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Baggio alla Juventus, Firenze brucia
09 ott 2020
09 ott 2020
Storia di una cessione che scatenò rivolte di piazza.
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Gianni Agnelli sapeva rilasciare dichiarazioni che erano veri e propri incantesimi. E così, quando nel corso della stagione 1989/90 disse che «Baggio è uno di quei giocatori che non vogliamo far invecchiare» il destino del numero 10 della Fiorentina iniziò a sembrare a tutti già segnato. Per quanto Baggio si sforzasse ad affermare la sua volontà di rimanere in viola, e per quanto i tifosi della Fiorentina si adoperassero affinché ciò accadesse, la tempesta della sua cessione alla Juventus si stringeva inesorabilmente sopra la sua testa.

Il 17 gennaio del 1990, terza giornata del girone di ritorno, allo Stadio Comunale di Firenze si gioca Fiorentina-Juventus e già non si parla d’altro. A fine primo tempo il risultato dice 0-2 per i bianconeri e dalla curva si alzano i primi cori di contestazione, contro l’allenatore Bruno Giorgi (“Eriksson! Eriksson!”) e contro la cessione di Baggio. La partita finisce 2-2 ma a nessuno interessa. Quando il presidente della “Viola”, il conte Flavio Callisto Pontello, esce dallo stadio viene ricoperto di fischi e ci deve pensare il fratello, Claudio, a provare a riallacciare i rapporti con la tifoseria, che però non gli crede quando dice che Baggio rimarrà a Firenze.

Per uno strano scherzo del caso è proprio Claudio Pontello, che di mestiere fa l’avvocato, quello metaforicamente più vicino all’attività che ha fatto le fortune di famiglia, e cioè costruire ponti, tra le altre cose. Qualcuno dirà che non poteva essere altrimenti visto il cognome, ma è già da generazioni che i Pontello si arricchiscono unendo due sponde di un fiume con un moderno e rivoluzionario materiale, il cemento armato. Aveva iniziato nella seconda metà dell’800 il nonno di Flavio Callisto, Callisto Pontello, lavorando già dall’età di dodici anni prima come operaio edile e poi come imprenditore nei territori dell’Impero Austroungarico o vicini - Grecia, Romania, Serbia, Slovenia.

È la sua ditta, ad esempio, a costruire il celebre ponte dei draghi a Lubiana. Due generazioni e due guerre mondiali dopo sarà suo nipote a ricostruire la parte di Firenze distrutta dai nazisti, che avevano fatto saltare in aria tutti i ponti della città tranne Ponte Vecchio per impedire l’attraversamento dell’Arno agli Alleati. E così, forse simbolicamente, l’apporto di Flavio Callisto Pontello alla ricostruzione di Firenze fu suggellato dalla costruzione di un altro ponte, il ponte alle Grazie.

Purtroppo per i tifosi della Fiorentina, però, alla guida della squadra non c’è suo fratello Claudio, che a quanto pare spinge per tenere Baggio in squadra, ma proprio Flavio Callisto, che i ponti con la tifoseria gigliata sta facendo di tutto per bruciarli. Si dice che abbia un accordo con Agnelli già da inizio stagione, che il passaggio di Baggio alla Juventus sia già cosa fatta, e lui non ha mai fatto nulla per far pensare il contrario. Già nel 1988, quando alla sua corte si era presentata l’Inter, Flavio Callisto Pontello aveva iniziato a dipingere Baggio come un mercenario che alzava pretese sul suo contratto per forzare la cessione. «Baggio se vuole può firmare a vita», aveva dichiarato una volta il conte Pontello «Ma quando vuole parlare di soldi, mi raccomando, deve venire da solo».

Due anni dopo, a inizio aprile, con la Fiorentina vicino al baratro della retrocessione e la società nel caos, sarà se possibile ancora più esplicito: «Baggio ha una valutazione molto alta e credo che le sue pretese siano esorbitanti. Noi faremo il possibile per accontentarlo ma io devo pensare alle squadre e non ai simboli. Se dovesse valer la pena cederlo non esiterei un momento. Sì, in questo caso Agnelli sarebbe il primo ad essere interpellato».

D’altra parte, anche Gianni Agnelli parlava da tempo di Baggio come di un suo giocatore. «Baggio è nostro al 51%», dice una volta. Poi, a un convengo di Confindustria a Parma aggiunge: «Il suo futuro non dipende soltanto da me. Ma dipende, ahimè, da lui», confermando di aver già fatto un’offerta. Non tutti, dentro, la Juventus, però, prendevano la ritrosia del 10 viola con la stessa leggerezza. Dopo che Baggio ripete per l’ennesima di voler rimanere a Firenze, ad esempio, il presidente della Juventus, Vittorio Chiusano, sbotta: «Non siamo abituati a mettere le catene a nessuno. Voglio dire che l’Italia ha combattuto tanto per ottenere la libertà e non saremo certo noi della Juve a negarla a Baggio».

Eppure per settimane il trasferimento di Baggio alla Juventus rimane una chimera - un incantesimo, per l’appunto, di cui tutti avvertono la forza nella realtà senza poter spiegare razionalmente come sia possibile. A fine gennaio la FIGC decide di muovere il suo ufficio indagini per capire se esista davvero una trattativa «turbando sia la tranquillità del giocatore che della Fiorentina», come si legge nel comunicato, e da fuori sembra un’indagine per capire se il mare è salato visto che Baggio è costretto a parlarne quasi ogni settimana e Firenze è già in fiamme.

Una settimana dopo il capo dell’ufficio indagini, Consolato Labate, decide di sentire lo stesso Baggio, che davanti agli organi federali annuncia solennemente che il mare è dolce - e cioè che non ha mai incontrato né i dirigenti della Juventus né quelli del Milan (che si dice abbia tentato l’approccio) e che la sua volontà è sempre quella di rimanere alla Fiorentina.

Ai tifosi viola sembra chiaro, quindi, che la cessione di Baggio alla Juventus sia un affare personale tra Gianni Agnelli e il conte Pontello, coadiuvato dal suo agente, Antonio Caliendo, l’uomo che in Italia quella professione ce l’ha portata facendo firmare nel 1977 la prima procura di un calciatore in assoluto nella storia del calcio italiano. Non un calciatore a caso per la Fiorentina, tra l’altro, ma un certo Giancarlo Antognoni, allora diciassettenne.

Già il 18 febbraio, quindi, i tifosi della curva Fiesole organizzano un primo corteo per protestare contro la cessione di Baggio che passa davanti alla sede della Costruzioni Pontello (che per l’occasione aveva deciso di chiudere ermeticamente porte e finestre) e si conclude di fronte alla casa del presidente della Fiorentina. Sotto un sole quasi primaverile la gente di Firenze applaude dai negozi e dalle finestre dei palazzi - qualcuno urla “bravi!” - mentre i circa quattromila manifestanti cantano “Pontello sei un muratore” e “Pensi solo al cemento”. Poi, arrivati finalmente alla casa del conte, una scena surreale.

Sua moglie, la contessa Simonetta, forse è talmente naïf da pensare che tutta quella gente sia venuta lì per festeggiare e decide di salutare la folla dalla finestra. Un gesto alla Maria Antonietta che inevitabilmente incendia la piazza, che vedendola lanciare brioche dalla finestra le scaglia contro uova e monete "sotto lo sguardo terrorizzato della cameriera filippina che è rimasta ad osservare la scena da dietro la tenda” - come racconta il resoconto del tempo di Repubblica.

Come se Firenze non fosse già sufficientemente in subbuglio, ad agitare ulteriormente le acque ci si mette anche Mario Cecchi Gori, che vorrebbe comprare la Fiorentina ed è ben attento a mettere in chiaro che la sua offerta al conte Pontello include anche il numero 10. «La mia offerta ai Pontello riguarda l’acquisto di una Fiorentina con Baggio, ma loro per il momento non hanno nessuna intenzione di tornare indietro sulla cessione del giocatore», dichiara a inizio maggio Cecchi Gori, anche lui comunque premuroso nel descrivere il trequartista viola come una persona in balia di avidi sfruttatori. «Vogliono che compri la Fiorentina per salvare Baggio», disse una volta nell’arco di quella stagione «Ma quello non lo salva più nessuno».

