La narrazione che si è creata attorno agli sportivi, e ai giocatori di pallacanestro in particolare, ruota tutta attorno a una parola: vincere. La colpa è anche loro: non fanno nient’altro che ripetere ossessivamente che l’unica cosa che a loro interessa è vincere. Ma è davvero così? E tutte le decisioni che prendono, le prendono solo e unicamente pensando alla possibilità di massimizzare le possibilità di vittoria?
Qualche giorno fa J.J. Redick, dopo aver visto il terzo e il quarto episodio di “The Last Dance”, ha twittato: “Tutti dicono: ‘Voglio solo vincere’. Ma la maggior parte delle persone intende: ‘Voglio vincere fintanto che accade a modo mio”. Di fatto, la realtà è molto più simile a quello che dice Redick: se a un giocatore interessasse unicamente la vittoria, tanti si comporterebbero in maniera diversa rispetto a come fanno di solito — ad esempio accettando ogni decisione dei propri allenatori, senza mai lamentarsi di minutaggio, contratti o tiri a disposizione, addirittura decidendo di guadagnare meno per lasciare maggiore flessibilità alla dirigenza in modo da avere costruire roster più profondi e talentuosi. Sappiamo tutti che non va così.
Prendiamo il caso di Bradley Beal. Se massimizzare le sue possibilità di vincere fosse l’unica cosa davvero importante, avrebbe già da tempo chiesto di essere scambiato dagli Washington Wizards. Oppure, più semplicemente, avrebbe potuto non accettare l’estensione di contratto proposta dalla nuova dirigenza guidata da Tommy Sheppard, forzando la mano per essere ceduto prima della scadenza naturale dell’accordo nel 2021. E per un giocatore del suo livello e della sua età, si sarebbe creata forse l’unica vera asta sul mercato per quelle squadre rimaste deluse dalla free agency.
Invece Beal quella estensione l’ha accettata, decidendo deliberatamente di togliersi dal mercato almeno per un anno avendo in cambio altri 72 milioni di dollari spalmati su due stagioni, pur mantenendosi la flessibilità di tornare sul mercato dei free agent nel 2022 a 29 anni ancora da compiere. Questo sapendo perfettamente che a Washington non avrebbe potuto neanche lontanamente competere per il titolo e forse nemmeno per un posto ai playoff, visto che era già noto che John Wall sarebbe rimasto fuori per tutta la stagione dopo la rottura del tendine d’Achille.
Il ragionamento, evidentemente, è stato diverso. E ne ha parlato lui stesso qualche giorno fa in un passaggio molto interessante della chiacchierata con Zach Lowe: «Gli Wizards mi hanno dato in mano le chiavi della squadra e mi hanno detto che avrebbero costruito attorno a me. Se andassi da un’altra parte di sicuro sarei in una squadra forte, ma sarei un pezzo tra i tanti. Chi può dirmi che il mio ruolo sarebbe lo stesso?». Essere il giocatore franchigia, peraltro per la prima volta in carriera visto l’infortunio di Wall, è stato quindi ritenuto più importante che cercare fortuna da un’altra parte. Ma questo non significa che sia stato semplice, come si è dovuto accorgere ben presto lui stesso.
«Sono stato un po’ ingenuo. Non che pensassi che potesse essere facile, ma ho sottovalutato quanto potesse essere difficile» ha detto recentemente in un lungo pezzo su The Athletic. «Sono ottimista di natura, pensavo davvero che potessimo essere forti e competere con chiunque. Poi però è subentrata la realtà dei fatti». Beal ha anche ammesso di aver dovuto imparare a essere un leader per i suoi compagni dopo un inizio di carriera in cui si era fatto notare soprattutto per i suoi silenzi e la sua incapacità di alzare la voce nei confronti dei compagni più anziani.
C’è però una parte del suo corpo che dice tutto di lui, ed è il suo volto. Bradley Beal è uno dei giocatori più espressivi di tutta la NBA, tanto che una sua faccia fintamente severa nei confronti di un tifoso che gli aveva appena detto che faceva schifo è diventato istantaneamente un meme utilizzato anche nel lancio di NBA 2K20.
Quest’anno il suo volto è stato immortalato in una lunghissima sequenza di espressioni disperate, con le mani sulle ginocchia o sui fianchi, con sguardi imploranti verso il cielo o persi nel vuoto verso il basso, di sorrisi sarcastici ed espressioni in cui sembra dire: ma perché proprio a me? Ne ho raccolti dieci per parlare della sua stagione e per capire quanto sia stato difficile per lui il 2019-20, bloccato in una squadra mediocre in quello che è senza dubbio il miglior anno della sua carriera.