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NBA Redazione basket 7 maggio 2019 17'

Cambio campo: le serie di playoff dopo gara-4

A che punto sono le quattro semifinali di conference quando bisogna cambiare campo di gioco per la seconda volta.

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Si torna dove si è iniziato, in casa delle squadre con il miglior seeding e il vantaggio del fattore campo. Tre serie su quattro sono ancora in perfetta parità, mentre Milwaukee avrà il primo match point per le Finali di Conference dopo aver battuto due volte a domicilio i Boston Celtics. Gara-5 sarà come sempre la pivotal game, la partita che indirizzerà la serie verso chi più se la meriterà.

Milwaukee Bucks - Boston Celtics

di Niccolò Scarpelli

 

Se i Milwaukee Bucks sono gli unici a tornare sul proprio campo in vantaggio nella serie lo devono ai due punti di forza che li hanno caratterizzati per tutta la stagione: una difesa impenetrabile e la presenza a roster dell’MVP della lega.

 

Dopo il passaggio a vuoto di gara-1, Giannis Antetokounmpo ha conquistato il TD Garden con due prestazioni da vero dominatore, continuando a migliorare le letture contro il muro dei Celtics e trovando angoli di penetrazione più efficaci sia per attaccare uno-contro-uno Al Horford che in transizione. La sua capacità di andare al ferro, subire i contatti (22 tiri liberi in gara-3, 10 in gara-4) e frammentare il ritmo della partita preoccupa talmente tanto la difesa dei Celtics da scegliere di abbandonare un tiratore come Nikola Mirotic (40% dagli angoli in stagione) pur di cercare di contrastarlo. E se inizia anche ad essere continuo dal perimetro (7/15 da tre nella serie), non c’è più speranza per nessuno.

 

Un conundrum irrisolvibile che Budenholzer ha contribuito a complicare ancora di più per i Celtics. I Bucks hanno iniziato a coinvolgerlo maggiormente anche nei pick and roll, situazione di gioco relativamente poco utilizzata in stagione ma che nelle due partite del Garden ha pagato grossi dividendi. Che sia da portatore di palla o da bloccante, la sua efficacia non fa differenza: in ogni azione i Bucks sono in grado di costruire un tiro aperto o di creargli un accoppiamento favorevole, che poi è uno qualsiasi che non coinvolga Al Horford.

 

 

Nella terza clip una delle azioni chiave di gara-3: il pick and roll centrale tra lui e Brook Lopez, mai usato nel corso della stagione e giocato invece 8 volte con risultati devastanti.

 

Brad Stevens ha provato a variare la sua difesa proponendo anche una zona 1-3-1, ma il greco non ne ha risentito, dimostrandosi il miglior giocatore della serie. Tutt’altro discorso invece per Kyrie Irving, il quale invece dopo due inizi promettenti ha chiuso in malo modo entrambe le partite (15/44 dal campo combinato nelle due partite al Garden) facendosi spesso imbottigliare nella selva di braccia della difesa dei Bucks e non riuscendo a finire a centro area o a punire i lunghi in uno-contro-uno, specie dopo i cambi sempre più frequenti che gli hanno dato la possibilità di attaccare Lopez lontano dal canestro.

 

Nella metà campo difensiva è stato senza mezzi termini disastroso, facendosi battere dal palleggio con facilità, rimanendo incastrato sui blocchi, arrivando in ritardo su rotazioni e recuperi. In generale Irving ha subito tremendamente l’accoppiamento con George Hill, che al contrario nelle due partite del Garden è sembrato dominante.

 

 

Dopo i 21 punti di gara-3, l’ex Cavs si è ripetuto anche nella quarta partita, giocando con un’aggressività impressionante in entrambe le metà campo.

