L'addio di Roger Federer è arrivato alla fine di una giornata infinita, estenuante, per lui e per noi. Le lacrime erano pronte già da quando ha messo piede in campo accanto a Rafael Nadal per il doppio finale della sua carriera alla Laver Cup, torneo esibizione di sua proprietà in cui si è regalato un addio intenso e cinematografico. Durante la partita le lacrime le ha coperte con un sorriso nervosetto con cui accoglieva i propri colpi sbagliati o con cui chiedeva ai compagni una bottiglia d'acqua ai cambi campo, passando indietro quelle vuote seduto sul divanetto di pelle, nero come il campo su cui hanno giocato. «Posso averne un'altra? Sono troppo stanco per alzarmi di nuovo».
Nadal, prima delle sue altrettanto copiose lacrime, durante la partita ha corso ovunque per difendere e attaccare su quel campo che Federer non voleva più coprire, sul quale anticipi, transizioni e invenzioni non venivano più fuori dal Maestro che abbiamo lodato per anni. Poi i due sono rimasti seduti mano nella mano, mentre inspiegabilmente Ellie Goulding cantava un paio di canzoni per celebrare la fine della serata, della carriera di Federer e di un'epoca, come piace dire a proposito del ritiro di Roger.
Una giornata estenuante appunto, anche se in realtà estenuante è stata tutta la settimana che ha portato al venerdì in cui è cominciata la Laver Cup. Una settimana di interviste, conferenze stampa, video celebrativi con highlights di partite epiche, abbracci e strette di mano in slow motion tra Federer e tutti gli altri grandi della sua generazione, come Nadal, Novak Djokovic e Andy Murray, tutti presenti a salutarlo. Una settimana di frasi su quanto fosse il momento giusto di lasciare, di riflessioni sulle gioie più grandi e sulle più grandi delusioni, dirette Instagram da camere d'albergo, spogliatoi, SUV in viaggio tra la O2 Arena sede del torneo e i campi di allenamento. Come quella che ha fatto Federer in viaggio verso l'ultimo riscaldamento prima dell'ultima partita della sua vita, in cui dice «mi riscaldo solo 15-20 minuti per non rischiare di fare troppo. Qui si ride, ma di un riso nervoso», mentre Nadal saluta col suo solito fare un po' timido e dice che la partita non l'hanno potuta preparare molto.
La Laver Cup, col suo format di sfida a squadre Europa vs Resto del Mondo, è nata nel 2017 e ha sempre suscitato un misto di reazioni tra la sufficienza (è un'esibizione tra tennisti VIP che si danno pacche sulle spalle) e la curiosità (è un all-star game con vera tensione agonistica, in cui puoi vedere grandi rivali che si sostengono e si analizzano il gioco a vicenda). La patina corporate dell'evento (arrivi in jet privato, giocatori che scendono da auto con vetri scuri o che ridacchiano incrociandosi durante gli allenamenti) lasciava un sapore di artefatto, come se fosse qualcosa che somigliasse al wrestling, alla competizione teatralizzata. Eppure sembra esserci stata competizione vera, Federer e Nadal hanno perso pur avendo avuto match point, e pure Team Europe ha èpo perso a conclusione della tre giorni, per la prima volta dalla nascita dell'evento.
Foto di Luke Walker/Getty Images for Laver Cup
Quindi se da una parte si è lavorato per consolidare l'appeal futuro della Laver Cup in vista dell'addio di tutti i Big 3 nei prossimi anni, l'evento clou è stato comunque l'ultimo match di Federer. Che partita vera è difficile dire che sia stata, perché Federer era chiaramente un giocatore menomato, che mai avrebbe potuto provare a giocare in singolare. Servizio e smash a parte, sempre splendidi e efficaci, tutto il resto appariva esitante e contratto, finestra affascinante sulla mente di un atleta che dubita o che sa di non potere, e che quindi neanche prova. Nadal, arruffato e preso da vicende familiari si è sacrificato da fedele amico ma il giorno dopo è tornato in Spagna, ritirandosi dal torneo. Murray, che esprime una forma diversa di declino fisico rispetto a Federer, ha faticato come al solito tra corse, grande determinazione e alcuni errori madornali, perdendo di misura come gli capita spesso. Djokovic ha vinto e perso in modo analogamente lineare nei suoi due incontri di singolare tra sabato e domenica.