Ormai il piano inclinato su cui sta scivolando la biglia di Baggio è praticamente un burrone e la sua caduta verso l’epilogo è sempre più veloce e violenta. La Fiorentina vive uno dei finali di stagione più assurdi della sua storia, con il campionato disastroso che la vede sempre più vicina alla zona retrocessione (Giorgi viene esonerato a quattro giornate dal termine del campionato e viene sostituito da Francesco Graziani) e la Coppa UEFA in cui invece la “Viola” supera sorprendentemente alcune tra le migliori squadre in Europa - l’Atletico Madrid, il Sochaux, la Dinamo Kiev, l’Auxerre, infine il Werder Brema, fino ad arrivare alla finale fatale con la Juventus. Un cammino chiaramente disegnato dal Diavolo in persona, che alla fine mette il più luciferino dei dettagli.

Al rientro in campo dall’intervallo della semifinale di ritorno, il portiere tedesco del Werder Brema, Oliver Reck, decide infatti di togliere una sciarpa della Fiorentina legata alla sua porta, scatenando la reazione di un tifoso della Fiesole che entra in campo per regolare i conti - probabilmente con un buffetto in testa. Un gesto che inizialmente fa temere la sconfitta a tavolino della “Viola” e la conseguente perdita della finale acquisita, e che invece si traduce solo nella squalifica del Comunale di Firenze per il turno successivo, che si giocherà in campo neutro.

Il problema, ovviamente, è che il turno successivo è la finale, contro la Juventus per di più. Se ciò non bastasse, il ricorso della Fiorentina fa slittare la decisione sullo stadio per il ritorno della finale solo dopo l’andata a Torino. E con le due squadre che sapranno dove giocheranno il ritorno solo dopo il risultato dell’andata, la realtà inizia a crollare sotto il suo stesso peso.

Dopo l’ultima giornata di campionato, in cui la Fiorentina batte l’Atalanta 4-1 scampando definitivamente dalla Serie B, Baggio va davanti ai microfoni e per tagliare la testa al toro si propone pubblicamente di firmare un rinnovo in bianco pur di dimostrare una volta per tutte di voler rimanere a Firenze. «Se mi vogliono vendere», dice «Devono essere loro a assumersene le responsabilità. Basta con i giochi sulla mia pelle». Nel frattempo per Flavio Callisto Pontello la città diventa una giungla ostile. Quella stessa sera, in un ristorante in cui sta mangiando, due signori irrompono al suo tavolo per dirgli che «se non si hanno i soldi è inutile farsi chiamare conti». Pochi giorni dopo il proprietario della Fiorentina viene accerchiato da un gruppo di tifosi fuori dalla sede del club a Piazza Savonarola e riesce a salvarsi solo chiudendosi dentro la sua Thema blu, mentre un altro impiegato del club che era accorso ad aiutarlo viene malmenato.

La finale d’andata getta ulteriore benzina sul fuoco, che è ormai arrivato alle porte di Firenze. La Juventus passa subito in vantaggio, con Galia, lasciato inspiegabilmente solo in mezzo all’area dalla difesa viola, che mette in rete un cross basso e disperato di Schillaci; pochi minuti dopo la Fiorentina pareggia, con un gran tuffo di testa di Buso su cross teso in area piccola di Di Chiara, entrato in area dopo una testarda progressione.

Poi una cinquantina di minuti di tensione e nervosismo, spezzata solo dall’episodio di cui si parlerà nelle due settimane successive, prima del ritorno. Al 59esimo del secondo tempo Rui Barros alza un campanile in area su cui Pin sembra essere in netto vantaggio, se non fosse per la spinta con cui Casiraghi lo sbalza verso la propria porta. Il difensore viola riesce comunque a sfiorare di testa ma il rinvio è troppo corto e finisce all’altezza perfetta per la semirovesciata di Alessio, che viene deviata con un braccio da Battistini e si trasforma in un assist perfetto per Casiraghi che a pochi metri dalla linea di porta mette in rete.

Subito dopo il gol di Casiraghi, che anche nelle immagini televisive si vede battibeccare con Nappi, scoppiano dei tumulti nel settore ospiti della Fiorentina, dove vengono feriti tre agenti di polizia. L’ultima mezzora sono solo recriminazioni e urla, mentre il terzo gol della Juventus sparisce dalla memoria collettiva. Al triplice fischio lo spogliatoio della Fiorentina è un teatro di guerra: “Si sentono urla, tonfi di bottiglie che cadono per terra, le voci si confondono l'una con l’altra”. Prima esce Pin a torso nudo e con l’asciugamano legato alla vita, per mostrare i segni che Casiraghi gli ha lasciato sul costato. «Quando mi sono rialzato protestando verso l’arbitro, lui [Casiraghi, nda] mi è venuto vicino e mi ha detto: che colpa abbiamo noi se siamo una società che conta?», racconta Pin «Sono cose che non si possono ammettere. È questo il calcio? È questa una vittoria che si può definire regolare?».

