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Foto di Sandra Behne / Bongarts / Getty Images
Calcio Marco D'Ottavi 8 dicembre 2020 13'

Breve storia del biscotto

Indirizzare un risultato che conviene a entrambe le squadre è una pratica antica.

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Domani l’Inter di Antonio Conte scenderà in campo non totalmente padrona del proprio destino, come si dice in questi casi. Dovesse anche vincere cento a zero contro lo Shakhtar Donetsk, dovrebbe comunque tenere un occhio (o un orecchio, non so come è più corretto scrivere in questi casi) allo stadio Alfredo di Stefano, dove in contemporanea si svolgerà la sfida tra il Real Madrid e il Borussia Mönchengladbach. In caso di pareggio, infatti, l’eventuale vittoria dell’Inter le varrebbe solo il passaggio in Europa League, mentre le due rivali continuerebbero il percorso in Champions League a braccetto.

 

Se Real Madrid e Borussia Mönchengladbach dovessero pareggiare chiameremo il loro pareggio un “biscotto”. Cosa si intende per biscotto? Una combine, ovvero una decisione a priori di arrivare a un determinato punteggio finale. Da cosa deriva il nome? Presumibilmente è stato mutuato dal mondo dell’ippica, dove per biscotto si intende quello riempito con sostanze proibite che viene dato a uno o più cavalli prima della gara, per alterarne il risultato. Gianluigi Buffon, commentando i risultati sorprendenti che spesso si vedono a fine stagione, ne diede una definizione meravigliosamente figurativa: «Meglio due feriti che un morto». Non fu ben accolta. La sua dichiarazione infatti si infilava in un contesto controverso e confuso, tra presunte scommesse e squadre che, come si dice, “iniziano a farsi i conti”. C’è però una differenza sostanziale tra un biscotto e una partita aggiustata per scommesse, dove nel primo c’è un vantaggio sportivo e nel secondo un vantaggio economico diretto.

 

A questo proposito bisogna specificare che il biscotto è qualcosa di sfumato. Non ci sono prove dirette che i giocatori si siano messi d’accordo per pilotare un risultato, ma è facile pensare che ci sia qualcosa nell’aria. Proprio per questo è difficile spiegare come funziona fattivamente un biscotto: ci sono due o più giocatori (o dirigenti) che si parlano e decidono quale dovrebbe essere il risultato oppure è qualcosa più a livello inconscio? Ovvero che i giocatori, senza essersi organizzati prima, sanno su quali binari deve scorrere il punteggio, come i maghi che sanno sempre quale carta hai scelto pur senza vederla?

 

Nel Mondiale del 1978, ad esempio, l’Argentina padrona di casa doveva battere il Perù con almeno quattro gol di scarto per accedere alla finale e alla fine vinse per 6-0, con i generali che guidavano il Paese sugli spalti. Si è parlato tantissimo di quella partita che ha persino un nome – Marmelada peruana – a indicare proprio il pasticcio provocato da una partita truccata. In realtà ancora oggi non sono uscite prove certe, e in ogni caso parliamo di un piano (quello politico, legato all’immagine che vuole restituire un intero Paese durante un Mondiale) molto al di sopra di un semplice biscotto. Allo stesso modo un celebre Spagna-Malta 12-1, arrivato quando agli spagnoli serviva uno scarto di 11 gol per accedere agli Europei 1984, mi sembra una palese violazione dello spirito del gioco più che un biscotto. Così come quando, nel 1999, il brasiliano Tuta infilò il pallone del 2-1 nella recupero della partita contro il Bari, passando rapidamente da biscotto fallito a brutto momento di calcio con i compagni increduli davanti a una vittoria che non doveva arrivare. 

 

 

Insomma, nel biscotto autentico c’è qualcosa di sottile che lo rende allo stesso tempo invisibile ma evidente. E questo forse dipende dal fatto che l’uomo per sua natura è un animale sociale, propenso all’accordo, e quindi teso a eludere quello spirito sportivo che in teoria dovrebbe animare una partita di calcio. Basti pensare che il primo caso di biscotto risale addirittura al 1898, quando Stoke City e Burnley pareggiarono intenzionalmente nel “test match” finale del campionato in modo da assicurarsi che fossero entrambi in Prima Divisione la stagione successiva. Dopo quella partita la Lega inglese dovette cambiare le sue regole. 

