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La donna dimenticata che ha cambiato il wrestling
10 set 2025
Breve storia di Joan Laurer, cioè "Chyna".
(articolo)
22 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Press Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Press Wire
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All’inizio c’era una bambina che odiava lo specchio. Alla fine, in una stanza di Redondo Beach, in California, lo specchio non c’era più: solo una telecamera accesa e un comodino pieno di pillole. In mezzo, Joan Laurer era diventata Chyna, la donna che aveva spezzato il codice estetico del wrestling, un corpo scomodo che la WWE ha tentato di cancellare e ripulire a seconda delle convenienze. La sua vita sembra raccontarsi in due immagini riflesse: una bimba che si nasconde e una pioniera che viene rimossa dalla storia dello sport a cui ha immolato l'esistenza. In mezzo, una rivoluzione.

Chyna è citata ancora oggi da moltissime atlete come fonte d'ispirazione per ciò che è riuscita a fare a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l'inizio del nuovo millennio: la sua figura larger than life ha spianato la strada a un periodo d'oro per il wrestling femminile e più in generale per le donne che lottavano quotidianamente per veder riconosciuto il proprio valore nello sport professionistico statunitense. Raquel Rodriguez, Charlotte Flair, Jade Cargill, Rhea Ripley, Kimber Lee, Lita e Beth Phoenix sono soltanto alcune delle lottatrici che hanno reso omaggio pubblicamente alla donna in grado di portare sul ring un personaggio credibile, lontano dal cliché della valletta che accompagna il maschio in battaglia.

Ma allora come è possibile che un personaggio tanto influente per lo sport-entertainment sia sostanzialmente sparito dalla narrazione della WWE? Mai una citazione, nessun riferimento durante gli show, come invece capita per moltissimi ex campioni scomparsi prematuramente. Eppure quella donna è stata la prima a competere alla pari con i colleghi uomini, la prima a vincere una cintura maschile, diventando per alcuni anni uno dei volti da copertina della federazione, forse il più riconoscibile.

LA RAGAZZA DI ROCHESTER
Joan Laurer era nata nel dicembre del 1969 a Rochester, nello stato di New York, e cresceva con la convinzione che non ci fosse posto per lei da nessuna parte. A casa, il padre era un uomo assente e distratto, la madre un’ombra in guerra con se stessa. Si separarono presto. Laurer andò a vivere con il nuovo compagno della madre, che la trattava come se fosse il personaggio secondario in un film.

Nella sua autobiografia scritta con Michael Angeli, If they only knew, pubblicata nel 2001, Laurer racconta che cominciò a sentirsi sbagliata intorno ai dieci anni. Le sue gambe si allungavano troppo e le spalle si allargavano sempre di più. A scuola la prendevano in giro anche per la sua mascella squadrata: la chiamavano “She-Man”, “Amazon Woman”, addirittura “Frankenstein”. Lei provò a diventare invisibile. Si chiudeva in bagno a mangiare di nascosto e aveva attacchi di panico ogni volta che doveva cambiarsi davanti agli altri prima delle lezioni di educazione fisica.

Da adolescente cambiò tre scuole in quattro anni. In ognuna si ritrovava daccapo, senza nessuno accanto, con lo stesso corpo che la tradiva e la metteva in vetrina. Aveva un seno piccolo, una voce molto profonda e i lineamenti marcati. Qualcosa cambiò quando, a 15 anni, cominciò a disegnare i propri muscoli in palestra. Li immaginava come armature. Corse su una pista di atletica, poi iniziò a praticare il karate e in seguito la kickboxing. Scoprì che colpire qualcosa - o qualcuno - le dava un sollievo.

Nella stanza degli attrezzi, davanti allo specchio delle macchine da pettorali, Laurer cominciò finalmente a rivedersi. E ogni giorno diventava più forte. Di essere bella come alcune delle sue compagne di scuola, le più popolari, non le importava.

