Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Come fa la linea difensiva "suicida" del Barça a funzionare
06 mag 2025
Quella di Flick è una strategia estrema ma efficace.
(articolo)
8 min
(copertina)
IMAGO / Maciej Rogowski
(copertina) IMAGO / Maciej Rogowski
Dark mode
(ON)

La sfida tra Barcellona e Inter ha permesso al grande pubblico italiano di fare la conoscenza del modo peculiare di difendere dei blaugrana, un approccio estremo che ha innescato commenti sbigottiti e canzonatori. Effettivamente, quando si osserva la fase difensiva del Barcellona di Hansi Flick è facile lasciarsi conquistare dalla sensazione di pericolo costante. La linea resta altissima sulla linea di centrocampo anche in situazioni di palla scoperta, circostanza in cui in Italia continuiamo a ripeterci che i difensori dovrebbero scappare verso la propria porta per prevenire la profondità avversaria.

Quello adottato da Flick, però, non è un approccio ingenuo né improvvisato. È, anzi, una scelta radicale e consapevole, parte di un disegno più grande che vede le due fasi di gioco – offensiva e difensiva – come ingranaggi di un unico sistema fluido. Un sistema che si fonda su una logica precisa: attaccare per difendere, difendere per attaccare.

Si tratta di un modo di difendere a cui è difficile fare l’abitudine, perché rompe con quella prudenza che tradizionalmente accompagna l’organizzazione difensiva delle grandi squadre. Tuttavia, è difficile negare che questo approccio, per quanto estremo, abbia una sua logica, produca effetti tangibili e che per paradosso (almeno per noi osservatori dall'Italia) consenta un certo controllo del gioco.

Tenere la linea così alta serve infatti a comprimere il campo, ridurre le distanze tra i reparti e favorire riaggressioni rapide, vere e proprie trappole che costringono l'avversario a giocare in spazi sempre più angusti. Non è un caso che il Barcellona abbia tra i numeri migliori per quanto riguarda l’intensità e l’efficacia del pressing, e che secondo i dati Hudl Statsbomb sia seconda per xG prodotti in stagione (dietro al solo PSG).

È una strategia difensiva, come detto, ma anche ovviamente offensiva, perché nasce per recuperare il pallone in zone avanzate e trasformare la difesa in un preludio all’attacco. Il Barcellona non difende aspettando, ma avanzando. Costruisce un contesto in cui l’avversario non può pensare, solo reagire. E quando l’avversario reagisce, spesso è già in trappola.

Infografica Sky Sport da dati Soccerment.

A conferma della bontà di questo approccio c’è un dato illuminante: 34 gol annullati agli avversari del Barcellona per fuorigioco nella stagione in corso. È un numero enorme, che ci dice che questa trappola – benché rischiosa – funziona, specialmente in epoca VAR, in cui le decisioni sul fuorigioco sono millimetriche e (almeno "geometricamente") corrette.

I PUNTI DI FORZA
È un sistema tra l'altro che, basandosi sulla precisione del collettivo più che sull'estro del singolo, può essere continuamente perfezionato. La linea alta, i movimenti di accorciamento, il fuorigioco esasperato – tutto è codificato, replicabile, allenabile. Ogni metro di campo e ogni lettura del corpo dell’avversario diventano parte di un linguaggio comune che i giocatori imparano a parlare insieme, giorno dopo giorno.

Certo, come tutte le strategie, anche questa ha bisogno di interpreti specifici. Serve una linea in cui i giocatori non siano solo bravi a difendere individualmente, ma siano in grado di difendere insieme, in totale sincronia: Il fatto che un giocatore come Íñigo Martínez sia riuscito a imporsi togliendo il posto a un mostro fisico come Araujo, è il segnale più chiaro di quanto la comprensione del sistema e la capacità di lavorare con la linea contino più della prestazione individuale pura. Íñigo non è più veloce o più forte di Araujo, ma è più abile nel guidare il reparto. Questo sistema difensivo non chiede forza, velocità e capacità nel vincere il duello individuale: chiede precisione, disciplina e tempismo.

In un calcio in cui la difesa è spesso affidata alla somma delle individualità e in cui si tende a difendere avendo l’uomo come riferimento, Flick ha scelto l’approccio opposto: difendere con l’idea che il collettivo – se allenato con precisione e continuità – possa anticipare anche il talento individuale dell’avversario. È una sfida teorica prima che pratica. Ma è anche una grande opportunità: perché se è vero che certi duelli non si vincono in anticipo, è altrettanto vero che la posizione giusta, nel momento giusto, può rendere inutile anche la giocata più brillante.

Un aspetto decisivo per il funzionamento di questo sistema è l’estrema compattezza orizzontale della linea. Il reparto si muove come un corpo unico, e questo vale anche per i terzini che devono difendere “dentro”, stretti, accettando – per scelta – di lasciare più libero il lato debole. L’idea è chiara: è meglio concedere un cambio gioco lungo che permettere all’avversario di trovare combinazioni nel cuore del campo. Si preferisce difendere con densità in zona palla, togliere ogni possibilità di triangolazione o di rifinitura interna, e sfidare l’avversario a cambiare lato con precisione.

Ma anche in questo caso, il sistema ha delle contromisure. La forza atletica dei terzini blaugrana – Koundé a destra, Balde a sinistra – consente accorciamenti rapidi e aggressivi verso il lato debole. Sono giocatori che possono percorrere trenta metri in pochi secondi, recuperare la posizione senza affanno e soprattutto mantenere lucidità anche in fase di transizione difensiva. Non è solo una questione tattica, ma anche di profili scelti per interpretare il sistema: servono terzini che difendano come centrali e corrano come ali. Flick lo sa e costruisce in funzione di questo.

