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Giovanni Bongiorno
Breve storia delle MMA femminili
11 lug 2023
11 lug 2023
Dagli inizi in Giappone fino ad Amanda Nunes.
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Giovanni Bongiorno
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IMAGO / Bildbyran
(foto) IMAGO / Bildbyran
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Dana White è certamente un uomo controverso, soprattutto quando si parla di sport femminile. Il presidente di UFC, per esempio, ha dichiarato tempo fa che nessuna donna sarebbe mai entrata in un ottagono, se non da Octagon Girl, e prima di intravederne l'opportunità non sembrava particolarmente interessato al fenomeno. La sua, quindi, è stata di certo una mossa opportunistica, d'altra parte quando c’è da guardare propriamente al guadagno in termini di visibilità, avanguardia ed economia è una vera volpe. Fatto sta che nel novembre 2012, poco dopo l’acquisizione di Strikeforce da parte di UFC, ha creato la prima divisione femminile della UFC al limite delle 135 libbre, promuovendo Ronda Rousey campionessa. La fenomenale fighter statunitense si era da poco laureata campionessa proprio di Strikeforce.Potremo prendere quindi questo come momento d'inizio delle MMA femminili, ma la verità è che non esiste una data precisa a segnare inequivocabilmente il primo match della storia delle arti marziali miste femminili (o meglio, di No Holds Barred). Già dalla prima metà degli anni ‘90, infatti, in Giappone, le donne avevano già iniziato a combattere a regole (o non regole) miste. Una delle prime promotion è stata la giapponese Smackgirl, ufficialmente avviata nel 2001, e subito dopo anche delle promotion maschili aprirono quasi subito le porte alle donne. Il primo vero evento di MMA di cui si hanno notizie affidabili ed approfondite fu ReMix World Cup, un torneo a tabellone con protagoniste dodici donne pronte a darsi battaglia per il premio finale di 10 milioni di yen, circa 100mila dollari. L’evento ebbe luogo in Giappone quando Neo Japan Ladies Pro Wrestling agli inizi degli anni 2000 organizzò la riunione al Nippon Budokan di Tokyo. Ad ogni modo, negli Stati Uniti, già nel 1997, nella promotion International Fighting Championships, si affrontavano Becky Levi e Betty Fagan.

La stessa Becky Levi partecipò alla ReMix World Cup, arrivando in semifinale. Nonostante sfiorasse i cento chili, Levi dovette cedere il passo al primo vero fenomeno che le categorie femminili potessero offrire: Marloes Coenen, una fighter olandese soprannominata “Rumina” in onore del fighter giapponese Rumina Sato, vero e proprio fenomeno delle sottomissioni volanti al quale Coenen pagava tributo sottomettendo le sue avversarie in maniera simile. Le categorie di peso erano una chimera, o meglio, era molto ben accetta la modalità openweight e quindi, sebbene Levi pesasse sui cento chili, Coenen non aveva problemi o timore reverenziale a presentarsi sul ring pesando appena 65 chili. In quegli anni il Giappone poté contare su delle vere eroine di questo sport. Veterane del pro-wrestling o anche combattenti pure di grappling che avrebbero dato sangue e sudore in nome dello sport più che delle borse (misere, nella maggior parte dei casi). Si possono ricordare tra queste Megumi Fuji, Mei Yamaguchi, Rin Nakai (che ha avuto una brevissima avventura pure in UFC). Nel frattempo, sempre in Giappone, era nata anche la sezione “Jewels”, ovvero la promotion unicamente al femminile della giapponese Deep. Un'altra tappa importante nella