Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
L'Arsenal ha battuto tutti i pronostici
26 mag 2025
A 18 anni dall'ultima vittoria, la squadra inglese ha vinto la Women's Champions League battendo il Barcellona in finale.
(articolo)
14 min
(copertina)
IMAGO / AOP.Press
(copertina) IMAGO / AOP.Press
Dark mode
(ON)

Pensate di arrivare in finale di Champions League e dover affrontare la squadra vincitrice di tre delle ultime quattro edizioni. Pensate di farlo dopo una stagione deludente, con un cambio di guida tecnica in corsa, che ha portato un’allenatrice alla sua prima vera esperienza in un grande club che inizialmente doveva traghettare la squadra in attesa della scelta definitiva. Pensate di vincere la partita contro qualsiasi pronostico dopo 18 anni dall'ultimo trionfo in questa competizione, quando ancora non si chiamava Women's Champions League.

L’Arsenal Women è una delle squadre storiche del calcio femminile: per dire, detiene il record di sedici qualificazioni ai quarti di finale della competizione insieme all’Olympique Lione. Il club, da sempre, dà grande visibilità alla sua squadra femminile, che in questa stagione ha disputato otto delle undici partite casalinghe in campionato all’Emirates Stadium con una media di 28mila spettatori a partita. Eppure le "Gunners", fino a sabato, avevano una sola coppa in bacheca, risalente al 2007, e anche in campionato le cose spesso vanno male (solo due coppe di lega e un campionato negli ultimi dieci anni).

Per capire la differenza tra Barcellona e Arsenal basta analizzare i precedenti. Nei trentaduesimi di finale della stagione 2012/2013 l’Arsenal ebbe la meglio sul Barcellona con il risultato aggregato di 7-0. Le spagnole erano all’inizio del loro processo di sviluppo, con la sola Alexia Putellas rimasta da quel giorno. Nove anni dopo, la doppia sfida nei gironi ha visto uno schiacciante 4-0 e 4-1 che ha fatto emergere la netta superiorità del Barcellona.

LA CONTINUITÀ DEL BARCELLONA
Il Barcellona, forte di due vittorie consecutive e cinque finali in sei anni, era la squadra favorita dall’inizio della stagione. Le blaugrana sono arrivate alla finale di sabato con nove vittorie su dieci partite, con una sola sconfitta curiosamente all'esordio in Champions contro il Manchester City.

Nella fase ad eliminazione diretta, avevano superato agevolmente il Wolfsburg (10-2 risultato totale) e il Chelsea con un doppio 4-1, e arrivavano alla finale di Lisbona avendo già vinto due trofei, la Supercoppa e il campionato spagnolo, forte di una struttura tecnico-tattica consolidata negli anni nonostante il cambio di allenatore in estate.

L'allenatore uscente, Jonatan Giraldez, ha lasciato il club dopo tre stagioni per trasferirsi al Washington Spirit nella massima divisione americana. Per sostituirlo, il Barcellona ha scelto la continuità optando per Pere Romeu, collaboratore tecnico di Giraldez con un passato anche da allenatore del settore giovanile maschile (compreso un periodo con un giovane Gavi).

La Masia svolge un ruolo fondamentale anche per la selezione femminile, come sottolineato da Romeu prima della finale. «La cosa risaputa è che a livello giovanile il Barcelona ha i migliori calciatori e calciatrici», ha detto Romeu «I calciatori qui sono formati con una mentalità specifica che li aiuta quando scalano le fasce d'età e si avvicinano sempre di più al calcio professionistico. Non ci sono molti segreti: avere i migliori giocatori, allenarli bene, aiutarli a migliorare e trasformarli in giocatori competitivi. Per chi è uscito dalla Masia come Clàudia Pina, Aitana Bonmatí e Alexia Putellas, quando sei stato in un posto per molto tempo, hai un senso di appartenenza che non hai quando arrivi. Quindi, per qualcuno che è qui da anni, difendere la maglia del Barça, può essere qualcosa di più grande rispetto alle persone che vengono da fuori».

Rispetto alla precedente stagione, l’ossatura della squadra è stata quasi del tutto mantenuta, se si escludono alcune partenze eccellenti come Lucy Bronze e Keira Walsh al Chelsea, e Mariona Caldentey proprio all'Arsenal. Per sopperire all’assenza di un vero numero nove, il Barcellona ha inserito nel proprio organico Ewa Pajor, attaccante che può essere considerata il riflesso femminile di Robert Lewandowski per diverse cose, come la nazionalità il fiuto per il gol e l'esultanza (anche lei, infatti, congiunge i pugni davanti al petto dopo un gol). Alla sua prima stagione in blaugrana, Pajor ha superato il record di gol segnati in una singola stagione con la maglia del Barcellona (43; il precedente record, 42, apparteneva a Jenni Hermoso ed era stato fissato nella stagione 2016/17).

«Avere Ewa Pajor ci dà un peso maggiore in area sui cross e sulle palle inattive», ha detto Romeu «Il compito dell’allenatore è quello di assicurarsi tutto ciò che funzionava prima funzioni ancora, ma anche di valorizzare i punti di forza della squadra. Questo è stato il mio lavoro principale in questa stagione».

LA PERSEVERANZA DELL’ARSENAL
L’Arsenal ha vissuto una stagione intensa, con un inaspettato cambio di allenatore ad ottobre. Jonas Eidevall, in carica dal luglio 2021, ha rassegnato le dimissioni dopo un pessimo inizio in Women’s Super League (una vittoria in quattro gare). A subentrare è stata Renèe Slegers, ex calciatrice olandese e assistente di Eidevall, inizialmente con il ruolo di allenatrice ad interim. Dopo una serie di undici partite senza sconfitte, però, l’Arsenal ha comunicato la scelta di affidarle definitivamente la posizione.

In Women’s Champions League le londinesi sono partite dai turni di qualificazione, essendosi classificate terze in campionato la scorsa stagione: sono la prima squadra nella storia ad arrivare fino alla finale partendo da così lontano.

Il primo vero punto di svolta della stagione, però, è stata la doppia sfida contro il Real Madrid nei quarti di finale. Proprio come accaduto nella sfida tra le due squadre maschili, la partita dell’Emirates Stadium è terminata 3-0, ma in questo caso l’Arsenal aveva l'esigenza di ribaltare il risultato dopo aver perso 2-0 a Madrid su un campo ai limiti della praticabilità.

Il carattere e la capacità di rimontare della squadra di Slegers sono emersi anche in semifinale con una duplice difficoltà in più. L’avversario era l’Olympique Lione, accreditato per la vittoria finale insieme a Barcellona e Chelsea, che si è aggiudicato l’andata a Londra per 1-2. Al Groupama Stadium è avvenuta una netta e inaspettata rimonta per le inglesi, capaci di qualificarsi alla finale di Lisbona con un netto 4-1 in Francia, ben diciotto anni dopo l’ultima volta. «Siamo riuscite a ribaltare tante situazioni difficili, ma la determinazione della squadra e la capacità di crederci sempre sono state le nostre forze», ha detto Slegers prima della finale «Abbiamo fatto qualcosa di magico nonostante la grande pressione. Le rimonte dimostrano quello di cui siamo capaci».

IL RACCONTO DEL CAMPO
Le due squadre si sono affrontate con le formazioni tipo: 4-3-3 per il Barcellona con le due vincitrici del Pallone d’Oro, Aitana e Alexia, in mezzo al campo; 4-2-3-1 per l’Arsenal con una posizione ibrida del trequartista, Frida Maanum, utile in particolare in fase di non possesso.

I dati hanno confermato le previsioni di una partita in controllo del Barcellona, con l’Arsenal pronta a sfruttare ripartenze e calci piazzati. Il possesso palla è stato nettamente a favore delle blaugrana (68%) che hanno effettuato più del doppio dei passaggi delle avversarie (560 a 272). Le inglesi hanno impostato la loro gara sul gioco diretto (63 passaggi lunghi a 37), efficaci nelle transizioni offensive e nell’attacco alla linea del Barcellona, disposta alta e pronta ad effettuare il fuorigioco, grande protagonista della gara (vi ricorda qualcosa?).

Al 21’ l’autogol di Irene Paredes sembra mettere la partita in salita, ma il meccanismo difensivo della squadra di Romeu viene eseguito con il giusto tempismo, lasciando in fuorigioco l’inserimento di Maanum, che aveva messo in mezzo il pallone dopo un inserimento in profondità.

Nel primo tempo il Barcellona ha faticato a trovare gli spazi complice un’organizzazione tattica ben strutturata dell’Arsenal. La disposizione 4-4-2 sulla prima costruzione avversaria permetteva di indirizzare lateralmente la manovra ed evitare la superiorità qualitativa del centrocampo blaugrana. Nel caso in cui uno dei due centrocampisti centrali rompesse sul play avversario (Mariona), l’altro le dava subito copertura (Little), con la diagonale dentro dell’esterno opposto (Kelly) sulla mezzala a lei vicina. Determinante anche l’atteggiamento di McCabe, terzino sinistro, nell’accorciare su Graham Hansen, numero dieci ed esterno destro del Barcellona.

Per scardinare la struttura avversaria, il Barcellona ha optato per una costante del suo gioco offensivo: il dinamismo della catena di sinistra. Fridolina Rolfo, terzino sinistro con qualità offensive, si alzava e Claudia Pina, esterno sinistro, si abbassava tra le linee, obbligando Emily Fox, terzino destro avversario, alla scelta tra rimanere in posizione o seguire il movimento dentro di Pina.

In fase di costruzione, Rolfo prendeva la massima ampiezza a sinistra, con Graham Hansen larga sul lato opposto e Pajor, punta centrale a fissare i due difensori centrali. Pina aveva il compito di lavorare tra le linee e creare situazioni di incertezza tra i difensori avversari.

Questa superiorità, però, non è stata sfruttata con efficacia. Sono state diverse le occasioni in cui il Barcellona aveva una giocatrice in più da sfruttare e la profondità da attaccare, ma chi costruiva da dietro non è riuscito a riconoscere con i tempi corretti con cui attaccare lo spazio e hanno preferito giocare costantemente sul corto. Insomma, la squadra blaugrana ha rischiato troppo poco.

La soluzione ricercata è stata spesso il cambio gioco da sinistra verso destra per raggiungere Caroline Graham Hansen ed isolarla in uno contro uno. Tuttavia la prestazione della norvegese è stata sottotono, con zero cross riusciti su undici tentativi.

Il momento decisivo della partita è stato all’inizio del secondo tempo. Complice il cambio di ritmo del Barcellona, l’Arsenal ha aumentato le distanze nel blocco difensivo e ha perso qualità nelle transizioni, soccombendo alla riaggressione avversaria. Al 48’ il Barcellona viene fermato solo dalla traversa, in seguito ad un’azione sviluppata attraverso i cardini del suo gioco: prossimità tra le giocatrici più qualitative, smarcamenti nei mezzi spazi e combinazioni nello stretto.

La perseveranza dell’Arsenal è stata ancora la chiave, anche dentro quest'ultima partita. Dopo aver superato il forcing avversario, ha ricominciato ad attaccare la profondità avversaria e da una di queste situazioni è scaturito il corner che ha cambiato la storia della gara.

McCabe e Mariona hanno mosso palla per trovare una terza giocatrice, Beth Mead, al limite dell’area, far alzare la linea avversaria e farle innescare la trappola del fuorigioco. Con le difendenti orientate sul pallone e le posture piatte, Mead ha giocato un filtrante che ha preso in controtempo la linea e ha permesso a Stina Blackstenius di finalizzare dall’altezza del dischetto senza pressione.

Il Barcellona ha provato il tutto per tutto negli ultimi 20 minuti di gara, ma ha dovuto scontrarsi con una stoica difesa dell’Arsenal. Dei venti tiri realizzati dalle spagnole, dieci sono stati bloccati dalla difesa avversaria. Leah Williamson e Steph Catley, i due difensori centrali, hanno giganteggiato dentro l’area di rigore, effettuando rispettivamente 14 e 10 spazzate (ovvero: interventi difensivi per “rinviare” il pallone passato o crossato da un’avversaria).

Per la prima volta nelle ultime 41 partite tra tutte le competizioni, il Barcellona non è riuscita a trovare il gol. E così, al triplice fischio, dalle casse dello stadio José Alvalade di Lisbona può risuonare il celeberrimo inno “North London Forever”.

LE STORIE NELLA STORIA
Sono passati 18 anni, eppure le due vittorie in Champions League dell'Arsenal hanno un filo conduttore. Nel 2007 la finale della competizione si giocava ancora su una duplice sfida andata-ritorno. E tra le bambine che hanno accompagnato in campo le due squadre a Londra, quel giorno, c’era una delle colonne portanti della seconda coppa, Leah Williamson. «Mi ricordo solo che c’erano persone ovunque, ma ero infastidita dal fatto che sono scesa in campo dando la mano alla squadra avversaria», ha raccontato dopo la gara «Vidi la partita con le mie compagne e la vittoria nella mia testa era la cosa più normale del mondo. Per me loro erano degli eroi e avevano appena vinto tutto».

E pensare che c'era chi era contrario all’idea di vederla con la maglia dell'Arsenal. Era il padre, fervido tifoso del Tottenham. Williamson senior ha provato invano a convincere la figlia a “cambiare sponda” del North London, ma il lato materno della famiglia ha preso il sopravvento. E sabato, a Lisbona, ha dovuto indossare una maglia dell'Arsenal per la prima volta nella sua vita, complice una scommessa persa con la figlia. E a vedere la scaramanzia, potrebbe non essere l’ultima volta.

Il tema familiare è stato ricorrente nel pre-partita dell’Arsenal. Beth Mead, attaccante inglese, ha pubblicato una toccante lettera dedicata alla madre recentemente scomparsa. “For Mum” percorre tappa dopo tappa il rapporto tra le due donne e come il calcio, che non è mai solo un gioco, sia servito a lenire il dolore causato dalla diagnosi di cancro che la madre ha ricevuto nel 2021. “Credo che per tutti noi il calcio è stato un’ancora. È stata una delle poche cose che ci distraesse e ci desse gioia”.

Un anno dopo Mead è passata dall’euforia per la vittoria dell’Europeo con la Nazionale inglese al dolore per la rottura del crociato e soprattutto a quello per la morte della madre. "Nel momento in cui ne avevo più bisogno, l’Arsenal divenne la mia seconda famiglia. Ero in chiesa per il funerale, camminando dietro la bara di mia madre, e vidi tutta la mia squadra lì. Trenta persone dello staff e giocatrici presero un pullman alle quattro del mattino per essere lì. (…) So che il giorno della finale mia mamma guarderà giù verso le sue ragazze”.

Mead è stata tra le protagoniste della gara con l’assist per la rete di Blackstenius: le prime due prescelte da Slegers per subentrare e cambiare il volto della gara. Bisogna quindi parlare anche dell'allenatrice, che a sua volta ha una storia particolare.

Sedutasi sulla panchina dell’Arsenal con il titolo di “Interim Head Coach”, Slegers ha terminato la stagione con un risultato storico. L'allenatrice olandese ha una lunga esperienza all'Arsenal: aveva infatti già fatto parte del settore giovanile della squadra come giocatrice. Descritta come una centrocampista intelligente, ha collezionato 55 presenze con la Nazionale olandese, ma a 29 anni un grave infortunio al ginocchio l’ha costretta al ritiro. La sua carriera da allenatrice è iniziata molto presto: dopo meno di un anno dal suo ritiro ha subito accettato la panchina del club svedese IF Limhamn Bunkeflo.

Dopo un’esperienza come allenatrice della Nazionale Under 23 maschile, lega la sua carriera a quella di Jonas Eidevall. Prima gli succede come allenatrice al Rosengard, passando dalla squadra B, poi, dopo aver vinto due campionati svedesi, diventa sua collaboratrice tecnica all’Arsenal nel settembre 2023. Nella sua conferma come allenatrice dopo l’addio di Eidevall è stato fondamentale il rapporto con le giocatrici e la capacità di comunicare con loro in maniera positiva. «Renee è arrivata e ha stabilizzato la nave», ha dichiarato nei giorni scorsi McCabe «Ha instillato in noi fiducia e convinzione. Trasuda fiducia e crediamo in ciò che dice e nel modo in cui guida questa squadra».

La cura dei dettagli è stata al centro del processo decisionale di Slegers, così come il coinvolgimento delle giocatrici. In occasione della partita dei quarti di finale contro il Real Madrid ha dato importanza alle giocatrici spagnole Mariona Caldentey e Laia Codina: «Ho parlato con loro per avere delle informazioni visto che ci hanno giocato contro diverse volte. Loro sanno cosa aspettarsi dalla partita, come sarà lo stadio e le avversarie. Conoscono i dettagli che non puoi vedere da un video tattico e i loro suggerimenti hanno fatto parte del nostro piano gara».

Mariona, in particolare, è stata determinante per il cambio di mentalità dell’Arsenal in questa stagione. «Ha tutto, è intelligente, abile tecnicamente. È una grande lavoratrice e una vincente. Sono rimasta impressionata da lei e ha dato tanto al nostro ambiente». La giocatrice spagnola era tra le più attese della finale, avendo giocato con la maglia del Barcellona più di 200 partite in dieci anni. La scelta, legata a motivi personali, di trasferirsi in Inghilterra in estate l’ha portata ad essere eletta miglior giocatrice del campionato e a vincere la sua terza Champions League consecutiva, la quarta negli ultimi cinque anni.

L’esperienza di Mariona in queste partite decisive ha influenzato positivamente la preparazione alla gara, così come la mancanza di pressioni. «Sapevamo di essere le underdog ed è raro giocare una partita con così poca pressione su di noi. Quindi siamo andate in campo e ci siamo dette di goderci ogni momento», ha spiegato Williamson dopo la partita.

Secondo i dati Opta, il Barcellona aveva il 56,5% di probabilità di vincere questa finale. Nel suo 21,7%, però, l'Arsenal ha trovato la vittoria.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura