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L'Atalanta e le finali di Coppa Italia: una storia difficile
15 mag 2024
15 mag 2024
Racconto delle altre due finali perse dalla squadra di Gasperini.
(copertina)
Foto di Daniele Buffa / Imago
(copertina) Foto di Daniele Buffa / Imago
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L’Hanami è forse il singolo momento dell’anno in cui ogni essere umano sogna, anche solo per un secondo, di essere in Giappone. L’assistere alla fioritura dei ciliegi caratterizza la primavera nipponica, estendendosi dal marzo di Okinawa al maggio inoltrato dell’Hokkaidō a seconda delle temperature e della perturbazione in corso. La simbologia associata alla delicata magnificenza del fenomeno è pressoché sterminata: nel ciliegio, persino il guerriero samurai poteva identificare il proprio destino.

Cosa c’è di più distante di un uomo pronto a morire per un’idea e un bocciolo a cui basta un alito di vento per sfregiarsi insanabilmente?

Come un ciliegio giapponese, anche l’Atalanta di maggio non può esistere con la pioggia. Nella notte del Mapei Stadium che ha sancito la prima qualificazione della storia in Champions League, il diluvio su Reggio Emilia si è scatenato a pochi minuti dal triplice fischio di Doveri, facendo fare i sufficienti giri alle lancette per preservare il sakura. Le altre due serate impresse nella recente memoria atalantina, destinate a trovare una sintesi all’Olimpico di Roma, sono state inzuppate prima o durante i 90’.

Mercoledì 15 maggio 2019, a Roma, diluvia. È la Roma dell’On. Filippo Malgradi che, dopo una notte di sesso e droga con una prostituta minorenne, piscia dal balcone dell’albergo, ché tanto ne viene giù talmente tanta che chi vuoi che se ne accorga. Sul Centrale del Foro Italico dovrebbero scendere in campo Federer, Osaka, Nadal e Djokovic, sul Pietrangeli uno Tsitsipas-Sinner che profumerebbe di upset ma niente, programma degli Internazionali slittato completamente. L’Atalanta è sorteggiata come padrona di casa in uno stadio a maggioranza laziale, nonostante gli oltre 22mila giunti da Bergamo con ogni mezzo e illusione.

Appena 10 giorni prima la Lazio è stata squassata, dopo un inizio frenetico e confusionario, dalla centrifuga nerazzurra, con Walace protagonista indiscusso nella tragica rimonta da 1-0 a 1-3. Fino alla battuta del calcio d’inizio è la tensione a dominare, coi bergamaschi a esultare per l’iniziale panchina di Milinković-Savić e i biancocelesti a contestare la scelta di Simone Inzaghi. Lorenzo Licitra canta l’Inno di Mameli tra le file dell’Hospitality, impossibile posizionare qualsiasi cavo o mini-impianto elettrico sotto quell’acqua. L’unico a non subire inizialmente le intemperie è Simone Fugazzotto, artista milanese ingaggiato dalla Lega Serie A per dipingere un ‘Trittico’ contro il razzismo. La composizione con tre scimmie - una con i tratti occidentali, una asiatica e una nera – prende forma con pazienza in uno degli sky box sovrastanti la Tribuna Monte Mario, nessuno è in grado di capire il perché della cosa, ma vabbè.

Banti fischia, continua a piovere e Gasperini mescola le carte come mai più in vita sua. Djimsiti a sinistra e Masiello a destra. De Roon sul centrosinistra e Freuler sul centrodestra. Gomez centrale sulla trequarti, in funzione difensiva sulle ricezioni di Lucas Leiva, e Ilicic alla sinistra di Zapata, cercando di sfruttare il mismatch con Luiz Felipe e non con Bastos. Sei pedine dell’11 spostate rispetto allo scacchiere abituale, riposizionate solo dopo 37’ di gioco. il più grande overthinking della storia di Gasperini a Bergamo rende l’Atalanta una squadra non meno sicura e consapevole della propria forza. Una squadra brutalmente irretita.

Atalanta-Lazio sarà la partita dai ritmi e dagli spazi decisi dagli uomini di Inzaghi: la prima pressione di Immobile e Correa costringe la Dea al lancio lungo su Zapata, insicuro sugli appoggi e divorato a piccoli bocconi dalla prima grande finale della carriera di Francesco Acerbi; Ilicic subisce 6 falli nei primi 47 minuti e 19 secondi, ugualmente distribuiti tra tutti i difensori della Lazio, incapace di creare vantaggio in conduzione ma esclusivamente col primo tocco. Una partita da Premier League per intensità e condizioni atmosferiche ma non per tecnica, con Immobile e Joaquín Correa che si infilavano nelle spaziature incerte dei difensori atalantini.

