Per certi versi gli equilibri competitivi della NBA funzionano come la tettonica a placche: il cambio di casacca da parte di uno dei protagonisti equivale a un terremoto in grado di modificare il paesaggio e alterare i destini di una squadra o addirittura di un’intera conference. Succede quando una stella di prima grandezza come LeBron James o Kevin Durant decide di trasferirsi altrove, provocando il riassestamento dei rapporti di forza all’interno della lega. E poi esistono altri eventi sismici di portata inferiore, che non hanno la forza di provocare stravolgimenti così radicali, ad esempio quando a muoversi sono i giocatori che magari non hanno la caratura delle stelle di cui sopra ma che, se collocati nel contesto giusto, possono colmare il gap che separa una buona stagione da un trionfo.
Bradley Beal appartiene a questa seconda categoria e il suo possibile trasferimento, di cui si vocifera ormai da almeno due anni, potrebbe rappresentare una scossa non indifferente in un mercato che, Russell Westbrook a parte, non ha finora vissuto colpi clamorosi. Così Beal finisce per forza nella lista capeggiata da Damian Lillard e Ben Simmons, anche se a differenza dei due colleghi non ha mai espresso - in maniera palese o ambigua - la volontà di cambiare aria. Ciò nonostante, la sensazione è che a fronte di un’altra stagione che per gli Wizards presenta più interrogativi che certezze l’idillio tra la guardia e la franchigia potrebbe venire meno, complice anche la possibilità di uscire dal contratto nell’estate del 2022.
L’uomo giusto al posto giusto
Il ruolo di secondo, volendo anche di terzo violino in una squadra che ambisce al titolo NBA è uno dei più complessi da recitare. Per interpretarlo al meglio è necessario rinunciare a esprimere a pieno il proprio potenziale, almeno nelle statistiche, e adattarsi alle esigenze del giocatore-franchigia designato. In questo senso, tra le stelle con probabilità di venire scambiate, Bradley Beal è forse il candidato ideale. La lunga convivenza con John Wall e l’anno appena trascorso a dividere il backcourt con Westbrook hanno infatti dimostrato come Beal sia perfettamente in grado di integrarsi con un compagno che ha la necessità di avere la palla in mano per essere efficace.
Pur essendo in maniera piuttosto evidente il miglior attaccante in squadra, Beal ha condiviso la gestione della manovra offensiva degli Wizards in via continuativa: 33.1% il suo usage rating nell’ultima stagione a fronte del 29.6% di Westbrook, 27.8% accanto al 28.6% di Wall prima del grave infortunio occorso al playmaker poi finito a Houston. Anche il dato dei canestri segnati senza assistenza da parte compagni – 51% del totale lo scorso anno, 54% nella stagione 2019-20 giocata senza Wall, in precedenza mai oltre il 50% - testimonia della propensione alla coralità dell’ex Florida.
Allo stesso tempo, il lungo infortunio che aveva tenuto Wall fuori dai giochi per molto tempo, ha consentito a Beal di dimostrare come, se necessario, sia in grado di prendersi sulle spalle il peso offensivo di una squadra. A mancargli, per il momento, è un’esperienza ai playoff davvero significativa. L’ultima - e unica - edizione degli Wizards con velleità competitive risale infatti alla stagione 2016-17, conclusa con un notevole, almeno per le abitudini della casa, quarto posto a Est e con la sconfitta a opera dei Boston Celtics in gara-7 al secondo turno di playoff.
24.8 punti di media con il 47.1% dal campo e Marcin Gortat come miglior compagno di squadra oltre a Wall, per dire.
