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Alessandro Ruta
La soffertissima coppa dell'Athletic Club
08 apr 2024
08 apr 2024
La vittoria in finale col Mallorca riporta a Bilbao un grande trofeo dopo tanti anni.
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Alessandro Ruta
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Foto Imago / Zuma
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Alex Berenguer prende la rincorsa, si ferma, rallenta, guarda il portiere Greif e poi di destro calcia all'angolino: e così dopo 40 anni l'Athletic Club torna finalmente a vincere un titolo maggiore, battendo la rivelazione Maiorca in finale di Coppa del Re.

Si fa presto a raccontare una partita in pochi attimi, in pochi secondi, ma l'esplosione di gioia dei tifosi baschi presenti non solo allo stadio La Cartuja di Siviglia ma in tutti le città più o meno grandi, tra Bilbao e dintorni, la gioia di un'intera comunità, è venuta fuori tutta assieme, trattenuta fin dal 1984, ed è certo che andrà avanti almeno per un'altra settimana.

Quarant'anni in cui sull'Athletic era come calata una maledizione, una serie di finali perse (6 in Coppa del Re, una in Europa League, 2 in Supercoppa di Spagna) a smorzare l'entusiasmo sempre vivo e latente connesso alla narrazione di questa squadra, di questo club a remare perennemente contro la corrente del calcio moderno, la possibilità di tesserare solo baschi di nascita e di formazione, unita al non essere mai retrocesso. L’Athletic è sempre rimasto competitivo, e questo di per sé poteva essere considerato un successo, se non un miracolo, ma quelle finali perse lasciavano una leggera patina di insoddisfazione - ora cancellata.

Da quanto la competizione ha cambiato formula, diventando "all'inglese", con partita secca in casa della squadra di categoria inferiore fino alle semifinali, ha regalato 5 vincitori diversi: Real Sociedad, Barcellona, Betis Siviglia, Real Madrid e, appunto, Athletic. Ma tanto per cambiare con i baschi non c'è stato nulla di liscio, o di banale.

Il vecchio Aguirre

L'Athletic, è vero, ha perso 9 finali in 40 anni, ma sempre in pratica da sfavorito o quantomeno partendo alla pari. Perché ci sta perdere contro il Barcellona (4 volte) o l'Atlético Madrid di Radamel Falcao in Europa League, nel 2012. Nella finale tutta basca, contro la Real Sociedad nel 2021 recuperando quella del 2020 sospesa per la pandemia di Covid, il pronostico era tutto sommato in equilibrio.

Nel dubbio, i bilbaini hanno perso sempre, di misura o nettamente, nutrendo rassegnati quel sentimento di ineluttabilità della sconfitta. In realtà un paio di titoli l'Athletic li ha vinti: la Supercoppa di Spagna del 2015 e quella del 2021 sono stati celebrati quasi come trofei "veri", nonostante la partecipazione fosse dovuta alla formula della competizione: nel 2015 il Barcellona aveva vinto la Liga e la Coppa del Re (finale 3-1 contro l'Athletic) mentre la Supercoppa 2021 era strutturata con una Final Four in cui i biancorossi partecipavano in qualità di finalisti sempre di Coppa del Re.

Ci sono stati giorni da ricordare, come il 4-0 senza senso con cui l'Athletic batté a San Mamés il Barcellona nell'andata della Supercoppa 2015 grazie a una tripletta di Aduriz e a un gol da centrocampo di Mikel San José, onesto medianone non avvezzo a certi colpi: partite agostane, prese a dir poco sottogamba da un Barcellona che quel giorno schierava Messi e Suarez davanti, finendo però annichilito da gente come Etxeita, Eraso o Sabin Merino.

Stavolta non era né agosto né calcio agostano, l'Athletic era chiaramente favorito (le quote per la vittoria oscillavano tra l'1.30 e l'1.40, quindi stracciatissime) e la squadra oggettivamente non poteva che vincere, vista anche la posizione in campionato e il recente 4-0 rifilato al Maiorca nella Liga: insomma, un allineamento di pianeti che, lo sappiamo bene, può anche stenderti mentalmente.

Nell'ultima partita prima di questa finale, subito dopo la sosta per le nazionali, i bilbaini sono stati battuti 2-0 dal Real Madrid offrendo di sé una versione timida, impacciata, con molti giocatori importanti risparmiati (Nico Williams su tutti) o distratti dall'importanza della finale contro il Maiorca. La tensione era alta.

La strategia comunicativa dell'Athletic nei giorni immediatamente precedenti alla finale, mentre arrivavano le notizie sull'installazione di maxischermi sia a San Mamés che in ogni paese della Vizcaya (la provincia di Bilbao), è stata recuperare la coperta di Linus dell'identità e dell'essere "Unico nel mondo": c'è stato un maniavantismo quasi tangibile a dire il vero, su cui come ovvio si è tuffato a pesce il Maiorca, reduce da una Coppa del Re a dir poco sensazionale.

La squadra delle Baleari, che lotta per non retrocedere nella Liga, era arrivata in finale sempre ribaltando il pronostico, con un'impennata miracolosa tra quarti di finale e semifinale quando nell'ordine erano caduti il Girona rivelazione del campionato e la Real Sociedad, passando il turno ai rigori a San Sebastiàn nello sconcerto dei tifosi di casa che già pregustavano una finale tutta basca, di nuovo.

E poi il fantasma dei fantasmi era rappresentato dall'allenatore del Maiorca, Javier Aguirre, messicano figlio di due genitori baschi emigrati in centro America. «Loro mi hanno cresciuto con il culto dell'Athletic, erano tifosissimi», ha spiegato Aguirre alla vigilia della finale, mettendo giusto quel pizzico di ulteriore pressione sui rivali.

Aguirre che i tifosi italiani forse ricorderanno, chissà, come il commissario tecnico del Messico che nel 2002 costrinse gli Azzurri di Giovanni Trapattoni all'1-1, al Mondiale in Giappone e Corea del Sud: ecco, è ancora in giro coi suoi 66 anni portati benissimo anche lui in totale controtendenza rispetto al calcio di oggi. Capace di costruire questo piccolo miracolo senza un gioco particolarmente sfavillante, e senza costruirsi un personaggio chissà quanto interessante.

Difesa a 5, nemmeno mascherata da 3 con gli esterni, tre centrocampisti di cui due con i piedi molto buoni (Darder e Dani Rodriguez), due punte ultra-corazzate come l'ex laziale Muriqi e il canadese Larin: grande compattezza dietro, buona corsa, e appena possibile palla lunga per gli attaccanti. Una squadra arcigna e difficile da battere, i cui risultati parlavano chiarissimo: 15 partite su 37 in stagione finite con un gol di scarto, a favore o contro, e ben 16 pareggi. Qualche bella storia c’è. Tipo quella del portiere slovacco Greif, rinato dopo anni in cui non giocava mai nonostante fosse costato ben 3 milioni al Maiorca (record per il club) e decisivo contro la Real Sociedad ai rigori, in semifinale.

Dal 2022 Aguirre è a Maiorca e si sta trovando benissimo, con già due salvezze ottenute e la terza in dirittura d'arrivo. «Ora mi siederò in poltrona a casa con mia moglie e mi berrò un goccetto di whisky con ghiaccio», era stata la risposta a chi gli chiedeva cos'avrebbe fatto dopo aver eliminato il Girona, squadra totalmente agli antipodi rispetto alla sua - entusiasmante, mediatizzata, piena di talento.

Un copione prevedibile

Dal canto suo, l'Athletic, che mai come quest'anno sembra aver trovato la quadra ambiente + allenatore + giocatori: squadra giovane, veloce, aggressiva e ben guidata in panchina da un tecnico come Ernesto Valverde, cacciato come un reietto dal Barcellona nonostante la vittoria di due campionati consecutivi, con la macchia però del celebre 4-0 di Liverpool nella semifinale di Champions League del 2019 a ribaltare il 3-0 dell'andata.

Mai digerito realmente in blaugrana, sballottato in un mondo più grande di lui che comunque ha divorato gente anche più smaliziata, Valverde a Bilbao è di casa e non solo perché ci abita e ha sempre mantenuto il suo appartamento con vista sulla centrale ed elegante Plaza Euskadi: il tecnico di Viandar de la Vera è alla terza tappa con l'Athletic, squadra del suo cuore anche da giocatore. Nessuno come lui conosce l'ambiente, su quali giocatori puntare o chi promuovere dalle giovanili, rimanendo fedele alla filosofia vera del club, che più ancora del tesserare solo baschi fa del gioco fisico e dal grande ritmo la sua bandiera: gli incastri perfetti sono rappresentati dai tre giocatori che ruotano attorno alla prima punta, Guruzeta, e cioè i due fratelli Williams (Nico e Inaki) e Oihan Sancet, trequartista a tutto campo e vero attaccante-ombra.

Così mentre a Bilbao si pensava già a quando tirar fuori la “Gabarra”, la chiatta ancorata nel porto fluviale e che viene usata per le sfilate post-vittoria, l'emittente “di stato” basca Eitb preparava una copertura minuto per minuto del weekend della finale e si montavano i maxi-schermi ovunque nei Paesi Baschi, Valverde predicava calma.

