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Antonio Conte e il calciomercato, storia di un'ossessione
24 feb 2022
Le ultime uscite dell'allenatore sul mercato del Tottenham sono solo le ultime di una lunga serie.
(articolo)
15 min
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DANIEL LEAL/AFP via Getty Images
(copertina) DANIEL LEAL/AFP via Getty Images
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Nel mercato di gennaio il Tottenham ha dato via Tanguy Ndombele, Bryan Gil e Giovani Lo Celso, sostituiti da Dejan Kulusevski e Rodrigo Bentancur. Movimenti che erano sembrati in qualche modo avallati - se non orchestrati - da Antonio Conte, diventato l’allenatore del club di Londra i primi giorni di novembre. Sembrava, ma apparentemente non è stato così, visto che pochi giorni dopo la chiusura del mercato, Conte si è presentato davanti ai microfoni di Sky Sport e ha sparato a zero sulle scelte della società: «Abbiamo acquistato due giocatori, ne sono andati via quattro. Sulla carta ci potremmo essere indeboliti». Subito dopo, parlando dei nuovi arrivi Kulusevski e Bentancur, li ha definiti «prospetti ideali» per una squadra che punta sui giovani, ma anche giocatori «non ancora pronti».

Dichiarazioni che sono state accolte con grande sorpresa dal Tottenham. Secondo il Daily Mail “c’è stata sicuramente vera sorpresa per le osservazioni del tecnico, ma gran parte della costernazione percepita è inventata”, eppure è difficile dire che sia una novità. Conte ha una lunga storia di lamentele, sparate improvvise che sembrano autosabotaggi più che psicologia inversa. Nella sua personale guerra contro il mondo, il mercato sembra occupare uno spazio speciale, è l’elemento della trama che può rinnovare sempre la storia, essere motivo di conflitto, scuotere l’ambiente. Una storia lunga e complicata che ho provato a ricostruire.

La lista

Tarda primavera del 2009. Antonio Conte sta trionfalmente riportando il Bari in Serie A, tanto da attirare le attenzioni della Juventus, alla disperata ricerca di qualcuno che raddrizzi la barca alla deriva. Conte tentenna, la Juve è la Juve, ma nella discussione tra le parti qualcosa va storto. Si dice ci siano incompatibilità tattiche tra lui e la dirigenza che gli chiede un posto centrale per il nuovo acquisto Diego. Dopo aver parlato da ex, Conte rinnova col Bari, l’ingaggio triplicato. In città si pensa di aver evitato il disastro, aver fatto contento l’allenatore con uno stipendio che ne premia il lavoro - già allora Conte viene descritto come un uomo maniacale, all’opera 24 ore su 24 - ma spunta fuori una lista. A riceverla è Giorgio Perinetti, il direttore sportivo di quella squadra, e sopra ci sono 12 nomi di nuovi calciatori che Conte vuole per la nuova stagione, «C'è da fare un lavoro enorme» commenta il ds.

La stagione è finita da pochi giorni e Conte già parla come se i nuovi acquisti fossero fatti: «I principi del mio gioco non cambieranno, bisogna adeguare la qualità degli interpreti al livello di un campionato diverso dalla B». I nomi di cui si parla sono tantissimi: Ignazio Abate, Floro Flores pallino del tecnico, Tiribocchi, Brienza, Zalayeta, Cerci, Obodo, Cribari, la conferma di Barretto fondamentale per la promozione ma di proprietà dell’Udinese. Matarrese promette fondi, tra i 15 e i 20 milioni per allestire una squadra da A, ma al 23 giugno gli acquisti sono solo due elementi di rincalzo come Alvarez e Carrobio, con la cessione di Guberti e quella di Barreto che invece erano stati preziosi per la promozione. La società, dopo i proclami dei primi giorni, si è trincerata dietro uno strano silenzio.

Appena chiuse le urne delle elezioni comunali cittadine, in cui Matarrese è coinvolto, il presidente, Perinetti e Conte si incontrano, prima che quest’ultimo parta per le vacanze. All’uscita della riunione Conte non è più l’allenatore del Bari, a un mese dal rinnovo. «Con Conte non ci siamo capiti» dice Matarrese «aveva troppa fretta per il mercato e poi non era possibile rivoluzionare una squadra che ha fatto così bene lo scorso campionato». Conte sostiene che lui e la società parlavano due lingue diverse per quanto riguarda il mercato: «Avevo chiesto 10 elementi nuovi, non giocatori straordinari, gente che veniva dalla B o da squadre retrocesse dalla A».

Per Conte era, praticamente, la prima vera sessione di calciomercato affrontata. Dopo aver dovuto fare le nozze coi fichi secchi ad Arezzo, una situazione di ristrettezze che però conosceva ancor prima della firma ed essere entrato in corsa al Bari, le aspettative dell’allenatore erano cresciute così come la sua ambizione. Che messaggio manda un allenatore che vuole smantellare una squadra che aveva appena dominato il campionato?

È difficile capire nel profondo il dogmatismo di Conte, un allenatore che poi è sembrato lavorare meglio nel caos, eppure è chiaro come non sia solo una questione di facciata, una tattica per scaricare le responsabilità: «Volevo giocare in A con le mie idee: Conte è questo. La società era consapevole di cosa significasse sposare il mio progetto» sono le sue parole in terza persona mentre si congeda da Bari. A chiudere la storia è un sollevato Perinetti - che pare fosse in cattivissimi rapporti con Conte: «Pur riconoscendo il valore dell'allenatore, anche senza Conte il calcio a Bari continuerà».

Il ristorante da 100 euro e altre lamentele

Conte passa per l’Atalanta, dove arriva a mercato chiuso e se ne va prima che sia aperto di nuovo, e da Siena, dove ottiene un’altra promozione e forse per l’unica volta in carriera darà i meriti anche al mercato (il ds è di nuovo Perinetti). Poi è il momento della Juventus. Agnelli, appena salito al comando, lo chiama per rimettere in sesto la squadra dopo due settimi posti. Marotta e Paratici sono il braccio armato del mercato. Conte fiuta l’ambiente, parla di motivazioni e sudore, che tutti vanno bene, però poi - già che glielo chiedono - fa notare che «questa è una squadra che ha bisogno di diversi giocatori. Per essere competitivi servono innesti, e diversi innesti. Quanti? La società lo sa, e poi basta fare due conti». Dopo la prima amichevole dice di aver dovuto far giocare Pasquato, perché «a sinistra siamo carenti».

La Juve compra ma l’idea è che manchi qualcosa, un elemento di spessore. È la ricerca del “top player”, che assillerà questa Juve operaia per anni. Conte però è ossessionato piuttosto da avere uomini, carne fresca da triturare con i suoi allenamenti: «Chissenefrega se sarà un top player o un bass player. L'importante è che arrivino, che sappiano giocare a pallone e che abbiano fame». Il tormentone è l’esterno. Per permettere a Conte di fare il suo 4-2-4 ne servono il più possibile. All’allenatore non bastano De Ceglie, Grosso, Pepe, Krasic, Lichtsteiner, Giaccherini ed Estigarribia, nell’ultimo giorno di mercato arriva, a grande richiesta di Conte l’esterno perfetto per il suo gioco, Eljero Elia. Eppure dopo pochi giorni l’olandese viene fatto fuori, ritenuto inadatto dall’allenatore. L’ultima stilettata al mercato - un ottimo mercato - arriverà dopo un pareggio col Catania a fine settembre: «Non è che in estate abbiamo preso Walcott, Nani o Tevez, gente che in Italia nessuno si può permettere, ma giocatori giovani e di prospettiva», una frase in qualche modo simile a quella usata per il Tottenham, ancora più difficile da decifrare visto che gli arrivi più importanti erano stati Pirlo, Vidal, Lichtsteiner e Vucinic, nessuno davvero giovane.

