Chi non segue la Liga - e non è svedese - si è ricordato dell’esistenza di Alexander Isak durante lo scorso Europeo, titolare in una Svezia orfana di Zlatan Ibrahimovic. Anche se doveva ancora compiere 22 anni, sembrava già entrato e uscito dai nostri ricordi: il giovane di talento che si fa notare troppo presto, a sedici, diciassette anni, e di cui poi perdi le tracce. Finito alla Real Sociedad, dopo non essere riuscito a sfondare nel Borussia Dortmund, ovvero il club che forse in assoluto sembra adatto a far emergere talenti giovani, Isak pareva aver preso la strade dei sogni infranti.
Quando contro la Spagna (0-0), al sessantesimo circa, si è girato in area di rigore e, circondato da tre avversari, si è liberato di loro con due dribbling in un metro quadrato (prima un giochino con la suola sinistra per spostarsi la palla a destra, con anche un rimpallo vinto, poi un crossover destro-sinistro per allungarsela in profondità) e ha costruito l’azione da gol più chiara per la Svezia, crossando basso, forte e teso, per Berg a pochi passi dalla porta, è stato naturale chiedersi cosa fosse successo, cosa gli avesse impedito di giocare già in una delle grandi d’Europa, o almeno una squadra stabilmente in Champions League.
La partita successiva, contro la Slovacchia, è stato premiato come migliore in campo dopo che nel secondo tempo ha fatto a pezzi l’intera difesa avversaria in almeno un paio di occasioni (oltre a giocare il pallonetto filtrante che ha messo Quaison davanti al portiere e da cui è scaturito il fallo da rigore che ha deciso la partita). Sempre partendo palla al piede, con campo e spazio davanti, con una velocità a cui i giocatori slovacchi facevano fatica a stare dietro e un controllo del pallone da giocoliere. Al settantesimo è partito in diagonale dal centro verso il lato sinistro, ha saltato due giocatori in mezzo al campo, uno (Kucka) lo ha inseguito e ha provato a chiuderlo in scivolata ma lui gli ha spostato la palla da davanti, quasi sulla riga laterale si gira in direzione della porta incrociando il passo sopra alla palla e poi parte di nuovo alla carica, punta il terzino e lo salta secco, prima di tirare forte sul primo palo, all’angolo basso. Dubravka, il portiere slovacco, ha evitato quello che con grande probabilità sarebbe stato uno dei gol più belli del torneo.
Il fatto è che di Isak si parla da quando a sedici anni ha segnato i suoi primi gol nel campionato svedese, con la maglia dell’AIK (tra cui una doppietta da finalizzatore spietato contro il Djurgården, una delle vittime preferite anche di Ibrahimovic). In quel periodo il suo compagno di squadra, il nigeriano Chinedu Obasi aveva detto che se tutto fosse andato bene la Svezia avrebbe avuto un «nuovo Zlatan Ibrahimovic». Di origini etiopi, anche lui oltre il metro e novanta, in realtà Isak sembra molto diverso da Zlatan sia caratterialmente («Bisogna restare calmi. E io lo sono» ha detto lui, dove Zlatan è stato il prototipo del ragazzo problematico che vuole tutto e subito; «Nessuno sa cosa ci riserva il futuro, né te né io. Per questo prendo le cose con grande calma», mentre Zlatan ha predetto il suo stesso successo con una sicurezza davvero ultraterrena) che tecnicamente. Ibrahimovic sembra essere esploso di colpo, passando dalla panchina nella Serie B svedese all’Ajax, anche se poi ha continuato a crescere ed evolversi è diventato chiaro quasi subito che giocatore fosse, mentre Isak sembra aver bisogno di più tempo per definire il proprio talento.
In ogni caso, anche se non è chiaro cosa sia successo ai tempi del Dortmund - lui è sempre stato molto discreto in proposito: «Non ho giocato molto ma sono diventato un giocatore migliore» - già nei sei mesi passati in prestito in Olanda, al Willem II, nella seconda parte della stagione 2018-19, Isak aveva segnato 13 gol in 16 partite. E la sua seconda stagione alla Sociedad, quella 2020-21, ha segnato 17 gol in Liga. Già a cavallo tra la fine del 2020 e il 2021, sei mesi prima dell’Europeo, aveva vissuto un altro momento luminoso quando, tra Liga e Copa del Rey, ha segnato 12 gol in altrettante partite, segnando un gol al Camp Nou contro il Barcellona e una doppietta al Bernabeu, contro il Real Madrid.
La performance che meglio esemplifica il suo talento di finalizzatore è quella con il Real Madrid, in la Real Sociedad vince 3-4 al Bernabeu e lui segna due gol - più uno annullato, su assist di Odegaard; più l’assist per il quarto gol di Merino, dopo aver saltato Marcelo con una finta e crossato rasoterra una palla che ha tagliato l’area piccola come un raggio laser inseguito dai gatti - due gol, dicevamo, molto diversi tra loro ma con la stessa facilità nel coordinarsi per concludere nel modo migliore. Nel primo caso impatta un cross leggermente arretrato alzando la gamba sinistra sopra l’altezza dell’anca, piegando il busto dalla parte opposta per tenere bassa la palla e mandandola di collo pieno sul secondo palo, con una precisione acrobatica stupefacente. Nel secondo controlla una palla che arriva in area di rigore, oltre il secondo palo, e con tutta calma calcia di collo pieno sotto l’incrocio più vicino.
Dopo il gol non esulta neanche (la Real avrebbe vinto 4-3, erano i quarti di Copa del Rey) come se fosse la cosa più normale del mondo, ma in realtà anche in questo caso l’angolo di tiro è strano, in qualche modo sorprendente. E molti degli attaccanti migliori al mondo non avrebbero saputo essere pericolosi da una posizione così defilata, con così poco spazio. La sua finalizzazione è sempre fredda e pulitissima. Forse persino troppo. Anche la potenza dei suoi tiri (nell’ultimo anno è stato nel 20% degli attaccanti a tirare di più in porta secondo i dati Statsbomb e nel 12% di quelli che hanno prodotto più npxG) dipende dalla tecnica con cui calcia, piuttosto che dalla forza muscolare, e spesso sono tiri inventati, con palloni fatti passare in spazi inesistenti o parabole complicate, controintuitive.
Il che non è detto sia un pregio. Al momento Isak manca di quella fame di gol che porta i centravanti da 20 e più gol a stagione a spingere il pallone in rete a volte con la pura forza di volontà. La sua intensità va e viene durante la partita, quando il suo talento si accende è luminoso, ma quando la luce traballa fatica a illuminare le sue giocate, che sembrano velleitarie, sciatte. Sia chiaro: Isak è tutt’altro che disordinato, trasandato, sembra giocare in smoking anzi per quanto è elegante: nel modo in cui, ad esempio, ruota su stesso per cercare spazi con una visuale a 360°, girando sull’esterno destro, manipolando la palla con la suola e gli avversari con le anche, o passando sopra la palla con un passo da Fremen, ricorda le piroette e i giochi di equilibrio di Zinedine Zidane.
A settembre, in Nations League, ha fatto di nuovo parlare di sé segnando un gol pazzesco contro il Kosovo. Partendo largo a sinistra, rientrando con un tunnel su un centrocampista avversario e calciando d’interno piede da fuori area, con un difensore addosso e almeno un altro sulla traiettoria, con una parabola tesa che si è infilata nell’incrocio dei pali più lontano. Sono due invenzioni una dopo l’altra, il dribbling e il tiro, che lasciano pensare a un giocatore potenzialmente autosufficiente, in grado di decidere e piegare il contesto di qualsiasi partita alla sua volontà. Ma questo, per ora, è Alexander Isak ogni tanto.
Come molti giocatori tecnici, deve riuscire ad aggiungere intensità e solidità al suo gioco. Mi viene in mente un altro giocatore francese, campione del mondo nel ‘98 e d’Europa nel 2000, Robert Pires, e quella scena del documentario Les Yeux Dans Les Bleus in cui il tecnico della nazionale francese Aime Jacquet lo mette in guardia: «Muscle ton jeu Robert! Muscle ton jeu...». Rafforza il tuo gioco, dagli sostanza, fagli crescere i muscoli. Isak in realtà ha già uno stile più fisico dei primi anni, nei duelli individuali è difficile da spostare, con i fianchi protegge palla e quando se l’allunga, grazie alle lunghe leve, la recupera anche quando col busto è dietro all’avversario, e ci arriva sempre un attimo prima che gliela tolgano.
Piano piano, col tempo necessario, sta venendo fuori che tipo di giocatore è. E cioè un centravanti che ama svariare, che viene incontro alla palla e si allarga, a suo agio con l’uomo alle spalle, fenomenale nei controlli orientati, velocissimo e letale in transizione (in questo si vede che è parte della stessa generazione di attaccanti come Haaland, abituati a giocare contro il pressing e le difese alte). Creativo negli spazi stretti e rapidissimo in campo aperto, anche nel leggere le le situazioni e pensare le giocate. Un attaccante di un metro e novanta con un dribbling imprevedibile e spesso indifendibile, che porta palla a velocità elevate e con tocchi frequenti, che si passa la palla dal destro al sinistro con la fluidità che ricorda quella della croqueta di Iniesta (lo so, è un altro paragone forse troppo nobile) e che è in grado di tirare in porta da angoli stretti, facendo sembrare facili soluzioni difficili.
Quest’anno in campionato non aveva ancora segnato prima dello scorso week-end. Si è sbloccato contro l’Atletico Madrid, portando il risultato sul 2-0 dopo aver fatto l’assist per l’1-0 (prima, comunque, che Luis Suarez si svegliasse dopo l’ora di gioco e pareggiasse la partita segnando una doppietta). Il primo pallone toccato da Isak è l’assist per il gol del vantaggio di Sorloth: una semplice sponda di prima, rasoterra, dopo essersi allargato a destra e aver creato la voragine in cui ha corso il compagno di squadra. Un gesto tecnico semplice ma di grande intelligenza.
Poi nel secondo tempo ha segnato una punizione, calciando di destro, da sinistra, sul palo del portiere, Oblak, ingannato da un rimbalzo e dal tiro teso e veloce. Poi ha segnato anche nella giornata successiva, ieri sera contro il Celta Vigo, mettendo nella porta vuota una respinta del portiere su un tiro di Januzaj: più facile di così non si può, ma l’azione l’ha cominciata lui prendendo palla a destra, accentrandosi, mettendo pausa al gioco con una delle sue piroette e accelerando subito dopo, servendo con il sinistro il taglio esterno di Portu, che serve Januzaj davanti al portiere.
Isak non avrà mai, probabilmente, il dominio fisico di Zlatan sugli avversari né il suo controllo dittatoriale del pallone; non è forte di testa, né preciso quando la prende lui, non è neanche perfetto nelle protezioni, ma forse può diventare più associativo, giocare a meno tocchi senza per questo giocare meno in assoluto (già adesso non partecipa moltissimo al gioco: circa 17 passaggi in media ogni 90 minuto, troppo poco per uno con le sue qualità) e in generale avere meno momenti vuoti all'interno delle partite. E una squadra come la Sociedad di Imanol Alguacil, che ama attaccare in transizione ma anche costruire trame elaborate con giocatori molto qualitativi, può essere il contesto più adatto per aggiungere questo aspetto ulteriore al suo gioco.
Intanto, prima del derby con l’Athletic Bilbao di domenica, con 3 punti e una partita giocata in più rispetto a Real Madrid, Siviglia e Betis, la Real Sociedad è prima in classifica in Liga. E alla speranza che possa durare, che possa competere quanto meno per un posto in Champions League, è legata a doppio filo la stagione di Alexander Isak. Potrebbe essere quella della sua definitiva consacrazione o solo un altro passo verso la costruzione di un attaccante completo e con qualità uniche, l’importante è che si vada avanti, che Isak continui ad avere i suoi momenti di brillantezza geniali ma anche che riesca a riempire lo spazio tra un momento e l’altro di giocate utili e intelligenti. A ventidue anni appena compiuti Isak è uno dei giovani più interessanti del calcio europeo e se negli ultimi anni ci eravamo un po’ dimenticati di lui, mentre lui giocava a nascondino, procrastinando, evitando le responsabilità che accompagnano il suo talento, adesso non abbiamo più scuse. Né noi, né lui.