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Fabrizio Gabrielli
Breve storia dell’odio di Van Gaal per l’Argentina
09 dic 2022
09 dic 2022
Un odio che ai quarti di finale vedrà la sua resa dei conti.
(di)
Fabrizio Gabrielli
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Shaun Botterill/Getty Images
(foto) Shaun Botterill/Getty Images
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche. In questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.Aloysius Paulus, in fin dei conti, è una persona che sa stare allo scherzo, a modo suo dolce, addirittura simpatica – come ogni persona chi si chiama Aloysius, alla fine, e comunque ben oltre la media degli olandesi. Aloysius fa del dark humour sulla madre, Aloysius balla waka waka, Aloysius abbraccia i suoi fan. Ma Aloysius è capace anche di farsi odiare. E di odiare, in prima persona, con quella partecipazione emotiva che si dedica solo ai calli sotto i piedi, al traffico nell’ora di punta e a chi ti ha scippato la fidanzata. Di riflesso, evidentemente, in molti odiano lui.«Van Gaal è arrogante, pieno di sé, e soprattutto ha un problema: non ha idea di come funzioni il calcio. È malato, è pazzo: è l’Hitler dei giocatori brasiliani», ha detto una volta Giovanni, cioè Giovanni Silva Oliveira, cioè un calciatore brasiliano che è passato per Barcellona – posto di cui tutti i brasiliani conservano un ricordo positivo, da Fabio Rochemback a seguire – ma con la sfortuna di farlo nell’interregno di Louis Van Gaal. Potremmo espandere questa idiosincrasia di Aloysius per il Brasile, a pensarci bene, a tutto il Sudamerica. Ma cosa ha fatto, di preciso, il Sudamerica per guadagnarsi tutto questo astio?

Mi sono fatto l’idea che domenica 25 giugno 1978, al centro di Velsen, all’ombra delle rovine del castello di Broderode, a qualche manciata di chilometri dall’imbarcadero per Newcastle, ecco, debba essere successo qualcosa al giovane Aloysius Paulus, che ha appena terminato la prima stagione di ritorno in Olanda dopo due trascorse ad Anversa, dopo essersi lanciato nel giro (ma senza mai scendere in campo) con la maglia dell'Ajax, qualcosa di irreparabile di fronte al televisore che in birreria stava trasmettendo la finale del Mondiale tra Argentina e Olanda. Una scommessa persa malamente? Semplicemente una fede cieca negli oranjes demolita dai colpi di mortaio di Mario Kempes? Una cotta per una camerieretta della birreria del centro, magari di origini rosarine, non ripagata?Il fatto è che Aloysius, da un certo punto in poi, ha maturato l’impressione di doversi accollare una missione che davvero, Aloysius, non ce n’era così bisogno: quella di odiare, e di rimando farsi odiare, da qualsiasi persona che in qualche maniera avesse a che fare con il Cono Sur, e più specificamente con l’Argentina. Il Paese con el Sol de Mayo al centro della bandiera è diventato la sua nemesi, il suo allergene preferito, l’occlusione alla vena giugulare interna: il suo embolo a forma di Monumento a la Bandera.L’inizio di tuttoLa prima reazione sconsiderata, la prima volta che deve essersi sentito mancare l’aria, andare il sangue alla testa, Aloysius, l’ha provata al cospetto di Juan Román Riquelme.

"El Mudo" era arrivato da Buenos Aires, dal Boca Juniors campione del mondo: la sua accoglienza fu così poco accogliente che anni dopo Román ancora ne parla come di uno che ha avuto il coraggio di inseguire la coerenza delle sue idee, che è la maniera in cui le persone educate e stilose, come in fin dei conti è Román, definiscono il fenotipo che, per dire, persone con gusti meno sofisticati, tipo Hristo Stoichkov, definiscono testa di cazzo.La prima frase che Van Gaal disse a Riquelme fu: «Non sono io che ti ho richiesto. Anzi, fosse stato per me neppure ti avrei voluto». Poi avrebbe argomentato: «Sei il miglior giocatore del mondo», e immagino l’espressione fintamente angelica che sanno avere certi olandesi mentre pronuncia questa frase, prima di incupirsi e continuare «quando hai la palla; perché quando non ce l’hai giochiamo uno in meno». Pragmatico, diretto, un po’ mefistofelico. Gli dava del disordinato, del pigro. Con una punta di sadismo, durante un allenamento, si era presentato con suo figlio per mano, tra le mani aveva una maglia del Barça. «Guarda bene», aveva detto a Román. Poi, dopo aver lanciato la maglia al figlio: «La indosserà lui più di te». Lo fece giocare costantemente fuori ruolo. Ma sempre. «Vuoi bene al club che ha investito su d te?», gli chiese un giorno. «Se gli vuoi bene, fagli un favore. Vattene, fagli guadagnare questi undici milioni di euro». Quando Román ebbe suo figlio Agustín, Van Gaal gli fece recapitare un completino del Barça e una tessera da socio. Era passato un anno dall’addio di Riquelme al Barcellona, e non sono certo che il gesto di Van Gaal non sia stata un tentativo di far sì che gli incubi di Riquelme al sol vedere la maglia blaugrana non si sopissero mai.Pugnace, ma con qualcuno di piùIl nome Aloysius deriva dal francone Hlũdawīg che a sua volta discende dal proto-germanico Hlũdawīgą: significa «celebre battaglia». Nomen omen, Aloysius Van Gaal ha sempre vestito abiti assai pugnaci, ancor di più quando sentiva le ll pronunciate come una y e una cadenza tipicamente gauchesca. A Martín Demichelis, ai tempi del Bayern, che si lamentava di essere sempre relegato in panchina, disse «sei una riserva, devi accettare la mia decisione. Non ti dico che è facile». E immagino glielo abbia comunicato con una punta di sadismo.