Il Barcellona, inoltre, grazie al suo atteggiamento difensivo può permettersi di schierare un centrocampo qualitativo e leggero composto da de Jong, Pedri e Dani Olmo – tre profili creativi, associativi, votati al possesso e al controllo – senza inserire un vero “recupera palloni” alla Kanté. Non ne ha bisogno, perché nella logica di Flick non è il singolo che recupera palla: è la squadra che strangola il possesso avversario nel momento esatto in cui questo nasce.

Quando l’avversario riesce a controllare il pallone – cosa che succede molto di rado visto che il Barcellona ha il 68% di possesso palla in media– lo fa in una situazione già compromessa: spalle alla porta, spazi ridotti, tre o quattro avversari addosso, la linea di passaggio già chiusa. Il recupero palla avviene in alto, subito, e con un'aggressività organizzata. Non serve un mastino, serve un’orchestra che sappia suonare il pressing come una sinfonia.

Questo consente al Barcellona non solo di dominare il possesso, ma anche di mantenere costantemente il pallone in zone pericolose, facilitando la creazione di occasioni da gol e riducendo al minimo i rischi strutturali. È un calcio che punta a minimizzare l’imprevisto attraverso un controllo proattivo.

LE FRAGILITÀ
Per quanto raffinato e allenato, il sistema del Barcellona ha inevitabilmente i suoi limiti. Alcune sono strutturali, altre contestuali, altre ancora legate alla variabilità degli avversari. La domanda da cui partire è semplice: quanto può spingersi oltre un’idea che richiede perfezione collettiva? Qui le possibili criticità iniziano ad emergere con più chiarezza.

Nel tempo sempre più squadre hanno sviluppato ottime capacità nel superare le prime pressioni ultraoffensive e nel consolidare il possesso contro la riaggressione: con qualità tecnica e fluidità posizionale si può uscire dalla morsa degli avversari e punire in transizione. Quando questo succede, la linea altissima del Barcellona si ritrova isolata, spesso in inferiorità numerica.

Il secondo rischio è evidente: una linea così alta è vulnerabile contro giocatori rapidi e abili nel movimento senza palla: basta un tempo sbagliato o un fuorigioco mancato per essere esposti. Non si può sbagliare nulla. Non è un caso infatti che il Barcellona in Liga sia la squadra che concede le occasioni più pericolose per tiro subito nei top 5 campionati europei (0.12 xGA).

Inoltre, la compattezza difensiva in orizzontale che lascia sguarnito il lato debole concede necessariamente, anche con i migliori terzini possibili a disposizione, tempo e spazio all’avversario, facilitando la creazione di uno contro uno su campo aperto contro avversari pericolosi. Squadre con esterni capaci di isolarsi possono creare situazioni di pericolo anche senza il bisogno di combinare. A quel punto, la responsabilità è tutta nell’uno contro uno e nel duello individuale.

Infine, c’è il problema della componente fisica e mentale: è possibile difendere in modo estremo per 90 minuti? Cosa accade quando la stanchezza annebbia le letture e la lucidità si riduce? Ha senso continuare a tenere la linea a metà campo quando si è in vantaggio 1-0 all’80° e si rischia di essere bucati da un solo errore? La risposta non è semplice.

Da una parte, modificare la struttura difensiva a partita in corso richiede allenamento, e in una stagione da 60 partite non c’è sempre tempo per preparare piani B sofisticati. Dall’altra parte, continuare a giocare con il fuoco fino al triplice fischio può diventare un azzardo. È il paradosso dei sistemi rigidi: funzionano alla perfezione finché non cedono; e quando cedono, lo fanno di colpo. Questa ovviamente è la speranza anche dell'Inter, sulle cui possibili strategie ha già scritto Emanuele Mongiardo stamattina.

Quella di Flick è una strategia estrema, a tratti anche scomoda per chi ha una visione più classica del gioco, specialmente in Italia, patria della fase difensiva. Non è una difesa che aspetta: è una difesa che impone. Non protegge, costringe. È un’idea totalizzante in cui ogni singolo gesto è codificato, ogni movimento è finalizzato al recupero immediato o alla produzione offensiva. C’è qualcosa di spietato e di matematico nei suoi meccanismi, ma funziona e risponde a una logica coerente con il calcio moderno, che non premia chi subisce ma chi decide dove e come si gioca.

La vera sfida, allora, non è tanto capire se il Barcellona debba giocare così – Flick ha già risposto con i fatti – ma fino a quando potrà permetterselo. La coerenza è un valore, ma lo stesso si può dire anche della flessibilità. Riuscirà il Barça a mantenere questa identità anche nei momenti in cui il margine di errore si riduce? Oppure servirà un’evoluzione interna del sistema, un secondo registro difensivo, meno spettacolare ma più sostenibile?

In un’epoca in cui il tempo per pensare è sempre più breve, Flick ha costruito un Barcellona in cui agli avversari non resta nemmeno il tempo per respirare. E in cui la linea difensiva, apparentemente folle, è in realtà la chiave nascosta di un dominio costruito un metro più avanti – a patto di riuscire a reggere quella tensione, quell’equilibrio millimetrico, fino al novantesimo minuto.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura