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Indro Pajaro
Breve storia dell'hooliganismo olandese
02 apr 2024
02 apr 2024
L'evoluzione delle frange più estreme del tifo olandese.
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Indro Pajaro
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Foto Imago / BSR Agency
(foto) Foto Imago / BSR Agency
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Il 18 maggio 2023 il West Ham sconfiggeva l’AZ Alkmaar e conquistava l’accesso alla finale di Conference League. Ai festeggiamenti in campo faceva però da contraltare l’assalto dei Ben Side Ultras al settore riservato allo staff e alle famiglie della squadra ospite. Il resto della cronaca è racchiuso nei video comparsi sui social praticamente in tempo reale: si vedono gruppi di persone incappucciate scontrarsi dapprima con alcuni calciatori Hammers, intervenuti a difesa dei propri cari, e poi venire ricacciati indietro da un uomo corpulento posizionato in cima alle scale di accesso al settore.

Chris Knoll, cinquantottenne padre di famiglia e tifoso di lunga data del West Ham, è diventato per molti l’eroe di una serata che, fuori dal campo, avrebbe potuto mettersi parecchio male. Il suo gesto, oltre a costargli un occhio nero, gli è valso un caloroso tributo da eroe nella successiva partita casalinga di Premier League e un biglietto regalato dalla società per l’ambita finale di Praga.

L’influenza inglese

Il contesto di una coppa europea e le immagini finite in rete avevano nel frattempo contribuito a riaccendere i riflettori su un problema già noto in Olanda, ovvero quello della violenza di frange estremiste del tifo. Le origini del fenomeno risalgono agli anni Settanta, in un’epoca in cui l’hooliganismo inglese stava prepotentemente diventando un modello da seguire e replicare, sia per quanto riguarda il modo di vivere le partite, sia per la manifestazione della violenza a esse correlata.

L’allora comune conformazione architettonica degli stadi permette ai giovani olandesi più esagitati di appropriarsi di uno spazio tutto loro (denominato side), solitamente dietro una delle due porte, in cui dar vita alle prime forme di tifo organizzato sulla base di quanto già avvenuto con le youth end britanniche. Nascono in quegli anni l'F-Side dell'Ajax, il North-Side del Den Haag e il Vak-S del Feyenoord. I suoi membri, in particolare, copiano rituali e simboli della terrace culture, come le canzoni "You'll Never Walk Alone" e "We Shall Not Be Moved”, percepite più prestigiose rispetto ai tradizionali cori di incitamento. Contestualmente coltelli, cinghie, catene e altri manufatti contundenti fanno la loro apparizione sugli spalti e negli scontri che iniziano a riempire, seppur solo su piccola scala, le pagine di cronache nazionale. Gli episodi di violenza continuano a consistere soprattutto nel lancio di oggetti e in aggressioni ad arbitri e giocatori innescati dallo svolgimento della partita, come ad esempio un fischio controverso o una sconfitta della propria squadra. Alla gara sul campo se ne affianca un’altra, combattuta al di fuori, il cui obiettivo è superare la controparte per tifo, calore e atmosfera. Insulti e provocazioni sono i mezzi per infiammare i rivali, all’interno di un quadro dove i giovani partecipanti sono chiaramente riconoscibili dai colori sociali del proprio club su berretti, sciarpe e altri capi di abbigliamento.

La data spartiacque è il 29 maggio 1974, quando il Tottenham giunge in Olanda per giocare contro il Feyenoord la gara di ritorno della finale di Coppa Uefa. I sostenitori degli Spurs si scatenano per le vie di Rotterdam e dentro il De Kuip, guadagnandosi la triste fama come prima hooligan firm a essere coinvolta in disordini su vasta scala al di fuori del Regno Unito. Per molti inglesi si tratta della prima trasferta europea, e il basso costo dell’alcool, unito alla sfrontatezza delle frange più numerose, crea i perfetti presupposti per un’atmosfera intimidatoria nei locali del centro città. La polizia olandese viene colta alla sprovvista e non può fare altro che provare a sedare le frequenti risse, scattate già nel pomeriggio. Quando poi l’arbitro annulla per fuorigioco un gol al Tottenham, i suoi hooligan reagiscono abbattendo le barriere del proprio settore e attaccando il pubblico di casa. A poco o nulla vale il disperato appello diffuso dagli altoparlanti dell’allenatore Bill Nicholson: «Siete una disgrazia per il Tottenham e l’Inghilterra! È una partita di pallone, non una guerra». I feriti sono centinaia, di cui due in gravi condizioni, e gli arresti una settantina. Nell’immaginario collettivo, quella sera il calcio olandese perde la propria innocenza e innesca un perverso principio di imitazione che spingerà parte dei propri tifosi, specie tra i più giovani, a costruirsi una terribile fama dentro e fuori una nazione che fino ad allora era stata toccata solo in modo marginale dalla violenza calcistica.

Una storia lunga cinquant’anni

Da lì in avanti gli hooligan rivendicano come proprie quelle porzioni di stadio a carattere popolare costringendo il resto del pubblico a spostarsi altrove. Alcuni prendono addirittura l’abitudine di viaggiare in città come Londra, Manchester e Liverpool per vivere l’esperienza del football hooliganism nella patria dei suoi maestri fondatori. In questa fase i disordini si fanno sempre più frequenti e, sebbene rimangano prevalentemente spontanei e non organizzati, coinvolgono soprattutto squadre storiche come Feyenoord, Ajax, Den Haag e Utrecht, la cui tifoseria dei Bunnikzijde aveva già destato allarme e preoccupazione nell’opinione pubblica per via di presunte escalation che avevano incoraggiato i gruppi rivali a rispondere in maniera analoga. Erano le basi per la futura nascita di una rete di ostilità e alleanze tra fazioni sulla logica della cosiddetta “sindrome del beduino” a regolare i mutevoli rapporti del tifo in casa e all’estero. Difficilmente si andava in trasferta con la chiara intenzione di cercare guai, al contrario la preoccupazione era farsi trovare preparati in un clima di perenne violenza latente, una sorta di spirale competitiva che ruotava attorno alla voglia di sfidare gli avversari invadendo il loro territorio e sconfiggendoli. Si trattava di un qualcosa di mai sperimentato prima che affascinava in maniera decisa un numero sempre maggiore di persone. Di questi in genere solo una piccola percentuale era attivamente coinvolta negli scontri; la maggior parte, invece, si univa ai gruppi organizzati per divertirsi con i propri coetanei e provare nuove piacevoli emozioni.

Foto IMAGO / BSR Agency.

I resoconti settimanali delle sfide di campionato e coppa affiancano pressoché costantemente il calcolo dei danni procurati dalla furia hooligan. Nel 1982 tocca al North-Side del Den Haag finire sulle prime pagine dei giornali per aver appiccato un incendio nelle tribune dello stadio Zuiderpark a seguito della retrocessione in seconda divisione. Nemmeno il tempo di ricominciare il campionato che i North-Side colpiscono di nuovo, stavolta alla prima trasferta stagionale nella vicina Rotterdam. Il loro bersaglio sono i dirimpettai dell’Excelsior e i tafferugli che ne scaturiscono generano la sospensione della partita e la richiesta del sindaco locale di impedire loro l’accesso in città a tempo indeterminato. L’apice arriva il primo marzo 1987 quando scoppiano disordini nella sfida interna contro l’Ajax, innescati dal furto di uno striscione nel settore ospiti che culmina in una maxirissa con cinquanta feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni, e nella sospensione dell’incontro. La reazione delle autorità è ferrea: il governo chiede che il settore Nord dello stadio diventi interamente a sedere, ma alla fine il club decide di lasciare una sezione con posti in piedi al centro per il North Side e di predisporre i seggiolini sui lati per il pubblico normale – una sorta di compromesso indice di un certo clima di indulgenza e timore, comune in molte squadre, nei confronti delle frange estremiste.

Un’annosa questione attorno al calcio olandese ha riguardato il grado di integrazione degli hooligan all’interno delle società. Più volte le autorità sono arrivate a chiudere le sedi dei tifosi, talvolta collocate praticamente dentro lo stadio, salvo poi riaprirle perché era l’unico posto in cui, di sicuro, potevano trovarli. In un clima di violenza organizzata, diversi club avevano paura di isolare i teppisti per evitare ritorsioni. Spesso gli stessi presidenti temevano a livello personale perché gli hooligan sapevano dove vivevano, conoscevano tutto sulle loro abitudini e quelle della famiglia e volevano evitare di ricevere visite sgradite a casa. È questo il motivo per cui a lungo in Olanda sono state intraprese azioni blande contro i tifosi violenti.

In questa fase dell’hooliganismo, l’etichetta di voetbalvandalisme (teppismo calcistico) comincia a essere utilizzata in riferimento ad azioni che hanno luoghi in contesti più o meno legati alle partite di calcio. Mentre la militarizzazione degli stadi porta solo al graduale contenimento delle intemperanze, spostando al contempo i disordini in altri luoghi come le stazioni ferroviarie — teatro nella seconda metà degli anni Settanta di soventi vandalismi sui treni — alle rivalità locali si aggiungono quelle derivanti dalle sfide di coppa contro i club tedeschi e inglesi. Questi ultimi, in particolare, rappresentano un eccitante banco di prova per gli olandesi che vogliono metterne in discussione lo status elitario nel panorama hooligan.

Il 2 novembre 1983 un nuovo incrocio tra Feyenoord e Tottenham diventa quasi il revival di quanto successo qualche anno prima: più di cinquanta persone costrette alle cure mediche, un poliziotto gravemente ferito alla testa da una spranga di ferro e l’accoltellamento di un inglese trasmesso in diretta televisiva sono il risultato di un evento che, stando ai racconti del giorno dopo, «non aveva nulla a che vedere con il calcio».

Il 5 novembre 1987 gli hooligan del Feyenoord si guadagnano nuovamente la scena prima dell’incontro di Champions League contro il Manchester United, colpendo a sassate il pullman che trasporta i tifosi dei Red Devils e arrivando persino allo scontro dentro il De Kuip a causa di un cancello erroneamente lasciato aperto nei pressi del settore ospiti.

E se alla base della bellicosità nei confronti dei dirimpettai inglesi c’è soprattutto un principio di emulazione, l’astio verso i tedeschi deriva prevalentemente da ragioni storiche, rintracciabili nei pesanti bombardamenti nazisti cui l’Olanda, e nella fattispecie la città di Rotterdam, fu soggetta durante la Seconda guerra mondiale. Considerato l’alto potenziale di pericolosità, non sorprendono le draconiane misure di sicurezza adottate negli anni dalle autorità per scongiurare possibili escalation di violenza. Il 3 novembre 1994, per esempio, oltre 250 tifosi del Feyenoord vengono arrestati sulla strada per Brema, accusati di vandalismo, incendio doloso, lancio di oggetti e possesso di droga, e rispediti in patria.

Poco o nulla possono invece le forze dell’ordine il 30 gennaio 1999, in occasione dell’amichevole contro il Bayer Leverkusen che permette, in assenza dell’obbligo di acquisto dei tagliandi in prevendita, a molti hooligan di giungere liberamente in Germania a bordo di treni, auto e furgoncini. Risse nei pub e locali cittadini la notte precedente fanno solo da preludio alle tensioni nel post gara, con tanto di rogo appiccato a uno sportello della biglietteria e danni per 270mila euro. Quella sera cinquanta tifosi del Feyenoord vengono pizzicati in flagranza differita dalle riprese video della polizia e finiscono in manette: molti di loro sono facce sconosciute e senza un apparente legame con le frange più estremiste. Sebbene fossero presenti hooligan di vecchia data, a scendere in prima linea a Leverkusen erano stati soprattutto giovani incensurati animati dalla voglia di mettersi alla prova contro i loro coetanei teutonici. La partecipazione agli eventi costa a un totale di 65 tifosi del Feyenoord il bando da tutti gli stadi olandesi per un periodo compreso tra i due e i quattro anni e da quelli tedeschi per cinque anni, oltre al divieto di trasferta imposto dalla stessa società per diciotto mesi.

A fine aprile i festeggiamenti per la conquista del campionato di Eredivisie degenerano nel caos, la polizia spara contro gli hooligan, ferendone quattro, e questi rispondono al fuoco. Per le autorità gli incidenti sono stati pianificati a tavolino e sono necessari 750 agenti per ripristinare l’ordine.

Gli anni Novanta: le infiltrazioni xenofobe e l’impatto dei rave

I fatti drammatici che macchiano le cronache di quel periodo rientrano all’interno di un contesto che vede l’hooliganismo toccare picchi mai sperimentati.

