Della partita di Rodrigo Bentancur contro il Milan sono ricordati soprattutto due errori. Il primo arriva più o meno due minuti dopo l’intervallo. Inizialmente Bentancur gioca a muro su de Ligt, riceve spalle alla porta tra Brahim Díaz e Ibrahimovic vicino al cerchio di centrocampo e di prima restituisce la palla al difensore olandese. Un passaggio interlocutorio, fatto spesso da chi gioca davanti alla difesa per ricevere qualche secondo dopo in una situazione più comoda, con più spazio attorno e una postura diversa, non piatta e con la schiena rivolta alla porta avversaria, per far avanzare l’azione. Solo che in questo caso Bentancur non riesce a smarcarsi di nuovo tra Díaz e Ibrahimovic, de Ligt non ha linee di passaggio pulite davanti a lui e quindi appoggia a sinistra a Chiellini, che a sua volta fa arrivare la palla ad Alex Sandro.
È una circolazione che permette a Bentancur di girarsi e avanzare, staccandosi da Díaz e Ibrahimovic per ricevere in libertà alle loro spalle il passaggio in diagonale da sinistra di Alex Sandro, una ricezione molto comune per un regista, una di quelle che impara a gestire presto. In quei momenti un regista sente se ha pressione alle spalle, e nel caso sa come aggirarla, si guarda attorno per capire che scelte può fare e sa ancora prima di ricevere come giocare la palla, se basta un tocco di prima o è necessario controllarla per preparare la mossa successiva. Non conta quindi solo il talento individuale, pensare velocemente a una soluzione ed essere precisi a livello tecnico, ma è fondamentale il supporto dei compagni, perché è dalla quantità e dal tipo di soluzioni offerte che dipende la mossa del regista.
In questo caso Bentancur è pressato alle spalle da Brahim Díaz, è rivolto verso la linea laterale e ha due opzioni: un passaggio corto verso Morata, nella cui zona sta però scivolando Bennacer, e uno più lungo verso Chiesa, aperto vicino alla linea laterale. Ed è proprio questa la scelta che fa Bentancur, a giudicare dalla forza e la direzione data alla palla, ma il passaggio a un tocco è dosato male e finisce invece dalle parti di Pirlo, in piedi nella zona riservata agli allenatori.
Un quarto d’ora più tardi Bentancur commette un altro errore plateale. Stavolta non interviene sulla circolazione fino a quando la palla non è tra i piedi di Cuadrado, largo a destra nella trequarti del Milan. Il colombiano si appoggia a de Ligt, che a sua volta fa continuare l’azione in orizzontale coinvolgendo Bentancur. È una situazione tranquilla, l’uruguaiano non è pressato ma non ha linee di passaggio disponibili davanti a lui e così si limita a far scorrere la palla in orizzontale verso Alex Sandro alla sua sinistra.
Anche il terzino brasiliano si ritrova senza soluzioni comode per far avanzare l’azione, e quindi non forza la giocata e fa la scelta più semplice, quella di tornare al centro da Bentancur, che però può solo far continuare la circolazione in orizzontale o cercare più avanti Cuadrado largo a destra. L’uruguaiano allora lascia scorrere la palla verso destra e si gira per cercare proprio Cuadrado, ma ancora una volta colpisce male e manda la palla in tribuna.
Magari non sono gli esempi migliori per parlare dei problemi della Juventus quando manovra, delle difficoltà a occupare il campo in modo razionale e a dare a chi ha la palla soluzioni comode. I passaggi tentati da Bentancur sono semplici e lui li sbaglia in modo clamoroso, ma non è solo colpa sua se oggi ci sembra un giocatore meno forte di quello che immaginavamo qualche mese fa.
È facile ora prendere questi due errori ed elevarli a simboli della sua brutta stagione, ma Bentancur ne ha fatto almeno un altro molto evidente e ancora più grave, e mi riferisco ovviamente a quello nella gara di andata degli ottavi di Champions League contro il Porto. Va detto che Bentancur riceve in una situazione difficile, è rivolto verso Szczesny al limite dell’area, ha un avversario alle spalle che lo pressa e i compagni non gli danno linee di passaggio comode.
Anche questa, però, è una ricezione che fa parte del bagaglio di un regista, una situazione che impara a gestire ad esempio con un controllo orientato in direzione contraria rispetto alla pressione, per aggirarla e ricavarsi lo spazio per la giocata successiva. Invece qui Bentancur subisce la pressione, non la manipola e anzi si fa portare proprio nella direzione voluta dall’avversario. Torna indietro e come unica opzione ha il retropassaggio verso Szczesny, però lo dosa male, a metà strada tra il portiere polacco e Taremi, che andando a contrasto in scivolata riesce a segnare.
Dopo aver rivisto questi errori, la conclusione sembra scontata: Bentancur non può giocare da solo davanti alla difesa. È il pensiero ad esempio di Massimiliano Allegri, che lo ha allenato per due anni. «Non può giocare davanti alla difesa, al massimo una partita», aveva detto Allegri al tavolo di Sky Calcio Club. «Rodrigo ha giocato tante volte con me davanti alla difesa, ma poi ne giocava dieci da mezzala. Davanti alla difesa ha un tempo di gioco uno-tre, nonostante sia un giocatore importante».
