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Nicholas Gineprini
La nuova ambizione dell'Arabia Saudita
05 apr 2019
05 apr 2019
La monarchia del Golfo si è aggiunta tra le potenze che stanno cercando un'affermazione internazionale attraverso il calcio.
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Nicholas Gineprini
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Nel corso degli ultimi quindici anni abbiamo assistito all’ascesa di nuove potenze nel panorama calcistico mondiale, che hanno provato a scalfire l’egemonia dell’Europa. Se, almeno per il momento, le ambizioni di Russia e

si sono scontrate con le difficoltà di allestire un campionato nazionale di livello e di riuscire a competere nei tornei internazionali, nel mondo arabo, gli Emirati e soprattutto il Qatar si sono posti come realtà forti, grazie alle acquisizioni di Manchester City e PSG, da una parte, e all’assegnazione della Coppa del Mondo a Doha, dall’altro. Ma recentemente accanto a questi attori ne stanno emergendo altri con una forza economica comparabile, come ad esempio l’Arabia Saudita.

 

Lo scorso 17 gennaio a Jeddah, città costiera della monarchia del Golfo, si è disputata la Supercoppa italiana tra Juventus e Milan (1-0 per i bianconeri), preceduta in Italia da

, che si sono concentrate soprattutto sull’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi in Turchia e sopratutto sul fatto che gran parte dello stadio in cui si sarebbe tenuta la partita sarebbe stato precluso alle donne.

 

Ma la Supercoppa italiana è solamente uno dei tanti tasselli della nuova strategia sportiva dell’Arabia Saudita, che si è unita al largo novero di stati che sta provando a utilizzare il calcio (e non solo) come mezzo di rinnovamento socio-economico e arma di soft power diplomatico. Il Gran premio di Formula E, la Royal Rumble della WWE, l’amichevole fra Argentina e Brasile, l’approdo nel campionato saudita di Sebastian Giovinco, l’acquisizione di un club di calcio in Egitto e le ambizioni di rinnovare l’assetto del calcio a livello globale con l’organizzazione

, sono solamente alcune delle questioni che recentemente hanno messo l’Arabia Saudita al centro della mappa geopolitica a livello sportivo.

 





 

La spinta propulsiva dietro questo nuovo interesse dell’Arabia Saudita nei confronti dello sport viene in particolare da due personaggi particolarmente potenti all’interno della monarchia del Golfo. E cioè il principe ereditario Mohammed Bin Salman (che forse ricorderete a Russia 2018 seduto assieme a Vladimir Putin e Gianni Infantino nella gara inaugurale del torneo), da cui è partita la spinta che vorrebbe proiettare l’Arabia Saudita verso la modernità, e il ministro dello sport saudita Turki Al Sheikh.

 



Ma facciamo un passo indietro. Le radici dell’interesse dell’Arabia Saudita verso il calcio risalgono in realtà all’inizio degli anni ’90, quando cioè la Monarchia del Golfo ha organizzato per la prima volta la

(precisamente nel 1992 e nel 1995), una manifestazione per Nazionali alla quale erano invitate le vincitrici delle competizioni continentali.

 

Nel 1997 la Coppa passò sotto l’egida della FIFA e, anche se continuerà ad essere organizzata in Arabia Saudita, adottò la formula ad otto squadre con l’ingresso dei campioni d’Oceania e quelli della Coppa del Mondo, divenendo così di fatto la Confederations Cup che conosciamo oggi. In tutte e tre le occasioni, comunque, il pubblico rispose in massa presente e nella finale del 97’ furono addirittura in 65mila ad assistere al massacro del Brasile nei confronti dell’Australia (6-0) con triplette di Ronaldo e Romario.

 

Successivamente, per circa vent’anni, l’Arabia Saudita è sparita dai radar degli eventi sportivi internazionali, chiudendosi ermeticamente in se stessa, in un contesto di forte integralismo religioso. Fino ad ora, l’unico modo per viaggiare in Arabia Saudita era per motivi di lavoro o religiosi, cioè per andare in pellegrinaggio alla Mecca. Al contrario, i vicini nell’area del Golfo hanno intrapreso un percorso di apertura globale attraverso principalmente lo sport e il turismo.

