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Giuliano Adaglio
Che fine ha fatto Ødegaard?
07 feb 2018
07 feb 2018
Dopo l'acquisto del Real Madrid, il giovane trequartista norvegese è andato a completare il suo percorso di crescita in Eredivisie, dove non tutto però è andato nel verso giusto.
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Giuliano Adaglio
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A Drammen, Norvegia, di solito nascono sciatori, fondisti o pattinatori, tutt'al più qualche giavellottista. Un calciatore come Martin Ødegaard, in grado di saltare gli avversari come birilli e di lanciare i compagni negli spazi con passaggi illuminanti, non si era mai visto. Eppure oggi, dopo il fallimentare passaggio al Real Madrid e l’approdo in Eredivisie, di quell’idea, della narrativa costruita intorno al ragazzo norvegese, non è rimasto molto, come succede spesso quando delle aspettative enormi vengono disattese.

 

Ødegaard resta

, non solo in Europa, ma nel frattempo sono emersi nuovi giovani talenti da dare in pasto al consumismo sfrenato delle aspettative del pubblico e di lui abbiamo, per forza di cose, perso un po' le tracce. Nonostante abbia ancora 19 anni ci sono giocatori già affermati più giovani di lui, come Mbappé o Donnarumma, e in rampa di lancio c’è gente come Foden, Arp e Ferran Torres, tutti nati nel nuovo millennio.

 

C’è ancora spazio per Ødegaard, è ancora in tempo per entrare nell’Olimpo del calcio mondiale?

 



Ødegaard ha da poco compiuto 19 anni, è più giovane di molti giocatori del nostro campionato Primavera, ma ha già alle spalle quattro stagioni da professionista, avendo esordito con la maglia dello Strømsgodset a soli 15 anni. Col senno di poi, il passaggio al Real Madrid nel gennaio 2015 non si è rivelato una scelta felice, a partire dal rapporto tutt’altro che idilliaco con Zinedine Zidane, che all’epoca allenava il Castilla e si trovò quasi costretto a schierarlo, nonostante il rendimento non esaltante. Ma anche per l’altrettanto complesso rapporto con i compagni di squadra, anche perché da contratto si allenava con la prima squadra pur giocando con la seconda. Una volta diventato allenatore della prima squadra, fu lo stesso Zidane a convincere la società a cederlo in prestito.

 

Già nell’estate 2016, dopo essersi visto 

 la presenza di Ødegaard in campo, Zidane gli consigliò di lasciare Madrid: «Ha svolto la preparazione con noi e sono contento di come si sta comportando, ma non so se potremo garantirgli minuti in prima squadra. È molto difficile ritagliarsi uno spazio al Real perché abbiamo molti giocatori. Dovremmo prendere una decisione per il suo bene; nell’ultimo mese di mercato (era agosto,

) possono accadere molte cose». Non se ne fece niente, e Ødegaard si ritrovò nuovamente relegato al Castilla fino al nuovo anno in cui riuscì a racimolare solo una manciata di presenze in Segunda B (3 gol) e una comparsata nel 6-1 alla Cultural Leonesa, in Copa del Rey con la prima squadra. Veramente troppo poco per convincere Zizou a tornare sui suoi passi e aggregarlo alla prima squadra.

 


Il debutto di Ødegaard con il Castilla.


 

Ad aumentare la pressione sul ragazzo ci pensarono anche le dichiarazioni al vetriolo di Ancelotti che nel suo libro

definì l’acquisto di Ødegaard «un’operazione di marketing»: «Quando Florentino Pérez compra un norvegese, devi accettarlo. Aveva deciso che avrebbe giocato con la prima squadra per una questione di pubbliche relazioni. In futuro potrà diventare il migliore di tutti ma non mi interessa. È stato acquistato solo per far colpo sui media».

 

Il 9 gennaio 2016 Ødegaard fu ceduto all’Heerenveen, club olandese da sempre molto attento al mercato scandinavo. In Frisia sono passati giocatori come Tomasson, Schöne e Finnbogason, oltre essere sbocciati grandi attaccanti olandesi, come Van Nistelrooy e Huntelaar. Un club senza troppe pressioni con una tradizione di gioco offensivo e un ambiente socio-culturale più simile alla Norvegia: l’humus perfetto per il rilancio.

 

In realtà, i primi mesi di Ødegaard con l'inconfondibile maglia biancoblù decorata con dei petali di ninfea rossi (che possono sembrare cuori a un primo sguardo), non sono stati esaltanti. Chiuso sulle fasce dagli intoccabili Larsson e Zeneli, è stato impiegato per lo più come trequartista o mezzala, un ruolo dove i suoi limiti nel ricevere il pallone spalle alla porta risultano più evidenti. Ødegaard preferisce ricevere venendo dentro il campo, con il corpo rivolto verso la porta, e preferisce lanciare i compagni nello spazio che sui piedi, e ha bisogno quindi di una squadra dinamica e verticale per esprimersi al meglio.