Magari ha ragione Allegri, e in effetti Bentancur in questi mesi ha mostrato di non essere ancora abbastanza rapido di pensiero, pulito a livello tecnico, efficace negli smarcamenti per imporsi in una posizione così delicata, che richiede uno stile sobrio, poco appariscente, ma che è di vitale importanza per una squadra che ambisce a controllare le partite tenendo il pallone per la maggior parte del tempo. Bentancur non sembra cioè il tipo di centrocampista che fa sempre il passaggio giusto al momento giusto a inizio azione, una qualità rara e facile da trascurare, di cui sono specialisti giocatori spesso incompresi come Busquets, Jorginho o Thiago Motta.
Di certo Bentancur non è un centrocampista di quel tipo ma non è nemmeno il giocatore insicuro e impreciso visto negli ultimi mesi. Delle sue qualità con la palla aveva parlato con entusiasmo proprio Allegri quasi quattro anni fa, dopo le prime partite di Bentancur con la Juventus: «Ha grande personalità e gestione della palla. (...) Lo aveva dimostrato a Barcellona, aveva fatto una partita importante fino a che ha retto, aveva contro Iniesta e ci sono quindici anni e mille partite di differenza a grandissimi livelli. Però aveva fatto una partita con una tranquillità, con una serenità, con una gestione della palla straordinarie».
In quattro stagioni Bentancur ha avuto tre allenatori diversi, ognuno con la propria idea sulle sue caratteristiche e sulla posizione in cui poteva esprimerle meglio. In questi anni ne ha cambiate molte e ha giocato in pratica in ogni ruolo, nel centrocampo a due o a tre, da mezzala, da mediano e anche da trequartista con Sarri. Un ruolo che però lui non sentiva nelle sue corde: «Quando gioco sulla trequarti cambia tanto perché avere il campo alle spalle è difficile, so che devo lavorare per migliorare. È una bella posizione perché sei più vicino alla porta e agli attaccanti, mi piace quel passaggio forte tra le linee, fare i cambi di gioco lunghi. In quel ruolo mi piaceva moltissimo Riquelme, non ce n’è un altro come lui. Anche Recoba era uno che guardavo quando ero più piccolo. Ora è difficile trovare un trequartista con quel carattere».
Una cosa però ha messo d’accordo ogni allenatore passato dalla Juventus negli ultimi quattro anni: Bentancur avrebbe dovuto segnare di più, essere più presente nell’area avversaria. Ne ha parlato lui stesso più o meno un anno e mezzo fa, quando era allenato da Sarri e aveva fatto il confronto tra le richieste di quest’ultimo e quelle di Allegri: «L’altro giorno ho parlato col mister (Sarri, nda) e mi dice le stesse cose di Allegri. Ha detto: “tu puoi diventare uno dei centrocampisti più forti al mondo, ma per fare la mezzala ti manca il gol”. Mentalmente penso che sia meglio fare il passaggio al compagno messo in posizione ottimale piuttosto che calciare in porta, devo essere più egoista».
Tre mesi fa anche Pirlo ha ripreso il discorso e gli ha chiesto di tirare di più in porta: «Stiamo cercando di lavorare su questo, visto che spesso i centrocampisti possono trovarsi in quella zona e concludere con un tiro. Siamo contenti di quello che sta facendo però».
È un tasto molto battuto, evidentemente, visto che lo stesso Bentancur lo ha indicato a gennaio di un anno fa come uno degli aspetti da migliorare: «Ho iniziato a lavorare un po’ di più su questi inserimenti che non sono ancora nelle mie corde ma nel primo tempo con la Roma credo di averli fatti bene, è arrivato anche il gol e sono contento. Il mio modello deve essere Sami Khedira, credo sia il migliore in questa situazione di gioco, è sempre lì con 7-8 gol a stagione e il mister (Sarri, nda) dice di guardare lui».
Prima Sarri e poi Pirlo, però, non hanno continuato a sviluppare il senso di Bentancur per gli inserimenti, avanzando il suo raggio d’azione per farlo arrivare di più in area. Al contrario sia Sarri che Pirlo lo hanno spostato a giocare davanti alla difesa, a occuparsi quindi della prima costruzione. C’entrano anche le scelte di mercato della società, e in particolare la cessione di Pjanic al Barcellona nello scambio con Arthur. Già prima dell’accordo con i catalani Sarri aveva arretrato Bentancur davanti alla difesa al posto di Pjanic. Era capitato ad esempio in campionato nella gara di ritorno contro l’Inter, una partita in cui Bentancur, aiutato anche dalle tante linee di passaggio create dai compagni, era stato preciso con la palla e determinante in fase difensiva nel tagliare le connessioni dell’Inter tra la zona di costruzione e le punte.
I due terzini ai fianchi, Douglas Costa aperto a destra, Matuidi vicino e Ramsey in verticale. In questo caso Bentancur aveva l’imbarazzo della scelta, e alla fine sceglie il passaggio comodo per Matuidi.
Quando poi, alla ripresa del campionato, è arrivata l’ufficialità dello scambio tra Pjanic e Arthur, lo spostamento di Bentancur davanti alla difesa è diventato ancora più urgente per Sarri. A quel punto trovare un’alternativa a Pjanic era necessario, soprattutto in vista della stagione successiva, e la mossa più sensata era appunto l’arretramento di Bentancur, visto che in prospettiva nemmeno Arthur sembrava poter giocare da mediano.
Bentancur ha poi continuato a giocare davanti alla difesa anche con Pirlo, dopo l’esonero di Sarri, all’inizio in coppia con un altro centrocampista e poi sempre più come unico riferimento davanti ai difensori. È una delle mosse fatte da Pirlo nel corso della stagione, dopo aver cambiato idea sulle caratteristiche dei suoi centrocampisti. A inizio stagione infatti l’allenatore bianconero era stato categorico: «Abbiamo giocatori adatti per giocare a due. Non abbiamo registi e non abbiamo mezzali, sono tutti adatti a giocare a due. Arthur e Bentancur non sono né registi né mezzali, come del resto Rabiot. Forse solo McKennie è una mezzala, ma nel complesso sono giocatori più adatti a giocare a due».
Col passare del tempo Pirlo è diventato più flessibile e la squadra ha preso una forma diversa: da una costruzione con tre difensori e due mediani, con un esterno di centrocampo che si spostava tra le linee lasciando l’ampiezza a un terzino, a una costruzione con un solo uomo davanti alla difesa in un centrocampo a tre, e quindi con un giocatore in più sulla trequarti. «Non avevo avuto modo di provare i giocatori nelle amichevoli», aveva spiegato Pirlo a fine dicembre. «In allenamento ho capito che le posizioni di alcuni potevano cambiare. Abbiamo cambiato la nostra disposizione e da due siamo passati a tre».
Col tempo però la stagione ha preso una brutta piega e i meccanismi, già fragili, si sono definitivamente inceppati. Sono state abbandonate le scalate che permettevano alla squadra di alternare sistemi diversi a seconda delle fasi, i reparti sono rimasti scollegati, la zona di rifinitura si è svuotata e far risalire la palla è diventata un’impresa.
Man mano che la squadra cambiava forma, che il gioco si faceva più confuso, Bentancur ha perso riferimenti e non è più riuscito a stare al passo con i diversi compiti che gli venivano chiesti. Pulire l’uscita dalla difesa, ma anche fare da collegamento con la zona di rifinitura, inserirsi senza palla, senza trascurare ovviamente l’equilibrio da garantire nelle transizioni a palla persa e la protezione del centro nelle fasi di difesa posizionale.
Bentancur non ha però mai fatto vedere di poter essere ciò che Pirlo era da giocatore, un riferimento che decide da solo ritmo e direzione della manovra, e non ha più potuto fare ciò che gli riesce meglio, rinforzare il possesso, aggiungere un passaggio in più nello sviluppo dell’azione, usare il suo dinamismo per dare soluzioni comode a chi ha la palla in diverse zone del campo, anche intervenendo più volte nella stessa azione. Il meglio di sé, nella seconda stagione con Allegri e in parte con Sarri, Bentancur lo ha dato quando non si è occupato del primo passaggio e poteva muoversi a diverse altezze per far continuare la circolazione, senza mai mostrare una visione illuminata, ma restando preciso e gestendo bene la pressione anche in situazioni difficili.
È il ruolo che l’uruguaiano sente più suo: «Mi trovo meglio come mezzala destra e lo sto dimostrando», aveva detto quando ancora giocava di fianco a Pjanic, nei primi mesi con Sarri. In una delle migliori partite dello scorso anno, quella vinta a San Siro contro l’Inter, Bentancur era entrato nella ripresa e si era fatto notare in occasione del gol decisivo, segnato da Higuaín dopo una lunga azione di 24 passaggi che aveva coinvolto tutta la squadra. Bentancur aveva dato l’ultimo, l’assist decisivo per Higuaín, ma prima era intervenuto con un passaggio facile all’indietro per Cuadrado a centrocampo, poi si era abbassato di nuovo per far continuare la circolazione ricevendo dal terzino colombiano e subito dopo si era alzato dietro il centrocampo dell’Inter, per chiudere il triangolo con Pjanic e Ronaldo e giocare la palla rivolto verso la porta. A quel punto l’ultimo passaggio non era stato un filtrante visionario ma un tocco pulito di prima a destra per Higuaín.
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Fa strano confrontare quei tocchi minimali, ma fatti con tranquillità e precisione, con le difficoltà che ha adesso Bentancur anche nei passaggi più semplici. Il talento non gli è stato rubato all’improvviso, è ancora lì e aspetta di emergere di nuovo, magari in una squadra meno confusa e che gli dà appoggi comodi ogni volta che ha la palla. In fondo, a nemmeno 24 anni una stagione storta può capitare, e può far parte del normale percorso che affronta ogni calciatore prima di esprimere fino in fondo il proprio potenziale.