Sono esattamente dieci anni che l’Inter non vince un turno di eliminazione diretta in Champions League. Se come me tifate Inter, il rapporto con la Champions in questo decennio è stato piuttosto burrascoso. L’abbiamo inseguita come un miraggio lungo i sei anni più atroci della nostra storia recente, e negli ultimi tre abbiamo mancato la fase a gironi in modo sempre più assurdo.
In questi anni le mie benzodiazepine sono stati gli highlights delle partite che mi ricordano di quando eravamo re. Una di quelle che ho consumato di più è stata Bayern Monaco-Inter, la partita di cui oggi ricorre l’anniversario. Dieci anni fa Goran Pandev correva ciondolante dietro la porta del Bayern dopo averci infilato il sinistro del 3-2. Quella partita ha un posto speciale nel mio cuore. I momenti principali li ho tutti scolpiti nella memoria, saprei ripetere la telecronaca di Riccardo Gentile come l’Ave Maria. Quest’anno sapevo che il concentrato di cinque minuti sarebbe stato troppo debole come palliativo, quindi per il decennale della partita ho deciso di riguardarla per intero, cercando di mettermi nei panni del me stesso diciassettenne che si apprestava a seguirla in diretta. Ho scandagliato gli archivi online dei quotidiani, riguardato gli highlights di ogni partita (sì, anche del Derby d’andata) del 2010/11 per cercare di respirare il più possibile il clima che c’era il 15 marzo 2011.
Come ci arriva l’Inter
A Monaco l’Inter ci era arrivata con la consapevolezza di dover ribaltare l’1-0 dell’andata. Non una partita che i tifosi ricordano volentieri, vista la pugnalata di Mario Gomez a un minuto dalla fine. Personalmente non la ricordavo quasi per nulla. L’ho vista a San Siro e mi persi il goal del "Torero" perché mio cugino mi aveva fatto alzare in anticipo per guadagnare l’uscita dallo stadio. Per questo motivo l’ho sempre inquadrata come una di quelle partite scialbe in cui la curiosità per il finale soccombe alla prospettiva di rimanere imbottigliati lungo l’A4. In realtà, riguardandola, devo dire che è stata una partita stupenda. Non esattamente una clinic di organizzazione difensiva, ma uno scontro offensivo di grande livello che, inspiegabilmente, ha generato solo un gollonzo a tempo scaduto. Quello spettacolo manifestava sia i pregi che i difetti di due squadre fragilissime, entrambe ancora pericolose ma certamente ridimensionate rispetto all’anno prima.
I rematch di una finale di Champions sono rari, e ancora più raro, riavvolgendo il nastro di un decennio, è vedere due squadre che sembravano imbattibili a maggio regredire così tanto nel giro di una manciata di mesi. Nel football americano la caduta in disgrazia di una finalista è un fenomeno piuttosto comune, che prende il nome di “Super Bowl Hangover” ed è dovuto alla difficoltà di mantenere intatto il roster di anno in anno. Invece in uno sport come il calcio europeo, dove l’ascensore sociale è spesso guasto, il collasso di due baluardi dell'Ancien Régime come Inter e Bayern a fine 2010 è davvero qualcosa di inedito. A metà dicembre entrambe le squadre sono quinte in classifica, distanti rispettivamente 7 e 16 punti dalla vetta. A causa di quell’inizio stentato, Rafa Benitez verrà esonerato poco prima di Natale.
Alla conferenza stampa di presentazione Rafa Benitez parlava un buonissimo italiano e faceva di tutto per sembrare simpatico e spigliato. A un certo punto, una giornalista del New York Times finita lì per caso, gli fece una domanda naïf ma incredibilmente centrata. «Comprerà dei nuovi giocatori»? Rafa ovviamente rispose che sì, la squadra sarebbe stata rinforzata. Probabilmente si riferiva a Mascherano e Kuyt, che poi sono diventati Coutinho e Biabiany. La rosa, in realtà, sarebbe rimasta quasi identica rispetto all’anno precedente e, se ciò non bastasse, sarebbe stata falcidiata dagli infortuni, 50 in totale, che avrebbero colpito il 92% dei giocatori di movimento. Milito addirittura rischiò di registrare più ricadute muscolari (5) che goal (6). L’Inter giocava male ed era in condizioni fisiche impresentabili.
