Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Guida alla Champions League 2019/20
17 set 2019
17 set 2019
15 domande e 15 risposte per arrivare preparati alla competizione europea più importante.
Dark mode
(ON)

1. Dopo la finale tra Tottenham e Liverpool dello scorso anno, pensate che il calcio inglese sia diventato il più competitivo a livello europeo?

Fabio Barcellona

Quattro finaliste su quattro nella scorsa edizione della Coppe europee lasciano pochi dubbi sul ritrovato predominio del calcio inglese in Europa dopo anni di appannamento.

Oltre ai migliori giocatori, la Premier League ha progressivamente cominciato a importare anche i migliori allenatori che, al di là dei risultati ottenuti con le singole squadre, hanno gettato semi fertili per un radicale cambiamento della mentalità e della filosofia alla base del calcio inglese. Senza andare troppo lontano, basta guardare l'influsso del calcio di Guardiola e Pochettino nella costruzione del gioco della Nazionale maggiore inglese o i tanti successi delle nazionali giovanili figli di programmi di formazione radicalmente diversi dal passato.

Oggi il Liverpool sembra essere la favorita della Champions League. La squadra di Klopp è giunta a un livello di consapevolezza e prestazioni inavvicinabile persino dagli altri top club d'Europa. Difesa solidissima, pressing perfettamente organizzato, attacco incontenibile per velocità e tecnica, Klopp pare avere trovato la sintesi perfetta tra il suo calcio iperdinamico e gli accorgimenti necessari a sfruttare al meglio i giocatori a disposizione. La possibilità di modulare altezza ed intensità del pressing per gestire al meglio gli spazi in cui contrattaccare, la perfetta intesa tra le visioni e la tecnica di Firmino e le corse di Mané e Salah, il dominio fisico e mentale di Van Dijk in difesa rappresentano il compendio perfetto del percorso tattico dell'allenatore tedesco.

Dietro al Liverpool, come la passata edizione insegna, le altre squadre di Premier League sono pronte a giocarsela con chiunque. Desta particolare curiosità il Chelsea di Frankie Lampard che, sebbene con una rosa qualitativamente inferiore a quella di tanti club sia di Premier che del resto d'Europa, sta mostrando un calcio particolarmente brillante e interessante. Ha perso solo ai rigori la Supercoppa Europea contro il Liverpool e, a proposito di giovani calciatori inglesi, sta mettendo in vetrina Tammy Abraham - capocannoniere di Premier League con 7 gol il sole 4 partite da titolare - e Mason Mount, trequartista di raro talento e intelligenza calcistica.

Dario Saltari

A livello atletico e tecnico, credo che ormai non ci siano dubbi sul fatto che la Premier League sia il campionato più competitivo d’Europa - rimane da vedere quanto questa superiorità si convertirà in risultati stabili in Champions League. Come sappiamo, la principale coppa europea ha delle regole proprie, molto diverse da quelle che regolano i campionati nazionali, dettate in primo luogo dagli scontri della fase a eliminazione diretta e dalla regola dei gol in trasferta: è una competizione instabile, in cui le sorprese sono frequenti e dove il gap tecnico viene spesso livellato dalla capacità di saper giocare con i momenti della partita.

Tra le squadre inglesi, l’unica a possedere questa qualità mi sembra il Liverpool, che comunque rimane una squadra esplosiva e instabile, capace di fare e disfare una qualificazione nell’arco di un tempo - non ci dimentichiamo, in questo senso, che l’accesso alla finale della scorsa stagione è arrivata a seguito di una delle più grandi rimonte della storia del calcio. In definitiva, è sempre pericoloso prendere i risultati in Champions League come metro della competitività di un campionato: anche il Tottenham, alla fine, è arrivato in finale dopo una grande rimonta, seppure con un’altra squadra inglese. Per giudicare la competitività del calcio inglese, facciamoci bastare l’equilibrio della Premier League, dove anche il Manchester City può perdere con il Norwich.

Emanuele Atturo

La rivoluzione profonda del calcio inglese ha portato ai grandi risultati della Champions dello scorso anno: non c’è niente di casuale, bisogna guardare con obiettività i frutti di quel lavoro. Ricordiamoci che il calcio inglese, oltre al Liverpool - che è per certi versi una buona sintesi tra la tradizione inglese e alcuni concetti contemporanei - ha espresso in questi anni la migliore squadra in Europa quando si tratta di attaccare, ovvero il Manchester City.

Ma fa bene Dario a ricordare la stranezza della Champions League, che sembra fatta apposta per rigettare tutti i paradigmi assoluti. L’anno scorso di questi tempi continuavamo a dire che in Europa vincevano le squadre capaci di dominare il campo con la tecnica, dopo il grande exploit del Real Madrid di questi anni. Non è detto che non vedremo di nuovo il movimento spagnolo mostrare il miglior modo per attraversare i movimenti e le casualità della Champions. Come ha ricordato Dario, il non memorabile Barcellona dello scorso anno aveva praticamente eliminato il Liverpool di Klopp; senza dimenticare la grande lezione dell’Ajax, che ha dimostrato come un calcio basato sulle connessioni tecniche fra i giocatori sia efficace anche contro squadre più esperte e quotate. Anche quest’anno, insomma, meglio non fare troppe previsioni.


2. Barcellona e Real Madrid hanno speso molto nel mercato, sono tornate tra le favorite?

Daniele V. Morrone

Nonostante i nomi della rosa, il Real Madrid di Zidane si trova in un momento molto delicato e difficilmente può essere considerata tra le prime favorite. Nonostante le spese estive, con l’arrivo copertina di Eden Hazard più i tanti acquisti interessanti (Eder Militao, Ferland Mendy e Luka Jovic), le prime partite ci hanno raccontato di un Zidane rimasto aggrappato all’immenso talento di Benzema, che praticamente da solo si sta occupando della cucitura del gioco offensivo e dei gol.

Per il resto il Real Madrid II di Zidane è in evoluzione continua, alternando moduli un po’ per trovare la formula magica e un po’ per necessità, visti i continui infortuni (tra gli altri di Asensio, Modric, Isco e Marcelo). Inoltre i nuovi arrivati non hanno ancora spostato niente e chi era stato apertamente ostracizzato, come James e Bale, è stato ritirato dentro di nuovo. Va detto che il girone è ovviamente alla portata visto che il solo PSG ha un talento paragonabile, con Galatasaray e Brugge che partono molto indietro. Dagli ottavi in poi però potrebbe contare tantissimo il sorteggio. In una situazione del genere è possibile immaginare che il percorso in Champions League non sia una priorità in questa stagione, dove tornare a vincere la Liga invece può servire a Zidane per riprendere il controllo di un ambiente instabile, che non riesce a capire il proprio futuro dopo lo storico triennio di vittorie proprio in Champions League.

Discorso diverso per il Barcellona che deve essere invece considerato tra le favorite dopo il mercato estivo che ha portato due giocatori di livello come Griezmann e de Jong, che hanno già dimostrato di saper fare la differenza in Champions League, andando ad alzare il livello di talento dell’11 titolare di una squadra che comunque è arrivata in semifinale la scorsa stagione.

Il girone è difficile il giusto da non permettere al Barcellona cali di concentrazione e l'inserimento dei nuovi sembra andare veloce. Come detto da Messi ad inizio stagione il problema del Barcellona in questi anni è stato l’assenza di gol in trasferta, cosa che ai gironi non ha pesato, ma che negli scontri diretti è sempre stato fatale, viste le ultime eliminazioni arrivate per differenza reti contro Roma e Liverpool. Non sappiamo se Valverde, al terzo tentativo, riuscirà a fare qualcosa per cambiare questa tendenza, ma è una sicurezza nei gironi.

Certo la difesa rimane un grande punto interrogativo per sistema e per uomini, visto che Jordi Alba ormai è un’ala a tutti gli effetti e senza palla è sempre attaccabile, Semedo ha mostrato evidenti limiti di letture e Umtiti, che non si è più ripreso dal Mondiale giocato con il ginocchio infortunato, è stato scavalcato nelle gerarchie dalla sua teorica riserva Lenglet, un avvicendamento che al girone può non pesare, ma che dai quarti in poi si è dimostrato problematico per il grado di responsabilità che grava sull’ormai trentaduenne Gerard Piqué.


3. Quante chances date alla Juventus?

Dario Pergolizzi

La Juventus ha intrapreso un progetto di gioco ambizioso, che sul lungo periodo potrebbe portare un netto miglioramento sulla continuità di prestazione all'interno della singola partita e nel torneo in generale. Tuttavia, come dimostrato dalle recenti difficoltà contro la Fiorentina, il modello sarriano è ancora in fase di sviluppo, sebbene le sue nuove richieste sui principi di gioco siano già evidenti.

Negli ultimi anni, raramente i bianconeri sono riusciti a guadagnare la qualificazione agli ottavi da primi in classifica senza soffrire fino all'ultima giornata. La sensazione è che, sia per la nuova filosofia che per qualche assenza forzata (almeno nelle prime partite), neanche questo potrebbe essere l'anno giusto per vedere la Juventus dominare il girone sotto il profilo del gioco e dei risultati, nonostante i giustificatissimi favori del pronostico. Come al solito, il momento della verità sull'identità e la potenzialità della squadra arriverà dagli ottavi in avanti, ma fino ad allora Sarri dovrà essere abile a continuare il proprio percorso didattico (senza contraddirsi, fondamentale per mantenere la fiducia del gruppo) mettendo comunque al sicuro la qualificazione al più presto.

Marco D’Ottavi

A me sembra che questa necessità di essere competitivi in Champions League abbia prosciugato parecchie delle energie mentali nelle scorse stagioni, quando era il momento di fare quel salto di qualità che ti avrebbe permesso di essere davvero la miglior squadra d’Europa.

L’arrivo di Sarri in qualche modo potrebbe cambiare le prospettive interne alla squadra, liberandola da un po’ di pressione. È vero che è stato fatto l’ennesimo mercato importante, però ci sono nuove idee da assimilare, nuovi giocatori da integrare. Io non credo che quest’anno la Juventus possa essere considerata una favorita, non più di altre squadre di seconda fascia. Questo mi sembra che alla fine sia un problema principalmente per Cristiano Ronaldo, come giocatore singolo e come investimento, e per alcuni dei senatori che ogni anno che passa sono più vicini a smettere senza quel trofeo.

Tuttavia i cambiamenti nel calcio possono riservare sorprese e scommettere contro Sarri è un azzardo.


4. L’Inter ha un girone complicato con Barcellona, Borussia e Slavia Praga: quali sono i rapporti di forza interni?

Francesco Lisanti

Inizierò con un pensiero semplice e ottimista, e quindi molto poco interista. L’anno scorso l’Inter è andata a cinque minuti dal passare un girone più difficile di questo. Ha raccolto un solo punto nelle ultime partite quando ne sarebbero bastati due. È uscita per il criterio delle reti in trasferta negli scontri diretti. Questo gruppo di giocatori è colmo di rimpianti ma ha le qualità per misurarsi con un girone di questo tipo, e a queste sembra aver aggiunto una maggiore organizzazione tattica e una ritrovata unità di intenti. Posto che il Barcellona ha una qualità media di un altro livello, così come lo Slavia Praga ma per motivi opposti, è difficile stabilire chi parta un passo avanti nella rincorsa agli ottavi di finale.

23 ottobre e 5 novembre sono le date da segnare sul calendario, perché è nel doppio scontro diretto che dovrebbe decidersi il girone. Il Borussia ha più esperienza in campo europeo e ha diversi giocatori eccezionali ma è una squadra più fragile dell’Inter di Conte. Allo stesso tempo, l’Inter non riuscirà mai a essere altrettanto spettacolare, a completare così tanti dribbling, a produrre così tanti tiri. Passerà il turno la squadra che riuscirà a imporre sull’altra il proprio contesto di gioco ideale: Conte proverà a rallentare i ritmi di gioco, a congelare il possesso, attirando la pressione avversaria per eluderla; Favre invece ad accelerare i ritmi, dilatando le distanze nella difesa dell’Inter con il palleggio. Nelle prime giornate di campionato l’Inter ha conquistato tre vittorie poco brillanti ma estremamente solide, ed è la notizia migliore che potesse arrivare in questo momento della stagione, perché è esattamente quello che servirà contro il Borussia.

Fabio Barcellona

L'Inter è partita bene in campionato: 4-0 al Lecce, successo esterno a Cagliari e vittoria a San Siro per 1-0 nel match di sabato scorso contro l'Udinese. Il calendario ha permesso ad Antonio Conte un inizio relativamente morbido e i nerazzurri sono stati abili ad approfittarne issandosi in testa alla classifica di serie A. Tuttavia, al di là dei risultati, le tre uscite ufficiali dell'Inter di Conte non sono sembrate esenti da difetti, del resto ampiamente prevedibili nel processo di costruzione della squadra.

Il Lecce, venuto a Milano a giocare senza troppe precauzioni difensive la partita, è stato troppe volte pericoloso senza trovare troppe resistenza nella fase difensiva nerazzurro. Il Cagliari è riuscito a mettere in difficoltà l'Inter alzando l'intensità del proprio gioco, mentre l'Udinese stava giocando alla pari con la squadra di Conte fino all'ingenua espulsione di De Paul. Più in generale l'Inter appare ancora troppo meccanica in fase di possesso palla e parecchio legata alla rifinitura dall'esterno dei quinti di centrocampo. In fase difensiva il pressing feroce visto in precampionato ha lasciato spazio a un atteggiamento maggiormente reattivo. Nulla di troppo preoccupante e il rendimento più elevato del previsto di Stefano Sensi sta per adesso regalando la necessaria freschezza e imprevedibilità alla manovra d'attacco.

Il vero problema per l'Inter è che, oltre al Barcellona, che complessivamente posizioniamo un gradino sopra le altre e che immaginiamo già agli ottavi di finale, si troverà di fronte il Borussia Dortmund. Il gialloneri sono al secondo anno della gestione dell'ottimo Lucien Favre e il progetto tattico dell'allenatore svizzero è quindi già ben consolidato. In estate il Borussia ha migliorato il reparto che necessitava di maggiori rinforzi acquistando in difesa Mats Hummels e dall'Hoffenheim il terzino sinistro della nazionale Nico Schulz. Ha inoltre aumentato ulteriormente il tasso di tecnica sulla trequarti campo acquisendo Julian Brandt e Thorgan Hazard. Il talento offensivo, con Jadon Sancho, Marco Reus e Paco Alcacer è notevolissimo, l'impianto di gioco brillante e, al secondo anno di Favre, già ben rodato.

