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Emanuele Atturo
È diventato difficile credere al crollo del Bologna
04 mar 2024
04 mar 2024
Contro l'Atalanta, la squadra di Thiago Motta ha mostrato nuove qualità.
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Emanuele Atturo
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IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
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C'è stato un momento, un paio di mesi fa, in cui il Bologna era in difficoltà. Dopo aver battuto l’Atalanta in campionato, al termine della prima fiammata di rendimento della squadra di Thiago Motta, i rossoblù erano crollati 3-0 contro l’Udinese. Una sconfitta allarmante, in cui la squadra di Cioffi aveva esposto i limiti dell’aggressività del Bologna facendola a pezzi in transizione.

A quel terribile 0-3 aveva fatto seguito la frustrante eliminazione in Coppa Italia contro la Fiorentina, e poi un pareggio e una sconfitta contro due squadre reattive come Cagliari e Genoa. In quella crisi di risultati si poteva trovare un pattern. I problemi offensivi della squadra, per esempio, che contro avversari che chiudevano gli spazi nella propria metà campo faticava a trovare soluzioni. L’idea, più generale e consolidata, che in Serie A gli allenatori fanno presto a prenderti le misure. Dopo un periodo di novità, gli strateghi più affilati del nostro campionato erano riusciti a costruire la camicia di forza per ingabbiare il Bologna. Commentando lo sfacelo contro l’Udinese, Motta aveva commentato: «Per prima cosa faccio i complimenti all’Udinese per la strategia che hanno messo in campo. Noi abbiamo fatto fatica perdendo palloni e concedendo loro contropiede in cui vanno molto forte. A un certo punto c’è stata anche un po’ di follia che non ci conviene contro una squadra come l’Udinese. Complimenti a loro perché hanno portato la partita più su cosa conviene a loro che su quello che conviene a noi».

Contro il Cagliari, Motta pareva essersi scontrato contro il monolite eterno della tattica italiana, rappresentato in quel caso da Claudio Ranieri. Era uscito da una partita senza capire di preciso come aveva fatto a perdere, e le sue parole hanno cominciato a tingersi di nervosismo: «Giocare meglio dell'avversario e perdere non deve diventare un'abitudine. Abbiamo concesso due gol a una squadra che ha creato molto poco».

I rossoblù sono scivolati al sesto posto, superati dalla Lazio, e i commenti attorno alla squadra hanno cominciato a prendere note di sollievo, con una punta di livore. Mentre il Bologna vinceva e giocava bene una parte del pubblico italiano si è messo in attesa di un passo falso. Chi propone idee nuove, e riesce a conciliarle coi risultati, deve affondare. Niente deve cambiare, niente deve essere messo davvero in discussione. E in più, per quanto difficile da credere, c’è qualcuno per cui non deve esistere qualcosa di unanimemente considerato come bello: una squadra che gioca bene, un calcio fluido e contemporaneo, e che valorizza giocatori giovani e tecnici. Una squadra che non attraverso i soldi, non attraverso il potere, ma attraverso le idee e il coraggio cerca di cambiare il proprio status nel calcio italiano. Una squadra che attira una stampa positiva, un racconto entusiasta sui media - e che finisce per stare antipatica anche per questo. È una dei tanti risvolti tossici del dialogo sui social network, dove si è sviluppato un piccolo e meschino desiderio di veder fallire le cose, di trascinare nel fango tutto ciò che può mettere in discussione lo status quo. In quelle settimane di inizio 2024 si diceva che il Bologna avrebbe fatto dieci punti nel girone di ritorno.

Oggi che il Bologna ha vinto le ultime 6 partite, che ha appena battuto l’Atalanta a Bergamo, e la Lazio a Roma; ora che ha messo in fila gli scalpi di Inter, Roma, Lazio, Atalanta, Fiorentina rimane davvero poco spazio per sperare nel loro crollo - e per sostenere che i suoi risultati siano stati una coincidenza. Magari il Bologna non riuscirà a qualificarsi davvero per la Champions League, e il suo rendimento subirà un calo nelle prossime settimane, ma siamo già arrivati a un momento in cui il valore della stagione dei rossoblù è innegabile e non può essere più messo in discussione.