Foto di Alexander Hassenstein/Bongarts/Getty Images.Un giorno, nell’intervallo di una partita che stavano vincendo 3-0, entrò nello spogliatoio dando pugni alle porte e gridando «avete fatto schifo!». Demichelis lo bloccò: «smettila di insultarci, un po’ di rispetto». Peccato che nel secondo tempo Demichelis giocò male: all’indomani Aloysius lo bloccò per dirgli che se aveva giocato così male era perché si era intromesso, e squilibrato emozionalmente. «Quindi smettila di intrometterti», la conclusione semplicissima.In allenamento, qualche tempo dopo, stanco di essere sempre ignorato, Demichelis ricevette il pallone dal portiere durante una partitella e mirò la faccia di Van Gaal. La palla passò a qualche centimetro. «D’ora in poi», disse glaciale Aloysius, «nessuno passa più il pallone a Demichelis, intesi?».Dov’è il tuo Dio? Il mio non c’èPrima del Mondiale sudafricano del 2010, quando gli chiesero dove sarebbe potuta arrivare l’Argentina, dichiarò solennemente che non c’era verso che l’Albiceleste potesse vincere quel Mondiale. «Può anche avere i migliori giocatori del mondo», spiegò, «ma serve avere un buon tecnico».Sulla panchina di quell’Argentina, beh, c’era Diego Armando Maradona, e per quanto in molti la pensassero come Aloysius, pochi avevano avuto l’ardire di spiattellarlo con tutta quell’innocenza. O quel sadismo, fate voi. Ah, prima di quel Mondiale disse anche un’altra cosa, ma ce la teniamo per più tardi, perché chissà che non sia il motivo principale di questo astio accumulato.Le sconfitte acuiscono le rivalità. Le sconfitte ai rigori le esacerbano. In Brasile, nel 2014, Van Gaal dirige gli Oranje. Il tabellone li mette di fronte all’Argentina: l’altra semifinale è tra Germania e Brasile, e quando Aloysius vede compiersi la carneficina del mineirazo, in cuor suo, sono certo culli l’idea di una finale calcisticamente calvinista e austera nella terra del samba e della fantasia, del futebol bailado. A rovinare i piani, però, c’è l’Albiceleste guidata da Messi: in limine a quella partita Aloysius confessa di non temerlo, di aver preparato un piano contro una squadra, mica contro un’individualità. L’occasione di andare in finale, però, Van Gaal la perde, ai rigori. In quel momento matura una strana reazione, una specie di acutizzazione della Sindrome di Stoccolma.Nella stagione successiva al Mondiale Van Gaal è sulla panchina del Manchester United, dove – magari non tutti su espressa richiesta – arrivano Marcos Rojo, Ángel Di Maria e Sergio Romero. Il portiere merita un discorso a parte, perché aveva già incrociato la strada di Van Gaal quasi dieci anni prima, nel 2007, quando aveva guidato – con il "Chiqui" tra i pali – l’AZ Alkmaar alla vittoria del campionato olandese. «Mi ha aiutato quando sono arrivato», ha confessato Romero. «Non parlavo olandese né inglese, e lui mi parlava in spagnolo. Una persona aperta e molto onesta, che ti aiuta e ti conforta». «Nessuno mi voleva, e Van Gaal ha salvato la mia carriera». «Gli ho insegnato io a parare i rigori», avrebbe detto Van Gaal. «L’ho portato in Europa, e ora fa male». In qualche modo, in queste parole Van Gaal cela una specie di odio contro se stesso, di rimpianto per aver favorito la crescita professionale di un giocatore che con una grande prestazione ha arrestato il suo potenziale exploit professionale. Sono piuttosto certo che guardandosi allo specchio Aloysius abbia aggiunto: «e da dove viene, infatti? Come ti sbagli?».Un altro bel rapporto intessuto a Manchester, città che con il suo clima gioviale favorisce la costruzione di legami d’amicizia solidi, è quello che Van Gaal ha ordito con il "Fideo" Di Maria, uno che in effetti conserva un così bel ricordo da aver dichiarato, qualche giorno fa, «il peggior tecnico che abbia avuto in vita mia», che per Aloysius, alla fine della fiera, stai a vedere che non si tratta di un riconoscimento.