Pur in presenza di un campione d’analisi abbastanza ridotto, Beal è percepito, a torto o a ragione, come un giocatore in grado di dire la sua anche in post-season. Se esistono dei dubbi sulla sua consistenza, questi dubbi possono riguardare soprattutto la metà campo difensiva, ambito dove Beal non ha mai eccelso e in cui le ultime tre stagioni sono state poco meno che disastrose (115.3 il suo defensive rating medio, uno dei dati peggiori in assoluto tra i pari ruolo con minutaggio significativo). Sempre nelle stesse tre stagioni, tuttavia, gli Wizards sono stati costantemente tra le 10 peggiori difese della NBA, e risulta abbastanza evidente quanto sia difficile rimanere concentrati e muoversi con efficacia quando si gioca così a lungo in un contesto tanto disfunzionale. L’impressione è che in difesa a mancargli non siano state tanto le qualità personali o la voglia di piegare le ginocchia, quanto il supporto adeguato.
È quindi facile intuire perché, da almeno due stagioni, il numero 3 degli Wizards, seppur impeccabile nella sua condotta professionale, coltivi una frustrazione latente e sia di conseguenza uno dei nomi più gettonati tra le risposte all’immancabile domanda “Quale sarà la prossima stella NBA scontenta a chiedere di essere scambiata?”. Una domanda che, per quanto ovvia, chiama in causa la franchigia che per Beal aveva speso la terza scelta assoluta al Draft 2012 e che negli anni seguenti non sembra aver fatto un uso ottimale del talento cristallino del ragazzo da St.Louis.
Prestazione stellare e sconfitta: l’avventura di Beal agli Wizards condensata in 48 minuti.
Occasioni sprecate
Bradley Beal ha tenuto una media di 27.5 punti a partita tirando con il 46.8% dal campo ed è stato un All-Star in tre delle ultime quattro stagioni, durante le quali Washington è andata ai playoff solo due volte venendo eliminata senza grandi problemi al primo turno in entrambi i casi. Questo breve riassunto è forse sufficiente per arrivare alla conclusione che gli Wizards hanno fatto troppo poco per valorizzare il miglior giocatore nella storia recente della franchigia (storia recente che ha inizio con l’addio a Gilbert Arenas nel 2010, s’intende).
Nonostante la città – e ancor di più l’area suburbana che la circonda – vantino una più che discreta tradizione cestistica, gli ex Bullets, con la lodevole eccezione del periodo d’oro nella seconda metà degli anni ’70, non sono mai riusciti a entrare nell’aristocrazia della Eastern Conference. Tra scelte di mercato disastrose e parecchia sfortuna, la capitale politica e amministrativa del paese è rimasta costantemente ai margini della NBA che conta, posizione rimasta immutata anche dopo colpi mediatici come il gran ritorno di Michael Jordan e il cambio di proprietà a inizio dello scorso decennio.
Una condizione di marginalità molto vicina a essere irrecuperabile e rispetto alla quale era difficile fare meglio di quanto combinato da Tommy Shepherd nei suoi due anni da general manager. L’eredità lasciata da Ernie Grunfeld, di cui peraltro Shepherd è stato braccio destro durante tutti i 16 anni trascorsi alla guida del settore tecnico della franchigia, non lasciava infatti molto spazio di manovra. Shepherd, oltre a scegliere giovani futuribili e funzionali al progetto di squadra come Rui Hachimura e Deni Avdija ai margini della top-10 al Draft, ha di fatto trasformato il contratto di Wall, per distacco il più difficile da scambiare nella storia recente della NBA, in giocatori di rotazione dal buon pedigree come Kentavious Caldwell-Pope, Montrezl Harrell e Kyle Kuzma. Il roster degli Wizards, ulteriormente rinforzato da innesti di valore come Spencer Dinwiddie e Aaron Holiday, appare ora più profondo e malleabile dal punto di vista salariale. Rispetto al recente passato, quindi, le possibilità di operare sul mercato ci sarebbero, ma non c’è dubbio sul fatto che il futuro della franchigia rimanga appeso alla volontà di Beal.
Per provare a ipotizzare i possibili sviluppi gli elementi da tenere in considerazione sono sostanzialmente due: la situazione contrattuale del giocatore e le prospettive reali di crescita della squadra. Su entrambi i versanti, va detto, la visuale si fa abbastanza fosca per gli Wizards. L’accordo tra la franchigia e il giocatore scade al termine della stagione 2022-23, ma Beal ha una player option che potrebbe esercitare già il prossimo giugno diventando così unrestricted free agent, scelta che in ogni caso, sia che decida di firmare un nuovo accordo con Washington o di emigrare altrove, lo premierebbe economicamente.
La clausola, ottenuta nell’ambito dell’estensione contrattuale firmata a ottobre 2019, costringe quindi la dirigenza di Washington ad accelerare i tempi nel tentativo di fornire a Beal dei validi motivi per decidere di restare. E qui arriva la vera nota dolente per Shepherd e soci: perché se è vero com’è vero che la trade con i Lakers ha frazionato il monte salari aprendo a possibilità di scambi, rimane difficile capire quali potrebbero essere gli obiettivi sul mercato e con quali motivazioni eventuali stelle, o quantomeno giocatori di alto profilo, dovrebbero vedere in Washington - franchigia tra le peggio gestite negli ultimi vent'anni - una meta ambita.
Anche perché, al di là dell’intesa potenzialmente interessante tra Beal e Dinwiddie e della profondità del roster, gli attuali Wizards, che verranno guidati da un coach esordiente come Wes Unseld Jr, in una Eastern Conference che si prospetta parecchio agguerrita nutrono poche speranze di elevarsi dalla zona grigia che prevede il play-in tournament come miglior risultato. Lo scenario futuribile per gli Wizards, in definitiva, non sembra in linea con lo status raggiunto da Bradley Beal dopo nove stagioni in NBA e tantomeno all’altezza delle sue legittime ambizioni.
Beal perfettamente a suo agio anche nel contesto dell’All-Star Game.
Tutti gli occhi addosso
All’interno di un quadro così instabile, si delinea una certezza: qualora Beal chiedesse di essere scambiato, non mancherebbero di certo gli acquirenti, perché per caratteristiche, attitudine e maturità Beal è uno dei pochi giocatori in circolazione in grado di elevare le prestazioni di una squadra mediocre così come di rappresentare il classico pezzo mancante in grado di far fare l’ultimo salto, quello verso il titolo, a una contender. Di certo c’è anche che Beal potrebbe utilizzare la situazione contrattuale di cui sopra per forzare la scelta della sua prossima destinazione, orientando così la trade verso realtà con cui non avrebbe problemi a estendere l’accordo in scadenza il prossimo giugno.
Non è un caso che le franchigie accostate con più frequenza al suo nome, dai Sixers in cerca di risoluzione per la grana Simmons agli Warriors disponibili a cedere la batteria di giovani talenti acquisita negli ultimi Draft in cambio di una stella da affiancare agli Splash Brothers e a Draymond Green, appartengano proprio alla categoria di squadre disposte ad andare all-in pur di guadagnarsi una chance di portare a casa il Larry O’Brien Trophy. Ma Philadelphia e Golden State non sarebbero di certo le uniche destinazione possibili, perché nel caso di apertura alla cessione da parte degli Wizards è facile ipotizzare che il telefono di Tommy Shepherd verrebbe preso d’assalto da molti, per non dire tutti i GM della lega. Basti pensare a quello che potrebbero offrire gli Atlanta Hawks, che hanno sia i giovani (Reddish, Huerter, Hunter, Johnson, Okongwu) che i contratti in scadenza e le scelte al Draft per mettere assieme un pacchetto molto interessante.
Intanto, tra un esordio al Media Day non proprio memorabile e in attesa di valutare le proprie opzioni nei mesi a venire, magari dopo aver testato la nuova versione degli Wizards nel primo scampolo di regular season, il diretto interessato si esercita a perfezionare ulteriormente il suo arsenale offensivo, dopo aver mancato l’obiettivo del suo primo titolo di squadra in carriera avendo dovuto saltare le Olimpiadi di Tokyo per positività al Covid-19.
Rimane da scoprire se il frutto di questo lavoro se lo godranno a Washington oppure altrove. Molto dipenderà dall’interrogativo che sottintende a tutta questa vicenda: quanto può ancora durare la pazienza di Bradley Beal?