Il destino dell'Inter dipenderà da quanto velocemente riuscirà ad assimilare i principi di gioco del suo allenatore. L'Inter di oggi appare ancora inferiore all'ottimo Borussia Dortmund, ma i due scontri diretti, che probabilmente potrebbero rivelarsi decisivi, sono in programma a cavallo tra ottobre e novembre e c'è ancora tempo per seguire l'evoluzione della squadra di Antonio Conte.


5. L’Atalanta invece ha un girone che sulla carte sembra alla portata, ma quanto peserà la mancanza di esperienza europea?

Fabio Barcellona

Ormai l’Atalanta ha raggiunto un livello di gioco talmente elevato che non si può più parlare di sorpresa ed essendo senza alcun dubbio una delle migliori quattro squadre italiane, non può non avere serie possibilità di superare la fase a gironi e approdare agli ottavi di finale. Tuttavia, le precedenti campagne europee della squadra di Gasperini hanno mostrato alcune difficoltà nell’approccio alla competizione europea della Dea.

Lo scorso anno l’Atalanta non è riuscita a prevalere sul Copenhagen nei playoff di Europa League pareggiando 0-0 sia la partita di andata che quella di ritorno, sprecando un’incredibile quantità di palle gol. La stagione precedente aveva vinto un complicato girone mettendosi alle spalle Olympique Lione ed Everton, tuttavia agli ottavi era stato eliminato dal Borussia Dortmund subendo gol decisivi in entrambi i match negli ultimi 5 minuti di partita, dopo avere sostanzialmente controllato il confronto, evidenziando quella che potrebbe essere definita “scarsa esperienza europea”. Ma più che di inesperienza in ambito continentale è forse più appropriato parlare di caratteristiche e mancanze strutturali della squadra di Gasperini.

Il calcio coraggioso e le marcature individuali aggressive sono particolarmente sensibili agli errori e ai cali di intensità e talvolta l’Atalanta paga a caro prezzo imprecisioni all’interno di partite all’apparenza dominate. In aggiunta i bergamaschi sono particolarmente vulnerabili nelle situazioni di calcio piazzato a sfavore. Nello scorso campionato solo la SPAL ha avuto una percentuale di gol subiti da palla inattiva rispetto al totale peggiore dell’Atalanta e la partita contro il Torino non fa ipotizzare in un miglioramento in questa stagione. Le qualità della squadra di Gasperini possono davvero mettere in difficoltà chiunque, ma il passaggio del turno si giocherà sulla minimizzazione degli errori nel corso della partita.


6. Il Napoli rischia di non passare il girone?

Emanuele

La difficoltà del girone del Napoli dipende dal valore del RB Salisburgo, un avversario di cui comunque il Napoli nella scorsa stagione si è liberato facilmente in Europa League. Gli austriaci quest'anno sono cambiati molto dopo l'ottimo ciclo con Marco Rose in panchina, e con una media età molto bassa il loro valore è tutto da definire. Il Napoli però dovrebbe far valere la sua maggiore esperienza e soprattutto il controllo tecnico che anche nella scorsa stagione europea ha saputo imporre alle partite. In definitiva credo che il sorteggio non sia stato cattivo, e anche il calendario, con la prima in casa col Liverpool, è più che positivo. Se il Napoli non dovesse passare questo girone, calcolando un avversario comodo a livello Champions come il Genk, sarebbe un vero disastro. Non credo succederà.

È difficile però dire quanto avanti potrà andare avanti il Napoli. La scorsa stagione sembrava aver assorbito alla grande la transizione al sistema fluido di Ancelotti, ma nel corso della stagione ha via via perso brillantezza ed equilibrio. Bisognerà vedere se il Napoli di quest'anno - comunque rinforzato dagli arrivi di Lozano, Elmas e Manolas - sarà più simile a quello della prima parte o della seconda parte della stagione.


7. La squadra hipster che sperate di vedere agli ottavi?

Emanuele Atturo

Lille non è certo la città più radiosa d’Europa: è nell’Alta Francia, praticamente in Belgio, ed è più facile mangiare una carbonade che del Foie Gras. C’è un clima fiammingo grigio e piovoso, eppure è una città giovane e dinamica, che nel 2020 sarà capitale europea del design.

La sua squadra oggi rispecchia finalmente quest’anima fresca e poco rivolta al passato. Il Lille a poppa e a prua presenta due grandi pilastri d’esperienza come José Fonte e Loic Remy, ma in mezzo a loro scorrazzano per il campo alcuni dei giovani più interessanti d’Europa, accomunati da una caratteristica: vanno a duemila e senza pensare troppo.

In estate il Lille ha venduto il suo pezzo grosso, Nicholas Pepé, ma sono partiti anche Rafael Leao, Thiago Mendes, Anwar El Ghazi e Youssouf Koné. Al loro posto sono arrivati giovani promettenti per tutti i gusti: un finalizzatore velocissimo come Timothy Weah, un centrocampista mancino alto e tecnico come Yusuf Yazici (che per capirci, ma senza voler fare paragoni, la Lazio voleva prendere per sostituire Milinkovic-Savic), un centravanti potente come Victor Oshimen. In più, ha scommesso su Renato Sanches, che sembra fatto apposta per rilanciarsi nel sistema verticale di Cristophe Galtier.

Partito Pepé la stella della squadra è diventata Jonathan Ikoné, un’ala potente e tecnica con una grande creatività. Parte da destra per accentrarsi e sfruttare il suo tiro, o un’ottima visione per l’ultimo passaggio. Ikoné ha appena ricevuto la sua prima chiamata nella Nazionale francese e in Champions League cercherà la sua consacrazione, insieme al resto del Lille. Il girone non è impossibile.

Fabrizio Gabrielli

Io dico Galatasaray. I Cimbom non si qualificano per la fase a eliminazione diretta da un’era geologica, praticamente. L’ultima volta che ci sono riusciti è stata nel 2013-14, quando guidati da Mancini arrivarono secondi dietro a un Real in modalità juggernaut (e infatti avrebbero poi conquistato la Décima) ma costringendo all’Europa League la Juventus, fatto che contiene di per sé già un grande insegnamento: mai darsi per sconfitti, soprattutto quando ti ritrovi inserito in un girone proibitivo, come è quello di questa edizione, in cui dovranno vedersela con il Real (ancora una volta) e il PSG.

Tifare per la qualificazione del Galatasaray significa molte cose, a più livelli: la Türk Telekom Arena non sarà l’Ali Sami Yen ma merita almeno una serata da grande occasione, da Grande Posta In Palio; sperare di veder avanzare Fatih Terim, l’Imperatore che indica la via, l’uomo che raccoglie palloni con scorpion-kick che sfidano la senilità, significa sposare un’idea romantica di calcio, che contiene in sé una sfumatura di schadenfreude, la perpetuazione della narrativa del Davide che batte Golia. Infine, sostenere un Circo Barnum Di Redivivi è sempre rincuorante, perché ci lascia l’impressione che ci sia sempre una possibilità di riscatto.

