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Lo Shakhtar ha punito i difetti dell'Atalanta
02 ott 2019
02 ott 2019
Una partita giocata bene e finita male.
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Dopo la fragorosa sconfitta di Zagabria, contro la squadra teoricamente più abbordabile del girone, la partita casalinga contro lo Shakhtar Donetsk era diventata ancora più importante per il destino in Champions League dell’Atalanta. Gli uomini di Gasperini hanno affrontato il match con il consueto coraggio e la solita spregiudicatezza, ma il gol di Solomon a partita praticamente conclusa ha sancito la sconfitta della "Dea" e dato un duro colpo alle speranze dell’Atalanta di passare il turno.

Se però contro la Dinamo Zagabria l’Atalanta era stata sovrastata praticamente in ogni aspetto del gioco, subendo gli avversari sul piano dell’intensità, dell’impatto fisico, tecnico e tattico, la partita contro lo Shakhtar ha avuto un andamento diverso e di certo molto più equilibrato.

L’Atalanta ha giocato una partita coraggiosa

Dopo soli 15 minuti l’Atalanta ha avuto l’occasione di andare in vantaggio grazie al calcio di rigore che Ilicic, parato però dal portiere ucraino Pyatov. L’azione che ha generato il fallo del centrale Kryvtsov sullo stesso attaccante sloveno è paradigmatica di una delle principali direttrici del gioco d’attacco dei bergamaschi. Ilicic ha ricevuto il pallone nel mezzo spazio di destra e, sia la paura di subire un dribbling da parte del talentuoso avversario, che la consueta sovrapposizione esterna di Hateboer, hanno indotto i difensori ucraini ad assumere un atteggiamento prudente che ha lasciato allo sloveno il tempo di servire il taglio profondo di Gomez, partito dalla posizione di trequartista. La combinazione tecnica tra il “Papu”e Ilicic ha quindi forzato Kryvtsov a un intervento in scivolata rivelatosi falloso, nel cuore della propria area.

Hateboer con la sovrapposizione attira il terzino Ismaily, mentre il centrale Matviyenko rimane preoccupato delle capacità tecniche di Ilicic, che ha tempo e spazio di servire in profondità Gomez.

Non certo per caso, circa dieci minuti dopo Pasalic ha colto il palo su un’azione pressoché identica. Dopo avere, come di consueto, scambiato la posizione con Gomez, Pasalic ha ricevuto il pallone, tagliando alle spalle dei difensori sulla ricezione nel mezzo spazio di destra di Ilicic. Sul prosieguo dell’azione l’Atalanta è passata in vantaggio con Zapata su un cross dalla destra, il lato forte della squadra bergamasca (39% degli attacchi sviluppati sulla destra, 9% sulla sinistra).

Una situazione di gioco praticamente identica alla precedente e ricorrente nel gioco offensivo dell’Atalanta. Anche contro lo Shakhtar i bergamaschi sono riusciti a sviluppare con efficacia i propri temi d’attacco.

Più in generale, l’Atalanta, a differenza della partita di Zagabria, è riuscita a giocare il proprio calcio: ha tenuto maggiormente il pallone (56% di possesso, con un’ottima precisione, per gli standard atalantini, dell’88%), ha pressato molto e abbastanza bene (6.4 di PPDA, un valore indicativo di un pressing alto molto intenso), ha recuperato 27 palloni nella metà campo avversaria e prodotto 2.2 xG più il rigore di Ilicic.

Tuttavia, la buona prestazione non è bastata per evitare la sconfitta. Cosa non ha funzionato? E, più in generale, la scarsa esperienza europea può essere responsabile del complicato inizio dell’avventura in Champions dell’Atalanta?

Un sistema fragile

Probabilmente il match giocato due settimane fa a Zagabria ha in parte risentito dell’emozione dell’esordio in Champions League e ha mostrato un’Atalanta davvero lontana dagli standard a cui i giocatori di Gasperini ci hanno abituato. La partita contro lo Shakhtar ha invece evidenziato alcuni criticità strutturali del calcio proposto dai bergamaschi.

In fase di non possesso l’Atalanta vuole ingaggiare duelli individuali a tutto campo, giocando d’anticipo e non curandosi del mantenimento della struttura difensiva del suo teorico 3-4-1-2. Un sistema del genere, giocato dall’Atalanta in maniera estrema, è particolarmente sensibile all’esito dei duelli individuali ingaggiati e, per altri versi, sottopone i giocatori a uno stress decisionale elevato, considerando che, in maniera reattiva, ogni scelta difensiva è fortemente influenzata non dal mantenimento di una struttura definita e quindi ordinata e chiara a priori, ma dalle scelte degli avversari.

È un gioco che richiede un grande impegno fisico, e giocare ogni tre giorni non aiuta. In più, ci sono nello specifico alcune caratteristiche degli avversari che possono rendere più incerte le letture dei giocatori dell’Atalanta e più vulnerabile il complesso sistema di marcature e scalate in avanti progettato da Gasperini. In questo inizio di stagione l’Atalanta ha subito 15 gol in 8 partite ufficiali, davvero troppi. In campionato gli xG concessi sono 1.3 a partita (0.95 su azione e 0.35 da calcio piazzato) mentre nelle due partite di coppa ha concesso 3.2 xG alla Dinamo Zagabria e 1.4 xG allo Shakhtar.

Il numero di partite giocato è ancora troppo ristretto per trarre conclusioni definitive, ma finora la fase difensiva dell’Atalanta pare avere qualche problema. A Zagabria a far saltare il banco difensivo della “Dea” erano stati principalmente i dribbling dei croati (50 tentati, 24 riusciti). Dani Olmo, con 9 dribbling vincenti su 14 tentati, aveva destabilizzato la difesa atalantina giocando nella trequarti. E la fase di non possesso della squadra di Gasperini, essendo basata sui duelli individuali e sull’assenza di una struttura ordinata di coperture, ha un’efficacia che può essere messa in crisi proprio dai dribbling avversari. Se un attaccante riesce a saltare un difensore, il sistema difensivo dell’Atalanta non ha uno scaglionamento tale da prevedere una copertura automatica, ma comporta scalate molto complicate, generalmente coraggiose essendo portate in avanti. E se anche le scalate in avanti non riescono si aprono enormi varchi agli avversari.

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A Zagabria Dani Olmo supera in dribbling due giocatori dell’Atalanta nella zona di centrocampo. Immediatamente si crea un pericolo due contro uno con Toloi preso in mezzo tra Dani Olmo e Orsic. Toloi, coerentemente coi principi difensivi della squadra, affronta in avanti Dani Olmo che riesce però a servire Orsic alle spalle del difensore atalantino, creando una situazione estremamente pericolosa per i bergamaschi.

Anche lo Shakhtar ha usato il dribbling come arma offensiva, effettuandone 40 di cui 20 vincenti. In particolare Marlon e Taison ne hanno tentato 9 a testa. Più in generale gli ucraini sono riusciti a vincere il 44% dei duelli offensivi, costringendo quindi l’Atalanta a prevalere solo nel 56% dei propri duelli difensivi. Oltre all’efficacia dell’arma dribbling, a complicare le cose è stato il particolare sistema di gioco dello Shakhtar che, partendo da un teorico 4-1-4-1, muoveva liberamente i 4 uomini alle spalle del centravanti Junior Moraes. L’estrema mobilità dei giocatori offensivi, capaci di muoversi su tutto il fronte d’attacco e di scambiarsi continuamente posizione con e senza il pallone, è, in generale, un’altra arma utilizzabile per scardinare il sistema di marcature dell’Atalanta. In questo modo, i difensori vengono portati fuori posizione, essendo costretti a seguire i diretti avversari, disordinando ulteriormente la già gracile struttura della squadra.

Emblematico il gol del pareggio realizzato da Junior Moraes. Nell’occasione, i movimenti delle mezzepunte dello Shakhtar portano fuori zona Toloi e a difendere sulla trequarti su Taison è De Roon. La finta di corpo permette a Taison di superare De Roon e, come spesso accade nella fase difensiva atalantina, la sconfitta in un duello individuale genera un concreto pericolo per la porta bergamasca, mettendo in inferiorità numerica i giocatori alle spalle del difensore saltato.

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Taison salta De Roon, che ha provato e fallito l’anticipo, trovandosi immediatamente fronte alla porta e capace di servire il taglio di Junior Moraes marcato individualmente da Palomino.

Proprio il sistema di marcature a uomo, come visto in occasione del gol del pareggio subito dallo Shakhtar, prevede strutturalmente che talvolta i centrocampisti vengano trascinati a difendere individualmente in zone profonde. Questo non solo costringe i giocatori di Gasperini ad essere estremamente versatili, ma può esporli anche a gestire situazioni complesse e non perfettamente nelle loro corde. La costante ricerca dell’anticipo, anche in zone pericolose e anche da parte di giocatori non difensori di ruolo, come De Roon, e l’accettazione di situazioni difensive di parità numerica, definiscono chiaramente un sistema difensivo rischioso che il gol di Junior Moraes ha punito.

Un’errata lettura difensiva di De Roon, spostato nell’ultima parte di match nella posizione di terzo di difesa di sinistra al posto di Masiello, ad esempio, è costato il match all’Atalanta. In una delicata situazione di 2 contro 2, De Roon invece di temporeggiare e indirizzare verso l’esterno l’attaccante che lo puntava, ha provato a conquistare il pallone, facendosi saltare, lasciando così Palomino in inferiorità numerica contro due attaccanti ucraini. Un gol quindi figlio della volontà di ricercare con coraggio la rete del vantaggio, ma anche di una lettura difensiva errata da parte di un giocatore impegnato in una zona di campo non ideale.

Ogni sistema di gioco ha i suoi pregi e i suoi difetti, prevede un bilanciamento tra rischi e benefici e dipende fortemente dall’esecuzione dei giocatori in campo. L’Atalanta ha giocato una buonissima partita contro una squadra dal buon tasso tecnico come lo Shakhtar Donetsk, di enorme esperienza continentale e capace ripetutamente, negli ultimi anni, di approdare alla fase ad eliminazione diretta della Champions League.

La sconfitta, peraltro abbastanza episodica, non deve certo cancellare quanto di buono fatto dall’Atalanta in questi ultimi anni e non dimostra, più in generale, una scarsa adattabilità del calcio dei bergamaschi alla dimensione europea. Evidenzia tuttavia che il livello tecnico della Champions League sia davvero alto e che pertanto in Europa ogni avversario è capace di mettere in difficoltà anche un’ottima squadra come l’Atalanta.

È una partita che dimostra anche che, tatticamente, la fase di non possesso progettata da Gasperini è coraggiosa ma rischiosa. Alcune armi – l’abilità nel vincere i duelli individuali tramite i dribbling, la mobilità offensiva capace di portare fuori posizione e fuori dalle zone di gioco preferite i giocatori atalantini – possono risultare molto efficaci ed esporre una fragilità molto spesso nascosta.

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