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Giovanni Bongiorno
Amanda Nunes se ne va nella gloria
12 giu 2023
12 giu 2023
Ma è stata anche la notte del ritorno alla vittoria per Charles Oliveira.
(di)
Giovanni Bongiorno
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IMAGO / ZUMA Press
(foto) IMAGO / ZUMA Press
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UFC 289 era atteso per la presenza, negli ultimi due match, di due dei più grandi rappresentanti della scuola brasiliana di MMA: Charles Oliveira - reduce da un sconfitta dura da digerire con l’attuale campione Islam Makhachev - e Amanda Nunes, campionessa dei Pesi Gallo e Piuma, semplicemente la donna più forte ad aver mai combattuto in un ottagono. Il match di Oliveira era atteso anche per il ritorno del suo avversario Beneil Dariush, che cavalcava una striscia di ben 8 vittorie consecutive ed era in forte considerazione da parte della promotion per il prossimo match titolato. Per questo l’ incontro tra Oliveira e Dariush aveva il sapore della “title eliminator”, del match che precede quello per la cintura cioè, e sebbene sia durato poco (appena quattro minuti e dieci secondi) nella qualità non ha per nulla deluso le aspettative.Oliveira è uno dei più famosi “Cinderella Man” della UFC: dopo un inizio di carriera tra alti e bassi, in cui ha girovagato tra la divisione dei pesi Piuma e quella dei Leggeri, ha disegnato sulle sue qualità uno stile pericoloso e mutevole, capace di adattarsi a qualsiasi situazione. Nella penultima uscita, come accennato sopra, non ha offerto una grande prestazione contro Islam Makhachev, ma con Dariush è riuscito a fornire una delle sue migliori prove di sempre. Dariush, da parte sua, compete da molto tempo tra l’élite UFC e dopo un iniziale periodo di smarrimento aveva messo insieme prestazioni altisonanti grazie a uno stile duro e tendente all’avanzamento continuo. Dopo la vittoria su Tony Ferguson e soprattutto dopo quella su Mateusz Gamrot la promotion aveva finalmente deciso di metterlo alla prova con Oliveira, il miglior test possibile per le ambizioni titolate di Dariush.Come detto, Charles Oliveira ha trovato una delle migliori prestazioni della sua carriera: lui stesso ha detto di aver combattuto al 10% contro Makhachev e al 120% contro Dariush. Oliveira è tornato all’assalto con una strategia tutta fatta di cariche verticali e pressione, aprendo il match con un fulminante headkick mascherato dietro a un diretto, che serviva a prendere le misure iniziando una fase di forcing attivo che lo ha portato prima spalle a terra. Da quella posizione, quasi chiamando in guardia Dariush, si è difeso con colpi a martello e poi, una volta in piedi, lo ha dominato nello stand-up ed in top position dopo essere andato a segno con un gancio mortifero alla testa.

Dariush, subito in difficoltà, ha contenuto il diretto, che pareva quasi corto, ma forse si aspettava il calcio ad altezza media ed è riuscito a contenere per un soffio il calcio alto, subendo comunque un danno non indifferente che l’ha fatto barcollare.

Oliveira, attraverso una prestazione così solida, ha dimostrato di avere diritto ad un’altra opportunità per la cintura, ed è diventato il fighter attivo con più finalizzazioni tra UFC, Pride, WEC e Strikeforce (20), secondo nella storia solo al leggendario Mirko Crocop. La sua strategia non ammetteva repliche, ha rischiato nelle prime battute andando in verticale a “mangiare” le distanze, assorbendo i diretti del suo avversario e costringendolo a combattere dalla distanza più breve, prima di entrare in clinch per portarlo a parete e trascinarlo a terra, seppur in posizione di svantaggio (anche se, va detto, per un fighter come Oliveira, a suo agio schiena a terra, quella potrebbe non necessariamente essere una posizione di svantaggio). Da lì ha accettato lo scambio con Dariush, prima di tentare delle “sweep”, degli squilibri, ed intrappolare la gamba del suo avversario in un tentativo di “heel hook” prima e di “Achille’s lock” poi, entrambe velleitarie. Appena ottenuta la distanza, Oliveira si è rimesso in piedi ed ha iniziato un’altra azione di pressing. Conoscendo Dariush, in molti si saranno sorpresi, visto che il fighter statunitense di origine iraniana è solito avanzare in maniera perpetua e quasi frustrante per i suoi avversari, costringendoli spesso a battere in ritirata. Non è stato il caso stavolta, contro Oliveira che al massimo della sua maturità atletica e tecnica era pronto a rischiare il tutto per tutto in nome di una vittoria convincente e spettacolare. Oliveira ha costretto spalle a parete Dariush, non nel clinch stavolta, ma con un lavoro di gestione delle distanze diligente e preciso. Evidentemente prima aveva saggiato la potenza di Dariush e aveva deciso di poter subire qualche colpo in nome dell’ avanzamento e del controllo dell’ottagono. Una volta costretto spalle al muro, Dariush ha provato a sciogliersi ma ha subìto colpi simili a prima: qualche gancio, un altro headkick che serviva più a gestire la misura che a cercare il KO (il che fa capire lo studio strategico di Oliveira per questo match) e poi due ganci mortiferi. Anche i ganci decisivi, che lo hanno costretto in ginocchio, sono arrivati in un momento in cui Dariush credeva di essere in un range irraggiungibile. Da lì, un tarantolato Oliveira è passato sulla sua schiena, ma l’americano riconoscendo la pericolosità del brasiliano è passato spalle a terra per non concedere la rear-naked choke, esponendosi ad un ground and pound preciso che ha costretto l’arbitro a fermare l’incontro, con verdetto di TKO al termine del primo round in favore di Charles Oliveira.