Ma il fallimento di Benitez è stato principalmente empatico. Il motivo lo troviamo in un estratto di The mixer in cui Michael Cox scrisse che Benitez è una mente brillante ma rigida, ossessionato da concetti come compattezza ed equilibrio al punto da «considerare i suoi giocatori come oggetti funzionali a un obiettivo tattico, piuttosto che persone con una personalità che ogni tanto hanno bisogno di supporto e incoraggiamento». Da questo punto di vista, Benitez era l’antitesi dell’uomo di Setúbal, di cui forse voleva estirpare il culto della personalità che c'era in quel momento a Milano. Ha un progetto tattico ambizioso ma non sostenuto dal carisma necessario a portarsi a bordo un gruppo non suo, su cui non ha potuto mettere mano più di tanto.
A Milano, Benitez scoprirà che le pedine, soprattutto quelle che hanno appena vinto una Champions, vanno motivate a salire su e giù per la scacchiera, e pagherà il suo integralismo (e un epico rant dopo la premiazione per il Mondiale per Club) con il licenziamento. Alla squadra serve una scossa al più presto e Massimo Moratti punta tutto su Leonardo, che è ancora tutto da farsi dal punto di vista tattico (ricordate il Milan del 4-2-Fantasia?) ma compensa le lacune strategiche con un’intelligenza relazionale notevole. Dal primo secondo rievoca l’immaginario, il vocabolario e la mistica di Mourinho, depurata dai lati più polemici perché l’ex Milanista ha parole al miele per tutti: giocatori, tifosi, Moratti (sei mesi di vera e propria bromance), giornalisti, avversari, persino per i milanisti, che dal canto loro lo ritengono,per usare le parole del leggendario Gianni da Pioltello, «uno stronzo». Soprattutto, Leonardo sa che rievocare Mourinho può generare un riflesso pavloviano nei suoi giocatori: «José con me è stato straordinario. L'ho chiamato. Arrivare all'Inter senza passare per José è impossibile: José è ovunque».
Stando ai resoconti della Gazzetta, questo discorso attecchisce. Leonardo convince tutti i veterani che si può ancora riprendere per i capelli la stagione su tutti e tre i fronti. Maicon addirittura decide di posticipare un’operazione al ginocchio già programmata per imbarcarsi in questa sorta di The Last Dance senza Michael Jordan. Il risultato è strepitoso, visto che nelle prime 13 partite di campionato l’Inter di Leonardo guadagna 33 punti, il record di sempre per un nuovo allenatore in Serie A. Non sono quasi mai vittorie facili, non di rado sono folli, ma permettono all’Inter di rientrare in scia al Milan capolista e di ridare un senso a una stagione che sembrava buttata. L’Inter arriva al ritorno in fiducia come non era da tempo, e nemmeno la sconfitta dell’andata sembra turbarla più di tanto.
Come ci arriva il Bayern
Nell’avvicinamento alla partita il Bayern dovrebbe essere la squadra più rilassata. Del resto, è successo solo una volta che una squadra abbia perso la qualificazione dopo aver vinto l’andata fuori casa. La squadra in questione era l’Ajax 1996, che aveva battuto ed eliminato il Panathinaikos. Allenatore quell’anno era Aloysius Paulus Maria van Gaal, che quindici anni dopo siede sulla panchina del Bayern. Ed è una panchina incandescente, perché il Bayern sta vivendo una stagione molto simile a quella dell’inter, ma ancora più disgraziata. La squadra è spremuta, i giocatori cadono come mosche, lo spogliatoio è squassato e le vittorie faticano ad arrivare. Il santone olandese è il bersaglio del fuoco incrociato di tifosi, stampa, giocatori e società. Come successo in passato e come succederà in futuro, la sua ideologia integralista e il suo ego smisurato stanno incancrenendo un ambiente tradizionalmente coeso e compatto come una testuggine.