Una partita con le immagini del mani di Bastos arrivate in ritardo al VAR e 4 tocchi di Sergej Milinković-Savić a svuotare di senso il resto della gara. Dentro al 78’, stop di petto ed esterno destro per saltare due linee di pressione, spizzata per guadagnare il calcio d’angolo e stacco imperiale sopra Djimsiti all’81’. Simone Inzaghi e la Lazio concludono “una stagione un po’ così che riprende colore nella notte dell’Olimpico”, come meglio la chiosa di Alberto Rimedio non potrebbe condensare. Masiello piange, Gomez piange, molti dei 22mila da Bergamo pure. Diluvia sempre un po’, da quel giorno.

Mercoledì 19 maggio 2021, a Reggio Emilia, c’è forte vento. Milan-Genoa dell’8 marzo 2020 è stato il primo match a porte chiuse, la finale di Coppa Italia tra Atalanta e Juventus è la prima a vedere qualcuno sugli spalti che non sia un tesserato delle squadre o qualche addetto ai lavori. 4300 presenze ammesse sulle tribune, il 20% della capienza del Mapei Stadium. Sindaci e preti dalla bergamasca, in rappresentanza della provinciaitalianapiùcolpitadalCovid, a un paio di seggiolini di distanza l’uno dall’altro. Tamponi obbligatori all’ingresso, al più una certificazione di aver contratto il virus nei sei mesi precedenti. Entra per prima la terna arbitrale guidata da Massa. Poi la Juventus, capitanata da Chiellini e con Gianluigi Buffon, numero 77, all’ultima (quasi) annunciata tra i pali juventini. Infine l’Atalanta, con capitan Tolói con la fascia al braccio e senza irritazione al tendine a impedirgli di giocare la finale, e Annalisa, microfono in una mano e l’altra a togliersi i capelli di bocca quando le folate sono più sferzanti della media.

Contro la Juventus, se possibile, il maggio dell’Atalanta è un Hanami ancor più languido. Nella storia, i bianconeri sono capitati già 11 volte sulla strada nerazzurra nel quinto mese dell’anno. L’ultima di Del Piero a Torino, gol e giro di campo all’allora Juventus Stadium compresi; il pareggio di due stagioni prima, col vantaggio di Ilicic pareggiato da Mandzukic a rinviare i festeggiamenti per la qualificazione in Champions League alla settimana successiva. Ex post, ci sarebbe anche il memorabile – non per motivi calcistici, ma per il trattamento riservato a Dusan Vlahovic dal Gewiss Stadium – 0-2 del 7 maggio 2023. 4 pareggi e 7 sconfitte, con l’unica eccezione datata 16 maggio 1954. Da vedere di quell’Atalanta-Juventus 3-2, segno altrettanto ironico e beffardo, non sono rimasti i gol di Rasmussen, Bassetto e Brugola, che a conti fatti segneranno il solco decisivo per la vittoria dello Scudetto dell’Inter e il sorpasso alla Juventus di mister Olivieri. Sono conservate invece le reti di Hansen e il 3-2 finale di Giampiero Boniperti, una rovesciata troppo elegante per non essere prodotta da un’IA alla richiesta “Scena madre di un film in bianco e nero. Protagonista: ragazzo bianco. Terreno di gioco fangoso, pomeriggio piovoso”.

Gasperini diventerebbe non solo il più anziano allenatore ad alzare la Coppa Italia ma il più anziano a vincere un trofeo nella storia, anche più del Nereo Rocco col Milan 1976-77, e la prepara a puntino. La Dea domina ogni duello, Duván Zapata al picco della carriera. Papu Gomez non c’è più, Ilicic c’è ancora ma il trequartista mancino col 72 sulla schiena è solo un trequartista mancino col 72 sulla schiena. Ma Gasperini lo ha fatto di nuovo. Ha riequilibrato l’assetto sul centrodestra, con Pessina e Malinovskyi ad alternarsi nel riempire l’area, e ha spostato l’asse creativo ancor più a sinistra: quando i sovraccarichi sulla catena coinvolgono tutto il quintetto Palomino-De Roon-Gosens-Pessina-Zapata e il colombiano viene pescato sul taglio interno-esterno, le maglie di qualsiasi difesa di Serie A possono solo sperare che sia la Dea a sbagliare – cosa non avvenuta in 77 occasioni in quel campionato, più di tutta Italia.

La Juventus di Pirlo concede troppo facilmente la traccia alle spalle di Cuadrado e alla sinistra di de Ligt, ma in qualche modo non viene sommersa. Boccheggia per il pressing dell’Atalanta, però passa, alla prima e unica occasione del primo tempo, dopo che de Ligt ha trascorso un paio di quarti d’ora a rimbalzare su Zapata, Pessina ha il difetto di non tirare quando dovrebbe farlo e quando invece vorrebbe è contrastato da Rabiot con un movimento che Saccani, dagli studi di Roma, definirà “dotato di tutti gli estremi per essere penalty”.

Uno Zapata, per intendersi, a cui questa cosa non ha fatto nulla.