storia delle MMA femminili, che come ormai sarà chiaro ha un legame profondo col Giappone.Fu in quel momento che tutte le promotion capirono l'opportunità offerta dalle fighter. Calvin Ayre, patron di Bodog Fight, per esempio, investì un patrimonio (si parlava all’epoca di circa 55 milioni di dollari) per il miglioramento della sua promotion, il che voleva dire anche aggiungere le categorie femminili. C'è da dire che inizialmente il mondo occidentale è sembrato meno pronto di quello orientale a promuovere le MMA femminili. Tutti gli sport di combattimento, infatti, avevano mutuato un'idea stereotipata e offensiva della donna, relegata a quelle che poi diventeranno le octagon girl in UFC, delle sorta di "ombrelline". Le MMA occidentali dovranno aspettare l'arrivo di un fenomeno per ravvedersi, una fighter straordinaria come Gina Carano. Oggi attrice di buon successo, Gina Carano sarà sicuramente nota ai fan della Fast Saga, nella quale interpreta Riley Hicks, una ex soldatessa nonché agente corrotto del DSS. Figlia di Glenn Carano, ex quarterback dei Cowboys di Dallas, Carano è riuscita a rompere gli stereotipi che, a parte qualche eccezione, vedevano le donne combattenti come mascoline nell’aspetto e nei modi. Carano ha potuto contare, oltre che sulle indubbie qualità marziali, anche su un aspetto che ha contribuito a farne accrescere il seguito anche nel pubblico maschile, facendo cambiare idea a chi pensava che le MMA femminili non fossero roba seria.Dominate le sue avversarie nei match senza categorie di peso, la prima svolta della sua carriera si ebbe quando EliteXC - che l’aveva resa un volto noto - ebbe problemi finanziari, costringendola a cedere il suo contratto a Scott Coker, che la portò in Strikeforce. In quel momento Carano era già in contatto con dei produttori per lanciare la sua carriera di attrice ed il suo primo match in Strikeforce, valevole per la cintura dei pesi piuma, fu anche l’ultimo della sua carriera e rappresentò il primo, vero passaggio del testimone di quella che può essere considerata la prima dominatrice delle MMA femminili. Nell’agosto 2009, Gina Carano affrontò Cristiane Justino Venancio, nota come Cris Cyborg, un soprannome ereditato dall’allora marito Evangelista Santos. Cyborg era una fighter dall'aspetto più androgino ed asciutto, muscolare e minacciosa più nell’aspetto che nei modi. Era una combattente di muay thai e di brazilian jiu-jitsu ed infatti non si limitava a combattere nelle MMA, ma nel tempo libero si concedeva tornei di BJJ e match di muay thai, che spesso vinceva. Il match tra le due fu il primo main event femminile per Showtime e gli ascolti furono da capogiro, con dei numeri che sfioravano gli 860mila spettatori. Dei numeri senza precedenti che dimostravano quanto le MMA femminili non fossero più solo mero intrattenimento tra un match e l’altro degli uomini, quanto protagoniste a tutti gli effetti.

Gina Carano si ritirerà subito dopo il match, perso con un secondo sul cronometro al termine del primo round e si dedicherà solo alla carriera di attrice. Cris Cyborg invece era diventata in quel modo lo spauracchio delle divisioni femminili, e pensare che fino a qualche anno fa si giocava il titolo di campionessa nelle MMA migliore di sempre insieme ad Amanda Nunes non dovrebbe sorprendere, ma solo dare una dimensione sul suo valore assoluto. Dopo però appena due difese titolate, una delle quali avvenuta contro la sopracitata Marloes Coenen, Justino venne fermata dall’anti-doping a causa dell’utilizzo di uno steroide anabolizzante.