 

Non potendoli menzionare tutti, sarebbero davvero troppi, ho provato a scegliere le partite in cui il termine biscotto sembra calzare meglio, in un misto tra fama, varietà e assurdità. 

 

Napoli-Genoa 2-2 | 30esima giornata Serie A 1981-82 

 

Il Napoli era già a posto, il Genoa doveva almeno pareggiare per salvarsi. In campo non si sarebbe detto: dopo il vantaggio lampo dei rossoblù, il Napoli aveva ribaltato il risultato senza fretta tra il 56’ e il 62’. Un risultato che nell’immediato non aveva cambiato nulla, perché in contemporanea il Milan stava perdendo a Cesena per due reti a zero, condannandosi da solo alla Serie B. La presenza di una squadra tanto blasonata nell’atavica lotta per non retrocedere aveva reso surreale quella partita. Sugli spalti i tifosi del Genoa tifavano per il Genoa, come al solito, mentre quelli del Napoli tifavano per il Genoa, nella speranza di vedere i rivali rossoneri sprofondare negli inferi della serie cadetta. 

 

Il repentino recupero e sorpasso del Milan sul Cesena allora gelò tutti. Simoni, l’allenatore del Genoa mise in campo Faccenda, che non era un attaccante, ma insomma: bisognava smuovere le carte. La storia si mise in moto all’85’ quando Castellini, portiere del Napoli, riuscì nell’ardua impresa di rilanciare il pallone con le mani oltre la linea di fondo alle sue spalle con un movimento difficile anche da descrivere, regalando un calcio d’angolo agli avversari. Una giocata così improbabile e surreale che scatenò il dibattito per anni, anche perché sul conseguente tiro dalla bandierina Faccenda si fece onore, segnando il definitivo 2-2.  

 

Quella partita segnò l’inizio di un gemellaggio durato fino al 2019, ma divenne anche una macchia nella carriera di Castellini, che molti anni dopo continua a professare la sua innocenza: «Le braccia stavano andando ad una velocità ridotta rispetto alla testa. Avevo già visto il pallone finire ai piedi del mio compagno, invece per poco non va in porta. Non c’è stata malafede», ha detto pochi anni fa.

Germania Ovest - Austria 1-0 | Mondiali 1982

 

Nel 1982 Germania Ovest e Austria fecero una versione calcistica dell’Anschluss in terra di Spagna. Erano tempi ingenui in cui le ultime partite dei gironi non si giocavano in contemporanea e così quando le due squadre scesero in campo a Gijon sapevano benissimo che in caso di vittoria dei tedeschi per 1-0 sarebbero passate entrambe, facendo fuori per differenza reti l’Algeria di Majer.

 

La partita andò più o meno così: dopo 10 minuti la insaccò Hrubesch e poi più niente, zero. Un atteggiamento così evidentemente lascivo da essere passato alla storia con il nome di Patto di non belligeranza di Gijón (quando sono coinvolte Germania e Austria, il linguaggio è sempre militare). Un biscotto così evidente da scatenare reazioni dirette: un commentatore tedesco si rifiutò di continuare la telecronaca della partita, uno austriaco fu più esplicito, invitando gli spettatori collegati a spegnere il proprio televisore, o almeno a cambiare canale. Gli spettatori neutrali allo stadio fischiarono le due squadre, invitandole a lasciare il campo, quelli algerini, forse presenti per controllare, sventolarono banconote all’indirizzo dei giocatori in campo. La FIFA non fece nulla a riguardo, ma dal Mondiale successivo le ultime partite iniziarono a giocarsi in contemporanea.

 

tifosi-algerini

 

Non è comunque l’unico caso di presunto biscotto in quel Mondiale. Due giorni prima Italia e Camerun avevano pareggiato per 1-1 la loro partita con una dinamica considerata strana. Se gli azzurri puntarono platealmente al pareggio che li faceva passare al girone successivo, il Camerun venne accusato di non aver fatto nulla per arrivare alla vittoria, l’unico risultato per passare al turno successivo. Negli anni successivi diverse inchieste – soprattutto una di Oliviero Beha – provarono a dimostrare che la federazione italiana comprò quel pareggio in maniera losca, ma ancora oggi non ci sono prove ed è difficile parlare anche di semplice biscotto, visto che al Camerun non ne venne nulla di sportivo.  

