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Classici: Real Madrid-Atletico Madrid 2014
25 mag 2016
25 mag 2016
Abbiamo riguardato la finale di Champions tra Real e Atletico di due anni fa.
(articolo)
9 min
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Nello sport come nella vita è raro avere una seconda occasione. In Champions League è accaduto di recente al Manchester United nel 2011 (dopo la finale persa nel 2009 a Roma sempre contro il Barcellona di Pep Guardiola) e al Milan nel 2007 contro il Liverpool, dopo la tragica sconfitta del 2005.

Solo due anni fa il Real ha sfilato la Coppa dei Campioni dalle mani dell’Atletico, quando ormai mancavano pochi secondi al triplice fischio dell’arbitro, e sabato le due squadre di Madrid si affronteranno di nuovo in una finale di Champions League, con un rapporto di forza che sembra essersi decisamente capovolto nel frattempo.

La finale 2014 che regalò la Décima al Real

L’Atletico ieri e oggi

Solo ad uno sguardo poco attento i principi tattici che oggi regolano l’Atletico Madrid sembrano gli stessi mandati a memoria già nel 2014. Nella realtà ci sono differenze sostanziali in ogni fase di gioco. L’Atletico aveva in Godín e Miranda i suoi punti di forza: una coppia centrale forte fisicamente, ma vulnerabile negli spazi aperti. Simeone era quindi costretto a tenere la prima linea di difensori piuttosto bassa: tutti gli effettivi restavano compatti a protezione della zona centrale del campo, con un’attenzione alle distanze, tra gli uomini nello stesso reparto e tra un reparto e l’altro, maniacale; difficilmente un uomo usciva dalla linea per andare a pressare un avversario e l’aggressione in avanti scattava solo quando la palla veniva mossa nelle zone laterali.

La linea di gesso limita naturalmente le opzioni di passaggio per l’avversario di turno, facendo nascere i presupposti per il recupero del pallone. Una mossa difensiva asservita alle intenzioni offensive: ottenuta la palla, l’Atletico poteva lanciarla in profondità per scatenare la velocità e la forza di Diego Costa. Si potrebbe dire che Simeone aveva modellato la tattica della sua squadra per sfruttare al massimo le caratteristiche del suo miglior giocatore, se non fosse quelle caratteristiche sembrano essere state generate dalla stessa tattica di squadra.

Diego Costa, anno di grazia 2013/14: unstoppable.

Oggi l’Atletico ha un attaccante completamente diverso ma non meno letale, nonostante ciò Griezmann non è il tipo di giocatore che può caricarsi il peso dell’attacco sulle sue sole spalle, ha bisogno del supporto dell’intera squadra. Ridotti all’osso i lanci alla cieca dalla difesa, le transizioni difesa-attacco sono ora condotte palla a terra il più velocemente possibile. E per mutare pelle in questo modo Simeone ha dovuto affidarsi a giocatori più tecnici, come Saúl Ñíguez e Carrasco, in aggiunta a Koke.

Non solo: poiché ogni scelta è consequenziale ad un’altra, anche il modo di difendersi dell’Atletico è mutato. Pur mantenendo invariata la compattezza e l’attenzione alle reciproche distanze, l’Atletico sale in pressione più in alto sul campo: in questo modo prova ad avvicinarsi alla porta e a ridurre i metri che i propri attaccanti sarebbero costretti a coprire. Anche per questo, al fianco di Godín, Simeone ha rinunciato all’esperienza e al controllo di Miranda per affidarsi all’esuberanza di Giménez. In generale l’aspetto atletico è ancor più esasperato, e in qualche modo il ringiovanimento della rosa, perpetrato negli ultimi due anni, ha fornito a questa squadra nuove energie.

Il Real di Ancelotti

Nel 2014 la stampa spagnola riconosceva a Carlo Ancelotti il merito della coesione di uno spogliatoio turbolento e il raggiungimento di un equilibrio tattico che sembrava impensabile all’inizio della stagione, soprattutto dopo l’acquisto di Gareth Bale.

