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La vittoria meritata e sofferta dell'Argentina
19 dic 2022
19 dic 2022
Analisi di una finale memorabile.
(copertina)
Foto di Richard Callis/Fotoarena/Sipa USA
(copertina) Foto di Richard Callis/Fotoarena/Sipa USA
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche. In questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.

A un certo punto della partita la sensazione che i tanti e abusati parallelismi tra l’Argentina di Maradona, vincitrice dell’ultimo Mondiale albiceleste, e questa di Messi si potessero trasferire tutti. È successo quando Mbappé ha segnato il rigore dell’1-2 con cui la Francia ha riaperto la partita. Il nostro pensiero storico non ha nemmeno avuto il tempo di definirsi con esattezza che Mbappé, perfetto villain della favola di Messi, con un gol fenomenale per tecnica, potenza e spietatezza - quello del 2-2 - aveva già spostato in avanti la narrazione, disegnando ancora meglio le sovrapposizioni con la finale del 1986.

I pessimisti vedevano una squadra che pareva ormai svuotata di energie fisiche, dopo un match giocato ad un’intensità pazzesca, e di energie nervose a causa del terribile uno-due di Mbappé e di una Francia che faceva finalmente pesare in campo il vantaggio in chili e centimetri sui giocatori argentini. Ma gli ottimisti trovavano nelle coincidenze un estremo rifugio del dolore: la loro squadra aveva dominato una finale che pareva sfuggita di mano in soli 94’’ – quelli trascorsi, appunto, tra i due gol di Mbappé – con un andamento analogo a quello di 36 anni prima che avrebbe legato indissolubilmente la squadra di Messi a quella di Diego Armando Maradona.

All’Estadio Azteca di Città del Messico il gol del 2-1 di Rummenigge era giunto al 74’ e quello del pareggio di Rudi Voeller al 81’, esattamente lo stesso minuto del pareggio di Kylian Mbappé. Anche allora la Germania Ovest si era tirata fuori quasi per caso dall’abisso in cui si era cacciata, grazie al suo atletismo mentre le energie argentine andavano esaurendosi. I due piani temporali hanno coinciso quasi esattamente quando Messi, al sesto dei sette minuti di recupero del secondo tempo regolamentare, partendo appena fuori dall’area di rigore, dal centro-destra, si è accentrato portandosi il pallone sul sinistro: come Burruchaga per il gol della vittoria nel 1986 (già citato da Messi e Molina nella rete del terzino nei quarti di finale contro l’Olanda). Stavolta, però, Hugo Lloris ha alzato sopra la traversa il tiro del fuoriclasse argentino, riportandoci bruscamente nel presente.

Per la fortuna di tutti il finale del match non ha riprodotto fedelmente quello della partita contro la Germania Ovest, perché i tempi supplementari insieme ai 90’ hanno tratteggiato quella che sarà ricordata come una delle partite più belle ed emozionanti della storia del calcio. Alla fine gli argentini ottimisti hanno comunque avuto ragione e nonostante Kylian Mbappé abbia ancora provato con estremo successo, incessantemente e implacabilmente, ad indossare i panni del cattivo per rovinare i sogni argentini (segnando una tripletta in una finale mondiale ad appena 23 anni) la Coppa del Mondo è tornata a Buenos Aires anche grazie - una tra le altre cose indimenticabili accadute - a una parata a 30’’ dalla fine del “Dibu” Martinez su Kolo Muani: un intervento che già rivaleggia con quello di Gordon Banks contro il Brasile nel 1970 e quello di Dino Zoff, sempre contro il Brasile, nel 1982, per il titolo di parata di tutti i tempi durante una Coppa del Mondo di calcio.

Di questa partita abbiamo parlato anche nel podcast dedicato ai nostri abbonati, Che Partita Hai Visto. Se non lo avete ancora fatto potete abbonarvi cliccando qui.

