi avanti due set a zero. Contro John-Patrick Smith, agli ottavi di finale a Delray Beach, Del Potro mostra di nuovo i muscoli e ribadisce che attaccarlo a rete su quel lato – nonostante gli anni trascorsi e gli infortuni susseguiti – è sempre sconsigliabile, anche se ci arriva in corsa. Un piacevole déjà vu, con le dovute proporzioni.

2. Il manuale dell’offensiva

Di questo scambio dalla semifinale contro Querrey colpiscono la perfezione assoluta dei tempi di avanzamento e dei gesti tecnici e la linearità nella conquista del campo. Non tanto e non solo con servizio e dritto - sui quali Del Potro ha costruito la sua spezzettata carriera - quanto soprattutto per il timing, la precisione e la profondità della volée, dopo aver progressivamente guadagnato la rete a seguito di un’accelerazione di dritto attentamente misurata e volutamente non spinta al 100%. La sensibilità e la ricerca saltuaria dei colpi al volo sono le ciliegine sulla torta che molti gli avevano chiesto per fare il grande salto verso i Big, chissà che non diventino strumenti maggiormente utilizzati dalla nuova versione del tennista argentino.

1. Bombardamento

Come le sessioni dei fuochi d’artificio si concludono con la batteria finale di botti ravvicinati, chiudiamo la nostra pirotecnica dedica a Del Potro con un punto giocato a un ritmo assurdo, e che esprime il suo ottimo stato di salute. Sotto di un quindici, l’argentino picchia fin dalla prima di servizio e decide di spaccare John-Patrick Smith in due, piantando quattro accelerazioni di dritto consecutive, da qualsiasi angolo del campo. L’ultima rischiava di mandare Del Potro direttamente nella tribuna alla sua sinistra. Il martellamento continuo del dritto ci ricorda la capacità di Del Potro di portare i ritmi del palleggio del tennis contemporaneo a un livello inesplorabile forse da chiunque.

Le cinque migliori prove di sciatori italiani

di Riccardo Rimondi (@RkRBo)

5. Luca de Aliprandini, slalom gigante di Hinterstoder

Come miglior risultato in coppa del mondo, il venticinquenne Luca De Aliprandini può vantare un sesto posto nel gigante della Val d’Isere. Venerdì 26, nel primo gigante di Hinterstoder (recupero di Adelboden), ha concluso la prima manche al ventiseiesimo posto. Nella seconda metà di gara è sceso per quinto dal cancelletto e si è preso tutti i rischi possibili, arrivando al traguardo nettamente in testa. A fine gara è arrivato settimo, ma il miglior tempo della seconda manche era il suo: ha fatto meglio di mostri sacri come Marcel Hirscher, Henrik Krisoffersen e Alexis Pinturault.

4. Dominik Paris, discesa libera di Chamonix

Fino a poche settimane fa, Dominik Paris non era ancora andato a podio in questa stagione di coppa del mondo. Il 6 febbraio ha conquistato l’argento nella discesa libera Jeongseon, replicando a Chamonix nella supercombinata il 19 febbraio. Il giorno dopo, sempre in Val d’Aosta, è tornato a vincere una gara del circuito bianco: ha preceduto di 35 centesimi l’americano Steven Nyman. Non vinceva dal gennaio 2015, il supergigante di Kitzbuhel (o meglio, quello che ne restava dopo i pesanti rimaneggiamenti del tracciato). Nel suo terreno di caccia preferito, la libera, era a secco dal novembre 2013.

3. Daniela Merighetti, discesa libera di La Thuile

La bresciana Daniela Merighetti compirà 35 anni a luglio. In carriera ha ottenuto sei podi (con una vittoria) in coppa del mondo. Nel 2014 è arrivata quarta nella libera olimpica di Sochi. L’anno scorso ha avuto un momento d’oro, a gennaio, poco prima dei Mondiai. Il culmine del suo periodo di forma è stato il 18 gennaio: terza nella libera di Cortina d’Ampezzo. Il giorno dopo ha sbattuto la faccia contro un palo, perdendo quattro denti e fratturandosi la mandibola. È stata operata, non ha parlato per qualche giorno e non ha mangiato cibi solidi per due settimane. Il 6 febbraio, a Beaver Creek, è comunque arrivata ottava ai Mondiali. Poche settimane dopo si è fratturata al perone. Alla fine di questa stagione si ritirerà. Il 20 febbraio ha preso parte alla discesa libera di La Thuile. Infischiandosene di vento, nevischio e scarsa visibilità, ha attaccato rabbiosamente dall’inizio alla fine. E ha chiuso terza, alle spalle di Lindsey Vonn.

2. Nadia Fanchini, discesa libera di La Thuile

La quantità di infortuni che hanno colpito lei e la sorella non è elencabile nello spazio di un articolo. Che il loro talento fosse cristallino, lo si sapeva già negli anni dell’esordio. Nelle stagioni successive sono riuscite solo a sprazzi a mostrare le loro qualità. Ma quando l’hanno fatto, non ce n’è stato per nessuno. Pochi minuti dopo la discesa di Daniela Merighetti, è stato il suo turno di scendere in pista. E le ha rifilato sette decimi. Poco più tardi è scesa Linsdey Vonn, la sciatrice più vincente di tutti i tempi. Ma anche l’americana è finita alle sue spalle. Per Nadia Fanchini è la prima vittoria della carriera in discesa libera, oltre sette anni dopo quella che aveva ottenuto in supergigante.

1. Massimiliano Blardone, slalom gigante di Yuzawa Naeba

Con sette vittorie in carriera, Max Blardone è stato il gigantista italiano più vincente dopo il ritiro di Alberto Tomba. Quattro anni fa ha raccolto gli ultimi successi e poi, complici il cambiamento degli sci e l’età avanzata, è scomparso dalle posizioni di vertice. Quest’anno stava per essere messo fuori squadra e solo l’attuale livello non eccezionale dello slalom gigante azzurro l’ha salvato dal taglio. Va verso i 37 anni e a fine stagione si ritirerà. Il 13 febbraio, a Yuzawa Naeba, si è presentato alla partenza della prima manche con il pettorale numero 27. Con la miglior prova degli ultimi anni è arrivato al traguardo nono. Nella seconda manche ha fatto una discesa ai limiti della perfezione e si è piazzato al comando con un vantaggio abissale. Si è accomodato all’angolo del leader e ha visto il giovane fenomeno norvegeseHenrik Kristoffersen finire alle sue spalle. Mathieu Favre gli è finito davanti e anche Alexis Pinturault. Ma tutti gli altri non ce l’hanno fatta. Blardone, dopo quattro anni nell’anonimato, è tornato sul podio, primo italiano da tre anni a questa parte. E si è commosso.

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