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Breve storia del tifo tedesco
29 mar 2023
29 mar 2023
Apprezzati all’estero, vituperati in patria: come viene visto e vissuto il tifo in Germania.
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31 min
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I tedeschi amano andare allo stadio, e spesso lo fanno in grande stile. È questa la prima considerazione quando si guarda alla media spettatori nei cinque maggiori campionati europei. Al primo posto, anche a livello mondiale, c’è proprio la Bundesliga con le sue oltre 42mila presenze, a seguire la Premier League con 40mila e infine la Liga poco al di sotto delle 30mila. Se poi aggiungiamo un tasso di riempimento del 92%, è facile ricavare la cartina tornasole del virtuosismo tedesco legato alla fruizione di una partita di calcio. Impianti belli e funzionali, molti dei quali oggetto di restyling per i Mondiali del 2006, rappresentano da anni una cornice apprezzata e invidiata un po’ da tutti. A comporre l’ecosistema-stadio ci sono diverse tipologie del tifoso: uomini, donne, bambini, anziani, famiglie, sponsor, personalità pubbliche. E poi loro, gli ultras. Non certo una novità, riconoscibili compatti dietro una delle due porte e lo striscione del gruppo di appartenenza, ma con la caratteristica pressoché unica di essere una componente fondamentale del sistema calcistico tedesco cui non sempre però vengono riconosciuti i giusti crediti e una certa importanza.

Origini e sviluppi del tifo in Germania

È difficile risalire con certezza alla data che segnò la nascita del movimento, ma è ragionevole pensare che le prime manifestazioni del tifo organizzato risalgano al biennio 1997-98 in concomitanza con la fondazione degli Ultras Frankfurt (UF), probabilmente tra i primi a legare il proprio nome a questo termine. L’idea era quella di mutare le proprie tendenze e creare un nuovo modo di sostenere la squadra. Cori, battimani e tamburi diventano i mezzi con cui scaldare l’atmosfera all’interno degli impianti, mentre bandieroni e scenografie quelli con cui colorare il proprio settore e creare un certo colpo d’occhio. Prima di allora il panorama era stato costituito perlopiù dai fan club, ovvero associazioni di tifosi — potevano essercene di diverse per ogni squadra — antenate dei futuri gruppi ultras, prive però di una struttura logistica e un modus operandi definiti.

In un’epoca in cui non esistevano i social network, e internet era ancora gli albori, furono il passaparola e la diffusione negli stadi di riviste come Supertifo a trasmettere la possibilità che, unendo le forze in un credo comune, fosse possibile emulare quanto stava già succedendo in alcuni Paesi europei. L’affermarsi come un movimento in rottura con gli usi e i costumi che avevano contraddistinto la visione di una partita di calcio attira presto l’attenzione della polizia, della stampa, dei club e dei tifosi tradizionali. A partire dagli anni Duemila praticamente tutte le partecipanti alle leghe professionistiche tedesche possono contare sul supporto di un gruppo organizzato.

Nasce un nuovo modo di intendere il tifo. Secondo una relazione del 1996 al Parlamento europeo, allora i sostenitori tedeschi provenivano soprattutto dagli strati medi della società e potevano essere suddivisi in tre grandi tipi: il “consumatore”, che siede in un posto tranquillo e vuole vedere una bella partita; quello "orientato al calcio", legato a un fan club, con addosso i colori e gli stemmi della sua squadra che sostiene nella buona e nella cattiva sorte; l’“avventuriero” a cui interessa veder succedere qualcosa, a prescindere che abbia a che fare o meno con il calcio.

Se quella degli ultras è una storia relativamente recente, lo stesso non vale per la violenza associata al gioco, comparsa in maniera sistematica agli inizi degli anni Ottanta sulla scia dell’esplosione della deriva parossistica del tifo già riscontrata in Italia e Inghilterra. A farne le spese per primo fu il sedicenne tifoso del Werder Brema Adrian Maleika.

Il 16 ottobre 1982 la sua squadra è impegnata al Volksparkstadion di Amburgo contro i padroni di casa, si gioca la la Coppa di Germania. Parte dei sostenitori ospiti scende dal treno una fermata dopo rispetto a quella prevista e si ritrova senza scorta della polizia nell’abituale luogo di ritrovo di un gruppo di tifosi dell’Amburgo, noti per le simpatie verso l’estrema destra, che non esitano ad attaccarli. Maleika cerca di sfuggire dalla rissa ma viene colpito alla testa da un mattone. Muore il giorno dopo per un’emorragia cerebrale. Ancora oggi il suo omicidio rimane senza colpevole.

Ruolo e funzione del “progetto-tifoso”

La Germania si risveglia sotto shock: agguati e aggressioni facevano parte della quotidianità in Bundesliga, ma mai prima di allora erano sfociate nel sangue. La morte di Maleika rappresenta il punto di svolta, l’evento che rende impossibile proseguire in quelle condizioni e spinge a ripensare il contrasto all’hooliganismo.

Servono alternative alla repressione poliziesca, ormai insufficiente, e da questo ragionamento nasce il “progetto-tifoso”, dal tedesco Fanprojekte. L’obiettivo è frenare la violenza, contrastare gli estremismi politici nelle curve e promuovere una cultura inclusiva e diversificata. Finanziato in parti uguali dallo Stato, dalla Federazione calcistica tedesca (Dfb), dagli enti federali e locali, il “progetto-tifoso” consiste in una serie di organizzazioni socio-pedagogiche indipendenti, circa una sessantina in tutto il Paese, che svolgono funzioni di prevenzione e mediazione tra i giovani tifosi più radicali, i club, le autorità e la polizia. I cosiddetti fan coach forniscono consulenze individuali, intervengono in situazioni critiche (per esempio in caso di arresto), suggeriscono percorsi di studio, professionali e attività ricreative come la pianificazione delle trasferte e l’ideazione di fanzine.

Sébastien Louis ha affermato che il “progetto-tifoso” «è uno dei più grandi successi del tifo tedesco», in grado di coniugare una forte componente preventiva a una altrettanto repressiva. Sebbene i critici abbiano più volte insinuato che i fan coach fossero semplicemente degli informatori al soldo delle autorità con il compito di raccogliere e riferire informazioni sui teppisti, l’iniziativa ha creato una linea di comunicazione che prima non esisteva tra attori così diversi e importanti nell’industria calcistica. Negli anni novanta, sempre in Germania, nasce anche la figura dello SLO (acronimo di Supporter Liaison Officer, delegato del club ai rapporti con la tifoseria), che rappresenta un ulteriore strumento di contrasto all’hooliganismo. Gli esiti furono talmente soddisfacenti che convinsero la Dfb a includere lo SLO tra i requisiti per ottenere la licenza di partecipazione ai campionati professionistici tedeschi.

I segreti del successo: coinvolgimento attivo, posti in piedi e prezzi popolari

Ma la bontà del modello tedesco va oltre l’istituzionalizzazione del “progetto-tifoso” e dello SLO. A fare la differenza è soprattutto una condizione strutturale comune alle squadre delle prime due divisioni, da cui poi derivano una serie di scelte condivise dall’intero sistema. La peculiarità più marcata, che distingue il campionato tedesco dalle altre leghe europee, è la 50+1 rule secondo cui i tifosi devono mantenere la maggioranza delle azioni societarie, lasciando ai privati al massimo il 49% delle quote. Fino al 1998 le squadre di calcio tedesche erano considerate organizzazioni no-profit controllate dai membri votati e gestite da rappresentanti democraticamente eletti che pagavano una quota annuale. In quell’anno la Dfb cambia le norme per consentire di esternalizzare le attività calcistiche professionali in società a responsabilità limitata, aprendo a nuovi investimenti a condizione che il club sponsor (vale a dire i soci) trattenga il 50% delle azioni più una. Lo scopo è aumentare la competitività economica del calcio tedesco, salvaguardando l’influenza del club sponsor nel processo decisionale ed evitando una distorsione della competizione sportiva.

Esistono tuttavia alcune eccezioni alla regola, accordate quando un investitore può dimostrare di aver «sostenuto lo sport del calcio all’interno della società madre in modo sostanziale e continuo per più di vent’anni». Parliamo di Bayer Leverkusen e VFL Wolfsburg, rispettivamente controllati dal colosso chimico Bayer e dalla casa costruttrice Volkswagen. Nel 2015 una terza esenzione è stata concessa all’Hoffenheim dopo che Dietmar Hopp, fondatore e proprietario della società di software SAP, aveva contribuito tra il 1990 e il 2008 a portare il club dalle leghe locali alla Bundesliga.

La norma, che per l’antitrust tedesca non interferisce con le leggi sulla libera concorrenza, è stata però più volte messa in discussione e diverse personalità hanno espresso il proprio malcontento, sostenendo la necessità di nuovi fondi per colmare il divario per le grandi potenze calcistiche europee. Nel 2017 il presidente dell’Hannover Martin Kind chiese l’esonero dalla 50+1 rule, salvo poi ritirare domanda l’anno seguente a causa dell’opposizione dei tifosi che lo invitarono ad andarsene. Ad esprimersi è stato anche l’ex amministratore delegato del Bayern Monaco Karl-Heinz Rummenigge che qualche anno fa ne chiese persino l’abolizione, per poi tornare recentemente ad affondare il colpo definendo la regola una «reliquia dei vecchi tempi» da rivedere perché «altrimenti non possiamo tenere il passo degli inglesi».

C’è poi chi questa regola ha cercato e trovato il modo di aggirarla, come la Red Bull con il RB Lipsia che ha affidato la maggioranza delle quote a diciassette membri interni della compagnia, ma legati a una società esterna con determinate caratteristiche tali da impedire al tifoso medio di partecipare all’assemblea. Sul campo il il club è passato nel giro di otto anni dalla quinta serie ai piani alti della Bundesliga, ma ha anche fomentato un feroce antagonismo.

Per quanto i tentativi di sovvertirla siano tutt’altro che conclusi e il suo futuro rimanga incerto, la 50+1 rule ha reso possibile una situazione particolare presente solo in Germania a tutela e vantaggio del tifoso, riconoscendone il ruolo genuino nei club di appartenenza. Atmosfere, scenografie, bandiere e striscioni sono il simbolo di un coinvolgimento continuo in cui i sostenitori sono a tutti gli effetti membri attivi che stabiliscono il percorso generale della società e non clienti passivi, visti come semplici fruitori e consumatori di un evento. Una simile constatazione spiega perché in Germania i posti in piedi nelle safe standing siano considerati sacri, un autentico marchio della cultura calcistica, e alcuni settori godano di una notorietà oltreconfine, come la Südtribüne del Borussia Dortmund, o semplicemente la curva più grande d’Europa con una capienza superiore alle 25mila persone. Dai posti popolari derivano biglietti abbordabili, anche per i settori ospiti che non devono costare più di quelli per i tifosi di casa. Il prezzo medio di un abbonamento in curva si aggira sui 200 euro (circa undici euro a partita), quello per la tribuna oscilla dai 345 euro (poco più di venti euro ad incontro) ai 900 euro (indicativamente cinquanta euro a gara). Spesso i biglietti includono anche il costo del viaggio sui treni locali e regionali fino a un massimo di tre ore prima del fischio d’inizio, i divieti di trasferta sono assai rari e ogni stadio mette a disposizione steward che gestiscono sistemi specifici per l’aiuto e l’assistenza a chiunque si senta minacciato o insicuro per tutelarne l’incolumità e la privacy.

Proprio per via dell’influenza esercitata sulla gestione dei club, i tifosi hanno spesso un impatto più ampio sulla comunità locale. Sono molteplici le occasioni in cui i fan club e gli ultras hanno mostrato grande solidarietà. Avviene di frequente in occasione del Natale, attraverso la raccolta di cibo e vestiti per i bambini, donazioni per i malati di cancro e concittadini in difficoltà, oppure raccolte fondi a sostegno di iniziative sociali per senzatetto, ospedali e rifugi animali. Nel luglio 2021, durante le alluvioni in Europa che colpirono anche la Germania, ultras di svariate squadre della Bundesliga e Zweite Liga raccolsero beni di prima necessità per gli sfollati e aiutarono i soccorsi nella rimozione del fango da strade e abitazioni. Poco più di un anno prima, gli stessi ultras avevano dato prova di grande umanità nel pieno dell’emergenza pandemica consegnando a domicilio medicine e generi alimentari alla popolazione più fragile.

Ma le azioni a favore dei più bisognosi sono arrivate oltreconfine. Recentemente, a seguito dell’invasione russa in Ucraina, è partita la corsa all’accoglienza per i rifugiati di guerra e gli ultras del Bayer Leverkusen hanno persino viaggiato per consegnare rifornimenti direttamente al confine polacco-ucraino. Sebbene storicamente, non solo in patria ma anche nel resto d’Europa, la loro immagine agli occhi dell’opinione pubblica sia quella di individui votati a provocare disordini, nel caso specifico della Germania la sottocultura ultras nasconde progetti di antidiscriminazione e aiuti in situazioni di crisi che spesso vengono taciuti o trascurati. Certo, il movimento al suo interno contiene correnti disomogenee, ma la maggior parte degli ultras tedeschi tende a posizioni politicamente di sinistra: scomodi e critici verso la commercializzazione del calcio moderno, e con un forte senso di responsabilità sociale. Sono sempre a contatto con i club per creare iniziative contro il razzismo, la misoginia, l'omofobia e il fascismo.

MMA, estrema destra e modelli antirazzisti

Il tema dello sciovinismo non è purtroppo nuovo nel panorama tedesco e affonda la propria origine tra gli anni Ottanta e Novanta. Tra i fautori della deriva estremista delle curve, gli ultras del Borussenfront, gruppo associato al Borussia Dortmund che comincia a egemonizzare la Südtribüne del Westfalenstadion.

All’inizio sembrano provocazioni gratuite di tifosi alla ricerca delle prime pagine, ma poi la situazione assume contorni inquietanti. Nel 1990 ci sono le prime segnalazioni di fischi diretti ai calciatori di colore in Bundesliga e nel 1992 emerge la presenza di gruppi neonazisti. Questi utilizzano le partite di calcio come occasioni per pianificare e organizzare agguati contro le comunità etniche locali e gli immigrati provenienti dall'Europa orientale. Circa il 20% dei frequentatori dello stadio ha simpatie per l’estrema destra, e di recente si sta creando una cultura basata sul culto della forma fisica e delle arti marziali miste (MMA). Da fenomeno esplicato in esplosioni spontanee di violenza, sovente sotto l'effetto di alcol o droghe, l’hooliganismo moderno pare essersi legato ad uno stile di vita in cui la violenza è allenata e ricercata. Una cultura che si nutre di una fitta rete di palestre, eventi e marchi di moda per instillare il culto del machismo, della salute e della forza fisica — normalmente gli aspetti più esteriori dell’ideologia di estrema destra. Non riguarda solo la scena tedesca, ma più in generale una fetta consistente del panorama hooligan ancora più popolare nell’Europa orientale, dove nacque l’usanza dei combattimenti programmati in luoghi isolati per sfuggire alla repressione della polizia e non coinvolgere gente estranea.

Nello specifico, il fatto che la MMA in Germania non sia ancora riconosciuta come uno sport e manchi di un singolo organo regolamentatore ha facilitato l’infiltrazione di ideali nazi-xenofobi e la possibilità di fare proselitismo tra i fighter. Per troncare questo legame, tempo fa il Partito dei Verdi ha pensato di istituire un programma nazionale che aumenti la consapevolezza dei pericoli dell'estremismo di destra nella MMA, spronando il governo a prendere in considerazione l'imposizione di licenze per la gestione delle palestre di arti marziali nel Paese.

Ma la commistione tra le curve e l’estrema destra è ancora più ampia e abbraccia contesti di natura popolare che spesso si traducono in mobilitazioni di piazza come la marcia antislamica promossa nel 2014 da Hooligans Against Salafists, sodalizio che racchiude svariate frange estremiste tedesche, oppure nelle proteste di Chemnitz nel 2018 in cui ultras e neonazistiscesero in strada a seguito dell’omicidio di un giovane tedesco per mano di due ragazzi mediorientali, terrorizzando e aggredendo gli stranieri incontrati lungo il corteo. Un anno più tardi, sempre a Chemnitz, la curva di casa omaggiò Thomas Haller, morto di cancro e noto per essere stato un estremista con un burrascoso passato curvaiolo nonché co-fondatore del gruppo Hooligans, Nazis, Racists (HooNaRa) negli anni Novanta.

È stato soprattutto in Sassonia che certi ideali hanno saputo attecchire e permeare una fetta importante di persone e, di conseguenza, tifosi di calcio. Seppur a distanza di oltre un trentennio dalla caduta del muro di Berlino, le disparità economiche tra la parte est e ovest della Germania non sono cessate e, specialmente nelle zone agricole orientali, in molti hanno mantenuto un modo di pensare obsoleto e dualistico, una sorta di “noi contro di voi”. Il resto lo ha fatto la cronaca riguardante crimini commessi da immigrati che hanno alimentato un cocktail tossico, violento e stereotipato di odio e paura nei confronti delle diversità. Non sorprende dunque come in queste aree il partito politico tedesco di estrema destra AfD faccia costantemente incetta di voti, soprattutto nella roccaforte Dresda, i cui ultras sono noti per le loro posizioni xenofobe e razziste, o nella vicina Cottbus dove l’omonima squadre dell’Energie ha più volte fatto scalpore per i comportamenti di parte della propria tifoseria.

Ci sono poi dei casi in cui proprio dalle curve sono nate iniziative in contrasto al diffondersi degli estremismi. Una di queste è quella del Borussia Dortmund, che da culla di ideali nazisti ne è diventata una delle principali oppositrici organizzando, tra le varie iniziative, viaggi formativi nei campi di concentramento così da accrescere la sensibilità e la consapevolezza sul reale significato dei messaggi contenuti in alcuni cori intonati allo stadio. Negli anni Novanta era usanza abbastanza comune augurare ai tifosi della squadra avversaria di prendere un treno per Auschwitz, oppure vedere gruppi i cui nomi contenevano riferimenti all’Olocausto. Se il clima non è più così ostile e discriminatorio, parte del merito risiede anche nel “progetto-tifoso” e nelle iniziative sociali, come la conferenza “You’ll Never Walk Alone” tenuta nel 2019 a Francoforte nella quale diverse tifoserie si scambiarono idee, consigli e strategie nella lotta alle discriminazioni, oppure la Association of Active Football Fans (BAAF), che dal 1993 si occupa del razzismo negli stadi e ricopre un ruolo centrale nel richiedere un cambio di approccio nel modo di combatterlo.

Nella zona portuale di Amburgo esiste anche chi ha fatto dell’impegno sociale, della militanza a sinistra e del libertarismo anarchico un marchio distintivo. È il St. Pauli, club in grado di legare il proprio nome forse più a un’attenzione particolare verso temi sociali che non ai meri temi sportivi, come peraltro si evince da una bacheca priva di trofei. Lo stesso St. Pauli fu anche la prima società in Germania negli anni Ottanta a bandire l'ingresso nel proprio stadio ai tifosi di estrema destra.

Prevenzione, repressione e politiche securitarie

L’attenzione ai rapporti con i tifosi e il loro impegno sociale rappresentano soltanto una sfaccettatura del virtuosismo tedesco, solo una delle strade per rendere più appagante e sicura l’esperienza allo stadio. Esistono altri fattori abbastanza controversi che caratterizzano il sistema, innanzitutto le misure statali in contrasto al tifo violento.