Ancelotti riuscì nel suo intento grazie ad una strepitosa intuizione: schierando Angel Di Maria insieme al tridente pesante formato da Bale, Benzema e Cristiano Ronaldo, e facendolo partite dalla posizione di interno di centrocampo, per poi farlo allargare sulla fascia sinistra. Il movimento di Di Maria creava imbarazzi alle difese avversarie: a chi spettava il compito della marcatura del “Fideo”? Alla mezz’ala opposta nella posizione iniziale o al terzino destro nella posizione finale?

L’inclinazione di Di Maria a spostarsi sull’esterno compensava un’altra inclinazione naturale, quella di CR7 nello spostarsi verso l’interno del campo per cercare il gol. In funzione delle capacità dei suoi singoli di leggere il gioco e la disposizione degli avversari, il Real poteva alternare in partita il 4-4-2, il 4-3-3 o il 4-2-4.

Di Maria era il collante perfetto tra i reparti (una funzione che oggi ha assunto Gareth Bale: due anni di Real hanno reso Bale un giocatore ancora più completo: rispetto al maggio 2014, calcia meglio di destro; è più presente in area di rigore; raramente si isola sulla fascia e i suoi movimenti incontro sono finalmente funzionali al gioco della squadra). Agli altri due vertici del triangolo di centrocampo, Ancelotti sistemò Xabi Alonso e Modric, due giocatori capaci di consolidare il possesso e di governare i tempi di gioco a piacimento.

La finale

Sia Ancelotti che Simeone ebbero una vigilia non semplice, c’erano assenze fondamentali da entrambi i lati e le loro scelte ne furono fortemente condizionate. Arda Turan, infortunatosi pochi giorni prima nella sfida al Barcellona decisiva per il titolo della Liga, permetteva all’Atletico transizioni ancora più efficaci: salendo sulla linea degli attaccanti, con Koke che veniva in mezzo al campo sul lato opposto, l’Atletico ruotava da un solido 4-4-2 ad un pericoloso 4-3-3. Al suo posto Simeone scelse Raul Garcia, di fatto il dodicesimo uomo dell’Atletico, che incarnava in pieno lo spirito combattente del suo allenatore.

Ancelotti, invece, decise di utilizzare il recuperato Khedira davanti alla difesa per sostituire lo squalificato Xabi Alonso, mantenendo Modric nella posizione di mezz’ala. Sarebbe stato più naturale, in un contesto differente, utilizzare i due a posizioni invertite: il Real, con Modric in quella posizione, quasi mai riuscì a sfruttare lo spazio lasciato da Godín quand’era costretto ad uscire largo su Bale, Khedira invece avrebbe potuto inserirsi. Ancelotti, probabilmente, preferì un giocatore più fisico a schermare la difesa e a contendere le seconde palle all’Atletico.

Isco e Marcelo partirono dalla panchina: al brasiliano fu preferito Coentrao, appena più diligente del compagno nelle coperture difensive alle spalle di Di Maria e non è escluso che Ancelotti stesse ragionando, come un abile scacchista, qualche mossa più in là, elaborando anche i possibili scenari a partita in corso.

Oltre ad Arda Turan, dalla partita di Barcellona uscì acciaccato anche Diego Costa, che fu invece rischiato. Dopo soli 8 minuti, l’attaccante brasiliano fu costretto al forfait, minando il piano gara di Simeone. Se possibile, con l’ingresso di Adrián Lopez per l’ex juventino Diego, Simeone spinse i suoi a metterla ancor di più sul piano della “garra”, dell’aggressività.

Dal punto di vista difensivo, l’Atletico non aveva comunque alternative. Il Real di Bale e Ronaldo era stato temibile in quel torneo soprattutto in ripartenza, quindi Godín & co. hanno negato loro lo spazio in profondità, restando bassi e chiusi, e hanno fatto ricorso al fallo sistematico per bloccare ogni iniziativa in contropiede.

In attacco, privo delle folate di Diego Costa, l’Atletico ha cercato di alzare il pallone il più delle volte, sfruttando la fisicità di Raul Garcia che lateralmente andava a contestare il pallone di testa ad un terzino. Gli uomini di Simeone riuscivano ad arrivare per primi sulle spizzate dell’ala spagnola per far gioco vicino all’area di rigore avversaria, il solo Khedira non riusciva a contestare ai Colchoneros il pallone davanti alla difesa. Finché ne ha avuto la forza, l’Atletico ha asfissiato il Real e nel primo tempo ha concluso verso la porta 5 volte, contro i soli 2 tentativi dei Blancos, uno dei quali concesso in contropiede da uno sventurato errore di Tiago a centrocampo.

In una situazione tatticamente emergenziale, come quella che venne fuori dopo soli 8 minuti di gioco, l’Atletico finì per aggrapparsi all’altro caposaldo, sul quale costruì le sue fortune nella stagione 2013/14: le situazioni da palla ferma. Al trentaseiesimo minuto, sugli sviluppi di un corner, Godín deviò in porta un pallone colpito quasi di nuca, che finì per scavalcare un Casillas incerto sul da farsi.

La mossa di Simeone, immediatamente dopo il gol del vantaggio, che portò Adrián sulla linea dei centrocampisti nel passaggio al 4-5-1, sancì l’inizio di una fase nuova nella partita: resistenza, a tutti i costi. Perché tutti in casa Atletico sapevano quanto poteva essere dispendioso il gioco fatto di scivolamenti laterali continui a inseguire il pallone e di raddoppi di marcatura costanti. Soffrire la stanchezza e il ritorno degli avversari, allora come oggi, era in qualche modo tenuto in conto nel piano gara della squadra biancorossa.

La compattezza maggiore, data dal cambio di modulo, permise all’Atletico di creare apprensione al Real, incapace di risalire il campo, anche nei primi quindici minuti della ripresa. Quando le energie dei Colchoneros iniziarono a scemare, Ancelotti poté piazzare il suo doppio cambio: fuori Coentrao e Khedira, dentro Marcelo e Isco. Il brasiliano si rivelò un centrocampista aggiunto e la sua capacità tanto di allargarsi in fascia, quanto di sovrapporsi internamente, in qualche modo liberò l’estro di Angel Di Maria. L’argentino divenne imprevedibile: tanto poteva restare largo in fascia; così come poteva abbassarsi per raccogliere la palla dai piedi dei difensori oltre le due linee avversarie, per poi puntarle successivamente. Dall’ingresso di Marcelo in poi, Di Maria tentò 6 volte il dribbling (8 in totale nella sua partita) e 14 volte il cross in area di rigore.

La presenza di Isco tra le linee, nel triangolo di centrocampo ormai rovesciato, oltre ad aiutare il Real a tenere il possesso del pallone, costrinse Koke e Filipe Luis a mantenere la posizione per evitare che uno tra il folletto malagueño e Bale provasse ad infilarsi nelle maglie della difesa. Incapace di ripartire, l’Atletico finì per arretrare con tutte le sue linee e col concedere due terzi del campo di gioco agli avversari.

Dopo un assedio di trenta minuti, il gol del pareggio arrivò, ironia della sorte, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, durante il quale Sergio Ramos riuscì a sfruttare un blocco di Morata, subentrato a Benzema, per liberarsi della marcatura di Godín. Spremuto fisicamente e demoralizzato dall’intempestivo gol del pareggio, un minuto e mezzo prima del fischio finale, l’Atletico semplicemente non è riuscito a resistere all'esuberanza del Real Madrid nei supplementari.

Sabato prossimo, il Real Madrid potrebbe scendere in campo con 7 su 11 degli stessi giocatori della partita di due anni fa. I temi tattici di inizio partita e lo svolgimento nel corso dei novanta minuti potrebbero essere del tutto simili a quelli già sperimentati nel 2014. La sola differenza che il Real affronterà un Atletico che, a parità di spirito e compattezza, avrà dalla sua un’ampia gamma di soluzioni offensive. A dispetto del blasone, stavolta l'underdog è proprio il Real Madrid.

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