La sequenza finale dell’incontro.

A fine incontro Oliveira ha usato parole piene di rispetto per Dariush, aggiungendo però di volere un’altro incontro per il titolo. Quando il brasiliano ha detto di sentire di essere già il campione, Daniel Cormier (che di cinture ne sa abbastanza) gli ha detto in tono quasi provocatorio: “In questo sport ci sono dei livelli e il campione è Makhachev, cos’hai da dire?”. Oliveira allora ha infiammato la folla canadese (tutta per lui) chiedendo chi fosse il vero campione, e ricevendo il boato che gridava il suo nome in risposta. Charles Oliveira è senz’altro un favorito dai fan di MMA, non senza una motivazione valida: con o senza titolo cinto alla vita è già una leggenda ed ha demolito l’intera top 5 dei pesi leggeri, ad esclusione del campione. La rivalità con Makhachev non può che far bene alla UFC e alla divisione, e la testa dell’asso daghestano è l’ultima e l’unica che scolpirebbe in maniera definitiva il volto del fenomeno brasiliano nel Monte Rushmore dei campioni dei pesi leggeri.La più grande fighter di sempre“Dovrebbero registrarti alla voce ‘Arma Letale’”, diceva Roger Martaugh (interpretato da Danny Glover) a Martin Riggs (Mel Gibson) nel film che si chiamava, appunto, Arma Letale. Sarebbe calzato a pennello come soprannome per Amanda Nunes, se solo fosse stata una fighter esordiente. E invece ci troviamo a parlare di quella che, dopo un piccolo passo falso contro Julianna Peña, vendicato poi subito dopo, è senza ombra di dubbio e senza paragone possibile la più grande fighter di MMA mai esistita.Amanda Nunes nell’ultimo anno è tornata a prendersi tutto, e lo ha fatto con una costante che ha sempre contraddistinto le sue prestazioni: il dominio. Irene Aldana, la sua ultima avversaria, era numero 5 nei ranking divisionali dei gallo: prima di lei Nunes aveva praticamente terminato le avversarie da battere. Nel suo ultimo incontro, il dominio di Nunes è iniziato già dal primo round, l’unico, a dire il vero, nel quale la sua avversaria Irene Aldana sia riuscita a mettere a segno almeno un colpo pesante, un gancio al termine di una combinazione di tre colpi che Nunes aveva connesso appena prima. La frequenza con la quale Nunes ha cambiato guardia, la sua pressione, il volume dei colpi, e nelle fasi finali la perizia e la qualità nel grappling, le hanno concesso una vittoria che è sembrata quasi semplice, telefonata da principio.

Nunes chiude con un diretto ed avanza, Aldana la centra con un gancio pesante al mento. Nunes però non accuserà il colpo in maniera decisa ed invece si scrollerà subito di dosso la ruggine.

Le statistiche totali del match saranno impietose alla fine dei cinque round: 142 colpi significativi in favore di Nunes, contro i soli 41 di Aldana, perennemente in arretramento ed in difesa. In favore di Aldana, c’è da dire che la combattente messicana ha dimostrato di avere una capacità di incassare i colpi davvero superiore alla media, avendo subìto ganci, diretti, leg kick e gomitate da ogni angolazione senza mai barcollare, anzi gestendo molto bene la quantità di danni subiti e scegliendo bene i momenti - pochi - nei quali provare a contrattaccare. Nunes però, dall’alto della sua esperienza e della sua capacità all’interno dell’ottagono, non ha davvero mai rischiato dopo il primo colpo subìto, e quando ha avuto l’occasione ha sfruttato molto bene la sua superiorità nel grappling per continuare a dominare l’incontro ed eventualmente rifiatare.

Una sequenza che mostra la perizia con la quale Nunes ha portato a terra Aldana, nel corso del terzo round.

La superiorità di Nunes è stata evidente in ogni aspetto dell’incontro, anche in quello dello striking che, almeno teoricamente, doveva essere in favore di Aldana, che aveva puntato tutte le proprie energie sulla fase in piedi (e in particolare i colpi alla testa, visto che non ne ha tentato nessuno o quasi nessuno al corpo). Portata la sua avversaria a terra, spesso Amanda Nunes ha preferito non seguirla al tappeto, dandole la possibilità di rialzarsi e riprendendola subito in clinch, sfruttando le sue abilità a parete per bloccarla, sfiancarla, e poi riportarla a terra. Ma va sottolineato come il jab di Nunes abbia avuto il ruolo di bloccare ogni iniziativa della sfidante, aprendo anche a finte di single-leg takedown e cambi di livello per tornare a colpire testa e bersaglio grosso. Aldana è parsa più volte sorpresa dalle soluzioni offerte da Nunes, incapace di gestire ritmo e volume. Nunes, sempre perfettamente a suo agio, non ha mai cambiato l’inerzia nel corso dei venticinque minuti totali, al termine dei quali non ci sarebbe stato neanche bisogno del verdetto dei giudici.

Il jab ed i takedown di Amanda sono andati spesso a segno, sorprendendo la sfidante e costringendola ai ripari.

Dopo l’ennesima prestazione altisonante, Nunes ha deciso di chiudere la sua carriera. Dopo aver raggiunto il numero di vittorie titolate di Anderson Silva (11), andandosene come prima e unica doppia campionessa nelle categorie femminili in UFC, oltre che quella con il maggior numero di match (9) e vittorie (8) con il titolo dei pesi Gallo in palio, e quarta in assoluto ad aver tenuto la cintura in termini di tempo consecutivo: 1981 giorni, solo Demetrious Johnson, Georges St. Pierre e Anderson Silva hanno fatto meglio. Nunes lascia anche come fighter con il maggior numero di vittorie nelle divisioni femminili in UFC (16), e di vittorie consecutive (12), e anche come primo fighter, senza distinzioni di sesso, a difendere entrambe le cinture detenute in simultanea.Nunes ha sottolineato così il momento del suo addio: “Ho raggiunto lo stesso numero di vittorie titolate di Anderson Silva, non vedo momento migliore per ritirarmi”. Ha lasciato tutti un po’ sgomenti e sorpresi, anche perché nessun sentore, nessun segnale, nessun rumore poteva far presagire una scelta così certa e determinata (a dire il vero, Anthony Smith che la conosce da tempo in un’intervista recente ha detto di non vederla più concentrata come una volta, augurandole di godersi presto a pieno la sua famiglia: cosa che ha deciso di fare a quanto pare). Certo, chi non ne poteva più del suo straripante dominio (osservatori senza cuore, dico io) sarà stato accontentato nel momento in cui ha appoggiato i guantini in mezzo ai suoi due titoli, ma anche chi l’ha incondizionatamente amata ha avuto la sua grossa dose di soddisfazione: anche se è un peccato non aver chiuso la trilogia con Peña, almeno Amanda Nunes ha lasciato dopo un ennesimo incontro dominato, un ultimo spettacolo offerto al suo pubblico. Al di là dei numeri che rimarranno nella sua leggenda, per chi l’ha vista combattere resta indelebile il ricordo della ferocia e della determinazione con cui Amanda Nunes ha ottenuto e riconquistato il trono, l’ultima volta con Peña, non così diverse dalla ferocia e dalla determinazione con cui ha messo fine alla leggenda di Ronda Rousey ormai più di sei anni fa. Nessun’altra campionessa, Ronda Rousey compresa, potrà mai più scalfire il suo status: Amanda Nunes è stata semplicemente la più grande tra le donne che hanno combattuto nelle MMA. È stata un unicum, qualcosa di irripetibile, una cometa di Halley che passa una volta ogni quasi cento anni, e sarà molto difficile, se non impossibile, trovare qualcuno capace di distruggere i suoi record. Amanda Nunes ha chiuso la sua carriera nella miglior maniera possibile, con un record finale di 23 vittorie e 5 sconfitte, una striscia di 12 vittorie consecutive e la collezione di teste importantissime: Cris Cyborg, Valentina Shevchenko, Ronda Rousey, Holly Holm e Miesha Tate, passando anche per la riconquista della corona contro la sopracitata Julianna Peña, l’unica dopo Cat Zingano in grado di batterla in UFC. Non so se esista un modo migliore di quello di Nunes di chiudere una carriera leggendaria, ciò che è certo è che i tempi erano sicuramente maturi e che Amanda Nunes si è ritirata da dominatrice assoluta, in cima alla catena alimentare. Lunga vita alla Regina.

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