Inghilterra-Irlanda del Nord 0-0 | Qualificazione ai Mondiali 1986

 

Quella sera a Wembley all’Irlanda del Nord serviva un punto per guadagnarsi il viaggio in Messico, mentre l’Inghilterra era già sicura. La partita era finita con il risultato più amato dai complottisti in questo caso: 0-0. La televisione italiana scomodò addirittura Platini per verificare se l’attaccante dell’Inghilterra Kerry Dixon c’era o ci faceva, alla luce di due errori abbastanza madornali commessi sotto porta, tuttavia nel video si può vedere anche la giornata di grazia del portiere nordirlandese, il quarantenne Pat Jennings che ce la mise tutta per far venire quel biscotto. In questo caso i motivi che spingono a dubitare sono anche e soprattutto geopolitici: perché gli inglesi avrebbero dovuto fare uno sgarbo alla propria enclave in terra d’Irlanda?

Milan-Brescia 1-1 | 33esima giornata Serie A 1992-93

Il Brescia e il Milan entravano in campo in quella partita con la consapevolezza che con un punto una avrebbe vinto lo Scudetto e l’altra evitato la retrocessione. Come pretendere che non finisse con un salomonico pareggio? Dopo ottanta minuti di convenevoli, la botta di Albertini finita in fondo alla rete «aveva fatto strabuzzare tutti» come disse l’autore del servizio per 90° minuto. Due minuti dopo però il libero Luca Brunetti era passato come coltello nel burro della difesa del Milan per ristabilire una democratica e più civile parità che fece tutti contenti al fischio finale.

Svezia-Danimarca 2-2 | Europei 2004

 

Ciò che rende Svezia-Danimarca il biscotto per eccellenza – un uber-biscotto potremmo dire – è che le due squadre non dovevano semplicemente pareggiare, ma dovevano farlo per 2-2. In quel 22 giugno 2004, svedesi e danesi hanno dimostrato che si può arrivare a un numero preciso di gol senza buttarsi platealmente la palla in porta, una cosa che comunque richiede abilità. È difficile pensare – soprattutto da italiani – che sia finita con quel punteggio perché capita, le partite finiscono 2-2 ogni tanto. Nel 2015 ad esempio, Svezia e Danimarca hanno pareggiato per 2-2, ma un punteggio diverso non avrebbe eliminato una delle due squadre a favore dell’Italia. 

 

La perfetta riuscita (il gol finale è arrivato all’89′) di un piano neanche troppo elaborato – sugli spalti era pieno di tifosi che inneggiavano al 2-2 – ha ribaltato il piano morale sul quale abbiamo sempre messo i paesi scandinavi rispetto al nostro, dove gli uni sono popoli rispettosi delle regole non scritte di convivenza mentre noi siamo gli artisti dell’interpretazione, del mettersi d’accordo. Anche la dinamica dell’evento è più da dramma shakespeariano che normale svolgimento di un torneo di calcio, con il folletto indemoniato Cassano che raddrizza la storia della Nazionale segnando il gol vittoria nel recupero della partita contro la Bulgaria prima di scoppiare in lacrime alla scoperta che il malvagio Mattias Jonson a Oporto aveva fissato il risultato sul 2-2 tra Svezia e Danimarca qualche minuto prima mandandoci mestamente a casa senza corona.   

 

Ovviamente lo sport è il luogo perfetto dove appianare gli stereotipi culturali, perché alla fine c’è vittoria e c’è sconfitta e l’onore funziona fino a un certo punto. Svezia e Danimarca si sono trovate nella condizione di avere un vantaggio grazie ai risultati precedenti e lo hanno sfruttato nella maniera meno sportiva, ma più remunerativa. Quell’Europeo, comunque, poi lo vinse la Grecia. 

Roma-Lazio 0-0 | 36esima giornata Serie A 2004-05

 

Il 15 maggio 2005 Roma e Lazio si affrontano alla terzultima giornata con lo spettro della B alle spalle. È assurdo da pensare, hanno vinto lo Scudetto rispettivamente 5 e 4 anni prima, ma è stata una stagione tremenda per tutte e due le squadre. Ad aprire il forno è Lotito che si augura «un pareggio che non farebbe male a nessuno», dall’altra sponda Bruno Conti – allenatore per necessità – blinda i giocatori dentro Trigoria per sottrarli alle pressioni. I tifosi intanto vedono tensione accumularsi sopra altra tensione e in un attimo svuotano il botteghino, garantendo un tutto esaurito per vedere forse la propria morte in faccia. 