Alla violenza degli anni Novanta contribuiscono due nuove influenze: la cultura dei rave e la xenofobia. A mano a mano che i teppisti del Feyenoord diventano famosi in mezza Europa, nel Paese inizia il movimento di feste a base di pillole e musica techno, che possono anche prestarsi a diventare teatro di risse tra bande rivali. Mentre nel Regno Unito il popolo dei rave si dissocia dal fenomeno hooligan, in Olanda la polizia continua a interrompere questi raduni a causa di episodi di violenza e del persistente consumo di stupefacenti. Oltre ad acuire gli scontri tra tifosi, le sostanze diventano il mezzo che permette a molti hooligan di autofinanziarsi mediante attività di spaccio negli stadi o nei luoghi di ritrovo più comuni. È Rotterdam, nella fattispecie, a fungere da catalizzatore di un’autentica drug culture, sullo sfondo di martellanti bpm, che porta centinaia di persone a drogarsi nei club il sabato sera per restare svegli tutta la notte e dirigersi direttamente allo stadio il giorno dopo.

Il 3 febbraio del 1993 la partita contro la Turchia viene spostata da Rotterdam a Utrecht per timore di incidenti legati a questioni razziali. Peccato, tuttavia, che i locali Bunnikzijde fossero già noti per aver più volte intonato cori antisemiti. Discorso simile per il North Side del Den Haag, storicamente una delle tifoserie più schierate a destra nel panorama nazionale e spesso protagonista di atteggiamenti censurabili. I suoi eccessi erano già costati negli anni Ottanta la richiesta di estromissione del De Haag, da parte della KNVB (Federazione calcistica dei Paesi Bassi), da tutte le competizioni per almeno un anno. Con il passare del tempo la nomea dei suoi tifosi non ha fatto altro che peggiorare, toccando il nadir dapprima nell’ottobre 2004 quando la partita contro il PSV è stata la prima in Olanda a essere stata sospesa per cori razzisti e antisemiti e più recentemente nel gennaio 2016 per via di versi scimmieschi e insultanti verso il giocatore dell’Ajax Riechedly Bazoer con tanto di esposto presentato dal club di Amsterdam.

Il ruolo della rivalità tra Ajax e Feyenoord, dalle origini alla battaglia di Beverwijk

Al di là delle frange estremiste di Den Haag e Utrecht, è stata soprattutto la violenza degli hooligan del Feyenoord ad avere un impatto determinante nello sviluppo del teppismo calcistico, in particolare se rapportata ai tafferugli che li hanno spesso visti protagonisti contro gli acerrimi nemici dell’Ajax, i cui hooligan sono stati a lungo talmente temuti che la polizia aveva proposto di considerare reato la semplice appartenenza agli F-Side, come se si trattasse di un’organizzazione terroristica.

La loro è una rivalità atavica che affonda le radici nello storico dualismo tra le due città, la capitale Amsterdam, e la seconda dei Paesi Bassi, Rotterdam. Distano un’ottantina di chilometri, ma da sempre appaiono due mondi contrapposti. Se la proletaria Rotterdam è famosa soprattutto per l’attività portuale, Amsterdam è di stampo borghese-cosmopolita e i tifosi dell’Ajax vanno fieri dei propri legami con la locale comunità ebraica, tant’è che la città di Amsterdam era un tempo considerata la “Gerusalemme occidentale”.

Fin dagli anni Settanta, le tifoserie di Feyenoord, Utrecht e Den Haag hanno preso l’abitudine di deridere i rivali con cori e striscioni antisemiti, talvolta accompagnati da saluti nazisti e bandiere palestinesi, cui i sostenitori dell’Ajax hanno risposto affibbiandosi l’appellativo di super Jews come motivo di vanto — più una sorta di reazione alle offese altrui che non una vera e propria identificazione con la religione e la politica ebraica.

L'odio tra Feyenoord e Ajax è esploso sul finire degli anni Ottanta, quando ai consueti screzi e lanci di oggetti tra fazioni opposte si sono aggiunti una serie di incidenti di alto profilo che hanno contribuito profondamente a cambiare l’approccio all’hooliganismo. Il 22 ottobre 1989 due bombe artigianali lanciate dai tifosi del Feyenoord esplodono in una zona antistante la curva dei tifosi dell’Ajax e provocano quattordici feriti. L’episodio ha grande risonanza anche all’estero e segna una svolta, spingendo il governo a debellare la piaga degli hooligan usando le armi della polizia inglese: stadi con soli posti a sedere entro la fine del secolo e sistemi di telecamere a circuito chiuso. Le misure, tuttavia, non fanno altro che spostare la violenza dagli spalti alle strade. Mentre il Times sostiene che «l’Olanda sta velocemente assumendo il ruolo di nazione calcistica più turbolenta d’Europa», la pessima fama degli hooligan del Feyenoord conosce un’impennata nel 1991 quando viene accoltellato un tifoso del Twente. È la prima morte legata alla deriva parossistica del tifo olandese che porterà alla condanna del responsabile a cinque anni di carcere per omicidio colposo.

