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Alfredo Giacobbe
Carpe diem
08 lug 2016
08 lug 2016
La Francia mette alla porta una Germania ordinata ma scolastica, cogliendo l'attimo per andare in finale.
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Alfredo Giacobbe
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La Francia batte la Germania per 2-0 e vola in finale, dove affronterà il Portogallo del

Cristiano Ronaldo. Dopo le pressioni sulla squadra per le tensioni sociali di maggio e le difficoltà di gioco d’inizio torneo, tutto sembra essere apparecchiato per l’happy ending hollywoodiano. Ma la squadra di Deschamps se l’è davvero meritato?

 

La Francia ha trovato la quadra quando, nel corso del torneo, è passata al 4-2-3-1 in pianta stabile con Griezmann al centro di tutto. Però, alla vigilia della semifinale, molte congetture sulla tattica migliore per affrontare la Germania suggerivano a Deschamps di fare ritorno al 4-3-3: N’Golo Kanté, nuovamente disponibile dopo aver scontato la squalifica, avrebbe potuto mettere in mostra le sue indiscutibili doti di interdizione e rilancio dell’azione, in una partita che la Francia sembrava dovesse giocare a lungo rintanata nella propria metà campo; inoltre, il 4-5-1 che sarebbe emerso in fase di non possesso avrebbe aiutato la Francia a coprire l’ampiezza data dai cambi di gioco sui due terzini Hector e Kimmich. Deschamps ha invece scelto di confermare sia il sistema che gli uomini che hanno battuto Irlanda e Islanda.

 

Dal canto suo Löw non si è fatto condizionare dalle critiche ricevute in patria per l’atteggiamento tattico, differente dal solito, tenuto contro l’Italia: la formazione schierata ieri era costruita sulle caratteristiche dell’avversario di turno tanto quanto la precedente. Delle tre assenze di lusso nell’undici base tedesco, quella di Khedira ha portato i maggiori cambiamenti nell’assetto della squadra. Nella nostra

, analizzavamo chi tra Schweinsteiger, Can e Weigl potesse sostituire al meglio lo juventino e quali caratteristiche avrebbe portato nella partita. Di fatto Löw gioca una mano iniziale diversa, scegliendo i primi due e costruendo un piano tattico dalle due facce.

 

In fase di non possesso, la Germania si sistemava con il 4-1-4-1, nel quale Schweinsteiger agiva da perno davanti alla difesa. Il giocatore del Manchester United così impiegato avrebbe dovuto impedire la ricezione del pallone tra le linee da parte di Griezmann. Davanti a lui Kroos e Can, col supporto ai lati di Draxler e Özil, avrebbero dovuto far incartare la già macchinosa costruzione bassa dei due centrali francesi e dei due mediani, occupando gli spazi e appoggiando il pressing individuale di Thomas Müller con uscite dalla linea solo saltuariamente.

 

In effetti, i due terzini francesi sono stati spesso costretti ad abbassarsi per dare uno sfogo laterale all’impostazione del gioco e lo stesso Sissoko doveva muoversi al di là della linea di centrocampo tedesca per correre in soccorso di Matuidi e Pogba. Lo stesso Griezmann, nella maggior parte dei casi, è stato costretto a muoversi verso una delle due fasce per poter ricevere un pallone da giocare.

 


Le mosse della Germania quando ha preso il controllo della partita: i due centrali e i due mediani su altezze sfalsate per creare quante più linee di passaggio; Özil viene incontro e Müller va verso la profondità per muovere le linee in direzioni opposte; Hector, nel cerchio in alto, già alto ad offrire una soluzione in ampiezza.

 

Quando ha avuto il possesso della palla, cioè per il 68% del tempo di gioco, la Germania ha attaccato tenendo invece la struttura del 4-2-3-1, con Emre Can ad alzarsi sulla linea dei trequartisti. Sia Kroos che Schweinsteiger avrebbero potuto occupare la casella di trequartista centrale; Löw probabilmente ha scelto Can per la sua capacità di muoversi anche senza palla e per la sua abilità sulle palle alte, che avrebbe aumentato la pericolosità della Germania in area di rigore.

 

L’attacco posizionale dei tedeschi impone una sfida notevole agli avversari: chi porta palla nella Germania ha sempre più di un’alternativa di passaggio, per l’abilità dei compagni di assestarsi su altezze differenti in verticale; i terzini, sempre alti, offrono uno sfogo orizzontale costante per il cambio di gioco; infine, i movimenti in sincrono di chi attaccava la profondità e di chi veniva incontro alla palla finivano per aprire le linee avversarie, impegnate ad assorbire i due movimenti come corone disaccoppiate di un ingranaggio rotto.

 

La Germania ha realmente piazzato le tende nella metà campo avversaria, come si pensava che facesse: al di là del dato sul possesso palla già citato, i tedeschi hanno completato l’88,3% dei 643 passaggi giocati, più del doppio dei francesi; inoltre hanno avuto l’incontestabile vantaggio territoriale del 62%, recuperando 1 pallone su 4 nella metà campo avversaria.

 

Se era così perfetta, come ha fatto la Germania a perdere questa partita?

 

 

Howedes non è Hummels

 

Delle tre assenze patite dalla Germania, quella di Mats Hummels è stata la meno discussa. Una delle statistiche citate nel prepartita, secondo la quale dal 2010 la Germania ha vinto il 60% dei match con Hummels in campo e il 72.5% senza di lui, era addirittura di conforto. Nella realtà dei fatti, Benedikt Howedes non si è rivelato un sostituto all’altezza, per almeno due ragioni.

 



 

Howedes ha perso 4 dei 7 duelli aerei ingaggiati, sovrastato anche dal tempismo e dalla convinzione di Griemann, 12 centimetri più basso di lui. Esempio di una tendenza generale che ha visto la Francia dominare sulle palle alte: 63% dei duelli aerei vinti dai “Bleus”.

 

Il difensore dello Schalke 04, costretto dallo sviluppo della partita ad entrare nella metà campo avversaria, ha giocato la palla in maniera molto elementare; e quando ha provato a forzare la giocata oltre le sue possibilità, ha commesso molti errori di misura: 6 errori su 7 sono arrivati da passaggi in avanti.

 

L’assurda convinzione dei tedeschi di poter giocare la medesima partita sotto ogni condizione – esattamente il tipo di atteggiamento rivendicato in patria dopo la partita con l’Italia – è costato loro carissimo: privi della qualità necessaria per risalire il campo palla al piede, hanno permesso alla Francia di riconquistare il possesso 3 volte nei pressi in area, altre 3 addirittura al suo interno. Una di queste occasioni è stata fatale e ha portato al gol del raddoppio.

 

 

Müller e Can male assortiti

 

La posizione di Emre Can in fase di possesso è stata di difficile lettura per la retroguardia francese nelle prime fasi della partita. Il centrocampista di origine turca aveva il compito di controbilanciare i movimenti incontro di Özil, provando ad attaccare gli spazi intermedi tra i difensori francesi. La prima vera occasione della partita arriva proprio su un taglio di Can alle spalle di Evra, uscito alto in fascia per prendere Kimmich. Il movimento di Can costringe Umtiti a seguirlo, creando i presupposti per l’inserimento di Müller all’altezza del primo palo.

 



 

Per disinnescare l’azione di Can, Evra è rimasto bloccato al fianco di Umtiti per la maggior parte del tempo: in effetti è riuscito nel suo intento, ma ha rinunciato a prendere rischi e opportunità attaccando lo spazio in fascia quasi del tutto.

 



 

L’azione di Can diventa quindi prevedibile: sempre sulla stessa linea di Müller, non complica mai la vita dei centrali francesi che tengono bene nel due contro due. Koscielny in particolare esce vincitore di tutti i duelli ingaggiati. Al primo vero cambio tattico della partita, Löw ha escluso il turco-tedesco dalla partita per inserire Götze.

 

 



 

Le difficoltà di Can e Müller al centro dell’attacco sono solo uno dei fattori esogeni che hanno inciso sulla prestazione di Mesut Özil. Il centrocampista dell’Arsenal ha giocato una buona partita, condividendo con Kroos la responsabilità di fare gioco nella trequarti offensiva: Özil ha giocato pochi passaggi meno di Kroos (76 a 85) e ha servito un assist per il tiro di un compagno (contro i 3 del compagno). Özil ha anche recuperato 8 palloni e ne ha intercettati altri 2, contribuendo a mantenere alta la pressione della Germania sulla Francia.

 

Quello che stupisce è il numero di palloni in area giocati dal tedesco, che su 5 tentativi ha servito un compagno negli ultimi 16 metri in una sola occasione. Questa scarsa pericolosità offensiva può essere stata generata dalla posizione di Schweinsteiger, troppo bassa e bloccata tra i due centrali. Non si può parlare di squadra spezzata in due tronconi, con 5 ad impostare e 5 ad attendere la palla sulla linea dell’area di rigore, perché comunque si è giocato in una sola metà campo e la Germania ha saputo tenere i propri uomini mediamente in soli 30.2 metri; però Özil è stato costretto ad abbassarsi per velocizzare la manovra e a girare così lontano dall’area di rigore.

 

La pessima partita di Draxler è stato un altro dei fattori, ogni volta che Özil gli ha consegnato palla non gli è poi mai tornata indietro: per il giocatore del Wolfsburg 19 palle perse e 5 dribbling falliti su 7 tentati. Draxler ha poi sempre chiesto palla tra i piedi e non ha mai sfruttato il canale creato da Hector, alto e aperto a sinistra per tutta la partita.

 


A forza di predicare nel deserto, Özil ha avuto il miraggio di un’oasi oltre la linea del fallo laterale.









 

Il gol della Francia che sblocca la partita arriva su un calcio di rigore, decretato da Rizzoli per un fallo di mano di Schweinsteiger, simile nella dinamica a quello concesso da Boateng contro l’Italia. Il

nella partita era però già passato dalla parte dei francesi, che da qualche minuto stavano attaccando gli avversari con convinzione dal proprio lato sinistro.

 

Kimmich ha immediatamente compreso quale fosse il gap tecnico tra lui e Dimitri Payet, dopo un minuto scarso di partita il francese lo ha puntato e gli è andato via. Il ventunenne tedesco non aveva quindi altro modo di ridurre la pericolosità del francese, se non quello di seguirlo a tutto campo per impedirgli di girarsi, una volta ricevuta palla. Cosa che in effetti gli è riuscita.

 


La seconda delle tre occasioni in fotocopia create dalla Francia sul fronte destro tedesco: Kimmich segue Griezmann, che per una volta ha scambiato la posizione con Payet, e già indica a Özil di coprire l’eventuale taglio di Evra. Cosa che fa anche Löw dalla panchina.



 

Lo spazio liberato in fascia dai rientri di Payet verso il centro del campo è stato preso da Evra solo dopo il trentatreesimo minuto, quando si è liberato dalle preoccupazioni procurategli da Can, e quando ha capito che Özil non avrebbe avuto la forza per seguirlo fino alla fine del campo.

 

La Francia ha imbastito un’azione da sinistra per il 45% del tempo, scegliendo il centro nel 37% dei casi e la fascia destra per il rimanente 18%.

 

 



 

Il cambio di sistema e di posizione operato nel secondo tempo di Francia-Irlanda ha riportato Antoine Griezmann nel suo habitat naturale. Soprattutto nelle fasi di caos organizzato, che la Francia ha imbastito nei primi minuti di ciascuno dei due tempi per destabilizzare gli avversari, Griezmann ha giganteggiato con la sua tecnica e la sua lucidità fuori dal comune.

 



 

Ha ingannato la guardia di Schweisteiger muovendosi in orizzontale e trovando una linea di passaggio prolifica tra sé e Sissoko, che come detto si abbassava nello spazio tra Kroos e Draxler per ricevere palla e distribuirla in avanti. Griezmann è il deus ex machina, l’unica soluzione di gioco possibile nella trequarti avversaria: nella sua partita 4 tiri nello specchio su 7 tentativi, 5 dribbling riusciti su 5, 58 palloni giocati, nessun altro francese ne ha giocati così tanti.

 



 

Griezmann ha trasformato Giroud nel partner d’attacco ideale, quello che Torres rappresenta per lui nell’Atletico: un punto di riferimento intorno al quale giostrare liberamente, un attaccante fisicamente dotato che lo libera dalla guardia dei centrali e crea spazio per le sue giocate.

 

La Francia dall’inizio del torneo si regge sulle sue straordinarie individualità. Se nelle prime partite ha brillato la stella di Payet, ora è Griezmann a dettare l’agenda offensiva della sua squadra. Sui suoi movimenti incontro trovano sfogo gli inserimenti di Pogba e Matuidi, ora più rari ma più efficaci di prima. Questo particolare frangente tattico può essere una delle chiavi della finalissima di Saint Denis, dove è facile immaginare che il CT portoghese decida di far seguire Griezmann da un suo uomo come un’ombra.

 

È impossibile mettere in discussione un CT come Joachim Löw: nei cinque grandi tornei disputati, ha permesso alla sua squadra di raggiungere almeno la semifinale. E se aggiungessimo il Mondiale 2006, quand’era primo assistente di Jurgen Klinsmann, il conto salirebbe a 6. Però se contro l’Italia Löw era stato sveglio nella preparazione e lucido a partita in corso, ieri è stato più realista e non è intervenuto tempestivamente sul suo assetto iniziale (avrebbe potuto invertire la posizione di Can e Schweinsteiger, visto che il primo era escluso dal gioco e il secondo non aveva la forza di schermare Griezmann lungo tutto l’asse orizzontale).

 

In finale arrivano due squadre, non le migliori viste al torneo (una delle migliori è stata la Germania, l’altra è stata eliminata dalla Germania stessa), che hanno saputo mascherare i propri difetti e giocare ossessivamente sui loro pochi, buoni punti di forza. Oltre ad aver imboccato correttamente tutte le sliding doors che è necessario indovinare per arrivare in fondo ad un torneo così corto.

 

 

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