 

La panchina dei Bucks ha surclassato quella dei Celtics, dove Terry Rozier e Gordon Hayward hanno continuato a mostrare i limiti di una stagione altalenante, permettendo alla difesa di giocare ad un livello altissimo per 48 minuti. Nelle ultime due gare Boston ha segnato 68 punti in area, appena due in più di quanti i Bucks ne hanno messi nella sola gara-4, non riuscendo mai a trovare tiri comodi o a mettere pressione sulla difesa. La capacità di Milwaukee di muoversi all’unisono, di recuperare sui tiratori senza lasciare l’area scoperta e di cambiare sui blocchi ha incrinato le già fragili certezze offensive dei Celtics, che si sono ritrovati spesso a dover giocare isolamenti contro accoppiamenti poco favorevoli.

 

Con la vittoria di gara-4 i Bucks hanno dimostrato di essere una squadra in grado di vincere anche quando le percentuali da tre calano drasticamente (35/84 nelle precedenti due partite, 8/37 stanotte), al contrario dei Celtics. Jayson Tatum è apparso in difficoltà nel corso di tutta la serie, tirando malissimo da tre (1/13 in quattro partite) e non arrivando mai al ferro, dove di giocate di aggressività se ne sono viste poche. Ha fatto meglio Jaylen Brown – nonostante i super recuperi della difesa di Milwaukee – mentre il rientro di Marcus Smart non ha comunque dato quel cambio di ritmo emotivo che serviva.

 

 

Le attenzioni che attira Giannis in transizione (grazie anche alla bravura dei Bucks nell’occupare in fretta gli angoli). Nella terza clip il punto esclamativo per il 3-1.

 

I Bucks sono l’unica squadra di questo secondo turno ad avere la possibilità di chiudere i conti in gara-5 davanti al pubblico di casa e mandare l’ennesimo messaggio di forza a tutta la lega. I Celtics invece devono sperare che Irving riesca a riconnettersi prima che sia troppo tardi: la difesa di Milwaukee lo rispetta ed è l’unico (assieme a Horford, progressivamente sparito nel corso della serie) che può davvero pensare di manipolarla e concedere una chance ai suoi. La stagione (e il futuro) dei Celtics sono appesi a un filo: riusciranno a ritrovarsi in tempo?

 

Toronto Raptors - Philadelphia 76ers

di Lorenzo Bottini

 

Quella tra Toronto e Philadelphia è una serie che riesce a ribaltare la propria narrazione ad ogni episodio. Se in gara-1 la sfida non sembrava neanche esistere, in gara-2 i Sixers avevano strappato il fattore campo sporcando la partita grazie alla maggiore fisicità ed intensità del proprio roster, sfruttando quello che è il loro vantaggio più grande. Sul parquet di casa, invece, Philadelphia ha cambiato totalmente marcia, costringendo i Raptors a mettersi sulla difensiva, togliendo dal campo qualsiasi giocatore che non si chiamasse Kawhi Leonard, autore della solita prova da automa con 33 punti in 22 tiri ma lasciato solo dai compagni. La squadra di Brett Brown ha giocato la migliore partita della sua stagione, grazie ad una prova corale che ha esaltato i propri tenori: Embiid, libero dai problemi al ginocchio e dalle visite alla toilette, ha dominato finalmente contro Marc Gasol costringendolo a difendere il pick and roll nello spazio, sfruttando la scarsa mobilità laterale del proprio marcatore per finire al ferro o guadagnare viaggi in lunetta (12/13 ai liberi).

 

 

Difendere droppando così tanto significa lasciare lo spazio per il pocket pass per Embiid, non il più dinamico dei rollanti, per l’and-one. Gasol non ha la mobilità per difendere in aiuto e recupero (hedge) che sarebbe il modo migliore per contenere Joel.

 

Gli aggiustamenti fatti da Brown in gara-2 hanno pagato dividendi ancora più alti in casa, in particolare difensivamente grazie alle grandi prove di Ben Simmons, sacrificato in missione su Kawhi, e di Embiid in marcatura su Siakam, per potersi muovere da battitore libero. Il tutto reso possibile da Tobias Harris “nascosto” su un Marc Gasol molto passivo con il pallone tra le mani. La strategia ha funzionato molto bene (tranne per la parte di dover fermare Leonard), con Embiid che ha contestato qualsiasi iniziativa di Toronto nel pitturato e cambiato il tono della partita con due stoppate dominanti su Siakam, portandolo alla crisi di nervi. Il Flagrant-1 fischiato al camerunense per lo sgambetto sul suo connazionale è stato il turning point della partita, con i Sixers capaci di sfruttare i tre minuti ad inizio quarto periodo nei quali Nick Nurse ha deciso di far rifiatare Leonard per aprire il parziale che decide la gara.

 

La Kawhi-dipendenza dei Raptors è stata plasticamente rappresentata dal parziale di 9-0 con il quale i Sixers iniziano l’ultimo parziale di gioco, ed è stata ancora più evidente numeri alla mano. Quando Leonard è in campo Toronto ha un Net Rating positivo su cento possessi di +9,4, punti mentre nei 27 minuti nei quali Kawhi è in panchina precipita fino a -53, con l’attacco dei Raptors totalmente incapace di produrre punti. Con Kyle Lowry e Marc Gasol molto riluttanti a prendersi i tiri aperti (hanno chiuso gara-3 con 16 tentativi in due e solo quattro canestri) e Siakam mandato fuori ritmo da Embiid, la difesa dei Sixers ha fatto un eccellente lavoro nel restringere il campo aiutando lontano dai tiratori di Toronto.

 

In attacco invece Brown ha aumentato il numero di pick and roll giocati dalla propria squadra lasciando il pallone nelle mani di Jimmy Butler e confinando Simmons nel dunker spot o da flare screener sulla linea di fondo. L’ex giocatore di Minnesota ha sfiorato la tripla doppia orchestrando perfettamente l’attacco omogeneo dei Sixers con tutto il quintetto in doppia cifra, ma è stata soprattutto la panchina a fare la differenza per Philadelphia – una eventualità che era davvero difficile da prevedere ad inizio serie – che vince la sfida nella sfida 23 a 15.

 

Toronto in gara-4 era spalle al muro, con tutta l’inerzia spostata verso la squadra di casa e con i propri leader emotivi incapaci di dare la scossa giusta. Lowry ha provato immediatamente a invertire il trend della sua serie mostrando una ritrovata aggressività in transizione e al ferro, non rifiutando più i tiri aperti che gli concedeva la difesa di Phila, e anche Gasol si è messo in testa di dover sfruttare il mismatch con Tobias Harris in tutte le occasioni di pick and pop nelle quali Leonard veniva intrappolato.

La più accurata descrizione della stagione di Kyle Lowry e i Toronto Raptors che possa esistere.

 

Ma il dominatore di questa serie rimane ancora lui, Kawhi Leonard, protagonista di prestazioni che finiranno dritte nei libri di storia. Con 38 punti di media e il 62% dal campo è il secondo giocatore perimetrale di ogni tempo oltre i 35 punti e il 60% in una serie di playoff, con l’altro che è ovviamente Michael Jordan. Leonard sta dimostrando di essere ancora più completo e spietato di quanto non fosse in maglia Spurs ora che l’intero attacco è predicato sulle sue decisioni palla in mano. I Sixers hanno solo in Simmons un difensore in grado di contenere seppur minimamente le sue capacità realizzative, almeno forzandolo a tiri contestati, che comunque sta segnando con irreale facilità.

 

Quando viene lasciato libero, Kawhi non sbaglia praticamente mai (21 su 24) e l’unica area del campo in cui non si accende la luce verde nella sua mappa di tiro è quella da cui ha sparato la tripla sopra Embiid che ha deciso gara-4. Leonard sta tirando il 70% dalla media distanza e il 46% da tre su volumi non indifferenti: i Sixers stanno pregando che prima o poi arrivi la famosa regressione statistica a fermare la sua vena realizzativa, ma più passa il tempo e più è come sperare che si inceppi un T-800.

 

Brown dovrà trovare un modo per fermare Leonard ora che la serie si è nuovamente spostata in favore di Toronto, magari provando a raddoppiarlo in situazione di pick and roll e forzandolo a fare letture complicate. L’unico neo del gioco di Kawhi infatti si nota quando deve effettuare passaggi difficili: i Sixers sono riusciti a forzarlo a 12 palle perse nelle due partite casalinghe contro solo 8 assist.

