Dopo aver trasformato il Chievo in una piccola esponente della classe media della Serie A, o comunque in una squadra che non faticava a salvarsi, almeno fino a quando è rimasto sulla sua panchina, Rolando Maran sta portando anche il Cagliari - un’altra squadra perennemente in lotta per la sopravvivenza – in posizioni di classifica che teoricamente non dovrebbero competergli. Con la migliore partenza in campionato nell’era dei tre punti (cioè a partire dal 1994), la squadra sarda è adesso al terzo posto a pari merito con la Lazio, davanti a squadre come Atalanta, Roma e Napoli.
Il Cagliari non perde addirittura dal primo settembre, quando venne sconfitto per 1-2 alla Sardegna Arena dall’Inter, e al di là di come andrà a finire rappresenta di certo la principale sorpresa di questa Serie A. Non solo per i risultati in sé, che forse ci si poteva attendere dall’ottimo mercato estivo (che ha portato in Sardegna, tra gli altri: Nainggolan, Nandez, Rog, Olsen, Simeone e Luca Pellegrini), ma per come sono arrivati. Dopo una stagione, cioè, che era sembrata grigia e senza troppe prospettive, in cui il Cagliari sembrava mancare proprio di quell’identità che la società sperava di portare con l’ingaggio di Maran.
Non è stato solo il mercato a dare la spinta decisiva al Cagliari, alzando il suo livello tecnico. C’è voluto anche un fine lavoro del suo allenatore, che con alcune piccole mosse è riuscito a cucire le sue idee sulle misure di una rosa diversa rispetto a quella dell’anno scorso.
L’inaspettata e contraddittoria importanza di Simeone
Simeone, innanzitutto. Arrivato nelle ultime ore di mercato come salvagente disperato dopo l’infortunio al legamento crociato di Pavoletti a fine agosto, l’attaccante argentino ha rappresentato per Maran il cardine su cui modificare gradualmente il Cagliari. Dando in primo luogo una nuova forma all’attacco.
L’anno scorso Maran non è mai riuscito a trovare un compagno d’attacco adatto alle caratteristiche di Pavoletti, al fianco del quale si sono alternati Joao Pedro, Farias e a volte Sau. Al di là dei nomi, comunque, erano gli stessi movimenti della coppia d’attacco a non funzionare, con il Cagliari che si è lentamente adagiato sul gioco spalle alla porta e di testa di Pavoletti, che ha finito per condizionare tutto il suo gioco offensivo. La scorsa stagione la squadra di Maran ha fatto sempre più affidamento ai lanci lunghi per risalire il campo e ai cross per attaccare l’area (ben 20.9 a partita), fino ad arrivare al punto di non poterne a fare più a meno. Una strategia che ha permesso a Pavoletti di segnare un numero insensato di gol di testa (addirittura 11), ma che ha finito per inaridire il gioco del Cagliari.
Con il grave infortunio di Pavoletti a inizio stagione e l’influenza sempre maggiore di Joao Pedro sul gioco offensivo dei sardi, Maran ha così deciso (soprattutto a partire dalla partita contro la SPAL) di rinunciare definitivamente alla seconda punta, rovesciando il triangolo d’attacco e passando dal 4-3-1-2 al 4-3-2-1 - il celebre “albero di Natale”. È un cambiamento quasi da niente, che ha comportato spostamenti di pochi metri, ma che ha di molto facilitato alcuni compiti del Cagliari.
Senza palla, innanzitutto. Con il rombo molto stretto a proteggere il centro, infatti, Maran chiede alle mezzali di uscire sugli esterni di difesa avversari quando stanno per ricevere palla dai centrali e contemporaneamente alle due punte di schermare la linea di passaggio diagonale che si apre dall’esterno di difesa ai corridoi intermedi della trequarti.
La schermatura delle diagonali esterno-interno nel 4-3-1-2…
L’albero di Natale permette al Cagliari di avere già due uomini in quegli spazi – due uomini già abituati a difendere, tra l’altro – invece di chiedere lunghe corse all’indietro alle sue due punte del 4-3-1-2, senza le quali l’intera struttura rischia di diventare poco sostenibile da un punto di vista difensivo.
…e nel 4-3-2-1.
Ma il 4-3-2-1 aiuta i sardi anche con il pallone. Con due trequartisti già posizionati nei mezzi spazi, pronti a ricevere e ad associarsi in velocità (ci torneremo più avanti), Maran può esonerare Simeone da quello che sa fare peggio (cioè venire tra le linee a fare da muro per i suoi compagni) e chiedergli di concentrarsi su quello che sa fare meglio, cioè correre in profondità.