La sua Juventus riesce comunque a vincere lo Scudetto, passando dal 4-2-4 a un 3-5-2 che esalta i giocatori presenti in rosa. L’estate successiva è quasi totalmente occupata dal processo per calcioscommesse in cui è coinvolto e che gli costerà una squalifica di 4 mesi lasciando la parola al più ecumenico Massimo Carrera («colpa della crisi» dirà, quando gli chiedono del mancato arrivo del top player). Conte torna in tempo per il mercato di gennaio, dove esce fuori un altro lato del suo carattere: l’attaccamento ai propri giocatori. Quando gli chiedono delle possibili cessioni, parla di tutti come figli: «Da qui non si muove nessuno: De Ceglie rimane con noi e Isla alla Samp è una notizia assurda». Boccia Drogba, ma solo perché costa troppo, e accoglie Llorente, che si libererà gratis in estate per firmare con la Juventus. L’ossessione di una punta, per sostituire l’infortunato Bendtner, rimane. Parlando di Cavani dice: «I marziani ce li hanno altrove». All’ultimo giorno utile di mercato arriva dalla Cina Nicolas Anelka, fortemente voluto da Conte e poi schierato per un totale di 45 minuti.

La Juventus però va come un treno, l’unico intoppo è nei quarti di Champions League, nel doppio confronto con il Bayern Monaco che poi vincerà la coppa. Dopo l’andata, sconfitta per 2-0, evidenzia la differenza di valore tra i due club: «Loro stanno costruendo la cima del grattacielo, noi siamo ancora con la paletta e il secchiello».

In estate arrivano i primi segnali di insofferenza di Conte, forse consapevole che il suo calcio richiede grande ricambio: «Sono stanco e c'è stanchezza in alcuni elementi della squadra, che rischia di essere difficile riuscire a motivare per la terza stagione consecutiva». Se in entrata arrivano Llorente e Tevez sono le cessioni a far imbufalire l’allenatore: quella di Giaccherini al Sunderland e soprattutto quella di Matri, spedito al Milan all’ultimo giorno di mercato. Pur in un attacco gonfio di punte, Conte non accetta di perdere un suo giocatore, soprattutto se a favore di una rivale. La cessione di Matri - che in rossonero segnerà appena un gol - diventa il pretesto per attaccare la società: «Vendendo Matri abbiamo rinforzato il Milan. [...] Con l'uscita sua e di Giaccherini ci siamo indeboliti. Mi piacerebbe trovarmi una volta dalla parte opposta e spendere 100 milioni su un giocatore. Marotta dice che possiamo giocarcela alla pari con il Real? È inutile prendersi in giro: in questo momento c’è un carro armato con di fronte un’automobile...».

Di mercato torna a parlare dopo il pomeriggio di Istanbul, una sconfitta nel pantano che elimina la Juventus dai gironi di Champions. Conte torna a dare la colpa al mercato; «è da pazzi pensare di vincere la Champions League con 2-3 acquisti» è la sua difesa. La stagione prosegue con lo Scudetto dei 102 punti e una disgraziata eliminazione nella semifinale dell’Europa League contro il Benfica. Il rapporto tra Conte e la società è sempre più teso. Dopo una partita con l’Atalanta l’allenatore pronuncia la sua frase più famosa, una specie di mantra che sarà poi smentito dagli eventi. Si parla di divorzio per mancanza di motivazioni, dopo il terzo Scudetto consecutivo e a un giornalista che gli chiede se non sogna di vincere in Europa con questa squadra, Conte risponde: «Quando ti siedi in un ristorante dove si pagano cento euro, non puoi pensare di pagare con dieci euro. È chiaro?».

Due settimane dopo, il 19 maggio, la Juventus conferma Conte come allenatore ma senza rinnovo, con un tweet di stringato ermetismo che lascia intendere come sia più che altro un quieto vivere tra le parti. Conte rimane, forse convinto dalle promesse di mercato. E infatti in quelle settimane c’è un turbinio di voci intorno alla Juventus anche più corposo del solito. Il giorno del ritiro, però, gli unici volti nuovi sono quelli di Coman, preso dalle giovanili del PSG, e Morata, preso da quelle del Real. Non si sa bene cosa accade, ma dopo un giorno di ritiro Conte lascia. Tra le motivazioni più indicate ci sarà il mancato arrivo di Cuadrado, idealizzato dall’allenatore come l’uomo necessario a cambiare la squadra.

Ho la panchina corta e per questo la notte non dormo

Dopo la parentesi con la Nazionale, dove non c’è mercato, Conte siede sulla panchina del Chelsea, una delle squadre più ricche del mondo. Nei due anni in cui è stato in carica, i Blues hanno speso quasi 400 milioni di euro sul mercato, placando però solo in parte le fisime dell’allenatore. Se dall’esperienza al Chelsea non ci sono dichiarazioni agguerrite o interviste al vetriolo, più volte sono uscite indiscrezioni di un Conte scontento dal mercato. E questo nonostante, soprattutto al secondo anno, la dirigenza abbia accontentato più di una sua richiesta - dai 66 milioni spesi per Morata agli oltre 80 per Drinkwater e Bakayoko, fino ad arrivare ai 25 spesi all’ultimo per Zappacosta (con il famoso “Who is Zappacosta” dei tifosi del Chelsea).

La rottura tra allenatore e società arriva anche a causa del mercato di gennaio. Conte chiede investimenti importanti per tornare a essere competitivi dopo una prima mezza stagione difficile. Il 25 gennaio, dopo una sconfitta con l’Arsenal in Coppa di Lega, se la prende con la società: «Se l'organico non è numeroso si fa fatica anche a fare turnover, non possono giocare sempre gli stessi. Ho la panchina corta e per questo la notte non dormo». Chiede Sanchez, Dzeko, Alex Sandro, riceve Emerson Palmieri, Giroud e Barkley. L’ultimo giorno del mercato perde con il Bournemouth, dice che «È una pazzia giocare in campionato nell'ultimo giorno di mercato» incolpando la società per aver ceduto Batshuayi senza un sostituto.

Il Chelsea incappa in qualche sconfitta di troppo, si parla di esonero. Si parla già di sostituti, del cattivo rapporto tra l’allenatore e la società. Conte si prende le sue responsabilità, con una dichiarazione che sembra tanto un’accusa: «Quando si tratta di convincere il club a comprare certi giocatori sono un mezzo disastro». Nel regno degli allenatori-manager sente di dover migliorare in quella che sembra una qualità intangibile: «Devo imparare parlando con altri manager abili nel convincere le proprie società a investire nei top player». Non ci riuscirà perché a luglio verrà esonerato, la distanza sul mercato sarà considerata uno dei motivi principali del suo licenziamento.

Non ci sono tanti soldini

Dopo un anno fermo, Conte riparte dall’Inter. Il suo arrivo è un terremoto, porta entusiasmo, taglia i rami secchi e chiede forze fresche. I primi nomi nuovi sono quelli di Godin, Sensi, Lazaro e Barella, ma all’allenatore non basta. Con più di un mese di mercato ancora davanti, il 19 luglio, fa scattare l’emergenza: «Sveglia Inter, siamo in ritardo. Inutile nascondersi, adesso ci troviamo in difficoltà. Con la società abbiamo la stessa visione, ma da una parte ci sono le parole, dall’altra i fatti». La sua insoddisfazione sembra atavica, impossibile da placare. Una settimana dopo è anche più netto: «Le decisioni sul mercato possono spostare l'ago della bilancia e anche delle aspettative». Tifosi e società gli chiedono di lottare per lo Scudetto, lui chiede garanzie per poterlo fare.

La garanzia è una: Romelu Lukaku. Conte insegue l’attaccante dai tempi della Juventus, ormai è diventata un’ossessione. Se finora non era stato capace nel farsi comprare i top player, l’8 agosto la maledizione si rompe: Lukaku diventa l’acquisto più oneroso della storia dell’Inter e il lavoro di Conte è decisivo.

Vorrebbe anche Dzeko, ma alla fine si deve accontentare di Sanchez, altro giocatore inseguito in passato. È comunque il mercato più consono alle sue aspettative che vive da quando è allenatore.

L’Inter si laurea campione d’inverno, ma Conte non è già più contento. «La Juve si rafforza, noi no» è il suo lamento. Dopo un pareggio con l’Atalanta dice che la coperta è corta. Vuole Vidal, un attaccante, degli esterni, ma si scontra con la realtà: «Non ci sono tanti soldini, il direttore è stato chiaro. [...] Dobbiamo trovare occasioni a buon mercato, altrimenti la vedo dura. Le idee ci sono, se c'è la possibilità di migliorare lo faremo. Dove non si può arrivare con i soldi bisogna arrivare con l'intelligenza e l'arguzia». Per ogni entrata deve arrivare prima un’uscita, una formula che Conte accetta come una coltellata, lui che non cederebbe nessuno: «Il direttore è stato molto chiaro: se ne arrivano due ne arrivano due, se ne vanno via tre ne arrivano tre. È matematica, stramatematica» dice. Alla fine arrivano Eriksen, Ashley Young e Victor Moses. Per la stampa è un buon mercato, Conte non è d’accordo «sembra che abbiamo preso metà Real Madrid».

Arriva il Covid, la stagione si allunga in estate. I primi di luglio viene ufficializzato l’arrivo di Hakimi, che sembra l’esterno perfetto per il gioco di Conte. Nel frattempo l’Inter arriva al secondo posto in campionato e perde la finale di Europa League. L’allenatore mugugna, non si sente tutelato dalla società, parla da ex allenatore. Dopo qualche attrito si convince a restare, si parla - come sempre in questi casi - di grandi promesse di mercato. Girano i nomi di Messi, Alaba, Kanté. Sarà un invece un mercato più conservativo, che allunga la rosa dopo una stagione lunghissima. «D'accordo col club abbiamo scelto una strategia, compatibilmente con la situazione generale legata alla pandemia e di quanto ci ha detto la proprietà» dice quando la stagione ricomincia, lasciando intuire che non ci saranno grandi colpi. Arriva però Vidal, che Conte aveva chiesto a gran voce.

Si arriva a gennaio con l’Inter in lotta per lo Scudetto con il Milan, ma con i gradi di favorita obbligatori, vista la qualità della rosa. Quando gli chiedono se faranno qualcosa sul mercato, Conte è perentorio: «Se vogliamo fare acquisti? Il verbo volere non esiste da agosto per noi. Sin dall'inizio la società mi ha comunicato la linea del club. Lavoro con questi calciatori e sono soddisfatto della rosa. Dimenticate il discorso mercato per l'Inter». È la nuova politica societaria, una chiusura dei rubinetti che per Conte è impossibile da tollerare. Il 23 maggio allena l’ultima partita stagionale da fresco Campione d’Italia e tre giorni dopo rescinde il contratto.

Davanti a un mercato a cedere invece che acquistare è impossibile per Conte restare. L'addio all'Inter è la sintesi del suo modo di vivere la panchina e il calciomercato, l'unico strumento su cui non può avere un controllo quasi totale. Per un allenatore maniacale come lui deve essere difficile avere a che fare con qualcosa di fluttuante e mutevole dove un giorno vale una regola e il giorno dopo un'altra. Qualche giorno fa ha citato una massima di Pantaleo Corvino sul mercato: «Puoi sbagliare la moglie, ma non puoi sbagliare l’attaccante e il portiere». Secondo lui è la miglior citazione sul calcio, quella che lo spiega meglio ed è, a conti fatti, una considerazione sul calciomercato, ecco il tipo di importanza che ha per Conte la compravendita dei giocatori. Ma ci si può fidare sempre del giudizio a voce alta di un allenatore? Dopo aver sminuito Kulusevski e Bentancur li ha impiegati tutti e due nella grande vittoria contro il City di Guardiola ottenendo grandi prestazioni dai due. Che li volesse piuttosto motivare?

Ieri sera, dopo la sconfitta con il Burnley, la quarta in cinque partite, Conte ha sostenuto che il club «debba fare delle valutazioni». L'allenatore è stato critico verso il suo lavoro, certo, ma anche e soprattutto verso la società, lasciando intendere che se negli ultimi anni diversi allenatori hanno fallito, forse la colpa non era tutta loro. Anche in questo sfogo, dettato dall'adrenalina della partita, Conte ha fatto dei richiami impliciti al calciomercato, magari non quello specifico di gennaio, ma al modo in cui il Tottenham ha costruito la sua rosa negli ultimi anni. Ora il futuro è incerto, eventualmente dovrà aspettare giugno per avere nuovi giocatori, in una squadra che negli ultimi anni però non è sembrata molto abile nel mercato. Conte si smarcherà ancora prima di provare? Difficile dirlo, certo il club di Londra, per struttura e dirigenti, non sembra quello più adatto ad accontentarlo, ma, in fin dei conti, chi può accontentare Conte?

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