Come l’Argentina si è presa la scena (e come la Francia gliel'ha lasciata)

Come ci ha abituato durante questi Mondiali, Lionel Scaloni ha messo mano a formazione e schieramento per provare a trovare i migliori accorgimenti in base alla partita da affrontare. In maniera abbastanza sorprendente ha schierato Angel Di Maria dal primo minuto e la sua squadra con un 4-3-3 con il “Fideo”a sinistra, Julian Alvarez al centro e Leo Messi a destra, libero ovviamente di prendere il centro del campo. A supporto del trio d’attacco c’era un centrocampo composto da Enzo Fernandez, Mac Allister e De Paul.

Sull’altra panchina, invece, Deschamps non ha riservato sorprese, restituendo una maglia da titolare a Rabiot e Upamecano, guariti dall’influenza, e schierando così quella che può essere considerata la sua formazione titolare di questo campionato del mondo.

La posizione di Di Maria, isolato sul lato debole rispetto alla zona forte definita dalla posizione di Messi, era stata pensata per sfruttare le qualità del giocatore della Juventus contro Jules Koundé. E il piano tattico di Scaloni ha funzionato alla perfezione. Di Maria ha giocato una partita splendida, dribblando Koundé ripetutamente (4 dribbling riusciti su 6 tentati in 64’ di gioco, con 3 tunnel) mettendo in crisi la linea difensiva della Francia.

Proprio un dribbling di Di Maria, seguito da un fallo ingenuo e leggero di Dembélé, ha originato dopo appena 20’ il rigore del vantaggio realizzato da Lionel Messi. Un vantaggio meritato, dopo una prima parte di gara in cui l’Argentina aveva preso il campo e il pallone contro una Francia piuttosto sconcertante per impotenza tattica. Oltre che dalla posizione di Di Maria, il piano tattico di Scaloni era definito da un pressing ad altezza media sulla costruzione della Francia, guidato dall’energia inesauribile di Julian Alvarez. Contro una Francia che, come di consueto, non ha brillato per l’efficacia dei meccanismi di risalita del pallone, è bastato questo per chiudere il centro del campo e, in aggiunta, recuperare velocemente e in posizione piuttosto avanzata il pallone.

Infine, favorita dall’inefficacia dei meccanismi di pressione della Francia, l’Argentina ha anche dominato il possesso, trovando efficacissime trame di gioco al centro del campo, all’interno di uno schieramento francese che si è distinto in negativo per rigidità e incapacità di leggere le intenzioni di palleggio argentine, piuttosto evidenti e neanche troppo complesse. In fase difensiva, come sempre, Deschamps ha lasciato a Mbappè il solo compito, peraltro piuttosto vago, di occupare la linea di passaggio tra centrale di destra e terzino destro, chiedendo a Giroud di schermare il mediano Enzo Fernandez e a Griezmann di alzarsi sul centrale di sinistra Otamendi. Più dietro, Tchouaméni e Rabiot orientavano la propria posizione su quella, rispettivamente, di Mac Allister e De Paul.

L’intelligenza tattica di Enzo Fernandez, però, mobilissimo e capace di eludere ogni tentativo di Giroud di oscurarne la posizione (contro il Marocco, dopo la partita, Amrabat aveva sottolineato invece la sua difficoltà a liberarsi del centravanti francese), ha disinnescato il primo meccanismo di protezione del centro del campo di Deschamps.

I movimenti di De Paul e Mac Allister, poi, hanno poi completato il quadro tattico con cui Scaloni ha dominato il possesso del pallone per gran parte del match: De Paul si è mosso nella zona di centro destra, prevalentemente in supporto di Enzo Fernandez, costringendo Rabiot a scegliere se alzarsi per mantenere la pressione sul suo avversario, lasciando così libero lo spazio alle sue spalle, oppure se rimanere più prudentemente in posizione regalando però a De Paul tempo e spazio per il palleggio; Mac Allister, invece, si è mosso attaccando i corridoi interni allo schieramento difensivo francese, ponendo anche in questo caso il suo marcatore, appunto Tchouaméni, di fronte al dilemma se seguirlo col rischio di sguarnire la zona davanti alla difesa o rimanere in posizione regalandogli libertà.

L’insieme dei movimenti senza palla degli argentini ha svuotato il centro del campo per le ricezioni interne dei mediani e più avanti, sempre in zona centrale, quelle di Mac Allister e Messi. Ancora più avanti il continuo movimento e gli attacchi alla profondità di Julian Alvarez hanno impedito ai centrali Varane e Upamecano di accorciare con decisione in avanti, ampliando così ulteriormente lo spazio interno a disposizione della manovra argentina.

Con poche semplici mosse Scaloni ha approfittato della rigidità delle scelte iniziali di Deschamps e, perché no, delle scarse capacità di lettura dei giocatori francesi, palleggiandogli in faccia, come si dice. Potrebbe sembrare una cosa non così insolita – in fondo la Francia ha spesso e volentieri concesso il palleggio agli avversari – ma stavolta a fare la differenza era l’efficacia della manovra argentina, capace di penetrare profondamente all’interno dello schieramento avversario per giungere alla fase di rifinitura sempre palleggiando sul corto centralmente o, in alternativa, raggiungendo Di Maria sul lato debole dopo avere addensato gli avversari al centro.

Il 4-3-3 con Messi libero di seguire la sua ispirazione, Di Maria larghissimo a sinistra e Julian Alvarez mobile su tutto il fronte offensivo, non ha lasciato punti di riferimento evitando saggiamente lo scontro fisico con gli atletici centrali francesi, cercando invece di creare gli spazi da attaccare con le corse dello stesso Julian Alvarez e di Mac Allister, sfruttando a pieno la tecnica di Di Maria e Messi.

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Uno dei tanti esempi possibili di come l’Argentina ha superato facilmente il pressing francese. Griezmann si alza su Otamendi e Giroud prova ad aggredire Romero lasciando la marcatura di Enzo Fernandez. De Paul è basso, libero da Rabiot che devo occuparsi (cerchiato) del taglio interno di Messi. Il pallone passa da Otamendi a Romero. Mbappé sceglie di chiudere la linea di passaggio verso Molina, sperando che Giroud riesca ad oscurare quella verso De Paul. L’Argentina crea così un 4 vs 2 in zona centrale e Romero può servire facilmente De Paul.

Il secondo gol, giunto dopo una splendida ripartenza, concretizzata dall’ennesimo inserimento affilato di Mac Allister - autore di una partita di rarissima efficacia - e conclusa da Di Maria dopo l’assist lucidissimo del centrocampista del Brighton, ha rappresentato persino per Deschamps un punto di non ritorno tattico per la partita della Francia.

Per questo, senza aspettare la fine del primo tempo, l’allenatore francese ha sostituito al quarantesimo minuto Dembélé e Giroud con Marcus Thuram e Kolo Muani, spostando come contro il Marocco, quando aveva fatto lo stesso cambio, Kylian Mbappé al centro dell’attacco.

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Una piccola selezione della master-class di inserimenti senza palla che è stata la partita di Alexis Mac Allister

Il cambio dell’allenatore transalpino è sembrato motivato da motivi principalmente difensivi: spostando Mbappé al centro dell’attacco la Francia in fase di non possesso si è potuta schierare con un chiaro e più compatto 4-2-3-1, con Thuram e Kolo Muani sugli esterni, capaci anche di portare una pressione di grosso impatto atletico sui terzini avversari. La Francia, in effetti, ha guadagnato qualche metro sul campo, ma non ha certo risolto i suoi problemi nel fermare il palleggio argentino al centro del campo e, di conseguenza, ad arginare l’enorme mobilità degli uomini offensivi di Scaloni.

Improvvisamente, però, Mbappé si è preso la scena

Il primo vero sussulto tattico del match è avvenuto, purtroppo per gli argentini, dalla sostituzione Di Maria con Acuña. Lionel Scaloni non ha cambiato nulla in termini di posizioni in campo, ma le caratteristiche tecniche di Acuña sono profondamente diverse da quelle di Di Maria, sontuoso nei 64’ giocati. Non possiamo saperlo con certezza, ma è probabile che Di Maria avesse terminato le energie fisiche, la sua sostituzione, però, ha tolto qualche sicurezza tecnica all’Argentina, che proprio con la tecnica stava dominando la partita. Facilitando, così, la Francia nel recupero del pallone.

Solo un leggerissimo cambio di pendenza nel piano inclinato tattico del match, ma sufficiente per consentire alla Francia di alzare ulteriormente l’impatto fisico. Deschamps ha presto abbandonato l’idea di contendere tecnicamente e tatticamente il match agli argentini, puntando tutto sull’impatto atletico dei suoi giocatori. Sei minuti dopo l’uscita di Di Maria, al 70’, è arrivato il primo tiro della Francia, Mbappé ha provato la soluzione da fuori area, dopo una conduzione palla al piede da sinistra verso il centro del campo.

Un minuto dopo il tiro di Mbappé, Deschamps ha eseguito altre due sostituzioni, anche stavolta piuttosto sorprendenti, inserendo Coman e Camavinga per Griezmann e Theo Hernandez. A quel punto la Francia era schierata con una sorta di 4-2-4 con Camavinga terzino sinistro (come contro la Tunisia), Coman alto a destra, e al centro Kolo Muani e Mbappé. Le sostituzioni, aumentando ancora di più l’impatto fisico sulla linea difensiva dell’Argentina, hanno prodotto un’ulteriore, leggera, variazione della pendenza del piano inclinato della partita. L’episodio che ha consentito alla Francia di riaprire la partita contiene un certo grado di casualità, ma è anche frutto della presenza contemporanea di due punte centrali: Mbappé ha provato in un unico tocco a controllare il pallone e a scavalcare Romero con un sombrero, ma se l’è allungato troppo, creando però così un duello in campo aperto tra Kolo Muani e Otamendi, che ha poi commesso il fallo da rigore piuttosto netto.

Così, il secondo tiro della partita della Francia, il primo in porta, è arrivato dal dischetto al 79’. Quasi ottanta minuti di passività e poi, un minuto e mezzo dopo, 94’’ per l’esattezza, la Francia ha trovato il secondo gol. Con la sceneggiatura della partita che ha toccato l’apice del dramma per l’Albiceleste (che già contro l’Olanda si era vista rimontare due gol in poco tempo).

Messi ha perso un pallone nella propria metà campo su pressione di Coman, poi Mbappé ha realizzato un gol che nelle infinite storie della partita è persino sembrato sottovaluto quando invece è un concentrato di tecnica offensiva: il fuoriclasse del PSG prima serve di testa, e in maniera niente affatto intuitiva, Thuram, poi attacca la profondità alle spalle dell’incolpevole Molina, dove riceve l’ottimo passaggio di ritorno del compagno di squadra e finalizza con un colpo al volo di mezzo esterno che ormai è una sua signature move.

A quel punto gli ingredienti per un definitivo crollo emotivo dell’Argentina c’erano tutti: la partita era stata dominata ma due gol subiti a pochi minuti dalla fine, a cui si aggiungeva la palla persa da Messi in occasione del pareggio, sembravano il preludio alla risveglio brutale degli argentini dal proprio sogno. E invece, nonostante l’intensità spropositata messa durante la partita, che aveva ridotto le energie degli uomini di Scaloni, l’Argentina ha iniziato a ribattere colpo su colpo in un match che è diventato improvvisamente aperto e vibrante, con continui capovolgimenti di fronte. E in questo, davvero, l’Argentina è stata simile alla squadra del 1986.

La follia dei supplementari e un Mondiale meritato

Nei supplementari Scaloni ha inserito forze fresche - Montiel, Paredes e Lautaro al posto di Molina, De Paul e Julian Alvarez - e incredibilmente gli argentini hanno ritrovato le energie per sgusciare tra le maglie della difesa francese. Al 104’ il dialogo stretto tra l’incredibile Enzo Fernandez, Messi e Mac Allister - sorprendente per lucidità e pulizia tecnica dopo quasi due ore di partita - ha liberato Lautaro Martinez da solo davanti a Loris. Un minuto dopo è Upamecano a fare un miracolo murando in scivolata un tiro di Lautaro lanciato in profondità da un esterno sinistro di Acuña.

Al contempo, più indietro, in un modo o nell’altro, quando sembravano sul punto di crollare fisicamente contro l’atletismo di Coman, Thuram, Kolo Muani e Mbappé, i difensori argentini hanno retto l’urto aggrappandosi con le unghie e con i denti alla partita.

A prevalere nel caos è stata la sorprendente lucidità argentina e la pulizia tecnica delle sue giocate: esemplare, in questo senso, l’azione del nuovo vantaggio argentino, il momentaneo 3-2, con gli scambi stretti tra Lautaro, Messi ed Enzo Fernandez – a suo agio anche nella posizione più avanzata assunta dopo l’ingresso in campo di Paredes – che hanno liberato al tiro Lautaro.

Con uno dei suoi gol più sporchi e meno iconici, di rapina, di destro e con la palla che non pareva nemmeno entrata in porta, Leo Messi sembrava aver scritto di proprio pugno la parola fine sulla partita e sulla Coppa del Mondo. Ancora una volta, però, un incredibile, immenso, diabolico Mbappé ha provato a mettersi in mezzo, a sporcare il sogno argentino per costruire a soli 23 anni la propria leggenda (ne farà 24 domani).

Suo è il tiro che provoca il fallo di mano di Montiel in area di rigore, sua la glaciale spietatezza con cui firma la tripletta in finale. E ancora, a un minuto dalla fine dei supplementari, è sempre Mbappé che mette la palla sulla testa di Kolo Muani al centro dell’area di rigore, ma il suo compagno d’attacco riesce solo a sfiorare. E non è ancora finita: c’è ancora tempo per il miracolo finale del “Dibu” Martinez proprio su Kolo Muani, di piede, a togliere la palla dall’angolo; e per un’altra occasione di Luataro Martinez che colpisce male di testa. Mbappé segna anche il quarto gol della sua partita – cos’altro avrebbe potuto fare? – nella serie finale di rigori, mentre Messi e Dybala fanno tremare i loro tifosi con conclusioni fin troppo lente ma mortifere. Martinez para il rigore di Coman, Tchouaméni tira il suo fuori e Montiel spiazza Lloris consegnando la Coppa del Mondo all’Argentina.

L’Argentina ha disputato la sua migliore partita per lucidità tattica ed esecuzione tecnica nell’atto finale del Mondiale, meritando ampiamente il titolo contro una Francia che per almeno 80 minuti è stata deludente. La strategia di Scaloni è riuscita: il controllo del centro del campo con il palleggio di Enzo Fernandez e De Paul e, più avanti, i tagli interni di Messi e gli inserimenti di Mac Allister hanno concesso all’Argentina un dominio del possesso efficace, che ha preparato la rifinitura tramite il palleggio stretto centrale o le ricezioni in isolamento di un sontuoso Angel Di Maria. Al contempo, il pressing di Julian Alvarez è bastato a sporcare la costruzione dal basso francese e a recuperare palla in posizioni avanzate del campo.

Ci ha messo del suo la Francia, con la rigidità nelle consegne difensive, male eseguite e prive di ogni adattamento alle contingenze del match, oltre che con le sue ormai croniche difficoltà di palleggio. In svantaggio meritatamente di due gol dopo 40’ minuti di gioco Deschamps ha provato a fare saltare il banco anticipando le sue sostituzioni, eliminando dall’equazione difensiva l’equivoco Mbappé e aumentando la pressione atletica. Una mossa che ha avuto esiti non entusiasmanti perché l’Argentina è rimasta padrona del campo.

Il fisiologico calo atletico nell’ultimo quarto d’ora di gioco e l’uscita di Di Maria dal campo ha aperto uno spiraglio nei destini della partita, e Mbappé è stato incredibilmente capace di sfruttarlo portando la Francia a un passo da una vittoria che sarebbe stata in gran parte sua - e rimane la sensazione che l’immenso talento di cui dispone la nazionale francese non sia stato pienamente sfruttato in questa Coppa del Mondo.

Il match, grazie proprio alla capacità di Mbappé di riaprirlo è diventato bellissimo ed emozionante, uno di quei momenti rari - e proprio per questo particolarmente preziosi - in cui uno sport fondamentalmente noioso come il calcio si infiamma proprio quando ha tutti gli occhi del mondo addosso, costruendo così un altro pezzo del proprio secolare fascino e della propria leggenda. In aggiunta a ciò: Lionel Messi, uno dei più grandi calciatori mai esistiti, ha finalmente e meritatamente vinto la sua Coppa del Mondo, regalando all’Argentina la sua terza stella.

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