Nel Galatasaray 2013-14 furono fondamentali, insieme all’esperienza di Mancini, pedine come Felipe Melo, Snejider e Drogba, oltre ai turchi Sabri, Buruk Yilmaz e Hamit Altintop: il Gala attuale, se possibile, sembra ancora di più una squadra assemblata in una partita di Football Manager.

Terim, per il suo 4-2-3-1 iperverticale, può contare su una serie di interpreti molto tecnici, sufficientemente esperti per la Champions League, decisamente hipster: davanti a Muslera gioca con una difesa che è vero, è ancora da rodare, soprattutto nei centrali entrambi arrivati quest’anno (Marcao e Luyindama).

Ma dal centrocampo in su può contare su N’Zonzi, Lemina, Seri (e uno dei capitani, Selcuk Inan) a lottare per due posti sulla linea più difensiva e su un roster di trequartisti che sembra un dream team di TED talkers specializzati in discorsi sul talento impossibile da imbrigliare: Feghouli, Belhanda, Babel, Emre Mor e Jimmy Durmaz.

Se non vi sembra abbastanza, a fare il Drogba-Del-Duemilatredici c’è Radamel Falcao, atterrato in modalità Fomentatissimo, convintissimo a dimostrare che tra tigri e Leoni (Aslanlar, che significa Leoni, appunto, è un altro soprannome del Gala) non c’è da fare troppo i saputelli delle tassonomie animali: l’importante è subodorare il sangue delle vittime. Se illustri, meglio.

Dario Saltari

Non so se una squadra con la tradizione e il blasone del Benfica possa veramente considerarsi hipster, ma spero sempre che arrivi almeno agli ottavi di Champions League per godibilità del gioco espresso e per la quantità di talento che dopo ogni sessione di mercato riesce a rigenerare, come se fosse la coda di una lucertola.

La squadra portoghese ha cambiato allenatore all’inizio di quest’anno dopo una striscia di risultati negativi, passando da Rui Vitoria a Bruno Lage, ma non ha perso la sua identità fluida e offensiva, molto incentrata sul possesso. Il Benfica è una squadra divertente, che non si fa troppi problemi a non controllare tutti i momenti della partita pur di assecondare la sua indole offensiva.

In patria questo atteggiamento ha pagato molto - Lage infatti è riuscito a mettere la propria firma sul miglior girone di ritorno della storia del club e sul record di gol segnati in campionato (103) - bisogna vedere come andrà in Champions League.

Da spettatori neutrali, comunque, possiamo goderci la nuova infornata di talento senza troppe remore sui risultati. Da consumatori di intrattenimento nell’era capitalista, potremmo trasformare il Benfica in un quiz da social network: chi sarà il nuovo Joao Felix?

Potete scegliere tra l’elettricità di Alex Grimaldo, il potere creativo di Nuno Tavares, la calma equilibratrice di Florentino, la visione di gioco di Gedson Fernandes, il tocco di seta di Jota. Se una generazione di giovane talenti non vi basta, potete sempre rifarvi gli occhi su quelle che sono sì icone hipster come Pizzi, Ljubomir Fejsa e Adel Taarabt.

Insomma: vi serve davvero sapere altro?


8. Cosa dobbiamo pensare del Gruppo G (Benfica, Zenit, Lione, Lipsia)?

Francesco Lisanti

Ogni anno i sorteggi della Champions League ci propongono un girone sulla carta molto equilibrato, incrociando quattro squadre interessanti per motivi diversi. Puntualmente tutte e quattro hanno le loro carte da giocarsi, potrebbero arrivare prime e allo stesso tempo ultime, perderle tutte o centrare i quarti di finale. Questa circostanza rende imprevedibili i pronostici della vigilia e allo stesso tempo genera un certo brivido iniziale, la sensazione che forse sia questo il girone da vedere a tutti i costi.

Puntualmente il girone ci delude, rivelandosi tra il grigio e il mediocre, nella migliore delle ipotesi effettivamente equilibrato, e questo potrebbe essere il caso anche del gruppo G.

Il Benfica sta attraversando un momento difficile, e un buon modo per descriverlo è che ci gioca più o meno stabilmente Adel Taarabt (so di ferire molti cuori con queste parole). Il tecnico Bruno Lage a gennaio ha lasciato il Benfica B per rilevare ad interim la prima squadra dopo l’esonero di Rui Vitoria. Poi ha vinto 18 partite su 19 in campionato, inclusi due Derby di Lisbona e un Clássico contro il Porto, regalando un lieto fine alla novella del buon traghettatore. Dopo il titolo vinto è stato ovviamente confermato, ma per il momento il suo 4-4-2 non funziona. Per le distanze tra i reparti, per gli errori di inesperienza dei centrali di difesa Ferro e Ruben Dias, per gli infortuni a centrocampo, e soprattutto per le difficoltà della coppia Seferovic – de Tomás: i due hanno segnato 1 gol in 6 partite ufficiali giocate insieme. A tenere in piedi la baracca restano i tanti (troppi) cross dalla trequarti di Grimaldo e Almeida, e ovviamente il genio nascosto in piena vista di Pizzi, che invece di gol ne ha segnati 6 in 5 partite.

Delle quattro qualificate, lo Zenit è quella con meno esperienza recente in Champions League: l’ultima volta che ci ha giocato c’erano Villas Boas, Hulk e Mimmo Criscito. Adesso è la squadra di Semak, che nello Zenit ha chiuso la carriera da calciatore e iniziato quella da assistente. Il 4-4-2 dello Zenit funziona meglio di quello del Benfica: i perni della formazione titolare sono il centrale di culto Rakitskiy, il sempiterno Ivanovic, Wilmar Barrios, tuttocampista che tende a sembrare completamente pazzo, e soprattutto i due attaccanti, Azmoun e Dzyuba, che si completano a meraviglia e possono buttare giù a spallate chiunque. Sulle fasce giocano spesso due ultra-trentenni come Smolnikov e Zhirkov, quindi sarà interessante seguire l’ambientamento di una squadra dall’età media abbastanza alta in un girone caratterizzato dal talento elettrizzante. In porta c’è Lunev, che contribuisce ad abbassare l’età media e ha spesso occasione di mettersi in mostra. L’anno scorso fece il fenomeno contro il Lipsia in Europa League ma non bastò a scongiurare l’eliminazione.

Se ve lo stavate chiedendo, Yuri Zhirkov fa ancora gol del genere.

Il Lipsia e il Lione sono ormai alla seconda qualificazione consecutiva in Champions, dopo anni di ottime campagne di Europa League, e possono considerarsi paradossalmente le squadre più esperte del girone, nonostante siano entrambe molto giovani. Nel Lione di Sylvinho (e Juninho direttore sportivo!), il titolare più esperto ad eccezione del portiere Anthony Lopes, almeno secondo la carta di identità, è praticamente sempre Memphis Depay, un dato che dovrebbe suonare allarmante per il tasso di maturità di questo gruppo. Anche perché lo stesso Depay è molto giovane, avendo appena compiuto 25 anni. Dopo un vacillante inizio di campionato è lecito chiedersi se questo gruppo, privato di Ndombelé, abbia le possibilità di ripetere l’esaltante passaggio del turno dell’anno scorso. Sarà un’altra occasione per osservare a questo livello Aouar, Tousart, Traoré, Dembelé, e il nuovo arrivato Reine-Adelaide, cresciuto nell’Arsenal e impiegabile ovunque dalla trequarti in su.