Con un uomo costantemente a minacciare la profondità il Cagliari prende due piccioni con una fava: apre lo spazio tra difesa e centrocampo avversario per le ricezioni tra le linee dei suoi trequartisti; e dà una linea di passaggio lunga al suo centrocampo o alla sua difesa, che possono tentare la verticalizzazione improvvisa quando gli avversari stanno salendo ad accorciare il campo con la linea del fuorigioco.
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Sul prosieguo di questa verticalizzazione di Castro per Simeone, l’attaccante argentino servirà una grande palla in area per la sovrapposizione di Cacciatore, che manderà al tiro al centro dell’area Joao Pedro. Solo un grande intervento in scivolata di Djimsiti eviterà il gol.
In questo modo, il Cagliari non solo ha quasi risolto la sua dipendenza dal cross (adesso sono 18.3 a partita), un’arma che sarebbe ancora più inefficace di quanto lo è normalmente senza Pavoletti al centro dell’area, ma ha anche ritrovato quelle associazioni tecniche in verticale che caratterizzano il gioco di Maran dai tempi del Chievo.
Un gioco che è valso la candela, insomma, anche se Simeone è tutto fuorché il centravanti più efficace della Serie A e spesso è poco lucido sotto porta (e infatti anche statisticamente sta underperformando, avendo segnato 4 non-penalty goals da 5,4 Expected Goals). Che un attaccante che segni così poco sia così importante per la propria squadra è sicuramente controintuitivo, e per certi versi paradossale. Ma è probabile che Maran sia ben contento di accontentarsi dei benefici tattici delle sue corse in verticale, e del suo sacrificio estremo nel pressing, a volte anche all'indietro, dopo che la squadra avversaria ha superato la prima linea di pressione.
L’asse Joao Pedro-Nainggolan
Come abbiamo già detto, il rovesciamento del triangolo d’attacco e il conseguente passaggio al 4-3-2-1 ha avuto il grande merito di avvicinare sulla trequarti Joao Pedro e Nainggolan, la cui connessione è così diventata il vero fulcro creativo di questo nuovo Cagliari di Maran com'è apparso chiaro nel primo gol dei sardi nell'ultima roboante vittoria contro la Fiorentina.
In realtà, però, non è stata una soluzione ovvia come adesso ci sembra, e anzi l’allenatore trentino ha dovuto fare diversi tentativi per arrivarci. Quando il centrocampista belga è arrivato a Cagliari, infatti, non era chiaro quale posizione dovesse occupare, e sia nel precampionato che nelle prime giornate di campionato Maran ha deciso addirittura di schierarlo da vertice basso del centrocampo a tre. Una soluzione che aiutava il Cagliari a coprire il campo, soprattutto quando cercava di scivolare orizzontalmente in zona palla, ma che d’altro canto finiva per sacrificare le qualità creative e realizzative di Nainggolan.
Maran ha quindi cambiato idea già dalla terza giornata di campionato contro l’Inter, rimettendo in campo Cigarini come vertice basso, e riportando Nainggolan in zone più alte di campo, prima da mezzala e poi, complice anche l’infortunio di Birsa, da trequartista (curiosamente per la prima volta proprio contro la squadra che per primo l’aveva messo in quella posizione, la Roma). Il dilemma sulla posizione Nainggolan ha ricordato per certi versi quello che aveva attanagliato il tecnico del Cagliari l’anno scorso con la posizione di Barella, spostato in quasi tutte le posizioni di centrocampo senza riuscire mai a trovare i meccanismi migliori per esaltare il suo talento.
Con un giocatore dalle qualità offensive più spiccate, e grazie alla connessione con Joao Pedro, però, Maran è riuscito questa volta a trovare l’equilibrio giusto. E così, in campo, si sono rivisti alcuni dei meccanismi tipici del suo gioco, che già avevamo imparato ad apprezzare con il Chievo. Per esempio, l’idea di sovraccaricare le linee di passaggio di uomini per creare incertezza nella difesa avversaria su chi effettivamente riceverà il pallone, e sfruttare sistematicamente armi come il velo o le giocate spalle alla porta nel breve per liberare l’uomo fronte alla porta.
Un’azione tipica, per esempio, è quella che vede la difesa far circolare orizzontalmente il pallone fino ad arrivare al terzino, mentre i due trequartisti e la mezzala dal lato opposto rispetto a quella palla si posizionano sulla stessa linea di passaggio diagonale dall’esterno verso il centro. E a quel punto o sfruttare il velo per disordinare le marcature avversarie.
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Un esempio dalla partita contro l’Atalanta di utilizzo del velo per disordinare le marcature a uomo della squadra di Gasperini e arrivare in porta con letteralmente due passaggi.
Oppure degli appoggi di prima che liberino l’uomo sulla trequarti libero e fronte alla porta.
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Qui la traccia diagonale di Pellegrini è diretta a Joao Pedro, che con un semplice tocco in orizzontale di prima serve Nainggolan, libero fronte alla porta. Il trequartista belga con una verticalizzazione servirà poi la corsa in profondità di Simeone.
In questo modo Joao Pedro e Nainggolan sono diventati la principale fonte di pericolosità offensiva del Cagliari. Insieme hanno segnato il 34,8% dei gol della squadra sarda, e realizzato il 22,6% dei suoi passaggi chiave. E questo nonostante abbiano giocato insieme sulla trequarti solo le ultime sei partite di campionato.
La difesa e il momento di forma di Olsen
Ma il Cagliari è anche e soprattutto una squadra che fa della solidità difensiva la sua principale forza. Dopo un anno in cui sembrava volesse alzare il baricentro della squadra e puntare più convintamente sul pressing alto come fonte di gioco a sé stante, Maran è tornato sui suoi passi, comprimendo la squadra nella propria metà campo senza il pallone e cercando di attaccare quindi in campo lungo.
Il Cagliari, al momento, non è solamente quintultima in Serie A per possesso palla medio (45.8%), ma anche quartultima per recuperi palla offensivi (10,4 a partita; la media della Serie A è a 12,6), ultima per passaggi completati in area avversaria, penultima per passaggi completati nel terzo offensivo e terza per PPDA, cioè il rapporto tra i passaggi effettuati dalla squadra avversaria nei primi 60 metri di campo avversari e gli interventi difensivi effettuati nella stessa zona di campo. Più basso il PPDA, maggiore è l’intensità del pressing della squadra, e le uniche squadre con un valore più alto del Cagliari in Serie A sono il Lecce e il Brescia.
Il baricentro così basso e le linee così schiacciate hanno innanzitutto permesso al Cagliari di crearsi lo spazio alle spalle delle difese avversarie da attaccare con transizioni lunghe, senza cui il gioco di Maran diventa poco efficace. La grande densità centrale creata dal 4-3-2-1, inoltre, aiuta la squadra sarda ad avvicinare i giocatori tra loro e facilitare quindi il recupero del pallone appena perso. Un’arma, quella del gegenpressing, che non solo permette al Cagliari di mitigare gli effetti negativi di un gioco di transizioni che inevitabilmente tende ad allungarlo sul campo, ma che utilizza spesso anche in termini offensivi, permettendo alla squadra di Maran di innescare le transizioni nel momento in cui gli avversari sono più disorganizzati.
Gegenpressing che, tra l’altro, è stato trasformato in un vero e proprio inferno per gli avversari da giocatori fisici e aggressivi come Rog e Nandez, e che da un punto di vista atletico è forse l’aspetto del gioco più impressionante del Cagliari in un campionato che non fa certo dell’intensità il suo punto di forza.
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Un esempio, dalla partita con l’Atalanta, di come il Cagliari sappia restringere il campo intorno agli avversari in una frazione di secondo: il “Papu” finisce per perdere il pallone un attimo dopo averlo controllato, circondato dai tre centrocampisti di Maran.
A vedere anche i gol subiti dal Cagliari (12; solo Juventus e Verona in Serie A hanno fatto meglio) si potrebbe pensare quindi che la mossa di Maran di abbassare così tanto il baricentro abbia effettivamente funzionato, in termini di solidità difensiva della sua squadra.
A dire le verità, però, le cose sono più complesse di così. Il Cagliari è infatti una delle squadre che ha concesso più Expected Goals in Serie A (solo Parma, Verona, Brescia Genoa, Torino e Lecce hanno fatto peggio) e deve molto della sua impenetrabilità al momento di forma di Robin Olsen. Al momento, il portiere svedese arrivato dalla Roma è quello che sta rendendo statisticamente di più tra i pali in Serie A, avendo subito appena 9 gol da 14 xG* (la nuova metrica creata da Alfredo Giacobbe per misurare l’efficacia dei portiere nel respingere i tiri in porta). In altre parole, Olsen ha subito 5 gol in meno rispetto a quelli che in media si incassano con i tiri in porta subiti dal Cagliari finora.
I dati sulla solidità difensiva del Cagliari non cambiano certo la prospettiva su quello che ha fatto la squadra sarda finora, ma devono essere uno stimolo ulteriore al miglioramento per Rolando Maran, se è vero, come ha detto qualche giorno fa, che non vuole "precludersi nulla". Per una squadra che continua a creare poco (è sedicesima in Serie A per xG creati) e che non ha finalizzatori di alto livello, mantenere questo livello di efficacia difensiva è vitale se si vuole mantenere questo ritmo. E penso che nessuno in Sardegna, dopo anni grigi e deludenti, voglia davvero perdere questo ritmo.