Dopo il liceo, frequentò la University of Tampa, laureandosi in letteratura spagnola. Intanto continuava a sollevare pesi e a spostarsi tra uno stato e l’altro. Viveva da sola e cambiava spesso lavoro: spogliarellista, guardia giurata, cantante in un locale di piano bar, cameriera. Trovò una palestra di culturismo a Boston: il coach le disse che avrebbe potuto gareggiare e quindi decise di entrare nel circuito femminile delle competizioni. Le gambe divennero colonne, i tricipiti sembravano spine dorsali. Cominciò a vincere, anche grazie all'uso di steroidi. Del resto, in quell'ambiente, li prendevano tutti.

Fu in quel periodo che vide per la prima volta un match della WWF. «Una notte rientro a casa e mia sorella sta guardando il wrestling, allora mi siedo accanto a lei e resto subito affascinata dai personaggi e da quel mondo in cui ognuno poteva diventare qualcuno», raccontò nel 2000 a RF Video.

DA JOAN A CHYNA
Era il 1995. In TV passavano incontri tra figure divenute poi leggende: Diesel contro Bret Hart, Shawn Michaels contro Razor Ramon. I corpi si scontravano come se il dolore fosse parte della sceneggiatura. C’erano le luci abbaglianti, i fuochi d'artificio, la musica a palla, ma soprattutto c’era una zona grigia dove tutto sembrava possibile, un mondo dove anche lei poteva esistere. Nel wrestling si poteva scegliere un’identità e combattere per farla accettare: era finzione, sì, ma richiedeva tutta la verità che si è in grado di esprimere.

Laurer frequentò la scuola di Killer Kowalski, una leggenda degli anni Settanta che allenava anche Paul Levesque, alias Triple H, forse l'uomo che più di tutti avrebbe segnato la sua vita, nonché attuale vicedirettore esecutivo della WWE. Laurer era l’unica donna nella classe. Il ring la inchiodava al centro del mondo: prendeva bump su bump, imparava le prese più semplici, poi i suplex e le tecniche migliori per vendere i colpi al pubblico. Lottava contro uomini due volte più grossi e li sollevava sulle spalle come fossero sacchi vuoti. «Ero l’unica donna che si esibiva con loro», dirà a Vice Sports in un'intervista «Ai tempi allestivamo sedie pieghevoli nelle mense delle scuole superiori, che erano le location degli show. Sono partita da zero, in mezzo agli uomini. All’inizio mi odiavano quasi, cercavano di farmi male, ma con il tempo mi hanno accettata».

Un giorno, a fine allenamento, Triple H le parlò. Le disse che stava cercando un personaggio nuovo per la WWF. Serviva una presenza femminile diversa, qualcuno che potesse rompere l’architettura estetica della compagnia. Laurer fece un provino con Vince McMahon. Si presentò con i capelli legati, una maglietta attillata, jeans scuri, braccia che sembravano armi. Vince la guardò in silenzio per qualche secondo, poi disse: «You’re weird as hell. I love it» («Sei bella strana. Lo adoro»).

Nel febbraio del 1997, Chyna debutta ufficialmente in WWF. Durante un match tra Triple H e Goldust, stringe la moglie di quest’ultimo per il collo, da dietro. Il pubblico impazzisce. Quel momento, violento e spiazzante, cambiò il volto del wrestling televisivo: per la prima volta dopo tanti anni una donna era entrata nel ring senza essere parte di un segmento comico o a sfondo sessuale. La rivoluzione è iniziata.

Laurer, 28 anni, non ha ancora un nome da lottatrice, la chiamano “That Woman”. Poi le danno il nome definitivo: Chyna, un gioco di parole tra la porcellana fragile (in inglese “fine china”) e il suo aspetto da dura. I commentatori la annunciano come "La nona meraviglia del mondo" (l'ottava, nell'universo WWF, è André the Giant).

All'inizio della sua carriera, sul ring Chyna non parlava. Le bastava entrare e colpire qualcuno perché il suo corpo raccontava già tutto. Il microfono, strumento indispensabile ad altre superstar per esprimere carisma, era superfluo: lei era una macchina da guerra al servizio di un principe, Triple H, il nobile arrogante con il pedigree della nuova aristocrazia del wrestling mondiale.

