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Affrontare il cambiamento, intervista a Morten Thorsby
21 ott 2021
21 ott 2021
Il centrocampista norvegese della Sampdoria è un calciatore unico.
(articolo)
10 min
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«Provo ogni giorno ad imparare qualcosa. Devo diventare più stabile, più continuo, perché il campionato italiano non ammette errori». Quando Morten Thorsby è arrivato in Serie A, all’inizio della stagione 2019-20, in pochi conoscevano quel norvegese ventitreenne proveniente dal campionato olandese. Ci ha messo un po’ a diventare titolare e dopo una decina di partite giocate consecutivamente il campionato si è interrotto, come tutto il resto, per via dell’emergenza da Covid-19, a inizio primavera 2020. Lui si è ammalato subito e ha dovuto passare le prime settimane di lockdown completamente da solo. Ne ha approfittato per imparare l’italiano: «Ho fatto lezione tutti i giorni. L’unico momento con un’altra persona, su Skype, oltre a quelli con la mia famiglia, era con la mia professoressa di italiano».

L’importanza di studiare e apprendere cose nuove è il tema venuto fuori più volte durante la nostra conversazione. Cresciuto in una famiglia di sciatori - il padre, prima che gli venisse diagnosticato un problema cardiaco, competeva a livello nazionale, e anche la madre faceva sci alpino - fino ai quattordici anni, Thorsby ha praticato molti sport. Due d’inverno e due d’estate, così da avere tutto l’anno pieno. «È stato importante fare movimenti differenti, ma lo è stato anche imparare ad imparare a fare cose diverse. Così il tuo corpo si abitua a imparare velocemente».

È rimasto indeciso a lungo se dedicarsi esclusivamente al calcio o continuare con lo sci di fondo. «Non so se per fare il calciatore sarebbe stato meglio fare solo quello da sei anni. Magari oggi sarei più forte», dice sorridendo. «È una domanda difficile, che ci facciamo in Norvegia: i giovani che vogliono fare i calciatori dovrebbero fare solo quello o devono fare più sport? Io sono molto felice del mio percorso, non posso sapere se sarei stato più forte, ma alla fine la mia storia dimostra che è possibile fare più sport per molti anni, scegliere dopo invece che prima».

Oggi che lo conosciamo meglio sappiamo che Thorsby non è il tipico calciatore, e questo è dovuto anche al fatto che non ha avuto chiaro dal principio che quella sarebbe stata la sua professione. Il momento decisivo è arrivato quando lo ha cercato l’Heerenveen, dopo poche partite da titolare nel campionato norvegese. «Avevo diciassette anni e c’era la possibilità di andare negli Stati Uniti con una borsa di studio, per studiare e giocare a calcio. Dato che a me interessano anche altre cose oltre al calcio, pensavo che quella fosse la cosa giusta da fare. Ma poi è arrivato l’Heerenveen e dovevo scegliere se trasferirmi in Olanda. Avrei dovuto dire sì o no in due settimane e ho scelto il calcio… ma forse è il calcio che ha scelto me, non il contrario».

Nell’ultima partita giocata, prima devia sfortunatamente il tiro di Caceres che vale il 2-0 per il Cagliari, poi accorcia le distanze con un colpo di testa in torsione.

Usare il calcio per aiutare il pianeta

La giovinezza passata in mezzo alla natura norvegese ha avuto anche un altro tipo di influenza su di lui. Di Thorsby si è parlato quest’estate, quando ha scelto di cambiare numero di maglia adottando il “2” di un terzino destro, lui che è un centrocampista centrale, per ricordare a tutti il limite massimo - 2 gradi centigradi, anche se in realtà dovremmo restare sotto al grado e mezzo - fissato dall’Accordo di Parigi per il riscaldamento globale. Si è guadagnato il soprannome di “Greta Thunberg” del calcio, un’etichetta che però rischia ingabbiarlo, come se il suo impegno fosse una moda, una curiosità. “Toh guarda, un calciatore ecologista”.

Il coinvolgimento di Thorsby invece è di lunga data, risale agli anni in cui non giocava ancora titolare, in Norvegia. «Se non giochi non stai bene e io in quel periodo volevo pensare ad altre cose, non a me. Perché il calcio è una cosa molto egoistica, stai sempre a pensare a te stesso, a come andare avanti. È importante avere una cosa che ti dia una prospettiva, è importante sapere che il mondo è più grande del calcio».

Per sensibilizzare il pubblico calcistico sulla crisi climatica e spingere il calcio a diventare sostenibile - «Il mondo del calcio è un po’ indietro, ci sono altri settori della nostra società che sono più avanti, ma io penso che possa essere fondamentale in questa battaglia» - ha creato una fondazione chiamata We Play Green. L’emergenza climatica e le sue possibili conseguenze sono un tema difficile, di cui persino la stampa generalista sembra parlare poco volentieri. Ma gli incendi, le alluvioni e gli altri eventi “eccezionali” sempre più frequenti lo rendono per forza di cose sempre più attuale. «Quando ho iniziato a parlare di questo tema, sette anni fa, la consapevolezza era più bassa. Sono cambiate molte cose anche solo negli ultimi cinque anni. Adesso molti miei compagni mi chiedono di cosa si tratta, capiscono che sta succedendo qualcosa».

La scorsa stagione, dopo aver perso le prime due partite, la Samp ha battuto Fiorentina, Lazio e Atalanta, salendo fino al sesto posto. Contro la "Dea", Thorsby ha segnato il suo secondo gol in Serie A.

Thorsby parla (in italiano, ovviamente, a cui ho dovuto aggiustare davvero pochissimo scrivendo) con un tono sicuro e un’intensità simile a quella che porta nel campo da calcio. «Il prossimo step è che diventi una cosa normale. Che non sia io a fare questa cosa per conto mio, ma che ci si muova tutti nella stessa direzione».

Per ridurre al minimo gli effetti del cambiamento climatico è forse già troppo tardi e personalmente non riesco a non angosciarmi pensando a mia figlia di quasi tre anni, che probabilmente crescerà in un mondo peggiore di questo. A differenza di Thorsby, però, che ha quindici anni in meno di me, ho potuto vivere una giovinezza spensierata. «Quando sai come stanno le cose è impossibile tornare indietro. Perché è una situazione grave. I miei genitori a 25 anni non avevano questa paura, perché non lo sapevano, noi adesso lo sappiamo». Fa una pausa, poi si corregge. «Non tutti lo sanno ancora. E questo è il primo passo: tutti devono sapere come stanno le cose».

La domanda che gli viene fatta più spesso è: cosa posso fare io? «Si possono fare molte cose: la raccolta differenziata, prendere la bicicletta, spegnere le luci, eccetera. Ed è una parte importante, per diminuire la tua carbon footprint. E per influenzare le persone intorno a te. Ma se mi chiedi una sola cosa da fare, una sola, votare è quella più importante. Perché fa la differenza, decide il sistema in cui viviamo». Poi gli torna in mente la cosa che ho detto sua mia figlia e aggiunge: «Io non ho figli, ovviamente ci sto pensando. Non so in che mondo crescerebbero, lo scegliamo noi nei prossimi anni. È un momento molto importante e dobbiamo provare ad attivare più persone possibile, ad avere più persone coinvolte possibile».

Senza dimenticarsi del calcio

Anche su un campo da calcio, Morten Thorsby si distingue dagli altri calciatori, anche solo per il ciuffo di capelli biondissimi che gli si alza dalla fronte quando corre, è impossibile non notarlo ogni volta che ingaggia un duello con un avversario. In due stagioni (la prima difficile, con la salvezza raggiunta a poche giornate dalla fine; la seconda brillante, conclusasi però con l’addio Claudio Ranieri) è diventato un punto fermo del centrocampo della Samp. «Da ragazzo ero più piccolo, non ero così forte nei duelli. Negli ultimi anni sono cresciuto e ho cambiato un po’ modo di giocare».

Semplicemente un gol di Thorsby che salta più in alto del portiere in uscita, niente di eccezionale, no?

Secondo i dati Statsbomb, nell’ultimo anno Thorsby ha vinto 4.9 duelli aerei in media ogni novanta minuti: è nel 99esimo percentile dei centrocampisti che giocano nei principali campionati europei. Ovvero, nell’1% dei centrocampisti che vincono più duelli aerei. Ma è anche nel 10% di quelli che vanno più spesso in pressione su un portatore di palla avversario (23.19 volte) e nel 15% di quelli che toccano più palloni in area di rigore avversaria (2.08).

Dei cinque gol segnati per ora in campionato, quattro sono di testa (solo contro l’Inter nella prima partita giocata a giugno 2020, dopo il lockdown, ha segnato di piede respingendo un colpo di testa di Colley finito sulla traversa). Contro il Cagliari, lo scorso week-end, ha segnato di testa il gol del momentaneo 2-1 (Joao Pedro, poi, ha segnato quello del definitivo 3-1), in torsione, senza saltare, anzi piegandosi verso il basso, mostrando comunque una qualità nel colpo di testa che pochi hanno nel nostro campionato.

Gli chiedo come mai è così bravo di testa: «Non lo so. Prima non ero così forte, anche nell’Under 21 non ero così forte. Con Ranieri giocavamo tutte le palle lunghe su di me, direttamente dal portiere, spesso lanciavamo su di me, e dopo un po’ ho imparato a saltare al momento giusto. Perché questa è la cosa fondamentale, sono alto sì, uno e ottantotto, ma non altissimo, il punto è saltare al momento giusto».

Gli scandinavi, d’altra parte, eccellono negli sport in cui si salta, Duplantis e Warholm sono stati tra i protagonisti degli scorsi Giochi Olimpici. «È divertente adesso» dice Thorsby, «Abbiamo molti grandi sportivi, compreso Haaland. È bello far parte di questa generazione». Per i giovani norvegesi, avere giocatori come Haaland e Odegaard può significare molto: «Hai più speranza nel fatto che magari puoi crescere in Norvegia e diventare un calciatore importante. E poi fino a un po’ di tempo fa, contro certi Paesi pensavamo di essere inferiori. Adesso invece stiamo prendendo fiducia, e anche questo può essere importante per lo sviluppo di molti giovani bravi che ci sono in Norvegia».

La magia è di Quagliarella, ma anche la rifinitura di Thorsby non è banale.

Probabilmente anche vedere Morten Thorsby in Serie A può aiutare. Quando gli chiedo come descriverebbe le sue qualità in campo lui risponde: «Mi vengono in mente quei momenti in cui faccio molti duelli. In cui faccio un duello, poi un altro duello, in cui c’è una palla persa, la riconquisto… questo è il mio stile: energia, crederci, senza fermarmi mai». E poi c’è la pressione che porta sugli avversari (a volte è anche troppo aggressivo, contro il Cagliari, all’ottava giornata di campionato, ha rimediato già la sua quinta ammonizione stagionale, che gli farà saltare la prossima partita con lo Spezia) anche fino alla loro trequarti, o nella loro area di rigore. «Questo è un aspetto del gioco molto adatto a me, perché ho una grande condizione, posso correre tanto».

Il suo contributo offensivo passa spesso in secondo piano, rispetto alle qualità puramente difensive. «Quando mi riguardo giocare, sembro una cosa con tante braccia e tante gambe. Non sono fluido come un brasiliano, e questo forse è caratteristico anche di altri giocatori scandinavi. Ma a volte mi sento anche non capito come giocatore, perché posso fare molte cose buone anche in fase offensiva. Spesso non sembra che faccio le cose in maniera pulita, ma poi la palla arriva là dove volevo io».

Mi viene in mente la partita di Parma del luglio 2020, fondamentale per la salvezza della Sampdoria. Sotto di due gol a fine primo tempo, rimonteranno fino a vincere 3-2, e il gol del pareggio lo segna Quagliarella con uno splendido pallonetto, su un’occasione però costruita interamente da Thorsby. Dopo aver intercettato una specie di cross di Quagliarella, forte e teso, stoppandolo di petto al limite dell’area, Thorsby viene aggredito da due giocatori del Parma: prima ruota verso sinistra, proteggendo la palla dal primo avversario, poi con una specie di piroetta si gira dalla parte opposta, liberandosi del secondo. Arrivato in area di rigore, restituisce la palla a Quagliarella, che inventa.

Forse, gli dico, fa parte di quella categoria di giocatori sempre sottovalutati, che fanno bene le cose importanti ma poco visibili di cui sono ricche le partite. E magari i tifosi sono pochi abituati a fare caso a questo tipo di giocate. «Forse sono io che devo farlo vedere di più, devo provare a fare di più queste cose. Devo crescere, perché so che posso fare più di queste cose se cresco ancora». Come con il cambiamento climatico, Thorsby non si dà per vinto. C’è ancora tempo per migliorare le cose, e per migliorare se stesso.

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