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Indro Pajaro
Breve storia del tifo tedesco
29 mar 2023
29 mar 2023
Apprezzati all’estero, vituperati in patria: come viene visto e vissuto il tifo in Germania.
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Indro Pajaro
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IMAGO / osnapix
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I tedeschi amano andare allo stadio, e spesso lo fanno in grande stile. È questa la prima considerazione quando si guarda alla media spettatori nei cinque maggiori campionati europei. Al primo posto, anche a livello mondiale, c’è proprio la Bundesliga con le sue oltre 42mila presenze, a seguire la Premier League con 40mila e infine la Liga poco al di sotto delle 30mila. Se poi aggiungiamo un tasso di riempimento del 92%, è facile ricavare la cartina tornasole del virtuosismo tedesco legato alla fruizione di una partita di calcio. Impianti belli e funzionali, molti dei quali oggetto di restyling per i Mondiali del 2006, rappresentano da anni una cornice apprezzata e invidiata un po’ da tutti. A comporre l’ecosistema-stadio ci sono diverse tipologie del tifoso: uomini, donne, bambini, anziani, famiglie, sponsor, personalità pubbliche. E poi loro, gli ultras. Non certo una novità, riconoscibili compatti dietro una delle due porte e lo striscione del gruppo di appartenenza, ma con la caratteristica pressoché unica di essere una componente fondamentale del sistema calcistico tedesco cui non sempre però vengono riconosciuti i giusti crediti e una certa importanza.

Origini e sviluppi del tifo in Germania

È difficile risalire con certezza alla data che segnò la nascita del movimento, ma è ragionevole pensare che le prime manifestazioni del tifo organizzato risalgano al biennio 1997-98 in concomitanza con la fondazione degli Ultras Frankfurt (UF), probabilmente tra i primi a legare il proprio nome a questo termine. L’idea era quella di mutare le proprie tendenze e creare un nuovo modo di sostenere la squadra. Cori, battimani e tamburi diventano i mezzi con cui scaldare l’atmosfera all’interno degli impianti, mentre bandieroni e scenografie quelli con cui colorare il proprio settore e creare un certo colpo d’occhio. Prima di allora il panorama era stato costituito perlopiù dai fan club, ovvero associazioni di tifosi — potevano essercene di diverse per ogni squadra — antenate dei futuri gruppi ultras, prive però di una struttura logistica e un modus operandi definiti.

In un’epoca in cui non esistevano i social network, e internet era ancora gli albori, furono il passaparola e la diffusione negli stadi di riviste come Supertifo a trasmettere la possibilità che, unendo le forze in un credo comune, fosse possibile emulare quanto stava già succedendo in alcuni Paesi europei. L’affermarsi come un movimento in rottura con gli usi e i costumi che avevano contraddistinto la visione di una partita di calcio attira presto l’attenzione della polizia, della stampa, dei club e dei tifosi tradizionali. A partire dagli anni Duemila praticamente tutte le partecipanti alle leghe professionistiche tedesche possono contare sul supporto di un gruppo organizzato.

Nasce un nuovo modo di intendere il tifo. Secondo una relazione del 1996 al Parlamento europeo, allora i sostenitori tedeschi provenivano soprattutto dagli strati medi della società e potevano essere suddivisi in tre grandi tipi: il “consumatore”, che siede in un posto tranquillo e vuole vedere una bella partita; quello "orientato al calcio", legato a un fan club, con addosso i colori e gli stemmi della sua squadra che sostiene nella buona e nella cattiva sorte; l’“avventuriero” a cui interessa veder succedere qualcosa, a prescindere che abbia a che fare o meno con il calcio.

Se quella degli ultras è una storia relativamente recente, lo stesso non vale per la violenza associata al gioco, comparsa in maniera sistematica agli inizi degli anni Ottanta sulla scia dell’esplosione della deriva parossistica del tifo già riscontrata in Italia e Inghilterra. A farne le spese per primo fu il sedicenne tifoso del Werder Brema Adrian Maleika.