Valentino Tola ha definito la filosofia di van Gaal “Calcio totalitario", e in effetti il momento di van Gaal a Monaco ricorda sinistramente gli ultimi atti prima della caduta di svariati dittatori. La sua autorità è dissolta e i suoi istrionismi, come quello di calarsi i pantaloni davanti alla squadra per dimostrare di avere letteralmente le palle per sostituire anche le stelle, non attecchiscono più. In campo, nonostante il suo calcio continui a pagare offensivamente, il Bayern esibisce una difesa catastrofica. La squadra continua a perdere punti per quelli che Franz Beckenbauer definisce «errori da bambini dell’asilo». Van Gaal non è ben visto ai piani alti e nemmeno nello spogliatoio. La sua decisione di silurare il capitano Van Bommel a gennaio finisce per alimentare la frangia dei ribelli, capeggiata da Frank Ribery, che lo detesta, peraltro ricambiato. Non è un caso che una squadra così disunita abbia subito una quantità insensata di rimonte. È successo in campionato contro Mönchengladbach e Leverkusen, e soprattutto nei gironi di Champions contro la Roma.
La situazione è disastrosa e non fa che peggiorare man mano che il ritorno contro l’Inter si avvicina. Dopo la vittoria a San Siro il Bayern ne prende 3 dalla prima versione del Borussia di Klopp, salutando il Meisterschale. Pochi giorni dopo, grazie a un goal di Raul, lo Schalke lo elimina dalla Coppa di Germania. Dulcis in fundo, un umiliante 3-1 contro l’Hannover, che sancisce la prima serie di 3 sconfitte consecutive nel terzo millennio. A quel punto la misura è davvero colma e la dirigenza bavarese decide di staccare la spina al regime di Van Gaal. Il problema è che non si trova un traghettatore, quindi l’addio di van Gaal viene posticipato a fine stagione. Pochi giorni più tardi il Bayern demolisce 6-0 l’Amburgo e ritrova un minimo di serenità prima della partita dell’anno. Ribery, uno dei migliori in campo, ammette candidamente che la squadra era sollevata dall’esonero dell’allenatore.
Il primo tempo
Accendo la partita e mi accorgo che dietro i giocatori schierati per l’inno c’è un cartellone con delle scritte in giapponese. Inizialmente non capisco, ma poi i telecronisti pronunciano la parola “Fukushima” e tutto diventa chiaro. Nemmeno una settimana prima di quel 15 marzo, il Giappone è stato devastato dallo tsunami, perciò le squadre giocano con il lutto al braccio e osservano un minuto di silenzio.
Arbitra l’ingellatissimo Pedro Proença. Van Gaal schiera il Bayern con l’immancabile 4-2-3-1, ma 6/11 della formazione sono diversi rispetto a quelli di Madrid. Davanti c’è Gomez al posto di Olic. A completare il trio alle spalle delle punta, insieme a Robben e Müller, c’è Ribéry e non Altintop. A centrocampo Luiz Gustavo sostituisce il silurato Van Bommel. Davanti al giovane Kraft c’è la quattordicesima linea difensiva della stagione: il neo capitano Philip Lahm a destra, a sinistra Pranjic al posto di Badstuber, al centro Van Buyten e Breno. Il brasiliano viene presentato come un futuro crack. Pagato 12 milioni, dicono che in allenamento sia un fenomeno, ma da quanto è tornato dal prestito al Norimberga non è ancora riuscito ad impressionare.
La grafica dispone gli 11 di Leonardo nel 4-3-1-2 che è diventato il modulo di riferimento dell’Inter. Rispetto all’andata manca Zanetti, quindi Leonardo deve abbandonare l’albero di natale di San Siro e inserire un altro attaccante, che però non è Milito - alle prese con la sesta ricaduta muscolare - ma Pandev. Sneijder, Cambiasso, Stankovic e Thiago Motta ci sono tutti, dietro giocano Chivu e Maicon terzini, centrali Lucio e Ranocchia, richiamato dal Genoa dopo l’infortunio al crociato di Samuel. Julio César è in porta a lottare con la consapevolezza di quanto potrebbe pesare quella respinta all’andata.
2.00: I primi minuti sembrano una corsa di autoscontri. Bayern e Inter incrociano i guantoni da subito, solo qualche fischio arbitrale spezza un flipper interminabile di contrasti e respinte. Proença sorride, allarga le braccia e sembra chiedere a tutti di calmarsi.