Per quanto Djokovic e Nadal siano ancora competitivi, è ovvio che il loro tennis sta per passare alla storia insieme a quello di Federer. Tutti e tre stanno per essere sostituiti da qualcosa che hanno contribuito a creare, gettando le basi per la trasformazione del gioco che vediamo esplodere proprio in tempo reale con l'ascesa di giocatori come Carlos Alcaraz e Jannik Sinner. La difesa e l'attacco così forti ma distinti nel gioco di Federer, e i cui confini appaiono più sovrapposti nel gioco di Nadal e Djokovic, sono diventati un tutto indistinguibile nel tennis di oggi. Frances Tiafoe può sempre perdere facilmente contro Djokovic come ha fatto sabato alla Laver Cup, ma può anche lasciare fermo Nadal con una risposta al servizio che arriva tra i piedi in una frazione di secondo, come nel doppio il giorno prima. E questa potenza, unita all'abilità di movimento richiesta proprio dai Big 3 per anni ai propri avversari, sta diventando la condizione naturale del giocatore contemporaneo.
Tra tutte le parole dette da Federer nel crescendo verso il suo addio, forse alcune delle più interessanti sono state quelle che ha usato per descrivere la nuova generazione di tennisti, Alcaraz e Sinner in testa: "più atletici che mai", ha iniziato, "i migliori giocatori sono quelli che si muovono meglio. È così già da 15-20 anni, e rimarrà così". La sua carriera ha avuto una durata che gli ha permesso di sperimentare un prima e un dopo, un cambiamento drastico di interpretazione del gioco che ha fatto sì che all'inizio della carriera un giocatore come Federer sull'erba andasse a rete sulla prima e sulla seconda di servizio. E proprio del serve and volley Federer parla subito dopo, nella stessa risposta: "Non penso lo vedremo più, perché non credo che questi giocatori siano disposti a mettere a rischio il proprio corpo per sprintare due-tre passi dietro una prima di servizio che finisce fuori e poi tornare indietro alla linea di fondocampo, per niente. È più semplice rimanere dietro quando si serve". È come se Federer, col suo gioco fatto di completezza e enfasi dei gesti, avesse lasciato proprio nel momento in cui il tennis si è contratto per favorire l'ottimizzazione delle risorse, senza sprechi. "Penso che ci sia comunque modo di avere un gioco a tutto campo", continua. "Amo quel modo di giocare, le demi-volée, la transizione in avanti. Ho imparato dalla generazione prima di me, Henman o Sampras, e sapevo che se i miei colpi finivano a metà campo, quella era un'opportunità di attaccare per il mio avversario. Sarebbe venuto avanti. È sempre meglio colpire con più profondità, mandare la palla a un metro dalla linea di fondo, per tenere l'avversario indietro. Su una palla più corta vengono avanti. Oggi non tanto, ma va bene lo stesso".
Foto di Julian Finney/Getty Images for Laver Cup
Oggi non vengono più tanto avanti perché non ne hanno bisogno, perché attaccano rimanendo dietro, e non mandano la palla a un metro dalla linea di fondocampo, ma a dieci centimetri. Oggi i vincenti arrivano da molte più zone del campo e da posizioni molto più arretrate di quando Federer, ma anche Djokovic, Nadal, o Murray, hanno cominciato. Federer lascia uno sport che è molto diverso da quello che ha imparato, un gioco dove chi risponde si mette cinque metri dietro la riga, dove si scivola su tutte le superfici, dove tutti i colpi sono offensivi e dove le variazioni diminuiscono perché non c'è tempo di eseguirle. Alcaraz è il numero uno del mondo anche perché è un atleta freak in grado di proiettarsi da un angolo all'altro del campo e al tempo stesso sa toccare la palla, sa andare in avanti, sa fare tutto. In modo un po' muscolare e arrembante, ma sa (e vuole) fare molto di più dei suoi avversari. È un'eccezione, proprio come Federer, Nadal e Djokovic sono stati eccezioni. La loro durata nel tempo ha costretto il gioco a cambiare, diventando qualcosa di persino diverso da loro, per provare a sconfiggerli.
Come ha detto Federer seduto in conferenza stampa accanto ai suoi tre grandi rivali, è giusto che sia lui il primo ad andarsene, perché è il più anziano dei quattro. Ma anche perché il suo stile di gioco è quello che porta di più i segni di un passato ormai irriconoscibile, che solo lui è riuscito a portare nel presente con il suo talento e la sua intelligenza. Adesso tocca agli altri tre, che hanno spazzato via la tradizione che Federer ancora teneva in vita, e che dovranno lasciare per raggiunti limiti di età alla selezione naturale causata da loro stessi.