Foto di Steve Parkin/AFP via Getty Images.«Ho iniziato bene i primi due mesi», ha raccontato Di Maria, «poi abbiamo avuto un diverbio, e quando bisticci le cose già non vanno più nella stessa maniera, non è più la stessa relazione e il tecnico decide se giochi oppure no, e se non giochi t’ammazza». «Ogni volta mi mostrava dove sbagliavo, i miei errori, fino a quando un giorno abbiamo litigato, gli ho detto di smetterla, perché non mi mostrava le cose che facevo per bene?». La risposta di Van Gaal non si è fatta attendere: «Non ho mai visto un giocatore che non si osserva come lui: è uno dei calciatori che non sanno fare autocritica». Ma non tanto per il fatto di giocare male, quanto proprio per essere argentini.«Mi dispiace che mi consideri il peggior allenatore che ha avuto», ha rincarato la dose in conferenza stampa prima della sfida diretta con l’Argentina, «trovo triste che lo abbia detto. Anche Memphis» ha poi aggiunto riferendosi a Depay, che era con lui in conferenza «è passato per lo stesso periodo a Manchester, eppure ora ci baciamo sulla bocca».Ma proprio nessun rispetto per DioÈ incredibile come l’odio possa risultare ancora più cieco dell’amore. Stretto dalla morsa di un rancore incrollabile, Van Gaal ne ha avute ovviamente anche per Lionel Messi: nel 2019 disse «guardate il Barcellona. Dicono che sia il più forte giocatore al mondo, ma quante Champions ha vinto? (...) Io credo nel gioco collettivo, e non c’è niente di più importante del giocatore di squadra». Forse a Aloysius è sfuggita l’evoluzione ultima di Lionel. O forse no, dal momento che ha argutamente sottolineato come senza pallone tra i piedi l’Argentina non diciamo che gioca con un uomo in meno, ma sicuramente può contare meno sull’apporto di Leo: e Van Gaal è deciso a sfruttare questo vulnus. «Nel 2014 non ha toccato un pallone, e abbiamo solo perso ai rigori. Ora vogliamo la rivincita», ha dichiarato giusto per scaldare un po’ l’ambiente, ma davvero Aloysius, chi te lo fa fare? Non ci riusciamo a superare questo trauma? Cosa ti è successo, precisamente, di così detestabile e traumatico da averti fatto salire questo rancore per l’Albiceleste?Aspetta, Aloysius. Proviamo a fare della psicanalisi spicciola: e se tutto quest’odio per l’Argentina non fosse che una reazione rispondente alla celebre parabola della volpe che per non poter raggiungere l’uva dice che è fracica?Non sarà mica che stai ancora rosicando per quella volta, nel 2010, in cui hai detto che terminati i due anni di contratto rimanenti con il Bayern ti sarebbe piaciuto allenare una Nazionale, una Nazionale che avrebbe potuto vincere qualcosa, e hai anche ammiccato all’Albiceleste, salvo che poi quell’Albiceleste è andata nelle mani del "Pachorra" Sabella che dalla vittoria si è scostato giusto un pelino così piccolo, e ci è arrivato calpestando un ponticello pericolante tutto dipinto d’Oranje che avevi edificato te?Le persone che odiamo di più, in fin dei conti, sono quelle che più temiamo. E le temiamo perché le rispettiamo. È il rispetto è l’amore spogliato della formalità e delle smancerie dell’amore. Sei un brav’uomo, Aloysius. Anche simpatico.Smettila di serbare rancore, che la vita è un soffio. Lasciati andare, e ammettilo che in fondo i colori della Selección ti piacciono. E che questa degli ultimi giorni non è che una posa necessaria, e che casomai dovesse andarti male, dopotutto, sei già pronto ad affacciarti al centro sportivo dentro all’Università del Qatar cantando muchachooooos ahora nos volvimos a ilusionar… Non ti giudicheremo mica per questo.

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