 

 

Vari esempi di come quando Kawhi viene raddoppiato ha difficoltà a leggere il campo ed effettuare la giusta giocata, un po’ per i suoi limiti come passatore, un po’ per la scarsa mobilità e spacing dei suoi compagni.

 

Per essere più aggressivi su Leonard sarà indispensabile che Embiid sia finalmente in condizione accettabile, non fermato dai problemi fisici che ne hanno funestato fin qui i playoff. Una dieta a base di riso pilaf in bianco e limonate senza zucchero potrebbe essere per i Sixers fondamentale quanto un aggiustamento difensivo o una tripla di Simmons. Statisticamente quando la squadra con il seed più alto riesce ad impattare sul 2 a 2 vince la serie il 79% dei casi, un dato che dovrebbe confortare la franchigia canadese, se non fosse per la strana predilezione di quest’ultima nel buttare al vento durante i playoff ogni occasione di successo. Gara-5 di stanotte alla Scotiabank Arena sarà sicuramente decisiva.

 

Western Conference

Golden State Warriors – Houston Rockets

 

di Dario Costa

 

Sull’orlo del precipizio nonostante due buone partite giocate alla Oracle Arena, i Rockets sono tornati tra le mura amiche con idee chiare su come provare a colmare il gap che li separa dai campioni in carica. Senza rinunciare al tratto caratteristico della loro identità, ovverosia la pioggia di triple prese a ogni occasione possibile, i ragazzi di D’Antoni hanno accentuato l’attenzione nei confronti del ferro, sia nella protezione di quello amico che nell’attaccare quello avversario. Già dall’inizio di gara-3 Clint Capela ed Eric Gordon sono scesi in campo con la chiara intenzione di elevare il livello di aggressività mostrato nei primi due episodi della serie.

 

 

La stoppata a due mani di Capela su Iguodala notifica le regole di ingaggio nel pitturato dei Rockets.

 

Quando a turno Green, Iguodala o Durant non si sono sacrificati in copertura, Golden State non è riuscita a trovare antidoto alcuno alle penetrazioni di un Eric Gordon in stato di grazia (30 punti in gara-3, 20 in gara-4). Né Kevon Looney, i cui limiti nella comprensione del gioco sono emersi in maniera palese, e tantomeno il fantasma avvizzito di Andrew Bogut sono riusciti ad invertire la tendenza alla pigrizia difensiva degli uomini di Kerr. Durant in gara-3 si è preso parecchi tiri, a discapito dell’efficienza, ma la sua insistenza ha attirato raddoppi consentendo  a Green e Iguodala di trovare canestri relativamente semplici.

 

 

Harden e Capela raddoppiano Durant a metà campo, lasciando i compagni in inferiorità numerica.

 

Il metro arbitrale delle due gare giocate a Houston ha permesso molti più contatti rispetto a quello adottato ad Oakland specialmente in uscita dai blocchi, dando vita a fasi convulse, con parecchi errori da entrambe le parti, spesso forzati da difese sempre al limite del fallo. In una serie in cui il logorio fisico comincia ad essere un fattore, è stata la panchina dei Rockets con Austin Rivers, efficace su entrambi i lati del campo, e un Iman Shumpert inaspettatamente preciso dalla lunga distanza in gara-3 (ha chiuso con 3/5 da tre, era 1/8 nelle prime due partite) a fare la differenza. Gli Warriors hanno pagato due serate disastrose al tiro per gli Splash Brothers: Steph Curry, quasi irriconoscibile con il suo 39.6% dal campo e 26.1% da tre, ha fatto solo leggermente meglio di Klay Thompson (35.5% dal campo, 25% da tre).

 

D’Antoni, a differenza dei primi due episodi della serie, ha poi deciso per larghi tratti di non utilizzare il raddoppio automatico su Kevin Durant, costringendo i Rockets  a commettere fallo praticamente ad ogni azione (22 liberi tentati nelle gare giocate a Houston, 6 in più di Harden). Dall’altra parte, molto semplicemente, quanto a freddezza e continuità nelle fasi decisive delle due vittorie si è visto il miglior Harden di sempre in versione playoff.