La sospensione e la momentanea uscita di scena da parte di Justino aprirono la strada a quella che è - ad oggi giustamente - considerata il più grande fenomeno mediatico del mondo delle MMA femminili, ovvero la scalata di Ronda Rousey - una fighter la cui carriera ha ragione d’essere paragonata a quella di Conor McGregor. Anzi, probabilmente gli farebbe ombra, se pensiamo che Rousey si fosse già distinta alle Olimpiadi nel judo. Ronda ha dominato il mondo delle MMA e la divisione al limite delle 135 libbre tra il 2012 e il 2015. Le sue avversarie duravano contro di lei un battito di ciglia e venivano sempre finalizzate alla stessa maniera: tramite il suo marchio di fabbrica, un armbar perfetto. Iniziando come i suoi predecessori in Strikeforce, Ronda combatté con la sua nemesi Miesha Tate per la prima volta nel marzo 2012. Era il suo debutto nei pesi gallo, con il titolo Strikeforce in palio. In un solo round Rousey ebbe la meglio e si laureò campionessa, contribuendo ad attirare l'attenzione di più di 430mila spettatori. Dopo 5 mesi e davanti a più di 670mila spettatori da casa, Ronda si sbarazzò in meno di un minuto di Sarah Kaufman. I vertici di Showtime compresero subito di avere in mano una gallina dalle uova d’oro e l’interesse nei confronti di Ronda, che adesso partecipava anche ai talk show, era in potente ascesa. Strikeforce però non ebbe vita lunga. I continui problemi finanziari affliggevano la promotion di Scott Coker, che, come detto, venne acquisita da UFC, la quale rilevò anche i contratti più interessanti. Era giunto il momento per Dana White di rompere la promessa: UFC avrebbe avuto la sua prima categoria femminile. Quale occasione migliore per istituire il titolo dei pesi gallo e mettere Ronda a guidare la giostra? Nel febbraio 2013 Ronda si trovò davanti Liz Carmouche, quella che descrisse come la sua avversaria più spaventosa. Chi conosce Ronda sa bene quanta energia la statunitense impiegasse nei face-off, cercando di intimidire le sue avversarie. Carmouche, nonostante la carriera della sua avversaria, nell'ottagono sembrava tranquilla. Ronda avrebbe poi dichiarato che quell’atteggiamento l’aveva preoccupata. Ad ogni modo, la pratica fu la stessa: armbar al primo round. Ronda si laureò di nuovo campionessa UFC. La visibilità che le arrivò addosso, però, questa volta fu per lei un’arma a doppio taglio: se da un lato era la fighter più pericolosa e magnetica in circolazione, dall’altro si iniziarono a insinuare nella sua storia i primi problemi personali: la necessità di soddisfare la severa madre, anche lei ex fenomeno nel judo; una personalità spigolosa, che le aveva attirato molte antipatie a causa dei suoi modi bruschi, dei suoi festeggiamenti esagerati, del trash talking che spesso scadeva nell’insulto deliberato. La sua scalata alla cima, le difese titolate, la pressione, l’avere sempre un bersaglio sulla schiena la resero sempre più intrattabile ed antipatica al pubblico che, forse, la guardava più per vederla perdere che vincere. Ronda batterà ancora una volta Miesha Tate, dopo aver fatto entrambe da coach ad un’edizione del The Ultimate Fighter, il celebre reality show di UFC - una chance che Dana White, sornione, non poteva farsi sfuggire. Tate durerà tre round stavolta, più di tutte le avversarie di Ronda, ma dovrà comunque cedere il passo e vedere Ronda rifiutarsi di stringerle la mano, in uno dei momenti più controversi della sua carriera. In ogni caso, anche la rivalità con Tate ha contribuito a cementare il posto di Ronda nella storia.Dopo ben sette difese titolate (Strikeforce inclusa, visto che il titolo UFC veniva proprio considerato una prosecuzione di quello Strikeforce), fu Holly Holm a trovare la formula per battere Rousey. Prima di lei, solo Miesha Tate (che poi, ironia della sorte, batterà proprio Holm per laurearsi campionessa) era riuscita a resistere per più di un round con Rousey. Holm si fece inseguire per l’ottagono, puntando sul footwork imperfetto di Ronda, facendola sfogare prima di malmenarla col suo jab destro. La sua guardia southpaw mandava in confusione Rousey, che al secondo round era già cotta per i colpi al volto. Il coach di Ronda, Edmond Tarverdyan divenne un meme col suo famigerato “Head movement!”. Alla fine Holm mise KO Ronda con un headkick incredibile e per l’ex campionessa si aprirono le porte dell’abisso. Confessò di aver pensato al suicidio e che la ricerca dell’eccellenza per una persona come lei era costata molto in termini di sanità mentale. Quel momento è stato in ogni caso la fine della sua carriera in UFC. Ronda ha poi partecipato ad alcuni film, prima di stabilirsi nella WWE di Vince McMahon. Il suo contributo all'ascesa di UFC però è indiscutibile: con una vendita totale maggiore di 6 milioni di PPV, Ronda si piazza solo sotto atleti del calibro di Conor McGregor, Georges St. Pierre, Jon Jones ed Anderson Silva.

Come spesso accade a seguito delle sconfitte di campioni dominanti, la divisione dei pesi gallo femminili divenne territorio di caccia per molte pretendenti, ma nessuna prima di Amanda Nunes è riuscita a far durare il proprio regno. Col titolo che è passato da Holly Holm a Miesha Tate, senza che le due riuscissero a difenderlo, Amanda Nunes ha occupato quel vuoto riservato alle dominatrici. Considerata oggi la più grande artista marziale mista di sempre, Nunes ha raggiunto degli obiettivi sportivi che le sue avversarie hanno potuto solo sognare. Una delle prime fighter dichiaratamente omosessuali, Nunes come tante sue colleghe ha fatto delle apparizioni in Strikeforce e Invicta FC. Arrivata in UFC con grandi margini di miglioramento, ha praticamente fatto tabula rasa delle sue avversarie, perdendo inizialmente solo contro Cat Zingano. Arrivata comunque in cima in breve tempo, ha sì approfittato della mancanza di Ronda sul trono, ma l’ha sfidata immediatamente dopo, sgretolandola in quarantotto secondi. Una vittoria che ha reso Amanda Nunes, nel 2018, la sola ed unica doppia campionessa in UFC. Un record che non è stato scalfito nemmeno dai suoi due match sul filo del rasoio contro l’attuale dominatrice della divisione dei pesi mosca Valentina Shevchenko. Unica capace davvero di tenerle testa in due match, Shevchenko ha beneficiato della creazione della divisione al limite delle 125 libbre, della quale si è laureata campionessa dopo aver battuto Joanna Jedrzejczyk, a sua volta ex campionessa della divisione di peso inferiore, quella dei pesi paglia, dominata oggi da Weili Zhang. La divisione pesi mosca aveva già visto Nicco Montano laurearsi campionessa a seguito della vittoria di un TUF con cintura in palio.Come detto, però, le MMA femminili, al contrario di quelle maschili, hanno sempre avuto una sorta di “campionessa lineare” (riconoscibile appunto da Carano in poi) in grado di dominare le altre in catchweight o in una divisione nella quale confluivano le migliori lottatrici, in questo caso quella dei gallo. È tenendo a mente questo contesto che si possono citare anche altre protagoniste, come Rose Namajunas, Carla Esparza, la stessa Joanna, Jessica Andrade.

Amanda Nunes è, ad oggi, la campionessa più dominante che si sia mai vista. La sua sconfitta contro Julianna Peña a UFC 269 le era costata il titolo, la striscia di vittorie consecutive ed anche un pizzico d’orgoglio, sebbene la brasiliana avesse promesso faville al ritorno, non curandosi di uno scivolone nel percorso. La sconfitta era arrivata per sottomissione e in pochi avrebbero giurato di vederla tornare a dominare dentro l'ottagono. Eppure, a luglio dello scorso anno, nel rematch, Nunes ha avuto ragione e ha battuto in ogni aspetto Julianna Peña. E adesso che si è ritirata, la posizione di Nunes nella storia è di cemento: resterà la più grande di sempre (finché, almeno, non ci sarà una campionessa con risultati migliori, in bocca al lupo...).Nunes, con il suo talento e la sua storia, ha dato ancora più lucentezza a uno storia che aveva già una sua dignità, indipendente da quella delle MMA maschili. Una storia che, come abbiamo visto, ha tante protagoniste e radici lontane, nel tempo e nello spazio.

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