Quanto tempo è passato dall’ultima volta che la vostra squadra del cuore ha conquistato un titolo, se mai ne ha conquistato uno? Mi sono sempre chiesto se nella tendenza a sceglierci una squadra da seguire lontano dall’epicentro che ci fa battere il cuore ogni domenica, una squadra-ombra alla quale interessarci e per la quale se del caso entusiasmarci, la voglia di sopperire alla fame di vittoria sia in qualche modo un fattore - insieme magari alla ricerca di un ideale estetico.
Personalmente seguo molto il calcio delle Americhe, forse più del lecito rispetto a quello europeo: e per Americhe intendo tutta la latitudine del continente, e quindi anche il Messico e gli Stati Uniti.
Mi capita spesso, e anche volentieri, di tirare tardi per guardarmi una partita del Rosario Central, meno spesso del Boca Juniors, abbastanza frequentemente dell’America di Città del Messico e poi sì, dell’Atlanta United in MLS. Sono loro le mie squadre ombra. Devo dire che il 2018 mi ha lasciato un saccodi soddifazioni, in effetti.
L’8 Dicembre, mentre in una Buenos Aires spazzata dalla tormenta iniziava l’agonia della Finale di Libertadores, ottomila chilometri più a Nord l’Atlanta United alzava la prima MLS Cup della sua storia. Che è poi una storia relativamente breve, anzi brevissima, visto che i rossoneri erano solo alla loro seconda partecipazione assoluta al campionato (dopotutto la franchigia è stata fondata nel 2015, e già l’anno scorso, alla stagione d’esordio, era arrivata ai playoff: solo altre 4 squadre c’erano riuscite, prima di loro). Per capirci: la finale contro i Portland Timbers era la settantaquattresima partita ufficiale.
La vostra squadra cosa aveva vinto, dopo settantaquattro partite?
Il calcio americano, intendo dire la MLS, ha un sacco di detrattori, in Europa: viene vista come un campionato povero di contenuti tecnici e tattici, al livello - che ne so - delle massime serie bielorussa, o turca, o norvegese. Chi la segue conosce i suoi limiti, ovviamente. Ma sa anche che nasconde moltissimi pregi: un apparato media brillante, un appeal a livello di entertainment al quale molti paesi europei dovrebbero guardare con rispetto, e anche molti giovani interessanti, più di quanti ci si potrebbe aspettare. Da gennaio, se osservando la Bundesliga o la Champions League vi capiterà di pensare da dove siano usciti questi Tyler Adams o Alphonso Davies, ecco: sappiate che chi segue la MLS se li è goduti già un bel po’. Credo sia questo il motivo per cui c’è chi se ne interessa e appassiona, con un livello di coinvolgimento che sarebbe meno accettabile se fosse per il campionato bielorusso, o turco, o norvegese.
La vittoria di Atlanta di quest’anno, giunta proprio nell’anno in cui agli Stati Uniti, insieme a Messico e Canada, è stata assegnata l’edizione del 2026 dei Mondiali, è memorabile per almeno un paio di aspetti che sono, at large, interessanti per tutto il movimento americano.
Partiamo dalla consacrazione dell’affetto degli yankee per il calcio. La partita decisiva si è giocata ad Atlanta (che rispetto a Portland si è classificata meglio nella classifica Supporters’ Shield, cioè quella dei punti complessivi ottenuti nella Regular Season) davanti a più di 73mila spettatori: un numero superiore al pubblico degli ultimi quattro Superbowls. Non era la prima volta che il Mercedes Benz Stadium frantumava record: durante la stagione i rossoneri hanno avuto una media spettatori di 53mila, quattordicesima al mondo, meglio di molte nostre squadre di Serie A.
Qualcuno dirà: ma quella è l’America! C’è un bacino d’utenza sterminato!
Quando il commissioner Don Garber ha scelto di accettare la candidatura della franchigia era certo che la squadra avrebbe potuto contare su 20-30mila appassionati delle aree suburbane, che è un po’ il target di tutte le squadre MLS. Atlanta, invece, è diventato una specie di fenomeno culturale, capace di coinvolgere letteralmente una città intera, che è impazzita per la squadra, identificandosi in lei.
E arriviamo poi al discorso più specifico: Atlanta, vincendo la MLS Cup, ha dimostrato di saper raggiungere in tempi record il punto più alto di un triplice processo, che avevo già illustrato in un pezzo di qualche anno fa in cui per qualche ragione cercavo di spiegare perché valesse la pena seguirli.
Il primo processo è quello imprenditoriale, perché la squadra è stata eretta da zero, ex novo, seguendo alcune piccole ma ambiziosissime regole, come “innanzitutto la gente”, “ascolta e rispondi”, “includi tutti”, “innova continuamente”, “sii un esempio” (sono le regole auree di Arthur Blank, il proprietario).
Il secondo è tecnico: con il “Tata” Martino in panchina, e Miguel Almirón e Josef Martínez in campo, i rossoneri sono spesso parsi troppo superiori rispetto agli avversari, con un gioco offensivo, organico e soprattutto divertente. Martínez in particolare si è esaltato, conquistando i titoli di capocannoniere e MVP della stagione, riabilitando la sua figura a livello internazionale e guadagnandosi il rispetto di un calcio, quello europeo, che sembrava averlo masticato e risputato.
Il terzo, e forse più importante processo, è quello di identificazione con la sua gente, che ha portato a una mescolanza della cultura calcistica con un elemento finora abbastanza inedito: la cultura black. Spesso sugli spalti del Mercedes Benz Stadium si sono visti rappers come 2Chainz, Waka Flocka, Big Boi. Archie Eversole ha anche composto un inno hip hop per la squadra (e quante squadre ce l’hanno?) pieno di synth e rullanti aggressivi.
La memorabilità della vittoria di Atlanta quest’anno, al di là del ruolino di marcia sul campo da vero jaggernaut, è forse tutta nella legittimazione dell’ingresso di un substrato culturale, quello afroamericano, con tutto il suo corollario nel mondo del calcio, e di conseguenza nella certificazione del radicamento del soccer in contesti in cui normalmente sono altri sport a farla da padrone.
Per un movimento che deve risollevarsi dopo aver fallito la qualificazione al Mondiale di Russia, e che guarda già alla Coppa del Mondo che si terrà tra otto anni, Atlanta è l’incontestabile centro di irradiazione, e questa vittoria segnerà uno spartiacque fondamentale.
Per quanto riguarda me, nel mio piccolo, rimarrà il ricordo indelebile della rapidità - fin troppa - con cui una squadra per cui faccio intimamente il tifo è arrivata al successo. Per il resto, per tutte le altre, continuerò ad aspettare, pazientemente.