La WWF di fine anni Novanta era un mondo in cui le donne servivano a distrarre il pubblico tra un match e l'altro, abbiamo raccontato la loro evoluzione in questo articolo. Le chiamavano valets o divas e si esibivano in assurdi match nel fango, rigorosamente in bikini, o in sfilate travestite da scontri sul quadrato. I loro segmenti, un curioso intreccio tra pornografia soft e ironia da sit-com, non duravano quasi mai più di tre minuti. Chyna era diversa: le sue mosse erano credibili, i suoi arti esprimevano una forza superiore a quella messa tra le corde da molti colleghi maschi.

Dopo l'esordio televisivo, Laurer è semplicemente una delle ragazze più felici del mondo. Si sente finalmente accettata per ciò che è, ha trovato decine di persone con cui condividere l'amore per la palestra e quello sforzo continuo per migliorarsi nella rincorsa alla perfezione estetica. Il bullismo subito a scuola, i problemi familiari, tutti i cattivi pensieri dei suoi primi 28 anni, sono evaporati.

Nello spogliatoio trova diversi fratelli maggiori, uno su tutti Mick Foley, leggenda dei match hardcore, che manterrà con Chyna un rapporto sempre affettuoso e tra i pochi a parlare del senso di colpa che ancora lo accompagna: «Noi ragazzi ci prendevamo davvero cura di lei», ha raccontato nel 2022 nel suo podcast Foley is pod «Le volevamo un bene immenso, e forse l’abbiamo tradita quando se n’è andata, perché non siamo stati capaci di restare quel sistema di supporto che eravamo stati fino ad allora. Mi sento di dire che non si è mai sentita tanto a casa quanto sul ring. Credo che sia stato solo quando si è ritrovata nel mondo esterno senza quel sostegno che la vulnerabilità che la rendeva speciale si è trasformata nella sua rovina».

UN SAMURAI IN UN MUSICAL DI BROADWAY
L'11 agosto 1997, quando la D-Generation X si forma, Chyna entra a farne parte come fondamento silenzioso: Triple H, Shawn Michaels e Rick Rude sono le voci, lei è la figura terrificante che parla poco ma colpisce duro. Il successo della stable è inarrestabile, il pubblico adora lo stile politicamente scorretto della banda di ribelli. La D-Generation X, insieme all'ascesa di Steve Austin, sarà la base su cui poggerà una delle epoche d'oro del wrestling, la Attitude Era.

Se on screen tutto procede alla grande, per Chyna ben diversa è la situazione nel dietro le quinte. Per i booker della WWF, è un enigma narrativo. È troppo forte per le donne, troppo donna per combattere con gli uomini. È una frattura nel sistema binario che da decenni tiene in piedi l'intera industria dello sport-intrattenimento. Chyna è come un samurai che si mette a disposizione per un musical di Broadway: strano, alto potenziale di effetto wow, ma dove lo metti?

Vince McMahon capisce che può usarla per disorientare il pubblico e così Chyna diventa la prima wrestler donna a intervenire regolarmente nei match maschili senza mai essere picchiata. Esiste un accordo implicito con quella parte di fan che non avrebbe accettato di vedere una donna pestata da un uomo: lei può intimidire, può anche bloccare l'attacco di un wrestler ad un altro, ma non può subire mosse. Ben presto, però, il patto si rivela instabile perché è palese che Chyna possa combattere alla pari con i maschi. I fan capiranno, pensano i vertici della federazione. Hanno ragione.

Nel 1998 Chyna vince il suo primo match televisivo in singolo contro un uomo. Poco dopo entra nel torneo per il titolo Intercontinentale. Laurer non è una pioniera della tecnica né una fine narratrice del ring come Bret Hart o Chris Benoit, ma è qualcosa che nessuno ha mai visto: una wrestler donna che non recita la femminilità.

Durante una puntata di Raw Is War, sfida Triple H a braccio di ferro nel backstage: lei lo guarda negli occhi, gli prende il polso e poi lo inchioda in tre secondi. Chyna ormai ha smesso di essere un personaggio secondario della WWF ed è a tutti gli effetti una superstar.

Nel backstage, però, i rapporti con le altre donne sono quasi inesistenti, va meglio con i maschi perché è con loro che si allena e passa buona parte della giornata, in palestra. La relazione con Triple H, inizialmente professionale, si trasforma in una convivenza. Sono coppia anche fuori dal ring e la cosa non piace a tutti.

Stephanie McMahon, nel frattempo, inizia a lavorare dietro le quinte, poi a comparire nelle storyline. È la figlia di Vince e comincia a passare sempre più tempo con Triple H. Il clima si fa teso. Chyna sente che le stanno togliendo la terra da sotto i piedi.

Intanto compie l'ennesimo passo irreversibile diventando la prima donna a partecipare alla Royal Rumble. Entra col numero 30, solleva Mark Henry e lo butta fuori dal ring. L’arena esplode. Il commentatore urla: “That’s not a woman, that’s a revolution!”. Il pubblico si è schierato. Il mondo sta cambiando. Ma la WWF no.

CAMPIONESSA INTERCONTINENTALE
Pay per view No Mercy, 17 ottobre 1999, Gund Arena di Cleveland, Ohio. Il ring è circondato da scope, pattumiere, padelle, ferri da stiro. Oggetti d’uso quotidiano disposti con cura grottesca ai bordi delle corde. È un “Good Housekeeping Match”, una cosa inventata per l’occasione.

Jeff Jarrett entra per primo con la solita chitarra a tracolla e un paio di occhiali da sole che urlano anni Novanta. Il suo personaggio è chiaro: un uomo che odia le donne, che vorrebbe riportarle tutte a stirare e lavare i pavimenti. Un maschilismo così plateale da diventare comico, ma con un sottotesto che non fa ridere: Jarrett, infatti, porta in scena sentimenti diffusi tra alcuni colleghi di Laurer e anche in una fetta del pubblico WWF.

Parte la musica di Chyna. La sua camminata è ferma e controllata, indossa un completo in pelle nera, con la mano destra tiene un bidone dell'immondizia, con la sinistra una scopa.

L’incontro parte subito violento, con una scazzottata fuori dal ring prima che Chyna sollevi l'avversario e lo lanci verso il pubblico. Poi gli oggetti diventano armi: la wrestler utilizza una padella e una tavoletta del water per attaccare Jarrett, seguono azioni spettacolari con tavoli che si spezzano e conseguenti ovazioni dei fan presenti nel palazzetto. Uova, farine, pentole, vale tutto e lo scontro diventa sempre più assurdo, fino a quando Chyna utilizza uno schiaccianoci sui testicoli del biondo con la chitarra, per poi metterlo al tappeto colpendolo con un lavello e una serie di torte che finiscono ovviamente sul viso.

Jarrett, umiliato, colpisce Chyna con la sua cintura Intercontinentale e, mentre lei è stordita, la incolla al tappeto. Uno, due, tre. Il match è finito. Gli arbitri, però, comunicano che le regole vietano l'uso fisico del titolo. L'incontro riparte, Chyna spacca in testa la chitarra a Jarrett e lo schiena.

La camera stringe sul suo volto: mascella serrata, occhi lucidi. È fatta. La prima donna a vincere un titolo maschile in WWF. La cintura che hanno indossato Randy Savage, The Rock, Bret Hart, ora è sua. E nessuno può dire che non se la sia guadagnata.

UN CORPO SCOMODO
Lo spogliatoio è spaccato: alcuni ammirano quella ragazza gigantesca capace di intrattenere il pubblico meglio della maggior parte dei colleghi uomini, altri non la vedono di buono occhio. Più di qualcuno, infatti, teme che il suo successo porti le donne a pretendere di più: Chyna ha ancora un contratto minore, guadagna meno dei colleghi maschi, pur essendo tra le attrazioni principali degli show. Laurer prova quindi a negoziare con il grande capo: Vince McMahon la ascolta, poi la devia: «Non sei pronta per il titolo mondiale». Come se fosse questo il problema.

La verità è che nessuno sapeva più come fermarla. Il personaggio Chyna aveva superato i confini della gimmick: parlavano di lei nei talk show e sui giornali, Laurer era una figura di rottura che piaceva molto agli americani. Ma ogni suo passo avanti significava un passo indietro per il sistema, perché se Chyna diventava normale, le altre apparivano obsolete. E così comincia la sua esclusione lenta. Triple H inizia a lavorare sempre più spesso con Stephanie McMahon e la D-Generation X si dissolve. Chyna resta sola, senza direzione narrativa.

La WWF la sposta nel territorio delle divas. Le affianca Eddie Guerrero in una storyline comica, poi le dà il permesso di apparire sulla copertina di Playboy. È il 2000. Vince ancora il titolo Intercontinentale, ma ormai qualcosa si è spezzato. Il pubblico continua ad amarla, ma la compagnia la riassorbe nella logica della sessualizzazione. La donna forte si trasforma man mano nella ragazza sexy. Lei continua a darsi da fare, a testa bassa, per mantenersi aggrappata a quella carriera in cui ha investito semplicemente tutto. Decide anche di modellare il proprio corpo per assomigliare di più al modello richiesto dalla federazione, si sottopone a diversi interventi di chirurgia al mento, al seno, agli zigomi. Ma così annacqua il personaggio di Chyna, che adesso assomiglia di più alle altre donne sul ring.

Nel 2001, mentre il suo personaggio stava perdendo gradualmente spazio negli show settimanali e non sembravano esserci alle porte storyline principali che la vedessero protagonista, Laurer provò a ridare slancio alla sua carriera partendo da quello che le sembrava naturale: chiedere di essere trattata come una delle attrazioni principali. Nel wrestling tutto è ciclico e i personaggi principali vengono dosati per evitare che gli spettatori arrivino a stancarsi di vedere sempre e solo le stesse facce: Chyna sembrava essere stata messa in stand-by dagli sceneggiatori, probabilmente in attesa di una nuova occasione.

Laurer, con l'avvicinarsi della scadenza del contratto che la legava alla federazione, chiese un rinnovo da un milione di dollari all'anno, una cifra in linea con quanto percepivano molti dei colleghi maschi con cui divideva poster promozionali e spot da protagonista in tv. La WWE si fermò a meno della metà: un’offerta da circa 400mila dollari, senza bonus né garanzie narrative. Lei rifiutò, convinta che ci fosse margine per negoziare, forte del sostegno di milioni di fan. Non sapeva, però, che la decisione era già stata presa.

Il licenziamento, stando alle sue parole, arrivò senza preavviso, mentre era a cena in un ristorante e prese la forma di un fax. Poche fredde righe stampate su carta intestata WWF: “La compagnia ha deciso di non proseguire il rapporto contrattuale con Joanie Laurer”. Nessun confronto di persona, nemmeno telefonico. Perché escludere dal business la donna di punta in un modo tanto brutale? Una persona che ha fatto tutto quello che le era stato chiesto e fatto guadagnare milioni di dollari alla WWF, anche a costo di modificare il proprio corpo in maniera decisa.

Laurer aveva già perso Triple H mesi prima, dopo aver trovato per caso una lettera scritta a mano da Stephanie McMahon datata un anno prima: quel foglio A4 raccontava un legame iniziato molto prima di quanto Joanie avesse immaginato.

ALLO SBANDO
Joanie non è più in tv e il suo corpo diventa l’unico capitale rimasto: partecipa a convention, a reality show, a programmi trash. Nel 2002 è di nuovo in copertina su Playboy, questa volta in versione più esplicita. Nel frattempo, però, qualcosa si è rotto: le luci si sono spente e inizia una parabola umana discendente che non conoscerà interruzioni. L'ex beniamina dei fan ha trentadue anni e il mondo del wrestling inizia l'opera di rimozione del suo nome. Lei in pubblico sorride, dice di avere nuovi progetti, ma la realtà è diversa: Laurer è sempre più sola, ha perso la sua famiglia composta dai wrestler con cui si allenava tutti i giorni. Lo spogliatoio in cui sembrava aver trovato la pace, è chiuso: lei non lo sa, ma quella porta non si riaprirà mai più.

Prova con il Giappone. Lì c’è ancora spazio per una come lei, forse: sale su un volo per Tokyo, firma con la New Japan Pro Wrestling. Combatte pochi match, uno anche con la leggenda Masahiro Chono. Il pubblico la guarda come fosse un essere mitologico: non sembra né una donna, né un uomo. L'esperienza in Asia, però, termina presto a causa dei demoni che la perseguiteranno nell'ultima fase della sua esistenza. Quando la WWF ha rifiutato la sua proposta di rinnovo, facendola di fatto fuori, lei ha iniziato a rifugiarsi sempre più spesso in sostanze che le consentono di distaccarsi da una realtà che non vuole affrontare. Chyna inizia ad arrivare in ritardo agli show, e in Giappone questo è inammissibile.