Si comincia proprio dagli stadi, la maggior parte dei quali di nuova costruzione o comunque modernizzati con i più recenti dispositivi di sicurezza: telecamere a circuito chiuso sparse ovunque, sofisticate sale di controllo e celle di sicurezza sono soltanto alcuni degli strumenti preventivi e repressivi. A questi si aggiungono il divieto di accensione di fumogeni, fuochi artificiali e bengala, oltre alla possibilità in capo alle competenti autorità locali di vietare la vendita e il consumo di alcool —normalmente permessi all’interno degli impianti — in caso di partite ad alto rischio incidenti. Considerato però che per le squadre di Bundesliga circa un sesto dei ricavi proviene dalla vendita dei biglietti e dal catering, è nell’interesse comune di ogni società evitare una limitazione tanto penalizzante.

Le linee guida sulla sicurezza nel calcio tedesco sono contenute nel National Concept Sports and Security (NKSS), istituito nel 1993 per iniziativa del Ministro dell'interno degli Stati federali allo scopo di fornire raccomandazioni in materia di assistenza sociale, regolamenti dello stadio, divieti di accesso e servizi di safety and security. L’NKSS è supervisionato dal National Committee Sports and Security (NASS) che comprende i vari stakeholder, tra cui autorità, organizzazioni sportive e rappresentanti del “progetto-tifoso”. Grazie a questa iniziativa sono stati implementati i football banning orders, cioè i divieti di accesso negli impianti, ed è stata creata un’unità speciale della polizia, la Szenekundiger Beamter (SKB), incaricata di supervisionare i tifosi durante le partite nazionali e internazionali, valutandone eventuali comportamenti allarmanti e intervenendo in caso di reati.

Da un punto di vista penale, in Germania tutti gli incidenti, a prescindere dalla loro entità, vengono accomunati sotto la voce di “football-related violence”, ovvero violenza legata al calcio. Scontri tra tifoserie o invasioni di campo rimangono eventi rari dentro gli stadi, mentre all’esterno la situazione è diversa. Risse più o meno spontanee restano abbastanza diffuse, così come la moda dello scarf-pulling, vale a dire il furto della sciarpa ai rivali con l’intento di sbeffeggiarli e dare onorabilità al proprio gruppo. L’imbrattamento di muri con vernici spray o adesivi della squadra sono un’ulteriore manifestazione di azioni illecite che, sebbene diverse tra loro per entità e gravità, rimangono parificate da media, polizia e federazioni ad episodi di football hooliganism punibili con l’interdizione dagli stadi (stadium ban). Il provvedimento, inteso di natura preventiva, è valido per tutte le partite dei quattro principali campionati nazionali, è normalmente emesso dal club su richiesta della polizia e può essere applicato sulla base di un sospetto, senza necessariamente una sentenza di condanna del tribunale. Misure ancora più stringenti sono gli exclusion order con i quali, in presenza di sufficienti prove che dimostrino una concreta minaccia o pericolosità, è possibile impedire a un individuo di frequentare lo stadio, l’area circostante e persino il centro città o viaggiare su un determinato treno in caso di gare ad alto rischio incidenti. Sulla base degli stessi presupposti degli exclusion order, una persona può anche essere sottoposta all’obbligo di firma presso la locale stazione di polizia per scongiurare una sua presenza in trasferta o essere addirittura detenuta per tutta la durata della partita qualora abbia esplicitamente violato un ordine impartito dalla polizia oppure sussistano forti indizi circa il fatto che commetterà un reato.

Le indagini sono eseguite dallo ZIS (Central Information Point Sports Operations) che a partire dalla stagione 1999/2000 raccoglie i dati provenienti dalle leghe professionistiche tedesche e li pubblica in un report annuale. Le statistiche non fanno menzione di condanne o assoluzioni delle persone coinvolte, ma solo delle attività condotte dalle forze dell’ordine e di eventuali misure restrittive, come la detenzione, comminate ai trasgressori. Viene inoltre riportato il numero di quanti sono rimasti feriti in occasione di partite di calcio, senza però specificare la causa delle lesioni. Questo comporta, per esempio, che un tifoso caduto accidentalmente sulle scale o un altro colpito dallo spray urticante delle forze dell’ordine vengano entrambi inclusi nel report senza alcuna distinzione. La polizia si rifiuta infatti di differenziare le varie tipologie di infortunio sostenendo che ciò comporterebbe un rischio per l’ordine pubblico e un ostacolo al corretto svolgimento del proprio lavoro. La stessa polizia distingue i tifosi in tre differenti categorie nel controverso Violent Offenders Sports i cui criteri di suddivisione rimangono tuttora segreti. Nella categoria A ci sono i sostenitori pacifici, nella B quelli che in certe circostanze hanno comportamenti violenti e nella C coloro che sono attivamente in cerca di disordini. Data però la riservatezza delle modalità di ripartizione, è impossibile valutarne sia l’accuratezza che il significato. Essere anche solo indagati per un reato da stadio può comportare l’inserimento nella seconda o nella terza categoria, a prescindere dall’esito, con possibili ripercussioni sulla vita lavorativa, professionale e sulla libertà di movimento.

A questo database se n’è aggiunto nel gennaio 2020 un altro, chiamato EASy Violence and Sports, in cui sono registrati, senza una comunicazione preventiva, oltre 1600 appassionati collegati perlopiù ai gruppi organizzati di Bayern Monaco, Norimberga e Monaco 1860. Secondo il governo statale della Baviera, la banca dati viene utilizzata dalle autorità per l'avvio di «operazioni mirate di polizia». Per essere segnalati non bisogna aver commesso un reato, né tantomeno essere indiziati, basta soltanto una “valutazione personale” da parte della polizia. In alcuni casi, le informazioni includono persino le partite a cui ha partecipato l'individuo e le persone con cui è entrato in contatto, senza che vi sia una loro cancellazione automatica qualora venga accertata una comprovata innocenza. Un’inchiesta del parlamento tedesco ha rilevato che più di mille nomi sono stati aggiunti al database tra marzo e dicembre 2020, nonostante in quel periodo l’emergenza pandemica abbia reso impossibile per la maggior parte dei tifosi assistere alle partite di calcio. D’altra parte, per il governo una presenza così massiccia era il risultato di incidenti avvenuti in altri luoghi dove gli ultras si davano appuntamento per combattere.

L’insieme di questo genere di misure securitarie ha preoccupato una larga parte dei tifosi e innescato una lunga contesa con la classe politica per chiedere maggiori diritti civili. Nel 2018 gli ultras del Bayern Monaco parteciparono a una protesta contro una legge della Baviera che autorizzava la polizia, in caso di «pericolo imminente», ad intercettare telefonate, e-mail e altri dati sensibili nonché a bandire una persona da determinati luoghi o tenerla in stato di «detenzione preventiva per un periodo estendibile fino a tre mesi» senza dover comparire in tribunale. Descritta da giuristi e attivisti per i diritti civili come la «legge di polizia più dura dal 1945», dopo l’annuncio del ministero dell’Interno bavarese che non si applicherà solo nelle operazioni antiterrorismo, la Fanszenen Deutschland (l'associazione tedesca dei tifosi), si è da subito mostrata diffidente sulle ripercussioni per tutti gli appassionati di calcio. Il malcontento è passato dalla piazza agli stadi, e agli striscioni di protesta della curva del Bayern Monaco — uno dei quali dispiegato in Champions League contro il Real Madrid — si sono presto aggiunti quelli di Borussia Dortmund, Norimberga, Stoccarda, Werder Brema e Fürth.

A riprova del clima di ostilità e reciproca insofferenza tra tifosi e polizia, dal 2010 sono sorti gruppi di assistenza legale e finanziaria (Fananwälte) per coloro che incorrono in problemi con la legge e che spesso si traducono in provvedimenti assai repressivi difficilmente contestabili se non si viene affiancati da un gruppo di esperti. Uno dei successi di questa iniziativa è arrivato nel 2021, quando un tribunale di Colonia ha stabilito che la pratica di filmare costantemente i tifosi senza alcun sospetto, diventata comune negli stadi come dissuasore per l’utilizzo di oggetti pirotecnici, era illegale e doveva essere interrotta.

I contrasti non riguardano soltanto forze dell’ordine e tifosi, ormai ridotti — secondo alcuni attivisti — al ruolo di cavie da laboratorio su cui sperimentare leggi sempre più rigide e nuove forme di repressione. Un’ulteriore discrepanza ha visto contrapposti questi ultimi alla Dfb per quanto concerne la percezione della violenza negli stadi e la copertura offerta dai media. Negli ultimi quindici anni molti osservatori avevano gridato ad un incremento dell’hooliganismo, salvo poi essere smentiti dalle risultanze dello ZIS che avevano evidenziato un calo generalizzato di crimini connessi al gioco confrontando i dati del 2008/2009 con quelli del 2010/11. Al contrario, nei diciassette giorni dell’Oktoberfest c’erano stati più di undicimila infortuni, duemila incidenti e cinquecento reati, senza tuttavia che i partecipanti ricevessero lo stesso stigma attribuito ai frequentatori degli stadi.

Un ulteriore segnale del livello di difficoltà interattiva tra le parti, stavolta riguardante tifosi e istituzioni, avvenne a Berlino nel luglio 2012 in occasione di una riunione sulla sicurezza negli impianti. Ad essere presenti c’erano soltanto la Dfb, le leghe professionistiche e i ministeri federali dell’Interno. Nessuna traccia, invece, delle associazioni dei tifosi. Si parlò nuovamente di una presunta escalation di violenza negli stadi, chiedendo misure ancora più severe nei confronti degli ultras, che a più riprese venivano paragonati persino ai talebani e contro i quali si invocava l’uso del braccialetto elettronico per controllarne i movimenti. Un anno prima, invece, c’era stato un incontro tra i rappresentanti dei tifosi e la Dfb in merito alla possibilità di regolamentare fumogeni, bengala e fuochi d’artificio. Alla presentazione di un parere legale che ne avrebbe disciplinato l’utilizzo, la federazione si era però rifiutata di proseguire la discussione e aveva riferito di non aver mai preso seriamente in considerazione la proposta. Per tutta risposta, nei giorni successivi, molti stadi furono illuminati da articoli pirotecnici in segno di protesta.