Il 16 ottobre 1982 la sua squadra è impegnata al Volksparkstadion di Amburgo contro i padroni di casa, si gioca la la Coppa di Germania. Parte dei sostenitori ospiti scende dal treno una fermata dopo rispetto a quella prevista e si ritrova senza scorta della polizia nell’abituale luogo di ritrovo di un gruppo di tifosi dell’Amburgo, noti per le simpatie verso l’estrema destra, che non esitano ad attaccarli. Maleika cerca di sfuggire dalla rissa ma viene colpito alla testa da un mattone. Muore il giorno dopo per un’emorragia cerebrale. Ancora oggi il suo omicidio rimane senza colpevole.

Ruolo e funzione del “progetto-tifoso”

La Germania si risveglia sotto shock: agguati e aggressioni facevano parte della quotidianità in Bundesliga, ma mai prima di allora erano sfociate nel sangue. La morte di Maleika rappresenta il punto di svolta, l’evento che rende impossibile proseguire in quelle condizioni e spinge a ripensare il contrasto all’hooliganismo.

Servono alternative alla repressione poliziesca, ormai insufficiente, e da questo ragionamento nasce il “progetto-tifoso”, dal tedesco Fanprojekte. L’obiettivo è frenare la violenza, contrastare gli estremismi politici nelle curve e promuovere una cultura inclusiva e diversificata. Finanziato in parti uguali dallo Stato, dalla Federazione calcistica tedesca (Dfb), dagli enti federali e locali, il “progetto-tifoso” consiste in una serie di organizzazioni socio-pedagogiche indipendenti, circa una sessantina in tutto il Paese, che svolgono funzioni di prevenzione e mediazione tra i giovani tifosi più radicali, i club, le autorità e la polizia. I cosiddetti fan coach forniscono consulenze individuali, intervengono in situazioni critiche (per esempio in caso di arresto), suggeriscono percorsi di studio, professionali e attività ricreative come la pianificazione delle trasferte e l’ideazione di fanzine.

Sébastien Louis ha affermato che il “progetto-tifoso” «è uno dei più grandi successi del tifo tedesco», in grado di coniugare una forte componente preventiva a una altrettanto repressiva. Sebbene i critici abbiano più volte insinuato che i fan coach fossero semplicemente degli informatori al soldo delle autorità con il compito di raccogliere e riferire informazioni sui teppisti, l’iniziativa ha creato una linea di comunicazione che prima non esisteva tra attori così diversi e importanti nell’industria calcistica. Negli anni novanta, sempre in Germania, nasce anche la figura dello SLO (acronimo di Supporter Liaison Officer, delegato del club ai rapporti con la tifoseria), che rappresenta un ulteriore strumento di contrasto all’hooliganismo. Gli esiti furono talmente soddisfacenti che convinsero la Dfb a includere lo SLO tra i requisiti per ottenere la licenza di partecipazione ai campionati professionistici tedeschi.

I segreti del successo: coinvolgimento attivo, posti in piedi e prezzi popolari

Ma la bontà del modello tedesco va oltre l’istituzionalizzazione del “progetto-tifoso” e dello SLO. A fare la differenza è soprattutto una condizione strutturale comune alle squadre delle prime due divisioni, da cui poi derivano una serie di scelte condivise dall’intero sistema. La peculiarità più marcata, che distingue il campionato tedesco dalle altre leghe europee, è la 50+1 rule secondo cui i tifosi devono mantenere la maggioranza delle azioni societarie, lasciando ai privati al massimo il 49% delle quote. Fino al 1998 le squadre di calcio tedesche erano considerate organizzazioni no-profit controllate dai membri votati e gestite da rappresentanti democraticamente eletti che pagavano una quota annuale. In quell’anno la Dfb cambia le norme per consentire di esternalizzare le attività calcistiche professionali in società a responsabilità limitata, aprendo a nuovi investimenti a condizione che il club sponsor (vale a dire i soci) trattenga il 50% delle azioni più una. Lo scopo è aumentare la competitività economica del calcio tedesco, salvaguardando l’influenza del club sponsor nel processo decisionale ed evitando una distorsione della competizione sportiva.