 



Quest’anno le cose sono andate decisamente meglio: con la cessione di Larsson al Feyenoord, il tecnico Streppel ha spostato Zeneli a sinistra liberando di fatto la casella di destra per Ødegaard. In quella posizione si è trovato più a suo agio anche se dopo pochi mesi si è dovuto fermare per un infortunio alla caviglia.

 

A novembre, nel 4-0 sul campo del Twente, ha trovato la prima rete stagionale in Eredivisie, la seconda in assoluto dopo quella segnata all’Utrecht nei playoff di qualificazione all’Europa League nel maggio scorso. Il gol, seppure favorito da un errore evidente del portiere avversario Brondeel, ha impreziosito una prestazione nella quale Ødegaard ha mostrato il meglio del suo repertorio: grande conduzione della palla col sinistro, rapidità nello stretto e una capacità quasi unica per quest’età nel lanciare i compagni nello spazio.

 



Un esempio.


 

Qualche giorno dopo, 

 l’ha nominato “giocatore della settimana” davanti ai fenomeni dell’Ajax van de Beek e de Ligt, per la gioia del suo allenatore: «Godiamocelo finché è qui. Quando vuole, sa giocare a livelli celestiali: contro il Twente ha servito almeno cinque palle gol pulite ai compagni».

 

Tuttavia, di tanto in tanto dà la sensazione di essere svogliato, galleggiando pigramente tra le linee avversarie, anche se poi gli basta un attimo per accendere la sua grande sensibilità tecnica. Le statistiche certificano la sua crescita: rispetto all’anno scorso Ødegaard cerca più la porta (2,2 tiri a partita contro 1,1), dribbla di più (2,8 contro 0,9) e trova con maggior frequenza i compagni smarcati (1,8 passaggi chiave a partita, contro gli 1,6 della scorsa primavera). Anche da un punto di vista difensivo l’apporto di Ødegaard alla causa è cresciuto: in media su 90 minuti quest’anno realizza quasi un intercetto a partita (contro gli 0,52 del 2016/17) e vince più  duelli (il 63%, rispetto al 50%).

 


Gli highlights di una delle prestazioni più convincenti di quest'anno, contro il Twente, in cui ha segnato anche il suo primo e unico gol stagionale.


 

Ma Ødegaard sembra più a suo agio anche fuori dal campo. Adesso vive da solo, ha preso la patente e segue lezioni online per conseguire il diploma. Ad aiutarlo nell’ambientamento ci ha pensato il connazionale Morten Thorsby, che nonostante abbia solo 21 anni è già un veterano dell’Heerenveen, essendo titolare da ormai tre stagioni. Recentemente, i due

a vedere una partita dello scacchista Magnus Carlsen –

 – impegnato a Groningen in un torneo. Da quest’estate, poi, a loro si è aggiunto il difensore centrale Nicolai Naess, proveniente dai Columbus Crew, rendendo la colonia norvegese in Frisia ancora più numerosa.

 



La maturazione di Ødegaard è stata senz'altro favorita dal distacco dal padre-padrone Hans Erik, una figura che da fuori sembrava molto ingombrante: ex giocatore di discreto successo (con le maglie di Strømsgodset e Sandefjord) che una volta smesso di giocare  ha provato a riciclarsi come allenatore, affiancando l’ex compagno Vegard Hansen alla guida del Mjøndalen in seconda divisione. Tutto questo senza mai trascurare la crescita del figlio, del quale ha seguito passo passo la carriera fin dagli esordi. «Sono cresciuto sul campo di calcio, non c’è stato giorno che ricordi di aver passato senza allenarmi». L’intensità dell’allenamento è uno dei punti cardine della filosofia educativa di Ødegaard padre: interrogato su quale fosse il segreto del figlio e quale fosse la metodologia corretta per raggiungere il suo livello, Hans Erik ha snocciolato tre massime: «Allenarsi sempre con la palla; allenarsi molto; divertirsi».

 

Niente di particolarmente originale, ma in Norvegia – dove per anni l’allenamento fisico ha prevalso su quello tecnico – le sue dichiarazioni sono apparse piuttosto innovative. Gestito sapientemente l’

che circondava il figlio in seguito alle prime apparizioni con lo Strømsgodset, Hans Erik ne ha orchestrato il passaggio al Real Madrid, accompagnando il figlio in un tour promozionale fatto di provini, dichiarazioni ad effetto («La squadra preferita di Martin è il Liverpool, ma non sono sicuro che sia la squadra migliore per lui») e proclami più o meno disattesi. L’ex centravanti Jan-Åge Fjørtoft ha recentemente raccontato che nel 2014, mentre si trovava in Qatar a seguire gli allenamenti del Bayern per conto della federazione norvegese, Guardiola gli confidò la sua ammirazione per il giovane Ødegaard: «Se avrò l’occasione di allenarlo, lo farò diventare il miglior giocatore del mondo». Un matrimonio che non si consumò mai: il Bayern, dopo aver visionato a lungo il ragazzo, consigliò al padre di far completare al figlio il processo di crescita in patria.

 

Gli Ødegaard, a quel punto, scelsero l’offerta del Madrid, più rischiosa ma ovviamente più conveniente dal punto di vista economico. Come accennato, nel contratto era previsto che Martin giocasse inizialmente con il Castilla ma che potesse allenarsi con la prima squadra, mentre ad Hans Erik fu assegnato un posto come tecnico delle giovanili. Una volta concretizzatosi il passaggio di Martin all’Heerenveen, Ødegaard decise di seguire il figlio in Olanda, abbandonando temporaneamente la carriera da allenatore. Lo scorso dicembre, però, Hans Erik è tornato sui suoi passi, tornando in Norvegia, al Mjøndalen, questa volta in qualità di responsabile della squadra Under 17.

 


Alcune delle migliori giocate di Ødegaard in Norvegia.


 

«Martin è indipendente ormai e credo sia anche stufo che io mi intrometta nella sua vita sportiva e personale», ha detto il padre. Anche Ødegaard sembra più tranquillo, almeno a parole: «Sono contento del ruolo che l’allenatore ha ritagliato per me quest’anno, ho più spazio e libertà di movimento. Anche fisicamente mi sento meglio: ho lavorato tanto sulla forza di base e sull’equilibrio».

 

Le sue ultime uscite, con Vitesse (1-1) e Sparta Rotterdam (2-1), sembrano confermare il trend positivo, anche se a volte Ødegaard sembra predicare nel deserto di una squadra troppo vulnerabile dal punto di vista difensivo e troppo caotica in avanti.

 


Ødegaard, nonostante i piccoli passi in avanti, sembra ancora stretto tra l’estrema severità con cui lo giudica la stampa internazionale (a quella spagnola adesso si è aggiunta quella olandese) e le aspettative altissime che ripongono in lui in Norvegia. «Finora –

– è stato tutto o bianco, o nero, senza sfumature: all’inizio ero un fenomeno, poi, tutt’a un tratto, un brocco. Ma la stampa è così, devi saperci convivere, anche se hai solo 19 anni».

 

In Norvegia, che non vede un giocatore di questo tipo da decenni, non hanno mai smesso di credere nella sua esplosione, alimentando il mito del 

. Ødegaard però non ha ancora lasciato il segno in nazionale, e d’altra parte sarebbe strano il contrario per un ragazzo di 19 anni: 10 presenze complessive, di cui 7 dal primo minuto, zero gol e l’impressione di non essere mai stato al centro del progetto, né con l’ex Høgmo, né con il nuovo c.t. Lagerbäck.

 

Le prospettive di crescita in un contesto tecnicamente difficile come quello della Norvegia sono ovviamente limitate: la nazionale dei fiordi non raggiunge la fase di finale di una grande manifestazione (Europei o Mondiali) dal 2000 e l’ultimo girone di qualificazione – non impossibile sulla carta – l’ha chiuso al quarto posto, con solo tre punti in più dell’Azerbaigian. Qualche elemento che faccia ben sperare c’è, come il mediano Sander Berge, coetaneo di Ødegaard e titolare nelle ultime gare del 2017, ma il livello tecnico complessivo è modesto. Anche le idee di Lagerbäck non sembrano sposarsi con le caratteristiche di Ødegaard, che nel rigido 4-4-2 del tecnico svedese dovrebbe adattarsi a fare l’esterno di centrocampo o riciclarsi come seconda punta senza averne le caratteristiche.

 

Sembra strano parlare così di un ragazzo di 19 anni, ma per Ødegaard le prossime scelte di carriera potrebbero essere già decisiva. L’Eredivisie sembra la dimensione giusta per lui, al momento, ma è tutt’altro che scontato che il Real opti per un prolungamento del prestito in Olanda. Esclusa anche la possibilità che torni alla casa base, l’opzione più realistica sembra quella di un ulteriore prestito in una squadra di fascia media della Liga per completare il suo processo di maturazione e ambientamento al calcio spagnolo.

 

O, magari, il Madrid opterà per una cessione definitiva, sacrificandolo sull’altare di qualche altro affare di mercato: sarebbe un peccato, per certi versi, ma potrebbe anche essere la sua salvezza.

 

 

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