La Formula 1, agli albori, si correva sulle strade della viabilità ordinaria. Poi lo sport, che era un affare per soli ricchi signori annoiati, è diventato popolare, e si sono costruiti i circuiti, per creare condizioni di sicurezza per i piloti, certo, ma anche per piazzarci intorno delle tribune e vendere dei biglietti. Da lì in avanti, il Gran Premio di Monaco è diventato una sorta di gemma preziosa, incastonata nel bel mezzo del calendario, unico percorso cittadino tra i circuiti permanenti.
Per questo i tifosi hanno per Monte Carlo un'affezione particolare. E poi c’è anche quell’altra cosa, che c’entra poco con le corse, ma che nessun appassionato può negare di subire: è il fascino mondano del Principato, ovvero la celebrazione, una volta l’anno, della nobiltà (ormai più del denaro che del rango). I vecchi ricchi arrivavano a Monaco, in occasione del Gran Premio, per rinverdire i fasti della propria popolarità; i nuovi ricchi cercavano un palcoscenico per legittimarsi. Alla Formula 1 poi piaceva vendersi come un prodotto esclusivo: le monoposto, costosissime, erano la punta di diamante del progresso tecnologico; i piloti, messi alla prova per il loro coraggio, ammirati come superuomini, contesi dagli sponsor e, talvolta, anche dalle ereditiere. Nel 1989, l’azienda giapponese dei videogiochi Sega, non contenta del successo di Out Run – in cui una Ferrari Testarossa sfrecciava tra le strade di Miami – portò in sala giochi una sua versione pompata: Super Monaco GP.
Così era una volta. Oggi molte cose sono cambiate: nel calendario mondiale ora abbondano i circuiti cittadini nelle località più esclusive del mondo e la celebrazione di tutto ciò che c’è intorno a un Gran Premio è pressoché costante. Persino la rappresentazione che Monaco fa di sé stessa è cambiata. Una volta le telecamere indugiavano sui ponti degli yacht alla fonda nella zona delle Piscine, o tra i tavolini dei dehors improvvisati su balconi e terrazze. Ora le inquadrature sono più sfuggenti, affidate ai droni che da altezze impossibili restituiscono il colpo d’occhio, ma negano il particolare. Ormai ci sono più star di Hollywood a Miami o Abu Dhabi, che nel paddock di Monte Carlo.
Almeno le corse in Riviera sono ancora qualcosa di diverso, ci si dice. Monaco spariglia le carte in tavola, come pochi Gran Premi fanno durante l’anno. Tutti qui hanno avuto una chance di vittoria in passato, grandi e celebrati campioni o buoni comprimari che fossero. Le caratteristiche del tracciato livellano le prestazioni delle auto, restituisce qualcosa al manico. Se ci si mette anche la pioggia poi, il divertimento è garantito. È ormai celeberrima, sotto un acquazzone estivo, la rimonta mancata di Ayrton Senna su Toleman ai danni di Alain Prost su McLaren, nel 1984. Toleman e McLaren allora, è come dire Williams e Red Bull oggi. Qualche anno più tardi, Olivier Panis, uno dei talenti meno compresi degli ultimi anni, andò a prendersi la coppa del pazzo Gran Premio di Monaco del 1996. Appena un anno fa, c’è stato un momento, brevissimo e limpido, in cui la vittoria stava per arrivare nelle mani guantate di Fernando Alonso, che a Monaco vinse nel 2006, la stagione del suo secondo titolo mondiale, e nel 2007. C’era tanta acqua in pista, che le prestazioni sottotono che la sua Aston Martin avrebbe avuto per il resto dell’anno non contavano più, contavano solo il manico e il timing. Quest’ultimo è mancato, in un momento quintessenziale della corsa, come quello di richiamare l’auto ai box e mettere su la gomma da bagnato.