Come sempre le prime partite di campionato rivelano fino a un certo punto dello stato di forma di una squadra. E se fino ad oggi il Lipsia sembra l’unica squadra un passo avanti nei rapporti di potere, e il Benfica l’unica un passo indietro, l’ago della bilancia nell’arco delle sei giornate potrebbe rivelarsi il confronto tattico tra le diverse scuole calcistiche. Lo Zenit proverà ad anestetizzare il Lione, che a sua volta proverà ad abbattere il Lipsia, che a sua volta proverà a incendiare il Benfica, che da parte sua proverà a vincere con l’eleganza. Prima di restare delusi ancora una volta, diamogli una possibilità.


9. Quale tra le squadre meno blasonate merita interesse?

Francesco Lisanti

Jindřich Trpišovský è un tipo simpatico. In Repubblica Ceca lo paragonano a Klopp, perché lo Slavia insegue un po’ quell’idea di calcio, grande compattezza, corse in verticale, passaggi di prima, terzini che spingono. «La cosa mi lusinga. Spero che non sia soltanto per il cappellino», ha commentato Trpišovský. La squadra che ha eliminato Bordeaux, Genk e Siviglia nell’ultima Europa League prima di arrendersi ai quarti contro il Chelsea è stata nel frattempo decimata dalle cessioni con cui la dirigenza ha provato a monetizzare l’inatteso exploit.

Sono partiti il centrocampista Kral (meglio noto come sosia ceco di David Luiz), i centrali di difesa Deli e Ngadeu, il trequartista Zmrhal in direzione Brescia e Miroslav Stoch, dopo una stagione da 14 gol e 13 assist. Per il momento lo Slavia sembra aver assorbito con naturalezza la piccola rivoluzione: ha vinto 9 delle 11 partite ufficiali disputate, non ha mai perso ed è primo in campionato con 23 punti.

Il mercato estivo ha aggiunto ulteriore qualità nei piedi di Hovorka e Stanciu. Hovorka è una di quelle intuizioni che rendono Trpišovský un allenatore di culto in Repubblica Ceca: scartato dallo Sparta Praga, come lo stesso Trpišovský, si è costruito una carriera dignitosa tra la seconda e la prima divisione prima di raccogliere l’opportunità di giocare al centro della difesa dello Slavia. Non raggiunge il metro e ottanta e potrebbe soffrire contro Lukaku e Alcácer, ma la sua disinvoltura con la palla tra i piedi è uno di quei vantaggi competitivi che rendono lo Slavia la migliore squadra in Repubblica Ceca. Stanciu proverà a prendere il posto di leader tecnico della trequarti che apparteneva a Stoch, e rappresenterà una minaccia sui calci piazzati, ma appare ancora abbastanza imbolsito dopo la breve esperienza nel campionato saudita.

La sua qualità sarà indispensabile per dare brio a una manovra per il resto abbastanza meccanica: al centro dell’attacco la scelta può cadere di volta in volta sui centimetri di Skoda o sulla velocità di Van Buren, mentre ai lati si muovono giocatori di grande fatica e poco altro come Olayinka e Masopust. Quello che colpisce dello Slavia è l’organizzazione: nell’ultima partita di campionato ha aperto le marcature con uno schema su rimessa laterale, subito dopo aver centrato un palo con uno schema su calcio d’angolo. È una squadra poco elegante ma molto esaltante, e basta tornare a rivivere le scene di delirio in area di rigore dopo il rocambolesco gol di Traoré al Siviglia per ricordarsene.

Emanuele Mongiardo

La Dinamo Zagabria è l'anello debole del girone C, tuttavia merita interesse anche solo per la batteria di ali e mezzepunte che si ritrova, capaci di accendersi da un momento all'altro se rivolte verso la porta. Per questo motivo è così importante il contributo di Bruno Petkovic: l'ex Bologna ha una sensibilità rara nel gioco spalle alla porta, con cui permette ai compagni di attaccare frontalmente gli spazi. Aiuta i suoi a dialogare vicino l'area e, soprattutto, sa gestire le transizioni per favorire la velocità dei compagni.

Dani Olmo e Amer Gojak sono i primi a beneficiare delle sue cuciture. Il catalano è un trequartista dai controlli orientati deliziosi, con cui spesso salta l'uomo, eccellente nelle sterzate e nei dribbling stretti, in grado di muoversi da un lato all'altro della metà campo offensiva. Un giocatore, per rendere l'idea, che nel girone C avrebbe meritato di giocare nel City più che nella Dinamo. Compagno di Olmo nei triangoli sulla trequarti è spesso Gojak, dotato di gran tiro dalla distanza. Non ha la tecnica dello spagnolo, ma fronte alla porta sa saltare l'uomo, anche grazie a un impatto fisico che gli permette di assorbire bene i contrasti e che a giugno lo aveva fatto brillare contro l'Italia.

Sulla sinistra invece il titolare è Orsic, velocissimo e a suo agio in transizione, mentre più dietro agisce Nikola Moro, banalmente già ribattezzato erede di Modric. Il classe '98 sembra avere ottime doti di passaggio e istinto per le triangolazioni, qualità che di per sé rendono un centrocampista sempre interessante. Insomma, la Dinamo Zagabria ha tutti i requisiti per regalarci fiammate individuali davvero notevoli.


10. Quale tra gli allenatori esordienti potrebbe mettersi in mostra in questa Champions?

Fabrizio Gabrielli

In questa edizione della Champions League saranno coinvolti cinque statunitensi. Uno, Christian Pulisic, sarà chiamato alla consacrazione nel Chelsea; altri tre, Sergino Dest dell’Ajax, Tyler Adams del RB Leipzig e Tim Weah del Lille, cercheranno di ritagliarsi uno spazio sul più importante dei prosceni europei. Ma quello che davvero scriverà un pezzo di storia sarà l’unico non calciatore, cioè Jesse Marsch, il tecnico dei Red Bull Salisburgo che a 46 anni sarà il primo allenatore statunitense nella storia della Champions League.

Marsch non è propriamente quello che si definisce un outsider: la sua carriera è stata, finora, un coerente percorso di studi, per il quale arrivare ad allenare in Champions costituisce una specie di meritata ricompensa. Cresciuto come allievo di Bob Bradley, che lo ha allenato quando era calciatore a Princeton e lo ha in seguito voluto come suo assistente alla USMNT, Marsch è giunto sulla panchina degli austriaci dopo una palestra importante all’interno dell’universo delle franchigie dell’energy drink: da primo allenatore dei New York Red Bulls, che ha portato nel 2015 e nel 2017 alla vittoria del Supporters’ Shield, il premio che la MLS conferisce a chi colleziona più punti tra le due Conferences, l’anno scorso ha accettato di uscire dalla sua zona di comfort e mettersi alla prova con il calcio europeo.

Pur essendo, sulla carta, l’allenatore in seconda di Ralf Ragnick, Marsch ha ricoperto di fatto il ruolo di allenatore della squadra tedesca. «Sarebbe stato più facile per me rimanere a New York, ma alla fine non era davvero ciò che mi interessava».

Marsch ha una serie di capisaldi imprescindibili: alle sue squadre chiede un gioco aggressivo, fatto di pressione continua sul portatore di palla già nella metà campo avversaria e di verticalizzazioni immediate. Per questo è fondamentale che gli uomini che schiera siano sempre al massimo della condizione fisica e atleticamente in modalità monstre, ma soprattutto pieni di fiducia in se stessi.

Il processo di responsabilizzazione, con Marsch, ha trovato terreno fertile soprattutto in giocatori - paradossalmente - molto giovani e ambiziosi (per intenderci: è il tecnico che ha fatto di Tyler Adams il giocatore promettente che quest’anno è arrivato a Lipsia), cioè il perfetto identikit di buona parte della rosa del Salisburgo, a partire da Minamino e Braut Haland e passando per Szoboszlai, Samassékou e Koita.

Finora il suo percorso nel campionato austriaco è ammantato di quella superiorità che spetta alle squadre manifestamente troppo più forti: dopo sei partite conduce a punteggio pieno, ma ovviamente il vero banco di prova per il futuro della sua carriera sarà questa Champions League. Chissà che per un allenatore yankee non sia l’Europa, una volta tanto, a dimostrarsi la vera “home for the brave”.

Daniele Morrone

Sylvinho ha fatto una carriera di alto livello, giocando nel Corinthians in Brasile, all’Arsenal, al Celta, al Barça e al Manchester City. Un terzino duttile e intelligente, uno di quei giocatori che a vederlo in campo era chiaro avessero tutto per diventare allenatori di alto livello. Una volta smesso si è costruito subito un percorso di studio eccellente: con Menezes al Corinthians, Roberto Mancini all’Inter e Tite con la Nazionale brasiliana.

Ora a 45 anni ha pensato di essere pronto per provarci da solo e ha scelto Lione come punto di partenza per la nuova carriera da allenatore. A volerlo fortemente è stato il nuovo ds della squadra, la leggenda Juninho Pernambucano, con una scelta in controtendenza con la storia recente della squadra che ha visto alternarsi tecnici con esperienza in Ligue 1. A Lione c’era però bisogno di idee e metodi di lavoro freschi, per una squadra che avrebbe tutto per essere tra le migliori sotto all’inarrivabile PSG e che invece in questi anni è sembrata accontentarsi di vivacchiare.

Dalle prime partite è sembrato che effettivamente Sylvinho sia un tecnico ambizioso: ha accettato la politica societaria di una squadra giovane che deve fare un calcio propositivo e ha puntato su un 4-3-3 dal centrocampo molto tecnico, con l’elegante Aouar, il nuovo arrivato Thiago Mendes, e alle loro spalle Lucas Tousart. Il centro del campo si occupa ovviamente di assorbire la pressione e distribuire il pallone per il tridente offensivo formato dalla stella Memphis Depay, la punta Moussa Dembélé e un altro esterno a destra. Sylvinho ha dimostrato l’ambizione provando già altre varianti ancora più offensive come addirittura il doppio esterno, con l’ala Traoré alta e l’ala Jeff Reine-Adelaide dietro come mezzala. Il girone sulla carta equilibrato può attenuare le difficoltà del suo impatto con la Champions League, perché non incontrerà mai una squadra molto più forte in cui non avrà il pallone.


11. Quale grande squadra rischia di non passare il girone?

Emanuele Atturo

Il Chelsea di Frank Lampard, lo sappiamo, è in un anno di ricostruzione. La cessione di Hazard e il blocco del mercato sembrano aver ridimensionato una squadra che lo scorso anno ha vinto l’Europa League e che fino a un paio d’anni fa lottava ad armi pari per il titolo in Premier. Il Chelsea 2019/20 è una squadra ricca di giovani interessanti, come Tammy Abraham, Christian Pulisic e Mason Mount, sconosciuto fino a poche settimane fa e che ha avuto un grande impatto in campionato con 3 gol nelle prime 5 presenze.

La squadra ha un gioco ambizioso, con una fase di possesso raffinata e che punta alla ricerca dei giocatori negli half-space. I risultati però finora sono stati altalenanti e il Chelsea pare avere poca continuità dentro i 90 minuti e poco equilibrio difensivo. Il girone è complicato nonostante i “Blues” sulla carta partano davanti a tutti, ma meglio un girone squilibrato con 1 o 2 squadre nettamente più deboli che uno con tre avversari tutti insidiosi.

Valencia, Lille e Ajax sono tre squadre diverse, che metteranno il Chelsea di fronte a problemi differenti e che hanno poco da perdere. La squadra di Lampard dovrà fare subito tre punti in casa, approfittando di un Valencia che ha appena esonerato Marcelino. Se non dovesse arrivare subito una vittoria le cose potrebbero complicarsi.

Daniele Morrone

Nella Liga l’Atlético di Madrid ha già perso punti, in un momento in cui sta costruendo la nuova identità tattica dopo la partenza di Griezmann. Non sappiamo come un gruppo così particolare come l’Atlético Madrid di Simeone abbia preso la brutta uscita dalla scorsa Champions contro la Juventus, ma la voglia di vendetta potrebbe fare un brutto scherzo in caso di sconfitta nella prima giornata.

L’Atlético non è nuovo a scivoloni a sorpresa nelle trasferte strane: sono passate solo due stagioni da quando arrivò terzo nel girone con Chelsea, Roma e Qarabag pareggiando anche con questi ultimi. Volendo il girone attuale con Juventus, Bayer Leverkusen e Lokomotiv Mosca pone l’Atlético come chiara seconda forza, ma ricorda un po’ quello per il tipo di trasferte che dovrà affrontare. Intendiamoci, l’Atletico non è davvero a rischio di non passare il girone, ma vederlo perdere punti preziosi in trasferta a Mosca o a Leverkusen non è da escludere, rendendo così la qualificazione un problema da risolvere nelle ultime giornate.


12. Chi sarà il nuovo Ajax, cioè la squadra che a sorpresa può arrivare lontano?

Fabio Barcellona

Quest’estate il RB Lipsia ha proseguito nella sua politica di acquisizione di giovani calciatori da inserire nel proprio progetto di gioco. Fatta eccezione per il trentatreenne Tschauner, destinato a ricoprire il ruolo di terzo portiere, il giocatore più vecchio tra quelli acquistati è stato il ventitreenne Patrick Schick dalla Roma.

Sono arrivati dalla Premier League il gallese Ethan Ampadu, difensore classe 2000 in prestito dal Chelsea, e dall’Everton il ventunenne esterno offensivo Ademola Lookman. Dal PSG è stato acquistato il centrocampista di ventun’anni Cristopher Nkunku, dal Palmeiras il terzino sinistro del 2001 Luan Candido, ed infine dall’affiliata RB Salisburgo è stato prelevato il ventenne Hannes Wolf, talentuoso trequartista fermo fino a dicembre per un infortunio alla caviglia occorsogli in occasione degli Europei under 21 di quest’estate.

Ma la vera novità è in panchina, dove Ralf Rangnick, che ricopriva il doppio ruolo di allenatore di direttore sportivo, è stato sostituito, pur rimanendo all’interna della galassia calcistica Red Bull, dal giovanissimo Julian Nagelsmann proveniente dall’Hoffenheim, uno degli allenatori emergenti più interessanti d’Europa.

L’inizio di stagione è stato eccezionale. Il RB Lipsia ha vinto le prime tre partite issandosi in vetta alla Bundesliga, vincendo oltretutto due partite contro avversari del livello di Eintracht Frankfurt e Borussia Monchengladbach prima di affrontare il Bayern Monaco nel big match della quarta giornata. Lo scontro con i bavaresi è terminato con un pareggio che ha consentito al RB Lipsia di rimanere in testa alla classifica e ha mostrato una squadra capace di resistere alle enormi difficoltà del primo tempo e di rimettere in sesto la partita anche grazie alle mosse del suo allenatore nell'intervallo.

L’impronta tattica di Nagelsmann è già visibile. Il RB Lipsia gioca un calcio centrato su principi di gioco piuttosto netti, improntati a un approccio proattivo in ogni fase del gioco. Il modulo è solo un abito da adattare alle particolari circostanze e Nagelsmann può schierare indifferentemente la squadra con il 3-4-3, il 3-4-1-2 o schierare una difesa a 4 in un 4-4-2.

Ognuno di questi moduli è interpretato con estrema fluidità per assecondare i principi di gioco adottati che, in fase d’attacco, mirano a una versione tedesca, quindi piuttosto rapida e verticale, del gioco di posizione, con la ricerca continua della superiorità posizionale alle spalle delle linee di difesa avversarie. In fase di non possesso il RB Lipsia fa largo uso di pressing e gegenpressing da utilizzare anche come base di partenza per rapide transizione offensive.

In questo contesto sta brillando la stella di Timo Werner, autore già di 5 reti e che in questo inizio di stagione ha fatto sfoggio di una velocità e di una concretezza difficilmente gestibili dai difensori avversari.

Partendo dalla quarta fascia, il RB Lipsia è capitato nel girone “Europa League” della Champions, aumentando le proprie chanche di passare il turno, potendo anche mirare al primo posto che le garantirebbe un ottavo di finale teoricamente più agevole. Il girone relativamente semplice, unito all’entusiasmo, al talento e all’ambizione tattica potrebbero proiettare il RB Lipsia più in alto di quanto prevedibile.

Francesco Lisanti

Un’altra squadra che ha iniziato la stagione in modo brillante è il Dortmund di Favre, che ad eccezione della trasferta contro l’Union Berlin ha vinto tutte le amichevoli e tutti gli incontri ufficiali disputati, compresa la Supercoppa contro il Bayern, per 2-0.

Quest’anno il Dortmund appare in una versione leggermente più cinica e solida del Dortmund della passata stagione, più sicura nella gestione del pallone, più rapida nel cambiare versante di gioco, più feroce quando può sfruttare la profondità del campo. Forse è solo l’ennesima partenza a razzo del Borussia, ma al momento poche difese al mondo possono pareggiare la tecnica e la velocità di Sancho, Reus e Brandt, preoccupandosi allo stesso tempo di contenere un finalizzatore letale come Alcacer, in grado di centrare lo specchio della porta da qualsiasi posizione.

Eppure anche nella sfida stravinta per 4-0 in casa contro il Leverkusen, il Borussia ha concesso 12 tiri, di cui 4 in area di rigore. La squadra di Favre non ha per sua struttura la compattezza necessaria per impedire gli attacchi alle spalle dei terzini, e almeno un paio di volte a partita si lascia attaccare in velocità senza opporre troppa resistenza.

In questo contesto frenetico, Akanji e Hummels sono esposti continuamente al rischio: a volte rimediano errori maldestri, a volte salvataggi mirabolanti. Rovistando nel cassettone delle possibili sorprese, forse è il caso di pescare un’altra squadra in grado di attaccare in velocità con la stessa brillantezza, pur potendo garantire sulla carta una migliore tenuta difensiva.

E allora perché non il Napoli? Carlo Ancelotti ha una fama dai contorni mistici in terra di coppe europee, e il suo Napoli è arrivato nel frattempo al secondo anno di ciclo, rafforzandosi ancora. L’anno scorso si è arreso all’intensità fuori scala di Liverpool e Arsenal, e quest’estate sul mercato ha inseguito giocatori che potessero elevare il livello atletico della squadra, come Manolas, Di Lorenzo e Lozano. La stagione non è iniziata nel modo migliore possibile, tra i molti gol subiti e i nodi tattici non ancora sciolti. Il girone però sembra decisamente più abbordabile rispetto all’anno scorso, e in Champions conta soprattutto arrivare in forma a febbraio. Ancelotti lo sa meglio di chiunque altro.

Emanuele Atturo

Con le sue marcature a uomo a tutto campo, l’intensità da squadra inglese e la verticalità e l’estro dei suoi migliori giocatori, nessuno vorrà affrontare l’Atalanta di Gasperini. Una squadra con caratteristiche quasi uniche nel panorama europeo, e che già due anni fa, in Europa League, ha dimostrato di poter mettere in difficoltà avversari con più esperienza europea (come Borussia Dortmund, Lione ed Everton).

Anche loro hanno un girone alla portata, a condizione che facciano i punti con la Dinamo Zagabria. Dovesse passare il turno, sarà una squadra difficile da affrontare per tutti e sarà bellissimo vedere Ilicic e il “Papu” Gomez in Champions League.


13. E invece che aspettative possiamo avere per l’Ajax vero e proprio senza de Ligt, de Jong e Schone?

Fabio Barcellona

L’Ajax è capitato in un girone equilibratissimo, che si candida ad essere il più divertente e incerto del torneo. Chelsea, Lille e Valencia rappresentano tutte avversarie complicate per i lancieri. Costretti dalle regole della Champions League a giocare due turni preliminari prima di giungere alla fase a gironi, l’Ajax ha sofferto molto più del previsto per superare PAOK Salonicco e Apoel Nicosia. La perdita tecnica dovuta alle partenze di de Ligt, de Jong e anche dell’equilibratore Schone è sotto gli occhi di tutti.

In estate sono arrivati diversi giovani: i ventunenni Edson Alvarez, messicano dall’America e Lisandro Martinez, argentino dal Defensa y Justicia e il ventitreenne rumeno Razvan Marin dallo Standard Liegi. Sono stati inoltre promossi in pianta stabile in prima squadra il terzino destro Sergino Dest e il centrale di difesa Perr Schuurs. In questo inizio di stagione Erik ten Hag sta cercando di trovare la nuova quadratura del cerchio.

I problemi maggiori sono in probabilmente in mezzo al campo dove c’è da sostituire l’intera coppia di interni e, più che sui nuovi arrivati, l’allenatore ha inizialmente puntato sul cambio di posizione di Mazraoui e Blind, per puntare quindi su Alvarez e Martinez, con Marin in panchina. Come da tradizione, l’Ajax dopo la cessione dei suoi gioielli ha puntato su giovani da fare crescere all’interno del suo collaudato sistema di gioco, ma i tempi necessari alla transizione potrebbero essere insufficienti rispetto a quelli stretti della Champions League. Oltretutto, con la perdita di de Ligt e de Jong l’Ajax ha perso non solo i suoi migliori giocatori, ma anche quelli di maggiore personalità, che ne incarnavano perfettamente l’identità. Per questo non mi sorprenderebbe un’eliminazione già nella fase a gironi dei lancieri.


14. Nelle ultime 8 edizioni, il Bayern Monaco è arrivato sempre almeno ai quarti, tranne lo scorso anno. Cosa vi aspettate quest’anno?

Flavio Fusi

Per il Bayern l’ultima stagione è stata una delle più complicate degli ultimi anni. Dopo un ottimo inizio di stagione, che aveva portato in dote la Supercoppa nazionale e quattro vittorie di fila in campionato, i bavaresi avevano pericolosamente perso terreno nei confronti del Borussia Dortmund primo in classifica, con il nuovo tecnico Niko Kovac, erede del totem Jupp Heynckes, finito ben presto nell’occhio del ciclone. A rendere così complicata l’Hinrunde, conclusa a 7 punti dal Borussia, avevano contribito anche gli infortuni, compreso quello di Thiago, una serie di pessime prestazioni da parte di Manuel Neuer, protagonista della sua peggior stagione, e enormi difficoltà nel finalizzare il gioco prodotto.

A dicembre però è arrivata la svolta: portato a casa il girone di Champions, per la verità non tra i più competitivi del torneo, nonostante la presenza dell’Ajax semifinalista, il Bayern ha messo in fila sette vittorie consecutive, vincendo 18 delle ultime 21 partite e perdendo una sola volta in Bundesliga, conquistando il settimo titolo consecutivo. In Champions, però, non è bastato vincere il proprio gruppo per garantirsi un ottavo agevole e il Liverpool di Klopp ha sbarrato la strada alla formazione di Kovac, strappando un 3-1 all’Allianz Arena dopo il pareggio a reti inviolate dell’andata.

Dopo l’eliminazione non sono mancate nuove critiche al tecnico croato, che si è parzialmente rifatto portando a casa la Coppa di Germania, centrando così una tripletta di titoli nazionali che il club attendeva da sei anni.

Il tempo dei festeggiamenti è durato ben poco con un mercato travagliato e molto criticato dai tifosi. I primi due acquisti, finalizzati ancora prima dell’estate, sono stati Benjamin Pavard e Lucas Hernández, due difensori giovani, forti e versatili anche se tra tutti i reparti, quello difensivo era quello che forse richiedeva minori investimenti. La priorità del direttore sportivo Hasan Salihamidžić era infatti ringiovanire la squadra, la più anziana della Bundesliga e soprattutto sostituire Robben e Ribéry, anche perché Gnabry, che viene da un’ottima stagione, è forse più bravo a muoversi senza palla che con, mentre su Coman grava sempre il punto interrogativo degli infortuni.

Non tutto è però andato secondo i piani. Il mai smentito obiettivo numero 1 era Leroy Sané, per cui il club era pronto a investire 200 milioni tra cartellino e ingaggio, ma il tedesco non si è mosso dal Manchester City. Timo Werner ha invece deciso di rinnovare con il RB Lipsia, mettendo definitivamente a tacere i rumors che lo volevano promesso sposo del Bayern. Salihamidzic spiazzato dal fallimento delle due trattative, ha dirottato quindi il suo interesse su Perisic e Coutinho, arrivati entrambi in prestito, che però non sono esattamente due elementi che si inseriscono nel nel Bayern senza qualche adattamento al sistema di gioco che Kovac aveva in mente.

Il croato non è il tipo di ala dribblomane capace di creare superiorità numerica che il Bayern ha sempre avuto tra le sue fila, ma piuttosto un dispensatore di cross, che potrebbe comunque rappresentare una fonte di assist per Lewandowski. Coutinho, “noleggiato” dal Barcellona, è stato finora impiegato come trequartista nel 4-2-3-1, togliendo minuti a Muller, ma potrebbe fare a caso di Kovac soprattutto quando i bavaresi si troveranno ad affrontare difese aggressive che lasciano poco spazio, anche in Champions League. Gli altri due acquisti Cuisance e Arp, rappresentano forse i migliori prospetti della Bundesliga nel proprio ruolo, ma il loro impatto sulla stagione del Bayern è tutto da verificare, soprattutto in Europa.

Nonostante il club si trovi in un periodo di transizione, che probabilmente non sarà completato prima della prossima estate, il Bayern deve necessariamente avere i quarti di Champions come obiettivo minimo. Sarà però necessario cominciare subito bene la campagna europea, che vede i bavaresi impegnati nel girone con Tottenham, Olympiacos e Stella Rossa (avversario dell’esordio) e saper gestire al meglio l’enorme pressione che graverà sempre sugli allenatori e i giocatori del club: l’occasione per Kovac di consacrarsi come un allenatore di livello mondiale.


15. Quale giocatore, tra quelli non già affermatissimi, può mettersi in luce in questa Champions?

Emanuele Atturo

Il Borussia Dortmund è stato inserito in un girone difficile e tante delle sue speranze passano per il suo miglior giocatore, Jadon Sancho. A 19 anni Sancho ha cominciato la stagione in modo impressionante, mettendo insieme 2 gol e 3 assist in appena tre partite. Il gioco verticale fatto di transizioni lunghe di Favre lo esalta come uno dei pochi giocatori in grado di determinare una partita attraverso due o tre momenti. Il tipo di talento che sembra prestarsi bene a una competizione fatta di dettagli come la Champions League.

Daniele V. Morrone

Sembra strano notarlo dopo la grandissima stagione della rivelazione, a soli 19 anni, ma João Félix l’anno scorso ha giocato solo una partita nei gironi di Champions League, l’ultima contro l’AEK per un Benfica arrivato terzo nel girone (poi però è esploso in Europa League). Come successe a suo tempo per Mbappé prima e Frenkie de Jong, la sua potrebbe essere una rivelazione annuciata, ma questo non toglierà nulla allo stupore che il suo talento tanto cristallino e la sua creatività sono in grado di suscitare. Sono bastati pochi minuti in campo in questo inizio di stagione per mostrare il talento, di quelli che fanno la differenza, di João Félix, un giocatore che è sembrato già poter essere considerato un affare per l’Atlético Madrid nonostante sia costato 126 milioni di euro.

Emanuele Mongiardo

Quella dello scorso anno è stata la Champions League di Dusan Tadic, e chissà che quest'anno non sia la Champions League di Josip Ilicic. Fa sempre strano quando il giocatore di un'outsider contende il dominio tecnico della partita alle migliori squadre del mondo, che proprio con la tecnica tracciano il confine tra sé e la concorrenza. Ilicic arriva a questa Champions in uno stato di fiducia con cui può ragionevolmente pensare di sfidare da pari alcuni dei giocatori più straordinari d'Europa; Lo scorso anno ha costretto tutte le migliori squadre della Serie A, specie quelle ora in Champions, ad adottare accorgimento per arginarne il talento e spesso non è bastato.

Certo, forse nessuno meglio del City sa sopprimere con pressing e palleggio le individualità altrui, ma certamente contro Shakhtar e Dinamo è lecito attendersi giocate che estendano il culto di Ilicic lungo tutto il continente. Già due anni fa contro il Borussia Dortmund aveva disputato due partite di raffinatezza tecnica assurde, in cui si era dimostrato di gran lunga il migliore in campo in mezzo ai vari Gotze, Reus e Pulisic. Ilicic sembra proprio il classico giocatore avversario per cui Guardiola spreca ogni tipo di complimento. Qualora dovesse brillare, siamo sicuri che apprezzerà con genuinità il talento dello sloveno.




Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura