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Dario Saltari
Come Sarri ha trasformato il pragmatismo dell'Atalanta in confusione
24 ott 2022
24 ott 2022
Per la Lazio una vittoria molto convincente.
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Dario Saltari
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In un’intervista di qualche settimana fa Luciano Spalletti, tornato alla ribalta come grande professore del calcio italiano, sembrava aver definitivamente sotterrato il calcio delle identità predefinite. «Gli spazi non sono tra le linee ma sono tra i calciatori avversari. Perché dove sono i calciatori avversari non sono più linee corrette, gli spazi sono dove li creano gli altri e bisogna saperli interpretare». Le parole di Spalletti arrivavano alla fine di un dibattito di mesi, se non anni, sulla reale importanza dei ruoli e dei moduli, sulla loro subalternità ai principi di gioco, sull’importanza di avere giocatori pensanti in grado di adattarsi alle diversità, degli avversari, delle situazioni di gioco e dei momenti della partita. Serve davvero lavorare su un’identità di gioco granitica se una squadra deve saper adattarsi a qualsiasi evenienza?

In questo dibattito, Atalanta e Lazio sono due casi di studio interessanti. La squadra di Gasperini, prima di incontrare quella di Sarri, doveva ancora perdere una partita in questa stagione. Aveva pareggiato con Milan e Udinese, e vinto contro Fiorentina e Roma, e lo aveva fatto abdicando a parte dei propri principi, adottando uno stile ibrido che accettava anche lunghe fasi di difesa posizionale. Come ha scritto Emanuele Atturo qualche giorno fa: «Dopo anni passati a mostrare l’efficacia di un calcio ideologico, oggi l’Atalanta è passata a un fruttuoso pragmatismo». Dall’altra parte la Lazio si trovava in una situazione per certi versi opposta. Dopo una stagione passata a rincorrere il cosiddetto sarrismo, la squadra sembrava ancora dipendere dal talento dei suoi giocatori migliori più che dagli schemi di Sarri. Non a caso l’incognita principale prima della sfida di Bergamo era come avrebbe reagito all’assenza di Immobile, il giocatore che più di tutti nella rosa biancoceleste droga l’efficienza realizzativa della Lazio, una squadra a cui basta un frammento d’unghia per prendersi tutto il braccio. Lo stesso Sarri sembra ormai a disagio a parlare di sarrismo. Ieri, dopo una vittoria che sembrava aver confermato tutta la bontà delle sue idee, quando gli è stato chiesto quale fosse la sua essenza lui ha risposto: «Se lo domandi a me non saprei che risposta darti». Atalanta-Lazio rappresentava questa strana sfida: una squadra che sembrava aver trovato il segreto della vittoria abbandonando le idee che avevano fatto la sua fortuna, contro una che sembrava poter rendere allo stesso modo con qualsiasi allenatore in panchina.

In realtà la mano dei due allenatori si è vista fin dai primi minuti di partita. Come detto, l’Atalanta ha abbandonato molti dei principi che avevano caratterizzato il suo gioco fino alla scorsa stagione e anche contro la Lazio ha pressato e attaccato con pochissimi uomini, cioè sostanzialmente solo con il tridente offensivo (Pasalic, Lookman e Muriel). Senza palla erano solo questi tre che si staccavano in avanti per prendere l’uomo come riferimento (rispettivamente Cataldi, Romagnoli e Casale) e alla Lazio bastava ancorare uno dei due terzini (Lazzari e Marusic) accanto ai due centrali per creare superiorità numerica e far uscire il pallone dalla difesa. Lo stesso Gasperini nel post-partita ha ammesso le difficoltà in fase di pressing: «Il problema principale è stato recuperare il pallone e ci siamo riusciti soltanto in parte nel secondo tempo, ma la partita era già compromessa». È strano però che lo consideri un problema, dato che l’Atalanta in questa stagione sembri giocare sempre così. La squadra di Gasperini è appena nona in Serie A per PPDA e per altezza media degli interventi difensivi.

Ciò che è stato ancora più grave per l’Atalanta è la passività con cui ha difeso le ricezioni tra le linee (scusami Luciano) avversarie. Sembra passato un secolo da quando Gasperini istruiva i suoi braccetti a seguire l’uomo come segugi da tartufo fin dentro la trequarti avversaria. Ieri, contro la Lazio, sia Scalvini che Okoli sembravano invece confusi sul da farsi - se rimanere incollati alla linea immaginaria che tiene insieme la difesa o se uscire in alto ad andare a prendere gli avversari - e la conseguenza è che arrivavano sempre in ritardo. Nell’azione che porta al primo gol della Lazio, al nono minuto del primo tempo, le uscite in ritardo dei centrali di Gasperini si sono susseguite una dietro l’altra, come in un effetto domino che ci ricordava la scomparsa della squadra che conoscevamo. L’unica volta che Demiral sembrava finalmente poter anticipare il suo avversario, Pedro ha deciso di sfilargli accanto per attaccare la profondità, propiziando poi il gol di Zaccagni.

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Il primo gol della squadra di Sarri è stato il preludio di una partita in cui una squadra sembrava giocare a memoria mentre l’altra come sonnambula provava a inseguirla. Forse mai come in questa partita è stata chiara l’impronta dell’allenatore toscano sulla squadra biancoceleste, che ha riproposto i triangoli con cui il Napoli manipolava gli avversari qualche anno fa. Soprattutto a destra, dove era fortissima l’influenza di Milinkovic-Savic, la Lazio ha costruito il suo gioco e le sue fortune, grazie anche all’intelligenza di Lazzari e alla sensibilità di Pedro. Il trequartista serbo scendeva fin dentro la mediana per gestire il pallone spalle alla porta e i suoi due compagni si muovevano intorno a lui come pianeti intorno al sole. Dall’altro lato, invece, Vecino agiva più da trequartista d’inserimento, soprattutto quando Felipe Anderson si allargava per ricevere sull’esterno, ma non sono mancati i momenti in cui la squadra di Sarri riproponeva gli stessi pattern di gioco anche a sinistra.

Che non ci fosse un vero lato forte nella distribuzione del gioco della Lazio lo dimostra anche il fatto che una decina di minuti prima del secondo gol (quindi alla fine del primo tempo) la squadra di Sarri ha proposto un’azione quasi identica a quella che porterà alla rete di Felipe Anderson, ma sul lato opposto.

Questa azione è interessante anche per ribadire come gli automatismi della Lazio si siano incastrati alla perfezione nella confusione dell’Atalanta in fase difensiva. Nell’immagine qui sopra potete vedere come Scalvini segua inizialmente a uomo Pedro, che scende per ricevere sulla mediana il passaggio taglia linee di Casale, ma che poi, una volta accortosi della fuga sull’esterno di Lazzari, ci ripensi e inizi a correre all’indietro inevitabilmente in ritardo. Di fronte a una squadra con un gioco definito come la Lazio, l’abbandono delle marcature a uomo da parte di Gasperini si è dimostrato controproducente: chi doveva prendere Pedro alto? Chi doveva seguire Lazzari in profondità? In un sistema che richiede ai suoi difensori di pensare di più e prendere decisioni complesse giocatori come Scalvini e Soppy hanno mostrato tutti i propri limiti.

Non è solo una questione di inesperienza degli interpreti. Ieri l’Atalanta è sembrata come disabituata a difendere in un sistema che richiede ai suoi giocatori di pensare di reparto. L’azione che porta al gol di Felipe Anderson lo dimostra, perché Hateboer tiene gli occhi fissi sul pallone ed è in ritardo nel seguire Marusic, Demiral tiene una marcatura rigidamente a uomo sull’attaccante brasiliano, mentre Scalvini è nel vuoto, lontanissimo dalla zona del pallone, e si ricorda troppo tardi che forse dovrebbe alzare la linea del fuorigioco.

Se la confusione dell’Atalanta è emersa in maniera così lampante solo oggi è solo perché la Lazio è stata impietosa nel metterlo in mostra. O meglio: è solo in confronto a una squadra con le idee così chiare, che il pragmatismo dell’Atalanta è sembrato solo confusione. La migliore notizia per i tifosi biancocelesti, in questo senso, è il fatto che la Lazio abbracciando i principi di Sarri non ha perso i suoi punti di forza. Nell’azione del secondo gol, per esempio, i triangoli pensati dall’allenatore toscano sono fondamentali per liberare Marusic in profondità e poi Felipe Anderson dentro l’area, ma la Lazio non avrebbe mai segnato senza la creatività e il talento del suo attaccante brasiliano. Quanti altri giocatori in Serie A, su un assist lento al limite dell’area, sono in grado di eludere un avversario che arriva alle spalle utilizzando la suola e poi piazzare un tiro secco sul primo palo? La Lazio rimane una squadra pericolosa principalmente perché può trasformare in oro anche le palline di catrame che trovate a bordo strada. La squadra di Sarri converte in gol quasi il 20% dei tiri che produce su azione (almeno il 7% in più di qualsiasi altra squadra di Serie A) ed è di gran lunga la squadra che batte di più le aspettative in termini di Expected Goals (+7.8 la differenza tra non-penalty goals ed Expected Goals secondo fbref, almeno 4.2 in più rispetto a qualsiasi altra squadra in Serie A).

Anche ieri, nonostante il risultato e il controllo del gioco suggeriscano il contrario, la Lazio non ha fatto una partita offensivamente debordante, ricavando due gol da 0.91 xG (dati Serie A xG). La buona notizia, per Sarri e per i tifosi della Lazio, è che non ne ha nemmeno bisogno, perfino contro una squadra che sembrava aver trovato il Sacro Graal della vittoria all’italiana.

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