Palomino non gestisce con calma il possesso, prestando il fianco alla ripartenza juventina gestita da Kulusevski, Ronaldo viene contrastato da Romero che però inciampa, McKennie è il più lesto e lucido nel capire cosa fare e riapre verso destra, Kulusevski ruba tutti i possibili tempi di intervento di Gollini con l’interno destro di prima sul secondo palo. Indice alla bocca e, per una sera almeno, critiche sulla lentezza dello svedese per essere un’ala da Juventus messe a tacere.

La serata è insospettabilmente fresca, forse più autunnale che primaverile ma ancora tutto più o meno nei canoni, e allora la norma vuole che l’Atalanta, nel maggio 2019, sia una squadra più forte della Juventus. Tempo una decina di minuti e il cross arretrato di Hateboer incrocia il rimorchio di Malinovskyi, riportando in parità una gara che dovrebbe vedere l’Atalanta davanti. Al rientro dagli spogliatoi, però, il fattaccio. Temporale, forse più estivo che primaverile, ma decisamente inaspettato e imprevisto. La Juve alza l’intensità e il baricentro della prima pressione, facendo ingoiare all’Atalanta il proprio stesso veleno. Smette di piovere, ricomincia poco dopo e attorno all’ora di gioco il cielo si schiarisce definitivamente, ma il piano della partita e tutti quelli collaterali sono inclinati verso la porta sotto il settore ospiti del Mapei.

Federico Chiesa è lontano anni luce dalla miglior condizione atletica. È rientrato da una decina di giorni da un infortunio alla coscia, non ha i 90’ nelle gambe ma Pirlo ha preferito lui sia a Dybala che a Morata, adattando Kulusevski come seconda punta alla destra di Ronaldo e concedendo al 7 di fare quello per cui è nato: percuotere la profondità, palla al piede o senza, sul lato destro della difesa avversaria. L’impegno è fuori discussione, ma la brillantezza non è quella delle serate di Champions col Porto o dell’1-3 con doppietta al Milan a San Siro.

Rimedio fiuta la riproposizione della stessa dinamica di due finali fa, avverte tutta l’Italia all’ascolto già al 63’. «I cambi sono fondamentali, sempre, ma forse stasera ancor di più». Rincara la dose Alessandro Antinelli da bordo campo, al minuto 70 e 33 secondi: “Decisione presa in casa Juventus, perché Dybala è stato chiamato verso la panchina. Entrerà lui e uscirà Federico Chiesa”. 98 secondi dopo Chiesa toccherà il penultimo pallone della sua partita, tenendo in vita un traversone che Hateboer ha avuto l’imprudenza di lasciar scorrere senza accompagnarlo in corner. Altri 11 secondi e il figlio di Enrico esegue l’ultimo stop della gara, ricevendo oltre Tolói il secondo interno mancino in precario equilibrio decisivo della serata di Kulusevski. Un altro paio di scatti della lancetta più sottile e la mano destra di Chiesa è all’orecchio, verso gli insulti del settore dei tifosi atalantini, dopo il sinistro secco passato sotto la gamba alzata di Gollini.

Nella prima finale Gasperini aveva aspettato l’84' per effettuare i primi cambi: il 19 maggio 2021 aveva intuito il crollo fisico verticale una ventina di minuti prima ma tutto il talento offensivo scaraventato in campo nel finale è sprecato. Senza aver prodotto una reale occasione da rete nell’ultima mezz’ora abbondante, il finale dell’Atalanta è la pelle raggrinzita di un atleta al tempo turgido e ipertrofico, dominata ora da smagliature e flaccidume.

La clamorosa e ostinata bravura di Gasperini e della dirigenza atalantina ha riportato la squadra all’ultimo atto della Coppa Italia. Il terzo episodio si gioca nello stesso giorno dell’anno e nello stesso stadio del primo, contro lo stesso avversario del secondo. Gasp avrà la seconda occasione in carriera di segnare il record di anzianità per un allenatore vincente contro la squadra in cui è calcisticamente nato e cresciuto. Come nel 2019 e nel 2021 si giocherà in un contesto tattico ed emotivo teoricamente favorevole all’Atalanta, ideale per la Juventus per un «parziale riscatto di una stagione comunque deludente» e al suo allenatore di coltivare «la speranza di rimanere sulla panchina della Juventus anche nella prossima stagione. Chissà che una vittoria in Coppa Italia…» – citazione testuale e pedissequa dall’introduzione Rai sia per Simone Inzaghi all’Olimpico che per Andrea Pirlo al Mapei Stadium.

Per l'Atalanta la Coppa Italia ha sempre rappresentato il trofeo più "alla portata", per offrire una specie di ricompensa simbolica a questo incredibile ciclo. Prima della partita Gasperini ha parlato con convinzione: «Ho sempre pensato che la Coppa Italia fosse l'unico trofeo possibile per l'Atalanta in quanto Champions e scudetto erano troppo distanti. È la terza finale in cinque anni; le altre non sono andate bene ma noi siamo testardi».

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