Tanto tutti sapevano che avrebbe riproposto il suo classico 4-2-3-1, i soliti uomini di fiducia, l'esuberante coppia di difensori centrali Vivian-Paredes (47 anni in due) e in porta l'uomo di coppa, Julen Agirrezabala, probabilmente titolare in qualsiasi club della Liga tranne che all'Athletic dove l'indiscutibile è Unai Simon, numero uno anche della Nazionale.

I bilbaini però non potevano sbagliare e forse anche condizionati da questa situazione irripetibile si sono sentiti pochissimi fischi all'inno spagnolo prima dell'inizio della partita, quantomeno occultati dietro le sciarpe. Tutto esaurito alla Cartuja, tutto esaurito a Siviglia, invasa da decine di migliaia di tifosi anche senza biglietto ma pronti a vivere l'ambiente, senza nemmeno prendere alberghi (peraltro dai costi improponibili), semplicemente prendendo la macchina e via, 8 ore di tragitto col rischio di intasare l'Autovia Ruta de la Plata, che dall'Oceano Atlantico arriva fino in Andalusia, e che di solito non è molto trafficata.

Poi, la partita, dal copione quasi ovvio. Tremori vari dell'Athletic, Maiorca ordinato e in gol quasi alla prima occasione, sugli sviluppi di un calcio d'angolo con Dani Rodriguez, abile a raccogliere un pallone vagante e a piazzarlo sotto l'incrocio. Ecco dunque servito l'ennesimo psicodramma, al 21esimo minuto quindi nemmeno a freddo.

L'Athletic però è stato bravo a non scomporsi, ha continuato a insistere su Nico Williams, l'assoluta stella della squadra ormai, che con le sue folate ha scardinato qualsiasi tentativo di raddoppio da parte dei difensori del Maiorca. Un gol annullato per fuorigioco millimetrico e una grande parata di Greif su di lui prima dell'intervallo comunque sembravano accentuare ancora di più la maledizione sulla testa dei bilbaini.

Per la squadra di Aguirre la partita si era messa nel migliore dei modi, già i tifosi maiorchini stavano pregustando l'ennesimo 1-0 e l'ennesimo ribaltamento nei pronostici di questa Coppa del Re che sarebbe stata la seconda per i “Bermellones” dopo quella del 2003 conquistata battendo 3-0 il Recreativo Huelva con doppietta di un giovane Samuel Eto'o.

E invece all'inizio del secondo tempo, dopo che Valverde aveva inserito Vesga al posto del giovane Prados probabilmente per sfruttarne il maggior tonnellaggio, ecco il pareggio dell'Athletic, dopo un errore in uscita palla del Maiorca: Nico Williams bravissimo nell'imbucare per Sancet, giocatore davvero totale, e destro a incrociare del navarro per l'1-1. Ossigeno puro per i baschi, da lì in avanti a dire il vero molto meno convincenti, paradossalmente.

Il Maiorca infatti colpirà un palo anche fortunoso con Muriqi e in generale avrà le occasioni migliori, addirittura, per vincere prima dell'epilogo più ovvio: i calci di rigore. Gli stessi che avevano portato i “Bermellones” alla finale saranno invece fatali ai maiorchini, puniti dagli errori di Morlanes e Radonjic, un altro ex-Torino come Berenguer.

Quattro su quattro per l'Athletic, con a segno i quattro subentrati: Raul Garcia, Vesga, Muniain e Berenguer, appunto. Un successo senza l'ipercinetico calcio visto per esempio tra quarti e semifinale di Coppa del Re, con Barcellona e Atletico Madrid schiantati, ma adattandosi alla situazione.

Così, 40 anni dopo l'ultimo titolo, i “Leones” hanno potuto festeggiare e in un clima decisamente diverso rispetto al 1984. Quella Coppa del Re, decisa da un gol-lampo di Endika Guarrotxena contro il Barcellona, era stata la partita della rissa finale tra Maradona e tutto l'Athletic, di fatto, appendice violenta della rivalità-clou tra baschi e catalani, Clemente contro Menotti allenatori contro e due stili quantomai diversi: il 24 settembre del 1983 infatti al Camp Nou c'era stato il “celebre” fallo di Andoni Goikoetxea su Diego che gli aveva provocato la rottura dei legamenti della caviglia e si aspettava la prima occasione buona per regolare i conti. Ecco, il 5 maggio del 1984 il risultato passò in secondo piano mentre sul campo del Santiago Bernabeu andava in scena una rissa da saloon, con vari feriti e Maradona protagonista in negativo all'ultima apparizione prima di passare al Napoli.

A Bilbao in fondo più ancora di tornare a vincere qualcosa di concreto sognavano di cancellare quel ricordo con una vittoria più limpida, anche se più sofferta. Con una squadra giovane, divertente e dal grande futuro, in simbiosi totale con un mondo che, senza nessuna retorica, rimane davvero unico nel mondo.

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