Esistono tuttavia alcune eccezioni alla regola, accordate quando un investitore può dimostrare di aver «sostenuto lo sport del calcio all’interno della società madre in modo sostanziale e continuo per più di vent’anni». Parliamo di Bayer Leverkusen e VFL Wolfsburg, rispettivamente controllati dal colosso chimico Bayer e dalla casa costruttrice Volkswagen. Nel 2015 una terza esenzione è stata concessa all’Hoffenheim dopo che Dietmar Hopp, fondatore e proprietario della società di software SAP, aveva contribuito tra il 1990 e il 2008 a portare il club dalle leghe locali alla Bundesliga.

La norma, che per l’antitrust tedesca non interferisce con le leggi sulla libera concorrenza, è stata però più volte messa in discussione e diverse personalità hanno espresso il proprio malcontento, sostenendo la necessità di nuovi fondi per colmare il divario per le grandi potenze calcistiche europee. Nel 2017 il presidente dell’Hannover Martin Kind chiese l’esonero dalla 50+1 rule, salvo poi ritirare domanda l’anno seguente a causa dell’opposizione dei tifosi che lo invitarono ad andarsene. Ad esprimersi è stato anche l’ex amministratore delegato del Bayern Monaco Karl-Heinz Rummenigge che qualche anno fa ne chiese persino l’abolizione, per poi tornare recentemente ad affondare il colpo definendo la regola una «reliquia dei vecchi tempi» da rivedere perché «altrimenti non possiamo tenere il passo degli inglesi».

C’è poi chi questa regola ha cercato e trovato il modo di aggirarla, come la Red Bull con il RB Lipsia che ha affidato la maggioranza delle quote a diciassette membri interni della compagnia, ma legati a una società esterna con determinate caratteristiche tali da impedire al tifoso medio di partecipare all’assemblea. Sul campo il il club è passato nel giro di otto anni dalla quinta serie ai piani alti della Bundesliga, ma ha anche fomentato un feroce antagonismo.

Per quanto i tentativi di sovvertirla siano tutt’altro che conclusi e il suo futuro rimanga incerto, la 50+1 rule ha reso possibile una situazione particolare presente solo in Germania a tutela e vantaggio del tifoso, riconoscendone il ruolo genuino nei club di appartenenza. Atmosfere, scenografie, bandiere e striscioni sono il simbolo di un coinvolgimento continuo in cui i sostenitori sono a tutti gli effetti membri attivi che stabiliscono il percorso generale della società e non clienti passivi, visti come semplici fruitori e consumatori di un evento. Una simile constatazione spiega perché in Germania i posti in piedi nelle safe standing siano considerati sacri, un autentico marchio della cultura calcistica, e alcuni settori godano di una notorietà oltreconfine, come la Südtribüne del Borussia Dortmund, o semplicemente la curva più grande d’Europa con una capienza superiore alle 25mila persone. Dai posti popolari derivano biglietti abbordabili, anche per i settori ospiti che non devono costare più di quelli per i tifosi di casa. Il prezzo medio di un abbonamento in curva si aggira sui 200 euro (circa undici euro a partita), quello per la tribuna oscilla dai 345 euro (poco più di venti euro ad incontro) ai 900 euro (indicativamente cinquanta euro a gara). Spesso i biglietti includono anche il costo del viaggio sui treni locali e regionali fino a un massimo di tre ore prima del fischio d’inizio, i divieti di trasferta sono assai rari e ogni stadio mette a disposizione steward che gestiscono sistemi specifici per l’aiuto e l’assistenza a chiunque si senta minacciato o insicuro per tutelarne l’incolumità e la privacy.

Proprio per via dell’influenza esercitata sulla gestione dei club, i tifosi hanno spesso un impatto più ampio sulla comunità locale. Sono molteplici le occasioni in cui i fan club e gli ultras hanno mostrato grande solidarietà. Avviene di frequente in occasione del Natale, attraverso la raccolta di cibo e vestiti per i bambini, donazioni per i malati di cancro e concittadini in difficoltà, oppure raccolte fondi a sostegno di iniziative sociali per senzatetto, ospedali e rifugi animali. Nel luglio 2021, durante le alluvioni in Europa che colpirono anche la Germania, ultras di svariate squadre della Bundesliga e Zweite Liga raccolsero beni di prima necessità per gli sfollati e aiutarono i soccorsi nella rimozione del fango da strade e abitazioni. Poco più di un anno prima, gli stessi ultras avevano dato prova di grande umanità nel pieno dell’emergenza pandemica consegnando a domicilio medicine e generi alimentari alla popolazione più fragile.