2.57: Dopo tre minuti di incornate sembra che le squadre finalmente riprendano fiato, invece all’improvviso l’Inter infila il primo gancio al mento del Bayern. Eto’o scivola alle spalle della linea del Bayern e infila di sinistro sotto le gambe di Kraft. L’azione, stupenda, è talmente inattesa che è stata tagliata a metà dal replay sul fallo che l’ha originata, ma mostra che l’Inter non è schierata con il rombo a centrocampo, ma a specchio, con una sorta di 4-2-3-1 in cui Sneijder parte da sinistra e si accentra favorendo la salita di Chivu. Proprio il rumeno prende palla sulla trequarti, attira la pressione di tre giocatori e poi con un tocco d’esterno taglia a fette il centrocampo Stankovic alle spalle di Luiz Gustavo e davanti a Van Buyten. Van Buyten cerca un anticipo sconsiderato nonostante i suoi siano 3 contro 3 con gli attaccanti dell’Inter e “Deki" se ne accorge giusto in tempo per tagliarlo fuori con un appoggio a Pandev. A quel punto Breno e Pranjic provano a salire per portare Eto’o in fuorigioco, ma Pranjic è in ritardo e quell’anno l'attaccante camerunense non fa sconti nemmeno sui millesimi di secondo.
Riaggiustarla all’inizio era fondamentale, anche mentalmente. Adesso c’è da arginare la reazione che sta per riversarsi su Julio César. Il Bayern vuole e ottiene ritmi frenetici, l’Inter è troppo poco dinamica per reggere senza annaspare.
9.12: È fondamentale restare compatti, perché appena gli spazi si decongestionano il Bayern diventa ingiocabile. l’Inter perde palla nella sua trequarti con Maicon fuori posizione, il che significa palla a Ribery con campo davanti, dunque cattive notizie. Sul filtrante del francese si apre il primo duello tra Gomez e Ranocchia. Lo vince inizialmente il primo, ma la gamba di Ranocchia in scivolata sventa una grande occasione. Non sarà l’ultima volta. Dopo la scivolata Ranocchia resta a terra e il terrore è che possa non rialzarsi più, come era successo all’andata. In quel caso, non essendoci Zanetti, a far coppia con Lucio finirebbe Marco Materazzi, che inizia a sentire il peso degli anni e non gioca con continuità da troppo tempo. Fortunatamente Ranocchia si rialza e il problema non si pone.
13.10: Comunque c’è da soffrire e si sapeva, ma finché l’Inter è compatta dietro può stare relativamente tranquilli, perché un certo tipo di difesa questa squadra ce l’ha scolpito dentro. Me lo ricorda Sneijder con una diagonale su Robben stile Eto’o al Camp Nou.
18.10: Il problema è che quando recupera palla, l’Inter ha troppo campo da attaccare, Eto’o è isolato e può dialogare solo con Pandev, che dal canto suo ha mancato due stop in cinque minuti. Oggi so tarare la responsabilità di certi errori e valutare le circostanze in modo pacato. Dieci anni fa avrei chiesto la damnatio memoriae per il macedone. Nell’attitudine disperata alla difesa, comunque, l’Inter si esalta. Un paio una chiusure di Cambiasso su Ribery sono commoventi.
18.54: In ripartenza l’Inter dà la sensazione di essere pericolosa, soprattutto dal lato di Pranjic, lì dove Ribery non ripiega mai. Basta un cambio di gioco per rinnovare il due contro due di Pandev ed Eto’o contro Breno e il croato. Su questa situazione arriva una palla stupenda di Chivu per Pandev, che però arriva un attimo in ritardo.
19.58: Lentamente, l’Inter mette il muso fuori con meno timidezza. Il Bayern, però, le ricorda subito cosa succede sbilanciandosi solo appena appena. Dopo un rientro più pigro del solito da un calcio d’angolo, Robben riceve fronte alla porta; l’olandese sarebbe anche quadruplicato, ma in quegli anni è buggato come un fucile nel Meta di Warzone, quindi cosa saranno mai quattro uomini da saltare. Robben riesce ad aprire spazio per il suo sinistro, ma il tiro gli esce centrale e nemmeno troppo potente, dritto sul petto di Julio César. Ancora non mi spiego come non riesca a trattenerla. Altrettanto assurda è la conclusione dopo la ribattuta di Gomez, che alza la gamba come un ballerino di Can Can particolarmente scooordinato e trova uno di quei goal inspiegabili che solo gli attaccanti in stato di grazia possono segnare.
Guardo Julio César gridare la sua rabbia e so cosa gli passa per la testa. L’ho letto in un’intervista: «Dopo il goal volevo scappare dalla mia famiglia a Milano. A piedi, a cavallo, in qualsiasi modo. Ero furibondo anche perché i ragazzi stavano facendo benissimo e io rischiavo di rovinare tutto». Difficile biasimarlo, impossibile capire cosa significhi giocare 70 minuti con quel macigno sulla schiena.