Politica, federazione e polizia hanno spesso abusato di una retorica militare nelle proprie discussioni attorno al tema dei disordini, addirittura in palese violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali a causa della raccolta indiscriminata di dati sensibili, di una costante videosorveglianza, di perquisizioni e controlli personali senza un ragionevole sospetto. Negli anni a venire la situazione non è migliorata più di tanto. Il linguaggio repressivo della classe dirigente e il rafforzamento dei poteri alle forze dell’ordine ha portato una buona fetta di appassionati a temere per le proprie libertà individuali.

Nel novembre 2018 a più di trecento sostenitori del St. Pauli fu negato l’accesso allo stadio dell’Arminia Bielefeld dopo che uno di loro fu sorpreso nel treno a fumare. La domanda della polizia di fornire le generalità rimase inascoltata, la situazione si infiammò e alcuni agenti spruzzarono indistintamente dello spray al peperoncino addosso alla folla sul vagone. In precedenza, il ministro Peter Beuth aveva auspicato la condanna ad un anno di carcere per l’accensione di torce e fumogeni, reato in verità già esistente e punito con un’ammenda. Controllo e repressione sono stati i temi al centro dell’ultima assemblea generale del Fanszenen Deutschland tenuta ad Hannover nel dicembre 2022. Il risultato è stata la pubblicazione di un catalogo con cinque richieste centrali contro «la sorveglianza permanente, le restrizioni alla libertà, la raccolta illegale di dati, la mancanza di provvedimenti contro la violenza della polizia e la verifica di tutte le comunicazioni digitali». Anche la massiccia militarizzazione dentro e intorno agli stadi è stata oggetto di dibattito, così come l’impiego del numero identificativo sulle divise degli agenti — una pratica attualmente implementata in circa la metà degli Stati che compongono la Germania. Essendo infatti il Paese una repubblica parlamentare federale, le leggi sui doveri della polizia sono di competenza dei singoli stati federali, comportando la presenza di standard legali e una differenza nell'applicazione pratica dei poteri in capo alle forze dell’ordine.

Per quanto il teppismo calcistico sopravviva nel calcio tedesco, e più in generale in quello di qualsiasi Paese europeo, le statistiche dimostrano da ormai diversi anni che la violenza nel calcio rimane un fatto abbastanza occasionale. Dai report dello ZIS della stagione 2018/19, l’ultima disputata con la capienza piena degli stadi prima della pandemia, è emerso che il numero di procedimenti penali (poco più di mille) aperti in relazione a partite di calcio nelle due principali divisioni è stato il più basso degli ultimi dieci anni. Avallata da simili rilevazioni incoraggianti, la politica pare abbia cominciato a mettere mano al tema della criminalizzazione dei tifosi, tanto che diversi esponenti del Partito dei Verdi hanno chiesto maggiori delucidazioni alla polizia in merito alle modalità di trattamento dei dati personali, chiedendone la rimozione in caso di insussistenza di prove a carico di una persona.

Come la pandemia e gli stadi chiusi hanno cambiato il tifo tedesco

Il tifo tedesco ha saputo reinventarsi nel tempo anche attraverso l’imitazione di modelli esistenti in altri Paesi. C’è stato però un evento che più di tutti l’ha costretto a cambiare e riscoprire una nuova identità. Era il marzo del 2020, la pandemia da coronavirus aveva mostrato i suoi primi devastanti effetti in Europa e la Germania dovette rassegnarsi all’idea di sospendere i propri campionati. Fu l’ultima lega, tra i principali campionati, a prendere questa decisione. Due mesi più tardi, invece, fu la prima a riprenderli, seppur a porte chiuse. Quando i tifosi vennero riammessi negli stadi nel 2021, dovettero fare i conti con severe limitazioni: solo posti a sedere al posto delle standing area, mascherina obbligatoria e biglietti nominali collegati alla carta d'identità per consentire il tracciamento dei contatti. Molti ultras ritennero le misure necessarie per contrastare la pandemia e le accettarono, ma al tempo stesso trovarono impossibile vivere la cultura del tifo per come la intendevano loro: liberamente, in modo indipendente, attivo e vibrante. La loro scelta, dunque, fu quella di stare completamente lontani dal gioco. «Tutti o nessuno», scrivevano in diversi comunicati.