A Monaco la qualifica conta più della gara. Al pilota che parte dalla pole position sono assegnate il 70% di probabilità di vittoria. I piloti in qualifica sono davvero disposti a tutto. Nel 2006 Michael Schumacher rischiò il linciaggio, dopo aver parcheggiato la sua Ferrari di traverso alla Rascasse, nel tentativo disperato di interrompere il giro buono degli avversari. Ci furono scene da Far West, con i giornalisti che tiravano manate contro la porta del motorhome in cui si era rifugiato il pilota tedesco, e con il resto dei piloti che firmavano petizioni per sbatterlo fuori dalla Formula 1. Anche Charles Leclerc, nel 2021, mise a muro la sua Ferrari nella zona delle Piscine, cercando di migliorare il tempo della pole position che in quel momento già deteneva. Fu la manovra che gli costò il Gran Premio, un danno al semiasse e alla scatola del cambio gli impedì di prendere parte alla corsa. Sembrava una corsa maledetta per il campione di casa, che a Monaco prima di ieri non era mai riuscito a salire sul podio.
Leclerc è riuscito a non vedere la bandiera a scacchi a Monaco persino nella gara storica, disputata sulla 312 B3 di Niki Lauda.
Quest’anno gli appassionati hanno dovuto barattare una gara avvincente con una bella storia. Quella di Charles Leclerc, nato e cresciuto nel principato di Monaco, e trasformato in un pilota dal padre Hervé, a sua volta un pilota professionista in Formula 3. Hervé Leclerc è morto nel 2017, poco prima della vittoria del figlio al Gran Premio di Baku in Formula 2, e ieri Charles ha voluto ricordarlo, con gli occhi lucidi. «Alla fine ho pensato più a mio papà che a guidare, ha fatto di tutto affinché io fossi qui, era il nostro sogno che io corressi qui e vincere», ha detto subito dopo la gara.
Il weekend di Leclerc è stato perfetto. Non una sbavatura alla guida, davanti a tutti in tre sessioni di prove su quattro, in testa al Gran Premio fin dal primo giro. Veloce e concentrato, ancora prima dell’ultimo giro buono nel Q3 del sabato, Leclerc chiedeva agli ingegneri una regolazione di assetto differente nell’incidenza dell’ala anteriore. La Ferrari non era la macchina più veloce in pista, ma è quella che ha trovato il miglior compromesso. A un anteriore non precisissimo rispondeva un asse posteriore stabile e reattivo. La McLaren era forse una monoposto migliore, ma la pole position non è arrivata, nonostante Oscar Piastri - in pista con lo stesso materiale aggiornato del compagno di squadra - abbia tentato di cavare il sangue dalle rape. L’urto con Carlos Sainz dopo la prima partenza aveva provocato un danno al fondo e una conseguente inefficienza aerodinamica, ma l'australiano è riuscito a rimanere incollato agli scarichi di Leclerc per tutta la gara.
La Red Bull invece ha messo in difficoltà i propri piloti. Spesso il team austriaco al venerdì sembra più indietro degli altri, ma con il lavoro in pista sugli assetti riesce a recuperare terreno. A Monaco non è successo, le caratteristiche del circuito – curve lente e cordoli alti come marciapiedi – erano indigeste per la monoposto blu. Verstappen ha ammesso che era costretto a girare intorno alle curve, ad allungare le traiettorie e perdere tempo, per evitare di saltare sui cordoli e scomporre l’auto eccessivamente. Ci saranno piste su cui la Red Bull potrà rifarsi: dopo il GP del Canada, il filotto di gare europee in Spagna, Austria e Gran Bretagna, sono favorevoli alla scuderia austriaca.
«Sfido chiunque nel paddock a fare di meglio con questa macchina».
La reazione rabbiosa di Verstappen, ai microfoni di Sky Sport Italia, quando ha affermato che nessuno, a bordo della sua Red Bull, avrebbe potuto fare di meglio del sesto posto da lui ottenuto in qualifica, è stata eccessiva. Forse ha pensato che la domanda di Mara Sangiorgio fosse una provocazione, forse era davvero infastidito dall’errore di guida fatto alla Santa Devota, che lo ha costretto ad abortire l’ultimo tentativo per la pole. Max non è nuovo a questo tipo di intemperanze verbali, per la verità meno frequenti rispetto al passato. C'è da dire poi che non ha tutti i torti, se si pensa anche alla prestazione di Sergio Perez, fuori dal Q3 a Imola e soltanto sedicesimo in qualifica a Monaco.