 

Come sottolineato dal professore Simon Chadwick dell’Università di Salford su

, gli altri paesi del Golfo, negli ultimi anni hanno rilevato importanti asset in ambito sportivo. Gli Emirati Arabi Uniti hanno dato vita al City Football Group,

che include al suo interno diversi club tra cui il Manchester City, il New York City e il Melbourne City, e che recentemente ha espanso la propria famiglia con l’acquisizione di

. Il Qatar, com’è noto, ha invece puntato sul PSG e sull’organizzazione dei Mondiali del 2022, mentre il fondo Aspire ha fondato un’avveniristica accademia calcistica e rilevato alcuni club minori sempre in Europa (come il Kas Eupen in Belgio) per sviluppare

. Il più piccolo Bahrain, invece, ha puntato sul ciclismo ed è socio di minoranza della McLaren. Questo, senza contare gli innumerevoli eventi sportivi che si tengono nei paesi sopracitati, come i tornei di Tennis ATP, e i Gran Premi di Moto GP e Formula 1. Fino ad oggi l’Arabia Saudita non aveva nulla di tutto questo.

 

La teocrazia di matrice sunnita che domina la monarchia del Golfo ha cominciato ad aprirsi al mondo solamente nel 2017, grazie alle riforme socio-economiche volute dal giovane principe ereditario Mohammed Bin Salman, che hanno lo scopo di perseguire il piano Vision Arab 2030, un ambizioso progetto che cerca di emancipare il Paese dalla dipendenza economica del petrolio abbracciando l’uso delle energie rinnovabili, per poi sviluppare il settore terziario e i servizi, divenendo un punto di riferimento per quel che riguarda il turismo e l’organizzazione di eventi sportivi.

 

L’Arabia Saudita rimane ancora oggi un paese con forti limitazioni per quanto riguarda l’espressione della libertà religiosa e di parola, e in cui la repressione verso le minoranze è all’ordine del giorno, ma sarebbe ingiusto non sottolineare le prime, storiche, aperture nei confronti delle donne, a cui dallo scorso anno è consentito prendere la patente e andare allo stadio (per emanazione del ministro dello sport Tarek Al Sheikh). Proprio la Supercoppa italiana è il primo evento internazionale calcistico tenuto in Arabia Saudita a cui hanno potuto assistere le donne, seppur sempre accompagnate da un marito, un padre o un fratello. In questo contesto può essere significativo ricordare che nel 2017 hanno riaperto anche i cinema.

 





 

L’Arabia Saudita, nonostante non goda di un’immagine internazionale particolarmente positiva, sta attraversando un periodo molto felice, economicamente parlando. Grazie alla recenti

(eccezion fatta per real estate, trasporti e media), gli investimenti esteri diretti (FDI, secondo l’acronimo inglese) sono più che raddoppiati su base annuale nel 2018, attestandosi a 3.5 miliardi di dollari come riportato da

. Tra i tanti segnali di crescita economica, il più importante è forse la partnership siglata tra la

, la compagnia petrolifera del paese, e la cinese Norinco, per l’apertura di un nuovo complesso petrolifero nel nordest cinese dal valore di 10 miliardi.

 

L’apertura dell’economia si ripercuoterà a breve su molti altri settori, come il turismo (secondo la

, l’obiettivo dell’Arabia Saudita sarebbe quello di portare oltre 30 milioni di turisti all’anno fino al 2030, con introiti previsti da 47 miliardi di dollari e un incremento dell’occupazione del 5.8%) e l’edilizia (a partire dalla costruzione della futuristica città di

).

 



Come Emirati Arabi Uniti e Qatar avevano fatto prima delle acquisizioni di Manchester City e PSG, anche l’Arabia Saudita sta cominciando il proprio percorso attraverso l’organizzazione di eventi sportivi internazionali, contesto nel quale si è inserita anche la Supercoppa Italiana come una delle manifestazioni di punta. Ma quella tra Juventus e Milan non è stata l’unica partita di rilievo svoltasi recentemente in Arabia Saudita: lo scorso 16 ottobre a Riyadh si sono affrontate in amichevole

di fronte ad oltre 62.000 spettatori, accorsi per ammirare campioni del calibro di Dybala, Icardi, Neymar e Coutinho.