Negli anni a venire le aggressioni diventano sempre più coordinate e pianificate. Il 21 maggio 1995 una sessantina di F-Side attacca uno studio televisivo pochi secondi prima dell’inizio di una trasmissione che avrebbe visto la presenza dei nemici di Feyenoord e Utrecht e il 16 febbraio 1997 una rissa organizzata nei pressi dell’autostrada A10 non si materializza solo perché gli hooligan dell’Ajax fanno dietrofront dopo aver visto i rivali presentarsi armati e in numero decisamente superiore. La polizia, giunta poco dopo sul posto, si limita a rispedire i presenti nelle proprie auto, dalle cui perquisizioni spuntano oggetti di notevoli dimensioni come mazze da baseball, catene e coltelli.

Nei momenti successivi al mancato scontro si susseguono accuse reciproche, anche per mezzo di interviste trasmesse sulle televisioni locali: quelli del Feyenoord definiscono i fuggitivi delle «fighette», che in tutta risposta li accusano di aver violato gli accordi, presentandosi in trecento anziché in cinquanta come inizialmente stabilito.

L’occasione per vendicarsi capita il 23 marzo, stavolta in maniera fortuita. Centinaia di hooligan degli opposti schieramenti si incrociano sull’autostrada A9, vicino a Beverwijk. Stanno andando in trasferta, l’Ajax a Waalwijk contro il RKC e il Feyenoord ad Alkmaar per affrontare l’AZ. Gli scontri durano pochi minuti e si lasciano dietro auto carbonizzate, armi di ogni tipo (persino molotov, storditori elettrici e chiavi inglesi) e soprattutto un corpo riverso a terra. È quello di Carlo Picornie, trentacinquenne leader degli F-Side colpito mortalmente con diversi oggetti, tra cui un martello.

L’episodio è la classica goccia che fa traboccare il vaso e ha l’effetto di sensibilizzare l’opinione pubblica. Il post Beverwijk porta all’arresto o all’interdizione dagli stadi fino a quattro anni di quarantacinque hooligan del Feyenoord e otto dell’Ajax e costringe ad ammettere che il fenomeno è sfuggito al controllo della polizia. Stavolta viene chiamato persino l’esercito, incaricato di trasportare in elicottero le truppe speciali nei punti più caldi.

La battaglia di Beverwijk trascina con sé conseguenze che vanno ben oltre le poche centinaia di persone coinvolte, segnando l’inizio di un modello autoritario nella lotta al tifo violento. Da lì in poi la polizia inizia a trattare le bande di hooligan come organizzazioni criminali a pieno titolo, anche attraverso l’infiltrazione di agenti sotto copertura, intercettazioni telefoniche e la creazione di una rete di informatori. Il messaggio è chiaro: non può più esserci spazio nel calcio olandese per certi individui. I due Klassieker della stagione 1997/98 si disputano senza la presenza dei tifosi ospiti, uno scenario che si ripete nel 2009 a seguito degli ennesimi disordini e il successivo divieto di trasferta per cinque anni — poi prorogato dopo l’incidente dei fuochi d’artificio nella finale di Coppa del 2014 — deciso di comune accordo dagli stessi club e dalla federazione.

Come sono cambiate le politiche securitarie in Olanda

Prima che si arrivasse al punto di non ritorno di Beverwijk, le tecniche di contrasto all’hooliganismo e di gestione dell’ordine pubblico avevano già mostrato i primi segnali di cambiamento, soprattutto grazie alla tecnologia. Le iniziali misure di sicurezza si concentravano sulla repressione e sulla manipolazione dello spazio fisico. Gli stadi erano militarizzati e segmentati sull’esempio della “strategia della segregazione” già sperimentata Oltremanica tramite muri, gabbie e recinzioni per impedire contatti tra opposte fazioni e lanci di oggetti in campo, mentre la procedura di accesso consisteva nel controllo manuale dei biglietti da parte degli steward, con gli spettatori liberi di sedersi o stare in piedi nel settore loro assegnato. Al contempo la presenza della forza pubblica era proporzionale alla minaccia percepita di possibili atti violenti e l’attenzione era soprattutto posta sull’arresto, la successiva interdizione e veloce condanna dei colpevoli.

Nel 1977 vede la luce il primo documento programmatico in materia di football hooliganism in cui si sconsigliano azioni dure e categoriche della polizia in favore dell’adozione di misure preventive. Alla base di questa raccomandazione, fanno notare i legislatori, c’era l’iniziativa avviata dal Den Haag con cui si era tentato di coinvolgere maggiormente i tifosi per rafforzarne il rapporto con il club — seppur con risultati abbastanza contestabili vista la pessima fama dei suoi hooligan.

Il seguente rapporto pubblicato nel 1981 dal “Comitato Stadi Sicuri” della KNVB funge da archetipo per migliorare il coordinamento delle forze di polizia impiegate durante le partite, suggerendo l’istituzione di un “Ufficio di Sicurezza” per la raccolta e condivisione di notizie inerenti all’ordine pubblico, e portare gli stadi a ottemperare a determinati parametri.

Il processo di conversione degli impianti in strutture all-seater, attuato a partire dalla fine degli anni Ottanta, conduce all’introduzione di tornelli automatici e all’installazione di sale di controllo e telecamere a circuito chiuso. I posti numerati sostituiscono le gradinate, spariscono le alte recinzioni perimetrali, i club ampliano la propria dotazione di steward per migliorare il controllo sociale e si assiste a una graduale riduzione della polizia dentro lo stadio. Fuori dal de Kuip viene persino costruito un tunnel per garantire l’incolumità dei tifosi in trasferta durante il passaggio dalla stazione ferroviaria al settore ospiti.

Parallelamente nell’aprile 1986 fa la sua comparsa il CIV (Centraal Informatiepunt Voetbalvandalisme), un organo finanziato dal Ministero dell’Interno e diretto dal capo della polizia con il compito di raccogliere ed esaminare informazioni riguardanti l’hooliganismo grazie a centri di intelligence dislocati nel Paese, nonché a contatti diretti con i club delle prime due divisioni. Il CIV funge anche da Osservatorio sulle manifestazioni sportive, fornendo valutazioni sulle criticità delle singole partite e suggerendo il dispiegamento delle forze di polizia necessarie. La cosiddetta “matrice di analisi del pericolo”, introdotta nel 2005/06, sfrutta la sinergia di forze dell’ordine, club e municipalità per distinguere in gare a basso, medio e alto rischio (categorie A, B e C) e valutare adeguate controffensive come restrizioni sulla vendita di alcolici o limitazioni negli spostamenti. Una di queste si chiama combiregeling(schema combinato), risale al 1984 e obbliga i tifosi che vogliono andare in trasferta a muoversi tutti insieme, sotto sorveglianza della polizia, soltanto dopo aver acquistato il biglietto di viaggio, generalmente in pullman o treno, abbinato a quello della partita.

Ogni anno, in maniera simile a quanto svolto dai colleghi tedeschi dello ZIS, viene elaborato un rapporto da inviare a realtà partner quali i gruppi politici, il Ministero, la Procura, le forze di polizia locali, KNVB e i responsabili sicurezza delle società calcistiche al fine di sviluppare nuove e congiunte pratiche di gestione dell’ordine pubblico attorno al gioco. Dal 1996 il CIV dispone di un database denominato VVS (Football Follow System) dove vengono registrati gli incidenti avvenuti dentro e fuori gli stadi, sia durante che dopo lo svolgimento della partita, oltre ai dati personali dei tifosi fermati in modo da tracciare l’iter della giustizia dall’arresto alla condanna e permettere al pubblico ministero di stabilire se il fatto può essere considerato un football-related disorder (reato correlato al calcio). Qualora si configuri questo scenario, la Federazione può riservarsi di emettere un’interdizione dagli stadi nei confronti del colpevole.

Nel CVV non finiscono tuttavia solo i nomi di tifosi arrestati. Esistono dei dossier a scopo preventivo con i profili di centinaia di hooligan riguardanti la loro occupazione, la composizione del nucleo familiare, la rete di amici e contatti, lo status all’interno del gruppo e persino il veicolo in loro possesso. L’utilizzo di questi fascicoli non è circoscritto soltanto all’Olanda, ma viene condiviso anche agli apparati istituzionali di altri Paesi europei, specialmente in occasione di partite internazionali che coinvolgono squadre olandesi. Da questo punto di vista, il CIV è stato il pioniere nella creazione e nello sviluppo di un network di informazioni attorno all’hooliganismo, anticipando di un paio di anni la creazione

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