Perez aveva poche chance di recuperare posizioni alla domenica. Della gara non ha visto che poche centinaia di metri, quando è stato speronato da Kevin Magnussen sulla salita che porta al Casinò. Magnussen si è infilato tra il muro e la macchina di Perez, credendo di vedere uno spazio – o almeno così ha dichiarato lui stesso ai microfoni delle tv. La carambola, rovinosa e spettacolare, ha messo fuori gara, oltre ai due contendenti, anche l’incolpevole Nico Hulkenberg. Dall’altra parte della pista, prima dell’inevitabile bandiera rossa – c’erano tre rottami d’auto da recuperare, un guard-rail da riparare e pezzi ovunque da raccogliere – Esteban Ocon saliva con la sua monoposto su quella del compagno di squadra Pierre Gasly.
Non è la prima volta che Magnussen e Ocon sono causa di problemi in pista, il francese dell’Alpine sembra avere una vera ossessione verso i compagni di scuderia. In una Formula 1 super rigida in termini di regolamenti e sicurezza, come è questa da quando a gestirla ci sono gli americani di Liberty Media, certi comportamenti non possono essere permessi. Se Alonso è stato punito per una manovra difensiva legale su George Russell in Australia; se Carlos Sainz è stato rispedito indietro per un sorpasso neanche così aggressivo su Oscar Piastri a Miami, allora Magnussen e Ocon vanno fermati almeno per un GP.
Il disastro al via tra le due Haas e la Red Bull ha costretto il direttore di corsa a indire una nuova procedura di partenza. Ai box i quattro piloti di testa – a bordo delle due Ferrari e delle due McLaren – hanno potuto cambiare le coperture, passando dagli pneumatici a mescola media a quelli duri. A quel punto la gara dei primi è diventata una tappa per passisti veloci: in gruppo, compatti e guardinghi, fino a scaternarsi nel finale lanciato in vista del traguardo. È stato Lewis Hamilton a svelare il bluff dei quattro davanti, quando ha guadagnato spazio sufficiente da Yuki Tsunoda – a proposito: il giapponese, ancora a punti, sta meritando una monoposto migliore – per effettuare il cambio gomme e cercare il giro veloce. Hamilton ha iniziato a martellare passaggi uno dopo l’altro sull’1:14, il ritmo dei piloti davanti era di quattro secondi più elevato. Per il gioco delle strategie, con la Ferrari che non voleva tirare il gruppo per non concedere una finestra per il pit stop alla McLaren, la corsa si è trasformata in un lento trenino – insopportabile, a meno che non si fosse tifosi della Rossa – che si è sgranato solo nel finale, quando gli ingegneri hanno autorizzato i piloti a dare tutto quel che avevano.
Leclerc dunque si prende la prima vittoria a Monaco, bagnata dalle lacrime del principe Alberto e benedetta dall’abbraccio della principessa Charlene. Charles aveva fallito diverse chance sul circuito di casa dal 2019 e ieri ha sfatato diversi record negativi. Non aveva conquistato una singola vittoria dopo le ultime dodici pole position. È il primo monegasco sul gradino più alto del podio a Monaco da quando è stato istituito il Mondiale di Formula 1. La Ferrari non vinceva a Monte Carlo da sei edizioni del Gran Premio, l’ultima era stata per mano di Sebastian Vettel nel 2017. Soprattutto, un pilota Ferrari non vinceva a Monaco dopo aver fatto la pole position al sabato da quarantacinque anni. La stagione era quella del 1979, il pilota a bordo della Rossa, davanti a tutti sulle strade del Principato, era il sudafricano Jody Scheckter. Qualcuno ricorda com’è poi finito quel Mondiale? Lascio a voi il controllo, che io alla scaramanzia tengo ancora troppo.