Il più furioso è però Buso, che anche se vorrebbe non riesce a mordersi la lingua: «Sto zitto, altrimenti mi danno dieci anni di galera». Tutti vogliono ovviamente parlare con Baggio, che però è riuscito a sfuggire ai microfoni grazie a un provvidenziale controllo anti-doping.

Subito dopo la partita il gruppo di tifosi “Collettivo Autonomo Viola” emana un comunicato in cui propone di regalare la Coppa alla Juventus e la situazione passa dalla padella alla brace quando come sede della partita di ritorno viene scelta Avellino, che secondo alcuni è una delle città più bianconere d’Italia dopo Torino. Ormai sembra chiaro che la devastazione non può più rientrare all’interno del vaso di Pandora, anche se c’è qualcuno che ci prova. La FIGC, ad esempio, per evitare che l’annuncio di Baggio alla Juventus cada tra le due partite allunga la stretta sessione di mercato, che quell’anno finiva il 12 maggio (cioè quattro giorni prima della partita di ritorno della finale) per non farla coincidere con i Mondiali.

Ma ovviamente tutto è vano. La partita di ritorno finisce 0-0 con la Juventus che chiarisce subito le sue intenzioni al calcio d’inizio, con Alejnikov che al primo tocco passa indietro di cinquanta metri al proprio portiere. A fine gara finalmente parla Roberto Baggio, quando è ancora avvolto nell’accappatoio con i gomiti sulle ginocchia per la stanchezza. «Mi dispiace per i nostri tifosi che sono stati costretti a farsi sette ore di pullman per raggiungere lo stadio di Avellino e vedere una partita che non è riuscita a dare le soddisfazioni che si aspettavano», dichiara Baggio, che poi con il tono del condannato a morte è costretto a parlare forse per la millesima volta del suo futuro «La mia posizione la conoscete: per quanto mi riguarda io vorrei restare a Firenze».

Nemmeno 24 ore dopo il suo procuratore, Antonio Caliendo, convoca una conferenza stampa nella sede della Fiorentina, che continua a fare finta di non sapere nulla. La situazione è ormai più instabile di un nocciolo di un reattore nucleare. Già mezz’ora prima che inizi la conferenza ci sono circa 200 tifosi inferociti a Piazza Savonarola sintonizzati su una radio privata che trasmetterà tutto parola per parola, e subito parte una sassata che rompe una finestra al primo piano. Quando arriva il DS della Fiorentina, Nardino Previdi, a volare sono invece due bottiglie, che però si infrangono sulla scalinata all’ingresso.

È solo l’antipasto di quello che succede quando si avvera quello che tutti avevano visto all’orizzonte da ormai quasi un anno. L’innesco della rivolta, poco dopo che sul posto arrivi la polizia, non è infatti tanto l’annuncio che Baggio è un nuovo giocatore della Juventus, tanto quello fatto da Claudio Pontello. E cioè: «La nostra famiglia resterà sempre al comando della società».

La situazione precipita. “Prima urla, cori, lancio di monetine e di ghiaia verso il palazzo”, la polizia spara dei lacrimogeni per disperdere la folla, alcuni agenti iniziano ad avanzare roteando i manganelli. I tifosi della Fiorentina sembrano moltiplicarsi di minuto in minuto - alcuni vanno a un cantiere vicino e raccolgono mattoni e sampietrini da lanciare verso la polizia. Un carabiniere rimane a terra con la faccia insanguinata. A quel punto le autorità decidono di inviare rinforzi, non solo alla sede della Fiorentina ma anche a casa del conte Flavio Callisto, dove infatti di lì a poco si raduneranno altre centinaia di tifosi viola.

Nel frattempo in un cantiere della ditta dei Pontello scoppia un incendio, probabilmente causato dal lancio di una molotov. Iniziano a scoppiare disordini in varie zone della città, anche a piazza Donatello, dove c’è la sede finanziaria dei Pontello. Ci sono cariche della polizia, sirene e clacson del traffico impazzito che aleggiano nell’aria, elicotteri nel cielo. Vicino allo Stadio Comunale un gruppo di tifosi cerca di danneggiare un pallone pressostatico pensato per essere utilizzato come centro stampa per i Mondiali che si terranno a breve, e il panico è tale che alcune guardie giurate esplodono dei colpi di pistola in aria per disperdere la folla. Se la rivolta si è diffusa, spiegherà qualche giorno dopo il questore di Firenze, è perché i tifosi sono stati appoggiati da buona parte della città.

Nel frattempo davanti alla casa del conte Flavio Callisto l’onda di tifosi si ingrossa, e dalle finestre la famiglia Pontello assomiglia sempre di più a una di nobili francesi nel 1789. Ci sono cori insistenti: «Tutte le sere, verremo tutte le sere», sulle note note di Guantanamera. Sui muri iniziano a comparire scritte inquietanti: “Uccidere i Pontello non è reato”. E poi nuove cariche e nuovi scontri.

I disordini vanno avanti per circa due giorni dopo la fatidica conferenza, venerdì e sabato, quando una cinquantina di tifosi si dirige con intenzioni bellicose a Coverciano, dove nel frattempo la Nazionale si sta iniziando a radunare per prepararsi ai Mondiali che si terranno in Italia tra poche settimane. Molto bellicose, secondo la Digos, secondo cui alcuni di questi pensano addirittura a un attentato, con una molotov, della benzina o addirittura “un’auto carica di bottiglie vuote e biglie preparate con cemento rapido e pezzi di lametta”.

Nonostante questo e ben 15 arresti, domenica la Nazionale prende l’incredibile decisione di tenere un allenamento pomeridiano a porte aperte. Il campo di allenamento di Coverciano si trasforma velocemente in uno stadio vero e proprio: ci sono circa tremila persone, oltre a un centinaio di agenti, diverse camionette e un elicottero che sorvola la zona. A ogni giro di campo partono cori, monetine e sputi - verso i giocatori della Juventus, ovviamente, ma anche verso Baggio, a cui qualcuno dà del venduto. “Come son brutti, Roberto, come son brutti”, cantano le tribune immagino sempre sulle note di Guantanamera riferendosi ai nuovi compagni juventini di Baggio, scatenando la rabbia di Vicini che prova a parlamentare con i tifosi ma viene a sua volta ricoperto di fischi e cori.

A Coverciano Baggio ci era arrivato sdraiato dentro a una volante della polizia, per non farsi vedere. Nonostante questo, nei mesi successivi manterrà una sorta di sacro contegno nei confronti dei tifosi viola, al punto che spesso sembrerà quasi incurante della sua nuova tifoseria. Alla presentazione in bianconero, Baggio rifiuterà di indossare la sciarpa della Juventus e poi dichiara: «Vado al Mondiale da fiorentino e non da juventino». Quando torna a Firenze con la maglia della “Vecchia Signora”, il 6 aprile del 1991, Baggio si rifiuta di tirare un rigore che lui stesso si era guadagnato. Un rigore poi sbagliato da De Agostini, in una partita molto tirata che finirà 1-0 per la Fiorentina.

Al 68esimo Maifredi decide di cambiarlo e il pubblico di Firenze è mutevole, come una fiammella al vento. Prima i fischi e le bottiglie che cadono dagli spalti. Poi, quando Baggio si chiude in un enorme giaccone nero e per qualche ragione esce immediatamente dal campo aggirandolo, succede qualcosa: dagli spalti invece di un oggetto contundente cade una sciarpa della Fiorentina. Lui la raccoglie quasi imbarazzato, rimane a testa bassa, cammina piano, ma tanto basta per trasformare i fischi in un’ovazione di tutto lo stadio. Quando passa davanti alla curva, l’emozione è tale che si scioglie persino la sua timidezza, e Baggio fa un cenno di saluto appena accennato, come un presidente che sta salendo su un aereo.

Quando guardo queste immagini, e penso che meno di un anno prima era stato costretto a nascondersi dentro un’auto della polizia nella stessa Firenze, mi piace credere che fu proprio mentre era sdraiato lì dentro, con la testa appoggiata sui sedili, magari coperto da una giacca, che pensò la celebre frase che poi dichiarò anni dopo: «Ero circondato dal risentimento di quelli che avrei voluto fossero ancora i miei tifosi».

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