22.53: In ogni caso ormai è 1-1, l’Inter può scordarsi i supplementari e deve segnarne almeno uno. Gioca più aggressiva e mette in difficoltà subito un Bayern che, quando deve difendere basso, lo fa davvero come fosse all’asilo.
26.06: Anche la solidità difensiva dell’Inter, però, si dissolve ogni minuto di più e a ogni abbozzo di contropiede il Bayern sembra poter segnare. Luiz Gustavo trova Gomez, che sta camminando sulle acque. Un controllo impacciato si trasforma in un dribbling secco che lo libera al tiro. Julio César risponde con una parata alla Julio César, efficace e bella da vedere.
27.10: Pandev perde il suo quarto pallone in meno di mezz’ora.
30.01: Col passare dei minuti il ritmo del Bayern inizia a frastornare la squadra di Leonardo. A difesa schierata l’Inter è meno solida, soprattutto quando Robben abbandona il binario destro e viene a sinistra a combinare con Ribery. Robben che si accentra palla al piede. Aveva fatto lo stesso movimento all’andata e aveva concluso la sua corsa stampando un gran destro sul palo. Qui invece cerca Gomez con un passaggio così così, che però diventa letale una volta incrociata la gamba di Thiago Motta e finisce perfettamente sulla corsa di Thomas Müller, che nel frattempo ha tagliato in area di rigore con la decisione di chi sapeva in qualche modo che la palla sarebbe arrivata proprio lì. Müller se l’aggiusta col primo tocco e col secondo supera Julio César con un tiro morbido come una Käsekuchen.
34.00: Come dopo il goal di Gomez, l’Inter ha una reazione emotiva: si sbilancia, prova a pressare più in alto. Il Bayern potrebbe chiudere la pratica dopo appena quattro minuti dal goal del raddioppio, con un’azione stupenda. Rinvio di Kraft, appoggio di tacco di Ribéry per Robben, palla indietro per Schweinsteiger, palla di prima nello spazio di nuovo per Ribéry. La goffa scivolata con cui Ranocchia prova a fermare il francese fotografa bene l’impotenza dell’Inter di fronte alla velocità degli avversari. A quel punto è una sorta di shootout tra Ribéry e Julio César, che resta in piedi fino all’ultimo e sfodera una delle parate più clutch della sua carriera, nel momento più difficile della sua carriera.
La forza mentale di non perdere la testa, d'altra, ha separato Julio César da tanti altri portieri. Non è mai stato perfetto, ma ha sempre trovato il modo di rimediare ai suoi errori. Mentre riguardo la parata su Ribéry ho il flashback di un Napoli-Inter di qualche anno prima. Anche in quel caso il portiere brasiliano aveva regalato un goal a Zalayeta in apertura, ma da lì in poi aveva tirato giù la serranda. Altri ricorsi storici che mi sovvengono in quel momento: il primo tempo con il Palermo di quell’anno. L’Inter è sotto due a zero, imbarca più acqua del Titanic ma gli avversari non le danno il colpo di grazia. Il rigore sbagliato da Pastore, la carambola senza senso sul sinistro di Balzaretti sono momenti assurdi, ma impallidiscono i confronto alla parte finale di questo primo tempo.
39.10: Stanno per iniziare i sette minuti di calcio più surreali che abbia mai visto. Ribéry cerca una palla visionaria ma un po’ lunga per Gomez, che riesce ad allungarsi e a toccarla quando basta per farla scivolare tra Julio César e il palo. Quello che succede dopo è talmente straniante da sembrare finto. È tutto troppo lento, troppo cinematografico. Ranocchia e Müller che si fiondano sulla palla, che ruota pericolosamente sulla linea di porta. Müller è più rapido e plana sul pallone come un falco, Ranocchia è in affanno per via della sua stazza, ma proprio grazie alla lunghezza della sua gamba riesci ad arrivare un attimo prima. Il pallone sbatte sullo scarpino di Müller, poi sulla parte interna del palo e finisce per strisciare la fronte di Ranocchia come un proiettile di Matrix. Non si sa bene come l’Inter ha scampato pure questa.
Qui Ranocchia che commenta quella scivolata a distanza di anni.
Neanche il tempo di realizzare cosa è accaduto e Robben da mezzo metro mira il lato sbagliato dell’incrocio dei pali. Se dovessi riassumere la situazione con un meme sarebbe questo.
45.00: Proença segnala un minuto di recupero, Leonardo chiede calma ma l’unico (troppo) calmo sembra Lucio, che prova un tunnel da ultimo uomo come se stesse giocando contro il Brunico in pre-stagione. È dura ma bisogna arrivare al gong: sette secondi e Proença fischierà due volte, poi Motta cerca un esterno lezioso e si fa strappare il pallone. A quel punto è contropiede 5 contro 2, che dovrebbe essere una condanna a morte, ma il Bayern trova il modo di divorarsi anche questa. Si va al riposo in una situazione surreale, con la squadra che ha un piede e mezzo fuori dalla competizione e nonostante questo è l’unica soddisfatta del risultato parziale.
Il secondo tempo
Cosa ci si dice nello spogliatoio dopo un primo tempo così? Si litiga? Si sta zitti e concentrati? Ci si carica con discorsi à la Al Pacino? La versione agiografica della finale di Istanbul racconta di Benitez che esclama «We are Liverpool, vamos a ganar!». Da qualche parte ho letto che in realtà in quello spogliatoio regnava il caos, Benitez aveva disegnato dodici giocatori sulla lavagna tattica ed era andato letteralmente a tirare fuori dalla doccia Djimi Traoré, dicendogli di rivestirsi e tornare in campo.
Potrei sbagliarmi, ma non mi immagino un clima apocalittico. Questa è una squadra abituata a vincere - quest’anno a riprendere per i capelli partite che sembrano perse. La prima volta è successo contro il Cesena, e Leonardo aveva commentato: «Un’altra gara così sofferta e svengo». Poco dopo arriverà Inter-Palermo. Al ritorno, con il Cesena, Pazzini la ribalterà con una doppietta nel recupero. Insomma, è probabile che negli spogliatoi ci credessero tutti. Un motivo per sperare l’Inter ce l’ha, ed è lo stesso da tutta la stagione. Indossa la maglia numero 9 ed è il primo ad uscire dal tunnel degli spogliatoi. Questo dettaglio l’avevo rimosso, ma la mente ritorna alla passeggiata di Mourinho al Camp Nou. Samuel Eto’o esce a testa alta un buon dieci secondi prima degli altri, si prende una valangata di fischi, ma non sembra nemmeno sentirli.
Tutti se lo ricordano come il working class hero del Triplete, ma in pochi si ricordano che Eto’o nel suo primo anno a Milano ha passato momenti non facili, nei quali la palla non entrava mai e San Siro iniziava a mugugnare. Quest’anno invece è la sua squadra, ed è il suo anno, quello in cui ci ricorda che è molto, molto più di un terzino di lusso. In quel momento è il terzo giocatore più forte del mondo, o se volete il primo se si escludono Messi e Ronaldo, che proprio in quegli anni stanno iniziando a diventare quei giocatori fuori della storia che conosciamo oggi. In ogni caso, Eto’o sorride e scherza, è palesemente il più rilassato, ma anche gli altri sembrano sereni con l’unica, ovvia, eccezione di Julio César.
49.17:Entrando in campo, l’Inter traballa ancora un po’. Per sventare un contropiede su calcio d’angolo a favore Stankovic deve recuperare 60 metri su Müller. Alla fine lo raggiunge e lo scaraventa a terra per evitare guai peggiori, ma su quello sforzo sente qualcosa tirare nel quadricipite e deve chiedere il cambio. Ha giocato una partita "da capitano", come tutte le altre in cui non aveva la fascia al braccio. Al suo posto entra Philippe Coutinho, anni 18, che fa tenerezza per quanto è fuori contesto. Il volto è ancora più efebico di oggi, con quel cespuglio di capelli in testa sembra un Bacco di Caravaggio. Al primo pallone che tocca incespica, cade, prova a rialzarsi e cade di nuovo, come un cucciolo che sopravvaluta le sue gambe. Al 50’ anche Robben va giù, atterrato dal pestone di Thiago Motta. Si rialza a fatica, ma da lì inizia a zoppicare.
52.03:Pandev sbaglia il sesto stop della partita e al me stesso diciassettenne sta iniziando a gonfiarsi la vena.
60.05:Il Bayern ha troppa qualità davanti e torna rapidamente a spingere. Ribery questa volta si beve Cambiasso e la mette morbida per Gomez, che colpisce al volo violentissimo ma centrale. Julio César ancora presente.
62.57:Dopo aver graziato l’Inter per la settima volta, finalmente il Bayern paga il teorema di Max Pezzali. Rinvio di sessanta metri di Julio César, Eto’o lo addomestica di tacco come se la palla fosse di spugna. Pandev da Coutinho sulla sinistra, di nuovo a destra per Eto’o che attira Breno e poi l’appoggia per Sneijder, che da lì raramente perdona. E infatti è 2-2: non si sa bene come ma l’Inter è tornata in partita.
Uno scambio tutto di prima tra Müller e Gomez e per la terza volta la gamba destra di Ranocchia cambia il corso della partita. Due minuti ancora e Ranocchia la può persino decidere, stavolta di testa, ma non impatta bene.
66.20: Questo è il punto in cui Wesley Sneijder da Utrecht prende il controllo della partita. Sta giocando un secondo tempo sontuoso, paragonabile a quello di Stamford Bridge, e come aveva fatto contro il Chelsea inizia a spedire in porta un compagno dopo l’altro. Al 66’ è il turno di Pandev, che ha la possibilità redimersi ai miei occhi: controllo perfetto, preparazione pure, tiro che atterra sul tetto della torre cinese.
67.10: Van Gaal risponde al pari dell’Inter con un cambio clamoroso: entra Altintop al posto di Robben, forse per il colpo subìto poco prima, forse per scelta tecnica. Fatto sta che l’olandese va dritto negli spogliatoi e da quel momento il Bayern è molto meno pericoloso e finisce schiacciato nella propria metà campo.
71.05: Due giocate da Inter del triplete: Sneijder sventa una serpentina incredibile di Lahm e spazza lontano dall’area, poi Lucio fagocita Ribéry che lo stava puntando in campo aperto.
74.10: Il ritmo della partita continua ad essere folle, la palla viaggia da una parte all’altra del campo come fosse una pallina da ping pong e le occasioni fioccano per entrambe le squadre, che però sembrano arrivare alla conclusione con la lucidità annebbiata dalla fatica.
80.05: Finalmente le squadre tirano il fiato per qualche minuto. I ritmi sono più gestibili e ne trae vantaggio l’Inter. In un secondo Eto’o incendia la partita: entra in area da sinistra e appoggia dietro per Sneijder. È tutto perfetto, non c’è un difensore vicino, ha tempo di contare i rimbalzi del pallone, dai è goal, non c’è niente tra lui e Kraft tranne…
La schiena di Goran Pandev.
Io raramente ho mai odiato i giocatori della mia squadra, ma quando mi è capitato l’ho fatto seguendo il modello appreso per imprinting da piccolo. Gli interisti del bar del mio paesino erano fatti tutti allo stesso modo. Ognuno di loro aveva il suo personale capro espiatorio su cui infierire. Poteva essere il capitano o la quarta punta, ma per loro tutto il male dell’Inter era causato da quel giocatore e da nessun altro. Lo odiavano talmente tanto che spesso non lo chiamavano nemmeno per nome, ma lo indicavano con il numero di maglia. «A l’è culpa dal 2», «ma sa fa a giugà con in porta ul 1», «ul 4 al sarà minga un capitan». In quel momento il mio odio per il 27 dell’Inter era bestiale. Non mi importava che Pandev si fosse solo trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato, in quel momento gli addossavo qualunque colpa possibile e immaginabile, il goal di Gomez, il 6-0, il 5 Maggio, gli infortuni di Ronaldo.
81.55: Ero furioso con Pandev perché l’Inter non era in condizione di poter sprecare qualcosa. Poco dopo c’è un contropiede 3 contro 2, che sono Lucio e Ranocchia. Ranocchia in quella partita è un lancio di moneta, un’azione sembra Nesta, quello dopo Gresko. Le occasioni che ha sventato sono tante quante quelle che ha regalato. Ennesimo enigma di una partita bipolare come poche. Qui, fortunatamente la monetina casca sul lato Nesta, e Ranocchia ruba il pallone a Gomez con una giocata da grande difensore.
Era il momento in cui Ranocchia sembrava l’erede designato della scuola difensiva italiana.
87.12: Sneijder lancia un po’ alla disperata verso Eto’o. Il pallone è alto e sembra restare in aria un’eternità. Breno fa in tempo a prendere posizione su Eto’o, non ha molto da fare se non far valere la sua superiorità fisica. Breno però sembra incantato, lo sguardo resta fisso in aria come quello di un bambino che ha visto la neve per la prima volta. Poi si accorge che Eto’o è più vicino del previsto e va improvvisamente nel panico, si agita, si avvicina freneticamente verso il pallone come se fosse in ritardo anziché in anticipo. A quel punto è fritto, perché Eto’o può tagliarlo fuori e puntare verso il centro dell’area, scaricare verso Pandev. Probabilmente non ho avuto neanche il tempo di capire che la palla della partita fosse nei piedi della mia nemesi. Vedo solo che quella palla finisce all’incrocio e io non so se volergli bene od odiarlo, ma in fondo cosa importa.
Manca un minuto più recupero, tempo a sufficienza perché succeda di tutto, ma in realtà il Bayern è troppo frastornato per provare a riprenderla. Ne avrebbe il talento, ma per reagire a mazzate del genere servirebbe un carattere che la squadra non ha.
89.01: escono subito i due protagonisti dell’episodio chiave. Breno lascia il posto a Toni Kroos, ed è triste pensare che in quel momento la sua carriera è finita. Pochi mesi dopo verrà arrestato per aver dato fuoco alla sua villa, sconterà due anni di carcere, non giocherà mai più in Europa. Pandev esce subito dopo avermi ricacciato in gola ogni mia critica. Al suo posto entra Kharja, inserito con il solo scopo di ridurre al minimo il tempo di gioco effettivo. Kharja ci mette del suo con un fallo criminale su Luiz Gustavo, ma non ce ne sarebbe bisogno. Il Bayern si è squagliato, non ha nemmeno la forza di provare l’assalto finale. Proença fischia tre volte e a quel punto è inevitabilmente il delirio. Julio César scoppia a piangere, Leonardo fa il pieno di abbracci, e io mi sento nostalgico e terribilmente in colpa verso Goran Pandev.
Pazza Inter?
Nella sbronza post-vittoria l’idea del triplete back to back era meno peregrina di quanto sembri oggi. L’Inter era ancora in corsa su tre fronti, con un sorteggio ai quarti morbidissimo e il Derby all’orizzonte. In realtà era impensabile pensare di farsi strada in Europa e in campionato a suon di rimonte folli. Quell’inter giocava su un filo davvero troppo sottile che si è spezzato sul più bello.
Il debito con la sorte lo avremmo saldato poco dopo, durante quella che Moratti definì “la settimana maledetta”. 5-2 contro lo Schalke e 3-0 contro il Milan, addio a Champions e Scudetto nel giro di quattro giorni.
Per certi versi l’Inter di Leonardo è stata l’incarnazione più pura del concetto di “Pazza Inter”. Una squadra realmente schizofrenica, capace di vincere e perdere contro chiunque, della quale Bayern-Inter è stata ritenuta la partita manifesto. In realtà, dopo averla rivista per Intero, non credo che Inter Bayern sia stata fino in fondo una partita da "Pazza Inter". È stata una partita pazza, questo è sicuro, ma il mio concetto di "Pazza Inter" è quello di una squadra autolesionista e disfunzionale, che trova ogni modo di perdere partite che dovrebbe vincere e poi le riprende per i capelli. Non era scritto da nessuna parte che dovessimo passare con il Bayern, non sarebbe stato uno scandalo uscire. L’Inter ha vinto per tanti motivi, non ultimo il suicidio degli avversari, ma soprattutto perché aveva giocatori fortissimi e un gruppo solido, qualcosa che storicamente appartiene alle versioni dell’Inter vincenti, che spesso e volentieri pazze non sono.
Io quella la ricordo come l’ultima volta in cui l’Inter è stata grande in Europa e ci ha dato l’illusione di poter continuare ad esserlo. Quell’illusione si smaterializzò quasi all’istante, giusto il tempo di sollevare una Coppa Italia. Da lì in poi, dieci anni senza trofei e senza imprese in Champions. Nei prossimi tre mesi l’Inter ha la possibilità di rompere la prima astinenza, speriamo che non passi un altro decennio prima di rompere anche la seconda.