Ma le azioni a favore dei più bisognosi sono arrivate oltreconfine. Recentemente, a seguito dell’invasione russa in Ucraina, è partita la corsa all’accoglienza per i rifugiati di guerra e gli ultras del Bayer Leverkusen hanno persino viaggiato per consegnare rifornimenti direttamente al confine polacco-ucraino. Sebbene storicamente, non solo in patria ma anche nel resto d’Europa, la loro immagine agli occhi dell’opinione pubblica sia quella di individui votati a provocare disordini, nel caso specifico della Germania la sottocultura ultras nasconde progetti di antidiscriminazione e aiuti in situazioni di crisi che spesso vengono taciuti o trascurati. Certo, il movimento al suo interno contiene correnti disomogenee, ma la maggior parte degli ultras tedeschi tende a posizioni politicamente di sinistra: scomodi e critici verso la commercializzazione del calcio moderno, e con un forte senso di responsabilità sociale. Sono sempre a contatto con i club per creare iniziative contro il razzismo, la misoginia, l'omofobia e il fascismo.

MMA, estrema destra e modelli antirazzisti

Il tema dello sciovinismo non è purtroppo nuovo nel panorama tedesco e affonda la propria origine tra gli anni Ottanta e Novanta. Tra i fautori della deriva estremista delle curve, gli ultras del Borussenfront, gruppo associato al Borussia Dortmund che comincia a egemonizzare la Südtribüne del Westfalenstadion.

All’inizio sembrano provocazioni gratuite di tifosi alla ricerca delle prime pagine, ma poi la situazione assume contorni inquietanti. Nel 1990 ci sono le prime segnalazioni di fischi diretti ai calciatori di colore in Bundesliga e nel 1992 emerge la presenza di gruppi neonazisti. Questi utilizzano le partite di calcio come occasioni per pianificare e organizzare agguati contro le comunità etniche locali e gli immigrati provenienti dall'Europa orientale. Circa il 20% dei frequentatori dello stadio ha simpatie per l’estrema destra, e di recente si sta creando una cultura basata sul culto della forma fisica e delle arti marziali miste (MMA). Da fenomeno esplicato in esplosioni spontanee di violenza, sovente sotto l'effetto di alcol o droghe, l’hooliganismo moderno pare essersi legato ad uno stile di vita in cui la violenza è allenata e ricercata. Una cultura che si nutre di una fitta rete di palestre, eventi e marchi di moda per instillare il culto del machismo, della salute e della forza fisica — normalmente gli aspetti più esteriori dell’ideologia di estrema destra. Non riguarda solo la scena tedesca, ma più in generale una fetta consistente del panorama hooligan ancora più popolare nell’Europa orientale, dove nacque l’usanza dei combattimenti programmati in luoghi isolati per sfuggire alla repressione della polizia e non coinvolgere gente estranea.

Nello specifico, il fatto che la MMA in Germania non sia ancora riconosciuta come uno sport e manchi di un singolo organo regolamentatore ha facilitato l’infiltrazione di ideali nazi-xenofobi e la possibilità di fare proselitismo tra i fighter. Per troncare questo legame, tempo fa il Partito dei Verdi ha pensato di istituire un programma nazionale che aumenti la consapevolezza dei pericoli dell'estremismo di destra nella MMA, spronando il governo a prendere in considerazione l'imposizione di licenze per la gestione delle palestre di arti marziali nel Paese.

Ma la commistione tra le curve e l’estrema destra è ancora più ampia e abbraccia contesti di natura popolare che spesso si traducono in mobilitazioni di piazza come la marcia antislamica promossa nel 2014 da Hooligans Against Salafists, sodalizio che racchiude svariate frange estremiste tedesche, oppure nelle proteste di Chemnitz nel 2018 in cui ultras e neonazistiscesero in strada a seguito dell’omicidio di un giovane tedesco per mano di due ragazzi mediorientali, terrorizzando e aggredendo gli stranieri incontrati lungo il corteo. Un anno più tardi, sempre a Chemnitz, la curva di casa omaggiò Thomas Haller, morto di cancro e noto per essere stato un estremista con un burrascoso passato curvaiolo nonché co-fondatore del gruppo Hooligans, Nazis, Racists (HooNaRa) negli anni Novanta.