«Ero molto legata a Chyna, ciò che la feriva di più oltre al wrestling era che non potesse usare quel nome perché era un marchio registrato dalla WWE. All’improvviso aveva necessità di trovare lavoro: le persone volevano assumere Chyna, ma lei era Joanie Laurer. E chi la conosceva Joanie Laurer?», raccontò dopo la morte dell'amica Vince Russo, uno dei booker più influenti del periodo in cui Chyna lottava.

Una volta tornata negli Stati Uniti, partecipa al reality The Surreal Life. Condivide una casa con Mini-Me, un rapper caduto in disgrazia e una pornostar. Le telecamere non si spengono mai. Laurer si ubriaca. Vomita. Urla. E il pubblico ride. Il programma diventa virale. Parte uno spin-off con il suo ex, Sean Waltman, conosciuto come X-Pac. Si chiama Couples Therapy, ma è solo un pretesto per filmare due rovine, l'umiliazione pubblica di due performer che non hanno più un palco su cui esibirsi e si rifugiano nelle droghe.

Nel 2004 esce 1 Night in China, un film pornografico amatoriale girato proprio con Waltman. Lui sostiene che fosse consensuale; lei, anni dopo, dirà che non sapeva che sarebbe stato pubblicato. Ma intanto il video vende milioni di copie. Laurer riceve un assegno con tanti zeri, lo incassa, e in seguito accetta un contratto con Vivid Entertainment. Gira nuovi film hard grotteschi che rappresentano la sua condanna definitiva all'oblio di quell'ambiente in cui era stata felice: Backdoor to China, She Hulk XXX, Avengers XXX. Il suo corpo, un tempo era dichiarazione di potenza, diventa parodia.

I fan si dividono. Alcuni la difendono, dicono che è libera, che ha il diritto di mostrarsi come vuole. Altri la cancellano. Il wrestling, in tutto questo, la ignora. La WWF, intanto diventata WWE, elimina ogni riferimento a Chyna, che esce dalla narrazione ufficiale della federazione. Nelle interviste, Triple H dice che non può essere inserita nella Hall of Fame perché «i bambini la cercherebbero su Google e troverebbero film porno e non incontri di wrestling». Il paradosso è completo: il sistema che l’ha sessualizzata, ora la espelle per eccesso di sessualizzazione. In tutto ciò nessuno sembra disposto ad aiutarla: nella Hall of fame della WWE sono stati inseriti razzisti conclamati, persone accusate di omicidio, persino pregiudicati di ogni tipo. Ma sono tutti maschi. A una donna, evidentemente, non è concesso sbagliare, sempre che quelli siano errori davvero.

Una seconda esperienza in Giappone, questa volta fuori dal ring, sembra poter regalare a Laurer la serenità persa da tempo. «Insegno inglese aziendale a Tokyo da quattro anni. Faccio yoga. Sono vegana. Il mio stile di vita è tutto per me, oltre a quello che ho realizzato sul ring», dichiara in un'intervista. Quel quadriennio sembra l'unica parentesi di pace autentica di una vita intera. Lontano dai riflettori, l'ex Nona meraviglia sembra aver trovato un equilibrio. Purtroppo dura poco.

LA PAURA DI ESSERE DIMENTICATI
Laurer rientra negli Stati Uniti ed entra in una spirale di abuso di sostanze e ricoveri. Torna con dei video su YouTube, in cui sorride e parla con voce rallentata. Ogni tanto sembra lucida. Altre volte, totalmente persa. Chiede di essere ascoltata come persona, non come personaggio. Ma il pubblico vuole Chyna.