 

Il calcio non è l’unico sport coinvolto. Il 2 novembre si è tenuta una sorta di

, con otto dei migliori wrestler fra Smackdown e Raw che si sono affrontati sul palco di Riyadh (si è trattato della seconda volta per la WWE in Arabia Saudita, dato che precedentemente si era svolto un evento ufficiale, ovvero la

). Lo scorso 15 dicembre, invece, a Ad Dirriyah si è svolta una gara di

, che ha inaugurato la tredicesima edizione del campionato mondiale. Lo scorso 22 dicembre, poi, si sarebbero dovuti affrontare a Jeddah

in un match di esibizione denominato King Slam tennis Championship, ma l'evento è stato annullato a sorpresa, ufficialmente a causa dell'infortunio dello spagnolo (anche se secondo alcuni potrebbe essere stata una delle conseguenze delle polemiche internazionali legate all’omicidio di Kashoggi).

 





 

D’altra parte, il cosiddetto

, ovvero il tentativo da parte di uno Stato di ripulire la propria immagine internazionale attraverso lo sport, non sempre produce gli effetti sperati. E così come il Qatar è finito sotto la lente d'ingrandimento per la violazione dei diritti umani nei cantieri degli stadi che dovranno ospitare la Copppa del Mondo, anche l'Arabia Saudita si è ritrovata nel bel mezzo delle polemiche scoppiate a seguito dell’assegnazione della Supercoppa italiana.

 

Ma di Arabia Saudita si è tornato a parlare anche più recentemente. Prima a seguito della notizia di una possibile acquisizione del

da parte del fondo della famiglia reale saudita, con i Glazer che avrebbero respinto un'offerta da quattro miliardi proprio a causa del caso Khassogi. Poi, con l'acquisto del club di calcio egiziano Pyramids FC da parte del ministro dello sport saudita Turki Al Sheikh, vicenda che riflette per molti versi anche l'inesperienza e la frenesia dei sauditi in ambito sportivo.

 



Oltre ad essere una figura rilevante nel governo saudita, Turki Al Sheikh è diventato una figura di un certo peso nel contesto politico del calcio mondiale, in particolar modo per il suo stretto legame con Gianni Infantino per l’organizzazione del nuovo Mondiale per Club. Al Sheikh, 49 anni, è stato colui che ha stretto l’accordo con la Lega di Serie A per la Supercoppa, che ha permesso alle donne di entrare negli stadi, che ha avvallato il progetto di

di aprire un’accademia per portieri in Arabia Saudita, oltre ad aver stretto una partnership con La Liga per il prestito di sei mesi di

di prima e seconda divisione in vista del Mondiale in Russia. Ma, soprattutto, Turki Al Sheikh è stato, anche se brevemente, proprietario del club egiziano

.

 

Nel dicembre del 2017, l’Al Ahly, il club più titolato d’Egitto, si trova in difficoltà finanziarie e decide di chiedere aiuti all’estero: il board del club propone dunque a Turki Al Sheikh, già sostenitore dell’Al Ahly, di assumere la carica di presidente onorario.Il ministro dello sport saudita accetta l’offerta e investe nel club circa 14 milioni di dollari per coprirne i debiti e migliorarne le strutture. I problemi cominciano quando l’allenatore argentino Ramon Diaz (ex giocatore di Napoli e Inter), promesso all’Al Ahly, viene dirottato da Al Sheikh verso il club saudita Al Ittihad, scatenando la rabbia dei tifosi. Di lì a poco Turki Al Sheikh è costretto a lasciare la guida del club, ma decide comunque di un altro su cui esercitare il massimo controllo.

 

La nuova squadra è l’Al Assyouti FC, che dopo l’acquisizione viene spostata dalla città di Assiut fino alla capitale, il Cairo, per essere rinominato Pyramids FC. Dopo il rebranding, il club egiziano decide di non badare a spese: viene assunto come allenatore il giovane e promettente brasiliano

, mentre come advisor tecnico viene preso il leggendario

. Nel calciomercato, fra la scorsa sessione stiva e quella recente invernale, vengono spesi oltre 40 milioni di euro per un totale di 23 nuovi calciatori. Il brasiliano 

, proveniente dal Palmeiras, viene acquistato per 8,6 milioni di euro divenendo di gran lunga il giocatore più pagato nella storia del calcio africano. La ciliegina sulla torta è l’approdo dell’attaccante siriano Omar Kharbin a gennaio, punta dei sauditi dell’Al Hilal, con cui ha vinto il pallone d’Oro d’Asia nel 2016.

 

Turki Al Sheikh fonda persino la Pyramids TV, emittente televisiva dedicata al club, invitando ospiti illustri come Mido, Roberto Carlos e

. Eppure la pioggia di soldi e l’approdo di grandi campioni non permette al Pyramids FC di conquistarsi il cuore dei tifosi, e anzi l’arrivo dell’investitore saudita viene visto sempre più con sospetto.

 

Il commentatore sportivo Mostafa al Fakharany, ad esempio, ha dichiarato

: «L’ascesa del Pyramids riflette il dilemma del calcio egiziano, dato che abbiamo club con tanti fondi, ma nessun fan, ed altri con pochi soldi, ma forte tradizione alle spalle». In molti si interrogano sui motivi che hanno spinto il ministro dello sport saudita ad investire nel calcio egiziano, ma l’opinione più comune è che fosse una strategia per poter iniziare a penetrare il mercato africano, elevando il Pyramids FC ad esempio di successo. Il giornalista Ahmed Saad ha dichiarato a

: «Se consideriamo l’appoggio del governo saudita all’attuale governatore egiziano e il trasferimento di due isole sul Mar Rosso dall’Egitto

, è lecito pensare che l’investimento nel Pyramids FC abbia degli aspetti politici che solo il tempo ci potrà mostrare»



 





 

L’esperienza però ha avuto una conclusione piuttosto rapida. Il pubblico egiziano, infatti, vedeva di mal occhio il Pyramids FC, in particolar modo quelli dell’Al Ahly, che durante un match di Champions sugli spalti hanno iniziato ad insultare pesantemente Al Sheikh. Il ministro dello sport saudita, che aveva palesato già lo scorso settembre l’intenzione di vendere il club, ha infine ceduto lo scorso febbraio, quando il Pyramids FC è passato in mano ad un



 

Questo fallimento, comunque, non ha fermato il ministro dello sport saudita dai suoi progetti ambiziosi, che potrebbero presto trasformare il campionato saudita nel più attrattivo nell’intero continente.

 



Anche se negli ultimi anni la narrazione del calciomercato verso oriente è stata cannibalizzata da Cina e Giappone, ad oggi è impossibile non parlare anche della Saudi Professional League come uno dei campionati più ricchi d’Asia. Se la Chinese Super League continua a spendere ingenti capitali e quest’anno ha visto approdare gente del calibro di

e la J-League nell’ultimo anno ha visto arrivare Iniesta, David Villa e Fernando Torres, il campionato saudita sta iniziando a recuperare terreno, e nelle sessioni di mercato della stagione 2018\19 ha fatto registrare spese per 180 milioni di euro secondo

.

 

Certo, il calcio asiatico pone numerose limitazioni per gli stranieri, dettate in primo luogo dalla

, che prevede il tesseramento di soli tre stranieri più un quarto proveniente da un altro paese asiatico. Molti paesi hanno adottato politiche interne restrittive cercando di adattarsi al formato 3+1 della Champions, ma in tempi più recenti, sia Giappone che Arabia Saudita sono usciti da questi schemi controproducenti. Il paese nipponico ha infatti permesso di schierare cinque stranieri e di non porre alcun limite ai giocatori del sudest asiatico, mentre l’Arabia Saudita negli anni ha alzato l’asticella ad otto stranieri, divenendo di fatto il campionato più aperto all’estero di tutta l’Asia.

 

A partire dalla scorsa estate, le squadre saudite, spinte da queste riforme, hanno siglato colpi di alto livello, almeno per il contesto asiatico: l’Al Ittihad ha speso 10 milioni di euro per il serbo Prijovic dal Paok Salonicco; l’Al Nassr ha ingaggiato il nazionale nigeriano Ahmed Musa dal Leicester (16 milioni) e il trequartista Giuliano dallo Zenit (10 milioni); mentre l’Al Ahli Jeddah ha fatto spesa grossa ingaggiando il centrocampista Josef dal Fenerbahce (12 milioni), l’attaccante di Capo Verde Djaniny, dai messicani del Santos Laguna (10.2 milioni), e l’attaccante rumeno Nicolae Stanciu dallo Sparta Praga (10 milioni).

 

La squadra che però si è maggiormente distinta è l’Al Hilal campione in carica, che ha affidato la panchina inizialmente all’ex Benfica Jorge Jesus (poi esonerato da primo in classifica), e trovato l’accordo per il prestito di

, star della nazionale degli Emirati Arabi Uniti (ma di origini saudite), Pallone D’Oro d’Asia nel 2016. Assieme a quello che possiamo definire il più forte giocatore mediorientale, è giunto anche il francese Batafembi Gomis dal Galatasaray, mentre in estate si sono aggregati al club anche l’ex RB Salisburgo Jonathan Soriano e soprattutto Sebastian Giovinco.

 





 

L’ambizione dell’Arabia Saudita è

anche dalla decisione di giocare la sfida inaugurale della stagione 2018\19 fra Al Ittihad e Al Hilal (vinta da quest’ultimi per 2-1) in Inghilterra, nello stadio del Queens Park Rangers, lo scorso 19 agosto. Anche se non era la prima volta che la Supercoppa Saudita si era giocata in Inghilterra (era già successo nel 2015, sempre a Loftus Road, e nel 2017 a Craven Cottage), rimane un evento unico, alla luce del fatto che di solito sono le leghe europee a portare le proprie partite all’estero.

 

Il calcio per la monarchia saudita ha anche una funzione sociale di avvicinamento alle classi popolari, e da questo punto di vista va vista la scelta da parte di Turki Al Sheikh di rinunciare all’accordo televisivo con l’emittente mediorientale MBC per i match di campionato, rendendoli gratuiti sul territorio nazionale sull’emittente di stato KSA Sports Channel.

 

Certo, la Nazionale dell’Arabia Saudita non rispetta ancora le aspettative del governo, essendo stata eliminata alla fase ai giorni di Russia 2018 e agli ottavi in Asian Cup sotto la gestione Pizzi. Ma le riforme recentemente approvate potrebbero aiutare lo sviluppo dei calciatori locali. In questo senso, non va dimenticata la vittoria della Coppa d’Asia Under 19, che ha riacceso la speranza di riportare le “Aquile” sul trono continentale.

 



Lo scorso 15 marzo la FIFA,

, ha approvato i progetti per il nuovo

a 24 squadre e l’espansione della Coppa del Mondo a 48 Nazionali a partire da Qatar 2022, con l’Arabia Saudita che potrebbe giocare un ruolo fondamentale in entrambe le manifestazioni.

 

Secondo quanto riportato lo scorso anno, la FIFA ha infatti ricevuto un’offerta da 25 miliardi di dollari dal conglomerato giapponese della Soft Bank, per l’organizzazione della nuova manifestazione per club e della Nations League (quest’ultima bocciata dal congresso della FIFA). Secondo alcune indiscrezioni, nel consorzio guidato dalla Soft Bank ci sono, anche se non confermati ufficialmente, Alibaba, il re dell’e-commerce cinese, ed il fondo reale dell’Arabia Saudita (la FIFA, si è frettolosamente sbrigata, con comunicati, a smentire il coinvolgimento di quest’ultimi). Il coinvolgimento dell’Arabia Saudita però sembra evidente dal fatto che Gianni Infantino abbia incontrato il ministro dello sport saudita per ben tre volte nel 2018.

 

Oltre alla nuova e ricchissima manifestazione per club, l’Arabia Saudita potrebbe fare il suo ingresso anche nell’organizzazione della Coppa del Mondo del 2022 a fianco del Qatar, forse insieme agli Emirati Arabi Uniti. Gianni Infantino vorrebbe utilizzare la manifestazione a 48 squadre come grimaldello diplomatico per risolvere la crisi del Golfo. Il presidente della FIFA sta lavorando attivamente affinché il Qatar possa condividere la manifestazione con i vicini nell’area del Golfo nonostante la guerra diplomatica in atto, facendo di fatto il gioco dell’Arabia Saudita che ha tutti gli interessi a rubare la scena a Doha.

 

Il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti non sono più soli nel Golfo Persico a cercare nel calcio l’affermazione internazionale.

 

 

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