È stato soprattutto in Sassonia che certi ideali hanno saputo attecchire e permeare una fetta importante di persone e, di conseguenza, tifosi di calcio. Seppur a distanza di oltre un trentennio dalla caduta del muro di Berlino, le disparità economiche tra la parte est e ovest della Germania non sono cessate e, specialmente nelle zone agricole orientali, in molti hanno mantenuto un modo di pensare obsoleto e dualistico, una sorta di “noi contro di voi”. Il resto lo ha fatto la cronaca riguardante crimini commessi da immigrati che hanno alimentato un cocktail tossico, violento e stereotipato di odio e paura nei confronti delle diversità. Non sorprende dunque come in queste aree il partito politico tedesco di estrema destra AfD faccia costantemente incetta di voti, soprattutto nella roccaforte Dresda, i cui ultras sono noti per le loro posizioni xenofobe e razziste, o nella vicina Cottbus dove l’omonima squadre dell’Energie ha più volte fatto scalpore per i comportamenti di parte della propria tifoseria.

Ci sono poi dei casi in cui proprio dalle curve sono nate iniziative in contrasto al diffondersi degli estremismi. Una di queste è quella del Borussia Dortmund, che da culla di ideali nazisti ne è diventata una delle principali oppositrici organizzando, tra le varie iniziative, viaggi formativi nei campi di concentramento così da accrescere la sensibilità e la consapevolezza sul reale significato dei messaggi contenuti in alcuni cori intonati allo stadio. Negli anni Novanta era usanza abbastanza comune augurare ai tifosi della squadra avversaria di prendere un treno per Auschwitz, oppure vedere gruppi i cui nomi contenevano riferimenti all’Olocausto. Se il clima non è più così ostile e discriminatorio, parte del merito risiede anche nel “progetto-tifoso” e nelle iniziative sociali, come la conferenza “You’ll Never Walk Alone” tenuta nel 2019 a Francoforte nella quale diverse tifoserie si scambiarono idee, consigli e strategie nella lotta alle discriminazioni, oppure la Association of Active Football Fans (BAAF), che dal 1993 si occupa del razzismo negli stadi e ricopre un ruolo centrale nel richiedere un cambio di approccio nel modo di combatterlo.

Nella zona portuale di Amburgo esiste anche chi ha fatto dell’impegno sociale, della militanza a sinistra e del libertarismo anarchico un marchio distintivo. È il St. Pauli, club in grado di legare il proprio nome forse più a un’attenzione particolare verso temi sociali che non ai meri temi sportivi, come peraltro si evince da una bacheca priva di trofei. Lo stesso St. Pauli fu anche la prima società in Germania negli anni Ottanta a bandire l'ingresso nel proprio stadio ai tifosi di estrema destra.

Prevenzione, repressione e politiche securitarie

L’attenzione ai rapporti con i tifosi e il loro impegno sociale rappresentano soltanto una sfaccettatura del virtuosismo tedesco, solo una delle strade per rendere più appagante e sicura l’esperienza allo stadio. Esistono altri fattori abbastanza controversi che caratterizzano il sistema, innanzitutto le misure statali in contrasto al tifo violento.

Si comincia proprio dagli stadi, la maggior parte dei quali di nuova costruzione o comunque modernizzati con i più recenti dispositivi di sicurezza: telecamere a circuito chiuso sparse ovunque, sofisticate sale di controllo e celle di sicurezza sono soltanto alcuni degli strumenti preventivi e repressivi. A questi si aggiungono il divieto di accensione di fumogeni, fuochi artificiali e bengala, oltre alla possibilità in capo alle competenti autorità locali di vietare la vendita e il consumo di alcool —normalmente permessi all’interno degli impianti — in caso di partite ad alto rischio incidenti. Considerato però che per le squadre di Bundesliga circa un sesto dei ricavi proviene dalla vendita dei biglietti e dal catering, è nell’interesse comune di ogni società evitare una limitazione tanto penalizzante.