 

Il campo racconterà quello che è passato alla storia come il Derby della noia tra i molti derby noiosi disputati in giro per il mondo. Mancini sfiora il gol dopo neanche 30 secondi poi tutto si ferma come immobile. Dagli spalti i tifosi delle due squadre iniziano a fischiare uniti per la prima volta. Partono cori che vanno da «buffoni, buffoni» a «sospendete la partita» fino al classico romano rivisto «ma che semo venuti a fa’». Forse loro sognano di vedere la propria squadra infilare la daga nel costato della retrocessione dell’eterna rivale, ma se sugli spalti si sogna, in campo è la paura a fermare le gambe: chi vorrebbe mai essere un giocatore della Roma retrocesso perdendo con la Lazio o un giocatore della Lazio retrocesso per colpa della Roma? Riuscite a pensare a qualcosa di peggio?

 

Al fischio finale sono tutti d’accordo sull’oscenità dello spettacolo ma anche sulla correttezza. Di Canio racconta di essere andato sotto la curva per lanciargli la maglia e fargli vedere che era sudata, poi aggiunge: «Un accordo? Non sono capace di mettermi d’accordo con un amico, figuriamoci con la Roma», più o meno le stesse parole usa Conti: «Un derby bruttissimo, non ne avevo mai vissuto uno così, nemmeno da giocatore. Una partita assolutamente inguardabile, è stato tutto negativo. Un accordo? Queste cose non le ho mai fatte prima, figuriamoci adesso». Qualcuno se la prende con Fabio Liverani, centrocampista della Lazio ma tifoso della Roma, visto dalle telecamere parlare spesso con Cassano. Lui risponde che a tre giornate dalla fine, con quella classifica, «una partita così poteva anche capitare». Per la Roma è il primo 0-0 in 47 partite. Lotito dà la colpa al caldo: «Quando sono andato a farmi intervistare da Sky, ho avuto la sensazione di stare in Africa. Caldo torrido, umido», anche lui nega l’accordo.

 

In estate, all’interno di un’inchiesta sul calcioscommesse che si allargherà poi a macchia d’olio, verranno sentiti anche Cassano e Di Canio intorno quello 0-0, ma poi non accadrà nulla. Le due squadre, comunque, si salvarono entrambe. La Roma addirittura, per via di una classifica cortissima, finirà in Coppa UEFA.

Lione-Dinamo Zagabria 7-1 | Champions League 2011-12

Il Lione arrivava all’ultima partita del girone praticamente spacciato: doveva vincere con la Dinamo Zagabria con un enorme margine di gol (dopo averne segnati due nelle precedenti cinque partite) e sperare in una vittoria netta del Real Madrid già sicuro del primo posto contro l’Ajax – lo scarto tra le due squadre era infatti di 8 reti. Alla fine del primo tempo, se l’espulsione di Leko poteva far ben sperare, il risultato di 1-1 dopo che il Lione era andato sotto per un gol di Kovacic sembrava chiudere la contesa, nonostante nello stesso momento il Real stesse vincendo. 

 

Poi appena tornati in campo per il secondo tempo, il Lione aveva segnato tre gol in pochi minuti e niente era sembrato più impossibile. Il 7-1 finale aveva permesso al Lione di passare agli ottavi, ma aveva anche fatto storcere più di qualche naso: perché se è vero che le partite finite tanto a poco esistono, seppur rare, quando arrivano nel momento del bisogno è lecito avere qualche dubbio. Ad attizzare il fuoco del biscotto c’era stato poi un incredibile episodio: dopo la rete del 5-1 di Lisandro, Vida – difensore della Dinamo – aveva fatto l’occhiolino e il pollice alto a Gomis mentre tornavano insieme verso il centro del campo. 

 

occhiolino-vida

 

A vedere il fermo immagine il difensore croato sembra certificare un biscotto brutto in maniera quasi sfacciata, anche se la realtà è un po’ diversa: lui e Gomis vengono quasi a contatto per recuperare il pallone in rete e il suo appare più come un gesto distensivo, mentre due avversari gli strappano la sfera dalle mani. In realtà ci sarebbe da questionare l’azione difensiva dell’altro centrale nel gol, praticamente un lasciapassare, ma si sa che le motivazioni sono il motore dello sport. Sebbene qualcuno ci abbia provato, nessuno è riuscito a dimostrare del dolo e fino a prova contraria si può parlare al massimo di gentilezza dei croati, che si sono lasciati travolgere da una squadra che aveva provato a travolgerli. 

 

Anni dopo il Lione di Rudi Garcia provò a comprare Vida, ma alla fine non se ne fece nulla.

Granada-Rayo Vallecano 0-1 | 38esima giornata Liga 2011-12

 

Prima dell’inizio dell’ultima giornata della della Liga 2011-12, la classifica era così composta: Granada 42, Villarreal 41, Rayo Vallecano 40. A salvarsi sarebbero state le due con il punteggio migliore dopo gli ultimi 90’, ma era più complicata di così. Se il Villarreal doveva vedersela con l’Atletico Madrid, Granada e Rayo si sfidavano a vicenda, dando vita a quella che per 88 minuti si poté definire “come una finale”. 

 

Perché tutto cambiò quando Radamel Falcao a due minuti dalla fine infilò la porta del Villarreal, rendendo il pomeriggio del Granada più tranquillo. Saputo del gol, un componente della panchina del Rayo approfittando del gioco fermo si involò verso Diego Costa – che allora era solo un giovane attaccante brasiliano in prestito dall’Atletico – avvertendolo di quanto stava accadendo. Partì allora la trattativa. In campo Costa, Michu e Tamudo discussero animatamente con i giocatori del Granada. Con una sconfitta, infatti, il Granada a quel punto si sarebbe comunque salvato, e avrebbe permesso anche al Rayo Vallecano di rimanere in Liga.

 

Ma come convincerli? La leva determinante, pare, fu una bugia: si sparse la voce che il Villarreal stesse perdendo 2-0 e che quindi era inimmaginabile pensare a un recupero fino al pareggio nei minuti di recupero. In ogni caso, non è mai facile “segnarsi un gol” e quello di Tamudo, arrivato al 91’ non sembra tanto organizzato. La palla finisce in rete sugli sviluppi di un calcio d’angolo, dopo un tiro ribattuto, una deviazione a pallonetto che tocca la traversa e un tap-in di testa che la storia decreterà essere in fuorigioco. Comunque: tutti contenti, almeno apparentemente, perché intanto a Villarreal la partita continua con un solo gol di scarto. A quel punto sono i giocatori del sottomarino giallo a provare a convincere quelli dell’Atletico a farli segnare senza però riuscirci («Siamo professionisti», dirà dopo la partita un giovane Courtois). In pieno recupero Marco Ruben di testa sfiorerà il pareggio, non riuscendo a cambiare la storia di un biscotto organizzato in due minuti.

Francia-Romania 0-0 | Europei U21 2019

Pareggio biscottato che ci riguarda da vicino. Era l’Europeo Under-21 dell’Italia, sia per locazione che per aspettative. L’Italia arrivava all’appuntamento in casa piena di prospetti eccitanti: Nicolò Barella, Nicolò Zaniolo e Lorenzo Pellegrini a centrocampo; Federico Chiesa, Moise Kean davanti. Francia e Romania non erano neanche nel nostro girone, ma per un cervellotico sistema di ripescaggio della migliore seconda arrivarono ad affrontarsi al Dino Manuzzi già sapendo che in caso di pareggio sarebbero passate una come prima, la Romania, una come migliore seconda, la Francia, facendo fuori proprio l’Italia.

 

In epoca di social, molti annusarono la possibilità di biscotto e di biscotto mi sembra si possa tranquillamente parlare. Zero tiri nello specchio della porta, per non correre nessun rischio, e uno 0-0 finale che fece passare tutte e due le squadre lasciando i rimpianti all’Italia Under-21 considerata tra le migliori di sempre per talento e profondità.

Tags : biscottodanimarcasvezia

Marco D'Ottavi è nato a Roma, fondato Bookskywalker e lavorato qui e là.

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