Il problema più grande rimanevano i rigidi criteri di ammissione, dal momento che l'ingresso negli stadi era vincolato alla presentazione di un test negativo oppure un certificato di avvenuta vaccinazione o guarigione. Un limite che per gli ultras, già sospettosi nei confronti delle autorità e da sempre gelosi dei propri dati personali, non poteva essere oltrepassato. Alla parziale riapertura degli stadi, il calcio tedesco non era più lo stesso. Era tutto terribilmente noioso e silenzioso, come se nessuno dei presenti fosse in grado di replicare quell’atmosfera caotica che fino a poche decine di mesi prima aveva creato una partita nella partita, in campo e sugli spalti. Il successivo cambio di strategia adottato dalla Germania nella gestione della pandemia significò la riapertura totale, senza obbligo di mascherina, di alcuni impianti e il conseguente ritorno dei tifosi.

Considerato e riconosciuto il ruolo degli stadi come palcoscenico per esprimere opinioni e disappunto su più ampie questioni sociali, la graduale ricomparsa degli ultras riportò l’attenzione su temi quali l’antirazzismo, il pacifismo e la tutela della 50+1 rule. Nel recente passato, tuttavia, le proteste delle curve avevano riguardato anche aspetti prettamente legati al gioco. Successe, per esempio, nel 2017-18 quando la Dfb decise che cinque partite della stagione si sarebbero disputate il lunedì sera nel Monday night match. La scelta, almeno nelle intenzioni della federazione, doveva servire a garantire un giorno di riposo extra alle squadre impegnate il giovedì precedente in Europa League. Secondo i tifosi, al contrario, rappresentava l’ennesimo tentativo di eccessiva commercializzazione del calcio e di minaccia alla sua cultura popolare. Giocare in trasferta in un giorno feriale avrebbe reso complicata una loro presenza, considerate la distanza da coprire e la necessità di richiedere un permesso al lavoro. Curve vuote, lanci di palline da tennis e carta igienica furono i segnali di rimostranza della parte più accesa del tifo, che alla fine convinsero la Dfb a cancellare il Monday night a partire dalla stagione 2021/22.

Una campagna per cui gli ultras continuano a battersi riguarda la possibilità di utilizzare articoli pirotecnici sugli spalti per aggiungere atmosfera alle partite. Nel febbraio 2020 la Dfb autorizzò dieci tifosi dell’Amburgo, sotto la supervisione di un esperto e dei vigili del fuoco, ad accendere un fumogeno a testa prima della sfida contro il Karlsruhe. Si trattò comunque di un’eccezione, resa possibile dall’approvazione delle autorità cittadine. Sia la federazione che la Uefa, infatti, non hanno mai aperto a un allentamento dei divieti, riferendo soltanto che qualsiasi domanda futura sarà trattata caso per caso. Recentemente la questione è stata ripresa dal presidente del Werder Brema Hubertus Hess-Grunewald che si è detto favorevole a un «uso controllato e legale» che permetterebbe di fermare la spirale di «repressione e criminalizzazione» nei confronti dei tifosi.

La situazione attuale e i timori per Euro2024

L’8 settembre 2022 era in programma la partita tra Nizza e Colonia, valida per la prima giornata del gruppo D di Conference League. Prima dell’inizio scoppiarono violenti incidenti sulle tribune che portarono al ferimento di sette persone, di cui due in gravi condizioni. L’evento ha riportato allo scoperto i timori di un possibile revival dell’hooliganismo nel calcio europeo, soprattutto in Paesi come Francia e Germania nei quali il fenomeno pare non essersi mai del tutto sopito. Proprio in quest’ultimo caso la convivenza di aspetti più scenografici e organizzati tipici degli ultras con l’improvvisazione e la violenza spontanea degli hooligan ha portato a una sorta di movimento ibrido ribattezzato "hooltras". A una vecchia generazione di tifosi pare essersene aggiunta una nuova, in cui sempre più persone agiscono deliberatamente da teppisti sfruttando l’onda di una cultura fortemente radicata in Germania. Il timore di questa nuova deriva del tifo è diventato evidente quando la Dfb si è detta preoccupata per l’impatto che potrebbe avere sugli Europei del 2024, con il rischio di rovinare l’immagine del Paese e della federazione stessa.

Considerate tutte le premesse del caso, resta comunque abbastanza paradossale constatare quanto la cultura del tifo sia, agli occhi di uno straniero, uno dei punti di forza unici e caratteristici della Germania e al tempo stesso accorgersi che la reputazione dei tifosi tedeschi in patria sia piuttosto diversa e poco raccomandabile, specialmente se i bersagli sono proprio coloro che quell’atmosfera così affascinante la creano: i gruppi organizzati e gli ultras. Spesso demonizzati come "criminali", "teppisti" o "cosiddetti tifosi" da media, polizia e politici, la loro immagine continua a rimanere equiparata a elementi senza legge della società che devono essere controllati. Rimane indubbio, a prescindere dal punto di vista, che immaginare oggi il calcio tedesco senza la sua componente più euforica, folkloristica e per certi versi anarchica appare un esercizio di difficile attuazione.

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