Le linee guida sulla sicurezza nel calcio tedesco sono contenute nel National Concept Sports and Security (NKSS), istituito nel 1993 per iniziativa del Ministro dell'interno degli Stati federali allo scopo di fornire raccomandazioni in materia di assistenza sociale, regolamenti dello stadio, divieti di accesso e servizi di safety and security. L’NKSS è supervisionato dal National Committee Sports and Security (NASS) che comprende i vari stakeholder, tra cui autorità, organizzazioni sportive e rappresentanti del “progetto-tifoso”. Grazie a questa iniziativa sono stati implementati i football banning orders, cioè i divieti di accesso negli impianti, ed è stata creata un’unità speciale della polizia, la Szenekundiger Beamter (SKB), incaricata di supervisionare i tifosi durante le partite nazionali e internazionali, valutandone eventuali comportamenti allarmanti e intervenendo in caso di reati.

Da un punto di vista penale, in Germania tutti gli incidenti, a prescindere dalla loro entità, vengono accomunati sotto la voce di “football-related violence”, ovvero violenza legata al calcio. Scontri tra tifoserie o invasioni di campo rimangono eventi rari dentro gli stadi, mentre all’esterno la situazione è diversa. Risse più o meno spontanee restano abbastanza diffuse, così come la moda dello scarf-pulling, vale a dire il furto della sciarpa ai rivali con l’intento di sbeffeggiarli e dare onorabilità al proprio gruppo. L’imbrattamento di muri con vernici spray o adesivi della squadra sono un’ulteriore manifestazione di azioni illecite che, sebbene diverse tra loro per entità e gravità, rimangono parificate da media, polizia e federazioni ad episodi di football hooliganism punibili con l’interdizione dagli stadi (stadium ban). Il provvedimento, inteso di natura preventiva, è valido per tutte le partite dei quattro principali campionati nazionali, è normalmente emesso dal club su richiesta della polizia e può essere applicato sulla base di un sospetto, senza necessariamente una sentenza di condanna del tribunale. Misure ancora più stringenti sono gli exclusion order con i quali, in presenza di sufficienti prove che dimostrino una concreta minaccia o pericolosità, è possibile impedire a un individuo di frequentare lo stadio, l’area circostante e persino il centro città o viaggiare su un determinato treno in caso di gare ad alto rischio incidenti. Sulla base degli stessi presupposti degli exclusion order, una persona può anche essere sottoposta all’obbligo di firma presso la locale stazione di polizia per scongiurare una sua presenza in trasferta o essere addirittura detenuta per tutta la durata della partita qualora abbia esplicitamente violato un ordine impartito dalla polizia oppure sussistano forti indizi circa il fatto che commetterà un reato.

Le indagini sono eseguite dallo ZIS (Central Information Point Sports Operations) che a partire dalla stagione 1999/2000 raccoglie i dati provenienti dalle leghe professionistiche tedesche e li pubblica in un report annuale. Le statistiche non fanno menzione di condanne o assoluzioni delle persone coinvolte, ma solo delle attività condotte dalle forze dell’ordine e di eventuali misure restrittive, come la detenzione, comminate ai trasgressori. Viene inoltre riportato il numero di quanti sono rimasti feriti in occasione di partite di calcio, senza però specificare la causa delle lesioni. Questo comporta, per esempio, che un tifoso caduto accidentalmente sulle scale o un altro colpito dallo spray urticante delle forze dell’ordine vengano entrambi inclusi nel report senza alcuna distinzione. La polizia si rifiuta infatti di differenziare le varie tipologie di infortunio sostenendo che ciò comporterebbe un rischio per l’ordine pubblico e un ostacolo al corretto svolgimento del proprio lavoro. La stessa polizia distingue i tifosi in tre differenti categorie nel controverso Violent Offenders Sports i cui criteri di suddivisione rimangono tuttora segreti. Nella categoria A ci sono i sostenitori pacifici, nella B quelli che in certe circostanze hanno comportamenti violenti e nella C coloro che sono attivamente in cerca di disordini. Data però la riserva

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