Nel 2011 ci riprova con il wrestling. Firma con la TNA per un match, ma il corpo non è più lo stesso e la mente è ormai da troppo tempo da un'altra parte. Joanie è incastrata in un loop, incapace di proseguire la propria esistenza senza prima essere riabilitata dalla federazione di cui fino a pochi anni prima era una delle stelle più luminose. Prova a contattare la WWE: nessuna risposta. Invia lettere, video, lancia petizioni con il terrore di essere dimenticata. Intanto la dipendenza dalle droghe diventa conclamata, a nulla servono i tentativi della sorella di avviare un percorso di riabilitazione.

Nel 2015 viene contattata da due registi indipendenti. Vogliono raccontare la sua storia in un documentario. Cominciano a seguirla, la filmano mentre legge lettere dei fan, mentre cerca lavoro, mentre si siede su un letto disfatto con la testa tra le mani. Il documentario prende il titolo di Wrestling with Chyna. Doveva essere una redenzione, diventerà un testamento.

Laurer alla fine si arrende. Non cerca più il ring, ora si accontenterebbe della quiete perché i suoi pensieri sono sempre più cupi e invasivi. Tra gli ex colleghi, intanto, cresce il rispetto. Lita dichiara che senza Chyna non avrebbe mai potuto combattere con i maschi; Beth Phoenix racconta di aver iniziato bodybuilding per somigliarle; Mick Foley la chiama «un simbolo infranto che merita un posto nel Pantheon». Anche il pubblico prova a incoraggiare il riconoscimento della figura di Chyna.

La WWE, però, resta zitta e parallelamente lancia la “Women’s Revolution”: Bayley, Sasha Banks, Becky Lynch e Charlotte salgono nel main event. Le donne hanno la stessa dignità degli uomini all'interno degli show. Proprio come 15 anni prima, quando una ragazza arrivata dal nulla aveva imposto di riscrivere le regole e aveva abbattuto la tirannia maschile nel business.

Il 20 aprile 2016, Joanie Laurer viene trovata morta nel suo appartamento di Redondo Beach, in California. È sola. Il corpo è disteso sul letto da almeno un giorno. Poco distanti ci sono una videocamera accesa e molte medicine sparse sul comodino. La notizia esce su TMZ. In pochi minuti rimbalza ovunque. I giornalisti parlano di overdose. La definiscono “ex wrestler”, ma anche “pornostar”.

Solo dopo ventiquattro ore, la WWE pubblica una nota stringata: “Siamo rattristati di apprendere la dipartita di Joanie "Chyna" Laurer. Una pioniera nello sport-intrattenimento e una vera icona".

Tre anni dopo la sua morte, la compagnia, anche su pressione dei fan, decide di reinserirla timidamente nel proprio racconto. Ma non da sola. Nel 2019, infatti, Chyna viene introdotta nella Hall of Fame come membro della D-Generation X, quindi come comprimaria. Come nota a margine in una celebrazione che serve più alla compagnia che alla sua memoria.

Sul palco ci sono Triple H, Shawn Michaels, Billy Gunn, Road Dogg e X-Pac. A parlare è proprio il suo ex. La voce gli trema, gli occhi si abbassano. Dice: «Vorrei che fosse qui, oggi. Ha fatto parte di tutto questo. È stata grande». Applausi. Standing ovation. Il nome Joanie Laurer viene pronunciato una volta sola. Poi torna a essere Chyna. O meglio: un’idea di Chyna. Una versione ripulita e adatta al prime time. La ragazza della DX, la spalla, la donna. Nessuna menzione al titolo intercontinentale e agli incontri contro i wrestler di un sesso diverso dal suo.

«Le telecamere la vedevano come una superdonna, ma dietro le quinte era gentile, con una delicatezza che sorprendeva», dichiarò Mick Foley nel 2022 «Mia moglie le ha detto: "Sei straordinariamente gentile". Lei, quasi incredula, rispose: "Davvero?". Quel contrasto tra forza e vulnerabilità la rendeva speciale».

Il 21 aprile 2025, dopo WrestleMania 41, a Philadelphia, Triple H ha aperto all'introduzione di Chyna nella Hall of Fame: «Non so se accadrà l'anno prossimo, ma succederà di sicuro. Chyna è già nella Hall of Fame con la D-Generation X, ma avrà il suo posto da sola, a tempo debito». Sarà la WWE a decidere, ancora una volta, il momento giusto.

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