La vittoria contro l’Atalanta di ieri ha dei significati particolarmente grandi. Il Bologna ha sconfitto la squadra che in questi anni ha fatto da esempio per tutta la classe media che sognava qualcosa di più. L’Atalanta ha dimostrato che affidandosi a un progetto tecnico coerente si possono scalare le gerarchie, e ottenere risultati migliori di club con risorse più grandi. Si può persino cambiare l’identità stessa del club: aumentare il giro d’affari, costruire un percorso tecnico abbastanza solido da reggere le conseguenze di qualche errore; entrare costantemente in Europa. Il tutto grazie a un gioco riconoscibile e in grado di aumentare il valore dei singoli.

Senza l’Atalanta oggi il Bologna non esisterebbe, almeno non in questa forma. All’Atalanta i rossoblù hanno preso il direttore sportivo, e l’allenatore è uno dei tanti discepoli di Gasperini - che come Edipo è riuscito a uccidere il padre addirittura due volte quest’anno.

Al di là dei significati simbolici, il Bologna ieri ha dato una dimostrazione piuttosto pratica di quello che è capace di fare. È stata una partita indicativa della vastità del repertorio dei rossoblù, della loro maturità come squadra. La capacità di soffrire, interpretare le situazioni tattiche e surfare sulle onde emotive dei match. Trarre il massimo profitto da brevi momenti delle partite. Tutto ciò che, insomma, associamo alle grandi squadre.

Qualche giorno fa Thiago Motta è intervenuto in un convegno parlando dei propri principi di gioco. Ha definito il Bologna come una squadra in grado di mescolare idea di calcio posizionale con quelle di calcio più relazionale. La sua squadra può accentuare una strategia o l’altra a seconda dell’avversario che si trova di fronte: con la Lazio - ha detto Motta - che difende a zona è più efficace accentuare degli elementi di calcio posizionale; contro l’Atalanta, che difende a uomo, bisogna cercare di più le relazioni fra i giocatori. Come sappiamo, la storia tattica del calcio evolve in una dinamica di azione-reazione, cercando soluzioni a nuovi problemi. Le marcature a uomo dell’Atalanta hanno fatto scuola negli ultimi anni di Serie A, e dopo qualche stagione le squadre sono riuscite a sviluppare un antidoto accentuando una caratteristica in nuce nel calcio contemporaneo: l’estrema fluidità in fase di possesso, con interscambi di posizione fra i giocatori che sfaldano le strutture della squadra fino a farle diventare liquide - e quindi in grado di infilarsi negli spazi aperti dal pressing avversario.

L’Atalanta nel primo tempo ha accettato questo rischio, e ha imposto al Bologna la forza delle proprie qualità. Dopo un minuto e mezzo De Ketelaere è arrivato a calciare da dentro l’area; il Bologna è parso lento a scivolare in orizzontale per coprire l’ampiezza. Un rischio della densità in zona palla ricercata da Motta. Al 7', dopo una prolungata fase di pressing, col Bologna che cercava di restare calma e trovare l’occasione per avanzare, l’Atalanta riesce a riconquistare palla sulla trequarti. Un’azione seguita da un piccolo boato del Gewiss Stadium, come se anche il pubblico avesse capito che su quelle fasi di possesso basso e pressing si giocava il predominio della partita.

L’Atalanta pressava con Lookman e Pasalic sui due centrali. De Ketelaere più indietro a coprire doveva scattare solo quando Kristensen entrava in possesso, con Koopmeiners su Freuler. Col passare dei minuti Freuler e Calafiori hanno cominciato a scambiarsi spesso la posizione e Gasperini ha cambiato le marcature, mettendo Pasalic a uomo su Freuler.

Il gol è arrivato da una situazione statica: una rimessa laterale per l'Atalanta con tutto il Bologna schierato. Lookman è riuscito a proteggere palla e a guardare il campo in diagonale. Ha servito De Ketelaere rimasto nel mezzo spazio di destra. Il Bologna ha faticato a scalare in orizzontale, e ha subito l’inserimento di Zappacosta da solo a destra. Nell’occasione del tiro, e poi della respinta e del tap-in di Lookman, Skorupski è forse stato un po’ impreciso, e anche Beukema forse poteva essere più reattivo.

Nel secondo tempo Motta ha cambiato Posch e Orsolini con Lucumi e Saelemaekers, e il belga è stato presto decisivo per il pareggio. Anche all’inizio del secondo tempo l’Atalanta pareva in controllo, finché Carnesecchi non ha sbagliato un passaggio troppo centrale. Sulla riconquista il Bologna ha avvicinato molti giocatori al centro dell’area e, da uno scambio corto tra Zirkzee e Saelemakers, è venuto fuori il calcio di rigore - con tutta la qualità di questi due giocatori ad associarsi nello stretto.

L’Atalanta non ha sofferto più di tanto la costruzione bassa del Bologna - almeno non nella misura in cui in questa Serie A l’hanno sofferta la Fiorentina o la Roma - ma nel secondo tempo ha iniziato a soffrire il suo pressing, la sua aggressività uomo su uomo, che quest’anno arriva su volumi impareggiabili per qualsiasi squadra. Una questione anche di caratteristiche individuali: Ferguson, Fabbian, Aebischer, Calafiori, Posch, Beukema hanno tutti un’intensità atletica e fisica difficile da reggere per gli avversari, e a loro si aggiunge Remo Freuler che è un vero maestro delle letture senza palla in avanti. Nella partita è il giocatore che ha accumulato più falli (3), più tackle e intercetti (6). Il secondo gol nasce da una palla recuperata su rimessa laterale dell’Atalanta; e poi un’azione devastante di Saelemakers in conduzione diagonale, resistendo alla pressione di Scalvini e Koopmeiners.

Il gol ha una sua componente di casualità e talento: un tiro di Ndoye viene respinto dalla difesa e Ferguson ha avuto il riflesso per calciare di prima al volo sorprendendo Carnesecchi. Fino a quel momento il Bologna non aveva certo imposto il proprio contesto tattico al match, ma è riuscita a massimizzare gli utili di un momento positivo a inizio secondo tempo. Un momento di aggressività e brillantezza individuale. Poi c’è stata anche qualche azione da manuale. Al 63’ Calafiori manipola le marcature dell’Atalanta a tutto campo, cucendo uno-due in orizzontale da sinistra a destra e trovando poi Ndoye dietro le linee dell’Atalanta.

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Nel momento in cui la squadra di Gasperini aveva più bisogno di alzare l’intensità, il Bologna ha trovato il modo di mandarla a vuoto, con una circolazione sempre più precisa e con delle prestazioni in crescita nei 90 minuti. Saelemakers è salito in cattedra col suo gioco furbo di protezioni palla, ricerca del contatto falloso e piccole elusioni. Un gioco a volte fumoso, ma che in un contesto del genere - contro una squadra precipitosa e nervosa- è diventato molto concreto.

Nell’ultimo quarto d’ora il Bologna ha rinunciato spesso alla costruzione dal basso, puntando su un contesto più sporco di seconde palle e duelli - un contesto in cui a Bergamo in pochi sarebbero usciti vivi. Ha via via lasciato il pallone all’Atalanta e dimostrato la propria solidità nelle fasi di difesa posizionale. Un’altra caratteristica sottovalutata di questa squadra. Già con la Lazio, il Bologna aveva messo in mostra la propria duttilità: riuscendo ad attaccare in modo brillante una squadra che si era messa reattiva nella propria metà campo nel secondo tempo.

Gasperini è apparso frustrato ai microfoni e non è difficile capire il perché: l’Atalanta ha disinnescato i punti di forza del Bologna, solo che la squadra di Thiago Motta ne ha trovati altri. Gasperini ha paragonato i rossoblù a un serpente, per il modo in cui riesce a sgusciare tra le maglie del pressing avversario. Abbiamo spesso elogiato la capacità di costruzione bassa del Bologna, ma non è l’unica qualità della squadra. Se è un serpente il Bologna possiamo paragonarlo all’Idra di Lerna, quel mostro anfibio dell’antichità classica dalle nove teste capaci di ricrescere quando vengono tagliate. L’unico modo per sconfiggere l’Idra è mozzargli la testa centrale: qual è quella del Bologna?

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