 

 

James Harden in controllo assoluto: nel suo supplementare 7 punti e 3/4 dal campo.

 

Il dato su cui entrambi i coaching staff continueranno a soffermarsi in vista di gara-5 è quello relativo ai rimbalzi offensivi: Golden State, dopo aver  spadroneggiato alla Oracle (26-13 il complessivo di gara-1 e 2) si è fatta travolgere da Houston nelle partite giocate in Texas (30-15 per i Rockets a rimbalzo offensivo, 105-78 il conteggio finale).

 

Lo slancio con cui si è andati alla ricerca dei palloni sputati dal ferro è risultato apparente anche in gara-4, dove Houston è scesa in campo con la consapevolezza di poter dare un nuovo senso alla serie. Le rotazioni difensive sono state pressoché impeccabili da entrambe le parti, con Green e Iguodala a tirare le fila nei tentativi, spesso vani, di arginare Harden. Gordon ha continuato a impegnare Curry nella metà campo offensiva, riducendone la lucidità nelle scelte in attacco. La linea guida di Kerr, tenere Harden lontano dalla lunetta, ha però cominciato piano piano a infrangersi davanti all’onnipotenza dell’MVP in carica.

 

 

Nove punti in meno di due minuti per Harden, parziale di 17-4 per Houston che vola a +12.

 

Golden State ha ripetutamente sbagliato tiri facili vicino a canestro aprendo il contropiede in superiorità numerica ad Harden e Paul, concessione che i Rockets hanno sfruttato a pieno. In gara-4 gli Warriors sono rimasti aggrappati alla partita grazie al solito, inarrestabile Durant (a cui i tifosi texani hanno gridato “New York Knicks!” per tutta la partita). Harden invece ha costretto la difesa avversaria a cambiare per poi banchettare su Looney e su un Curry in evidente difficoltà nella tenuta dell’uno contro uno. La stella dei Rockets si è presa il palcoscenico, ma è stata la scienza cestistica di Paul a fare davvero la differenza nelle pieghe delle due sfide, rimaste comunque in bilico soprattutto grazie all’ostinazione di Draymond Green, protagonista di playoff sul confine della tripla doppia di media. Gli errori di Curry e Durant da dietro l’arco e di Paul e Harden dalla lunetta sul finale di gara-4 sono sembrati la conferma definitiva di come questa serie, in cui i protagonisti principali hanno registrato minutaggi molto consistenti, abbia cominciato a logorare anche i futuri Hall of Famer in campo.

Due buoni tiri dei due migliori attaccanti in maglia Golden State, ma non basta.

 

Houston, contro buona parte delle previsioni dopo gara-2, ha riportato la serie in parità confermando il dato che ha contrassegnato fin qui le quattro sfide giocate: chi s’impone nella lotta a rimbalzo vince. Non solo: l’impressione è che ai Rockets sia riuscita l’impresa, quasi miracolosa, d’imporre il proprio ritmo al gioco. La serie ha fin qui registrato un dato medio relativo ai possessi (96.0) molto più vicino alle abitudini di Harden e compagni (98.43 in regular season, 97.48 nei playoff) piuttosto che a quelle di Golden State (101.78 e 100.21).

 

Con gli Warriors di fatto costretti a contare solo sui titolari (69 a 42 a favore di Houston l’impietoso conteggio dei punti segnati dalle panchine finora nella serie), la sensazione è che D’Antoni voglia provare a sfruttare quello che è forse l’unico difetto degli Hamptons Five, ovverosia la difficoltà nel tenere a rimbalzo. I Rockets, viceversa, sono fin qui riusciti a reggere il confronto grazie alle prestazioni mostruose di P.J. Tucker (11 rimbalzi di media di cui 5 offensivi nelle due vittorie casalinghe), pronto a sacrificarsi nel quintetto in cui funge da unico lungo nominale con quattro guardie attorno.

 

La notizia, dunque, è che la serie esiste e l’equilibrio regna sovrano (448-447 per gli Warriors il conteggio complessivo dei punti). Un risultato tutt’altro che scontato prima di gara-1, così come adesso non sembra affatto scontato l’esito finale della serie.

 

 

Denver Nuggets - Portland Trail Blazers

Di Dario Ronzulli

 

Perdere una partita al quarto supplementare può stroncarti le gambe, appesantirti la testa e farti vedere il mondo come un posto freddo e desolato. Ai giovani Nuggets, invece, è accaduto esattamente il contrario. Con un terzo quarto difensivamente di alto livello e con una gestione sapiente e lucida del finale, la squadra di coach Malone ha fatto girare gara-4 dalla propria parte e impattato la serie sul 2-2. I Blazers, al contrario, hanno perso l’occasione d’oro per capitalizzare sulla maratona di gara-3 e ora si ritrovano con qualche grattacapo in più da gestire, soprattutto con Damian Lillard.

 

Come avevamo scritto al primo cambio campo, la sensazione era che il destino della serie dipendesse soprattutto dal rendimento del supporting cast. Le due partite in Oregon l’hanno confermato in gran parte, con Jamal Murray e C.J. McCollum stanno offrendo prestazioni ben oltre il concetto di principale aiutante, ma ci hanno anche detto che il definitivo spostamento della bilancia sarà determinato dalle due superstar, come è giusto che sia.

 

Nikola Jokic è diventato una macchina da tripla doppia anche ai playoff. Sui 100 possessi – che diventano il parametro necessario per uniformare la lunga partita a quelle normali – ha cifre da capogiro: 31 punti, 15.9 rimbalzi e 11.8 assist. E se i numeri sono questi, gli si può anche perdonare qualche passaggio a vuoto in difesa e dei closeout che arrivano parecchio ritardo. Anche giocando 65 minuti, anche gravato di cinque falli, il serbo non ha fatto calare il suo rendimento. È lui l’ago della bilancia per i Nuggets, ed è giustamente a lui che i Nuggets si affidano più di qualsiasi altro giocatore di questi playoff.

 

 

Kanter diligentemente chiude la penetrazione a Murray, Harkless decide di dargli una mano lasciando Jokic alle incombenze di qualcun altro. Che non c’è, perché Lillard fa un mezzo passo verso il serbo ma si preoccupa di più di Torrey Craig (sic). Troppa grazia per Jokic, che non può esimersi dall’andare verso il gomito e far partire un floater indisturbato. Spesso i Blazers hanno compiuto scelte difensive discutibili come questa lasciando enorme spazio di manovra a The Joker, e sono stati puntualmente puniti.

 

Di contro, sembra strano dirlo, c’è un Damian Lillard in difficoltà. Usare una parola del genere per uno che viaggia a 27.3 punti e 6.3 assist di media può sembrare una bestemmia, ma bisogna andare oltre questi numeri per capire che Dame che sta incidendo meno nelle sorti della sua squadra rispetto al solito. Facciamo un rapido paragone sui 100 possessi rispetto alla serie contro i Thunder, dove il numero 0 ha offerto prestazioni tendenti al sublime. Contro i Nuggets tira meno (24.3 tiri invece che 27) e molto peggio da 3 (25.7%, contro OKC ha chiuso al 48.1%). Lo Usage è passato dal 31.2% al 27.8%, il che significa che si ritrova meno con la palla in mano: questo di per sé non sarebbe un problema, ma il dato più eloquente di tutti su quanto Lillard stia facendo fatica è il differenziale di Net Rating tra quando è in campo e quando osserva dalla panchina. Contro Westbrook e compagni, Portland aveva +11.4 con Lillard in campo e -30.3 (con un imbarazzante rating offensivo di 65.2…) con la sua stella in panca; contro Jokic e compagni, invece, i Blazers producono un -2.1 quando Dame è sul parquet e +4.1 quando invece non c’è.

 

Sfuggiamo dal facile e banale pensiero che “si gioca meglio senza Lillard”: la realtà è che in questa serie il resto del cast dei Blazers sta offrendo un rendimento eccezionale per ovviare alle difficoltà del proprio leader (il nome di Rodney Hood dovrebbe dirvi qualcosa). Difficoltà che nascono dal fatto che Mike Malone ha preparato una staffetta difensiva che coinvolge Murray, Harris, Craig e Beasley: forze (quasi) sempre fresche con l’obiettivo di subire il meno possibile dal nativo di Oakland, che non a caso ha visto il suo Pace crollare da 102.3 a 94.6: se non può alzare i ritmi, anche un attaccante del livello di Lillard diventa “meno” pericoloso.

 

 

Qui Craig prende Lillard appena superata la metà campo, tiene il suo uomo dopo il primo blocco di Kanter e costringe la stella dei Blazers a cercare ancora il turco per guadagnare spazio, puntando anche sulla poca mobilità di Jokic. Il tiro di Lillard esce di poco, ma il punto è che Dame affretta la conclusione per timore del ritorno di Craig, lui sì molto mobile.

 

Altro esempio preso da gara-4.

 

 

McCollum indica Lillard ad Harkless che vorrebbe davvero dargli il pallone, ma c’è Harris che pare una montagna invalicabile. Allora Dame va a prendersi il pallone da Kanter, ma il numero 14 Nuggets ha ottimo tempismo nel passare sopra il blocco e restare a contatto. Fisicamente il tiro non è sporcato ma non è preso con sicurezza: basti vedere il movimento innaturale di Dame. Certo, quei canestri li sa anche mettere, ma non è questo il caso – e non è questa la serie, almeno per ora.

 

Se nelle prime tre partite sono arrivati raddoppi poi puniti dai Blazers – chiedere info al riguardo a McCollum -, in gara-4 invece l’uomo di Lillard è stato lasciato solo con il compito di togliergli ritmo e fiducia al tiro; il tutto mentre gli altri hanno lavorato sul togliergli le ricezioni. Un meccanismo complesso visto il valore del giocatore in questione, ma che ha pagato dividendi soprattutto nel terzo periodo grazie ad un’applicazione feroce. Ora, nella serie al meglio delle tre che ci aspetta, è lecito attendersi un Lillard più rapido nelle letture e più preciso: va bene che si vince di squadra, va bene che McCollum e Hood e l’altro Curry stan facendo belle cose, ma che Portland possa fare strada senza il consueto apporto del suo capo spirituale appare improbabile, specie ora che dovrà vincere almeno una partita al Pepsi Center.

 

Dall’altra parte Denver si è rialzata dopo un ko che avrebbe tramortito squadre ben più esperte aggrappandosi all’enorme talento di Jokic, il quale ha in mano il pallino della serie e torna tra le mura amiche dove ha costruito gran parte delle sue fortune. Il dispendio di energie difensivo potrebbe costare qualcosa in termini di efficienza e lucidità ma lo stesso vale anche per Portland, naturalmente. Gara-5 può essere davvero il crocevia di questa semifinale di conference.

 

 

Tags : boston celticsdenver nuggetsgolden state warriorshouston rocketsjames hardenkawhi leonardMilwaukee Bucksphiladelphia 76ersportland trail blazerstoronto raptors

La redazione basket è composta da gente molto alacre che vorrebbe giocare a basket ma che purtroppo sarebbe troppo bassa anche per il campionato filippino. Almeno due membri della redazione basket sono convinti che il film A Beautiful Mind parli di loro.

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Il pericoloso limbo dei Golden State Warriors

Dopo un anno di purgatorio, Golden State vuole tornare subito a recitare da protagonista. Ma è così semplice?

altro da houston rockets
NBA Niccolò Scarpelli 9'

La rinascita di Christian Wood

Dopo anni a sprecare occasioni, ora il lungo degli Houston Rockets può davvero fare il salto di qualità.

NBA Lorenzo Bottini 11'

Harden e i Rockets, storia di un matrimonio

Il modo in cui il “Barba” sta provando a lasciare Houston evidenzia i limiti del player empowerment.

NBA Daniele V. Morrone 13'

La leggenda dei 13 punti in 35 secondi

Il 9 dicembre del 2004 Tracy McGrady realizzava il più incredibile finale individuale di sempre.