
Qualcuno potrebbe avervelo venduto così, ma Adrian Mutu non era il classico giocatore “genio e sregolatezza”. Sicuramente la punta rumena è stata protagonista di squalifiche che ne hanno condizionato la carriera, ma allo stesso tempo ha anche fatto della continuità di rendimento uno dei suoi punti di forza, fermo restando che i picchi nella seconda metà degli anni 2000 lo avevano reso uno dei migliori attaccanti della Serie A in quel decennio.
Mutu, che ha legato il suo nome indissolubilmente alla Fiorentina, è stato inoltre uno degli ultimi interpreti di un ruolo, quello della seconda punta, che negli anni a seguire si è estinto e sta tornando ad affacciarsi solo nelle ultimissime stagioni. Un giocatore unico, il prodotto di una precisa epoca storica - i primi anni 2000 che stavano rigettando i dogmi del 442 sacchiano – nei pregi e nei difetti.
GLI INIZI
Mutu arriva in italia nel gennaio del 2000: ha appena compiuto 21 anni e viene da 18 gol in altrettante presenze con la Dinamo Bucarest. L’Inter spende una quindicina di miliardi, ma in una stagione abbastanza travagliata per i nerazzurri il romeno non trova molto spazio. Nell’estate dello stesso anno viene dunque ceduto in comproprietà all’Hellas Verona, che lo riscatterà definitivamente l’estate del 2001 per 5,1 miliardi di lire.
Al primo anno in Veneto gioca 20 partite da titolare segnando 4 reti, nel 2001/02 triplica il suo score (12 gol in 32 presenze). Quella squadra, che chiuderà il girone d’andata con 25 punti, a febbraio è addirittura settima in classifica, tanto da convincere la società a rinnovare il contratto a Malesani. Sembrava fatta e invece il Verona perderà 9 delle ultime 12 partite, andando incontro a una rocambolesca retrocessione in Serie B. Una delle più inspiegabili a posteriori se consideriamo la carriera che avrebbero avuto, oltre a Mutu, i vari Camoranesi, Gilardino, Oddo, Cassetti e Paolo Cannavaro.
All’Hellas il romeno mette in mostra il suo stile di gioco estremamente riconoscibile, in un certo senso sovrapponibile a quello di diversi attaccanti centrali di quel periodo: un giocatore estemporaneo, che forza tante giocate quasi per fiaccare la fase difensiva avversaria sul lungo termine. Una specie di sonda, che tasta il terreno alla ricerca di spazi utili.
Nel 3421 di Malesani, Mutu si muove nello spazio interno di sinistra al fianco di Camoranesi e alle spalle di Frick. Non si allarga troppo, anche perché su quella fascia è Seric a garantire l’ampiezza, però viene coinvolto lungo la fascia centrale anche in zone piuttosto basse.

In quest’azione l’attaccante è esattamente alla stessa altezza di Camoranesi. I due saranno compagni di squadra anche alla Juve.
Il Mutu di inizio carriera rappresenta la versione più frizzante, con sterzate e accelerazioni che scandiscono le sue corse con la palla. Tante giocate ambiziose e non sempre consapevoli, che denotano coraggio e irriverenza. Del resto nel calcio dei primi anni 2000 non si era ancora sviluppata un’idea di controllo, degli spazi e in particolare della palla, e si ricercava la superiorità territoriale attaccando in maniera abbastanza diretta, senza ricercare una fase offensiva troppo collettiva o codificata. Alla seconda punta non era richiesto tanto un lavoro di raccordo o di regia, quanto di caricare la linea difensiva partendo qualche metro dietro al centravanti e cercare il colpo risolutivo (un dribbling, una conclusione o un’imbucata) anche in situazioni non propriamente convenienti, o magari raccogliendo le seconde palle. Uno stile più quantitativo che qualitativo, che l’attaccante nato nel 1979 incarna in maniera fedele.
Mutu dentro a questo volume di gioco accendeva saltuariamente dei lampi abbaglianti: nell’ultima giornata del campionato 2001/02 contro il Milan, riceve palla da Camoranesi all’altezza della linea mediana e, tornando verso il centro del campo, effettua un tunnel involontario a Pirlo. I rossoneri si riposizionano mentre Mutu avanza, ma nessuno lo vuole affrontare. Ai 30 metri si avvicina Kaladze, probabilmente per indirizzarlo sul sinistro, il suo piede debole, ma Mutu lo mette a sedere grazie a un cambio di direzione repentino sterzando verso destra. Non è in una posizione favorevole per calciare: si trova ai 20-25 metri dalla porta (che non viene nemmeno inquadrata dalla regia) con due avversari potenzialmente sulla sua traiettoria, Gattuso e Maldini. Mutu però per caratteristiche gioca costantemente al rialzo e decide di tirare. Scocca una conclusione potente di collo, che assume quasi una traiettoria rettilinea e fluttua in aria prima di infilarsi sotto la traversa.
Da questa inquadratura si apprezzano meglio il dribbling su Kaladze e la parabola del tiro.
Il romeno fa le scintille, anche perché fisicamente è spesso e accetta volentieri il contatto, senza farsi sbilanciare. Quel Verona del resto chiedeva tanto a lui e a Camoranesi, che dovevano portare palla perché la squadra riuscisse a risalire il campo. In quella partita subisce almeno 6 falli, ma a sua volta affonda il tackle come un difensore: in questo gol alla Fiorentina, ruba palla a Torricelli, poi va a contrasto con Adani con il timing degno del miglior Maldini, ricavandosi lo spazio necessario per disegnare un destro a giro sul palo lungo. È la sintesi di un ottimo tiratore da fuori, ma anche di un giocatore abbastanza falloso, talvolta scomposto negli interventi: in carriera si prenderà 83 ammonizioni (e 5 espulsioni) in 452 presenze, praticamente un giallo ogni 5 partite e mezzo.
È il rovescio della medaglia del suo temperamento, che unito al suo dinamismo costituisce una costante del suo gioco: alla terza giornata del campionato 2000/01, l’Hellas batte la Lazio campione d’Italia con due reti che raccontano che tipo di giocatore fosse Mutu in quel periodo. Prima un doppio dribbling con cui arriva sul fondo e propizia l’autorete di Favalli, poi attacca la profondità come una punta d’area di rigore e finalizza l’assist di Giuseppe Colucci, trovando il primo gol in Serie A.
Dopo due campionati al Verona passa al Parma per 13 milioni di euro. In Emilia conosce il suo padre putativo, l’allenatore Cesare Prandelli che ritroverà anche alla Fiorentina e con cui instaurerà un rapporto che perdura tuttora e che lo stesso Mutu definisce un rapporto padre-figlio. «Per me Prandelli è tra i migliori tecnici avuti, se non il migliore. Per me è come un padre, a lui devo tantissimo», ha detto nel 2022.
Al Parma fa registrare una delle annate più prolifiche della carriera, 22 reti in 36 partite, formando con Adriano una coppia di culto dei primi anni 2000, per quanto i due giocheranno assieme una sola stagione. Nel 4312 di Prandelli, i compagni si appoggiano molto ai due attaccanti, che coprono tanto campo in orizzontale e in verticale pur occupando zone ben distinte: il brasiliano si allarga sul centro destra, il romeno invece sul centro sinistra, in modo che entrambi possano rientrare sul piede preferito.
L’ex Verona tocca diversi palloni lontano dalla porta, viene sollecitato anche nel ricircolo del possesso, ma fa la differenza quando entra nell’ultimo quarto di campo. Nonostante le due punte tendano ad accentrare molto il gioco e privilegiare la soluzione individuale, riescono a spartirsi gli spazi e a creare una buona connessione: Mutu infatti se riceve sul lato corto dell’area può giocare anche in funzione del compagno e in quel magico 2002/03 arriva addirittura a 12 assist.
Nella prima partita casalinga in Coppa UEFA, il ritorno dei 64esimi con il CSKA Mosca, realizza una doppietta abbastanza significativa riguardo al suo profilo tecnico e fisico: al minuto 66 riceve sul vertice dell’area di spalle, controlla la sfera con la suola e usa il corpo per prendere distanza dal difensore e aprirsi la corsa verso il centro. Poi, con una finta, dribbla un altro avversario e guadagna il limite dell’area, da cui fa partire un destro deviato che vale il momentaneo 2-2.
Un lavoro spalle alla porta da vero pivot, che ripete in pieno recupero, quando mette giù di interno destro un rinvio disperato di Frey e poi gira al volo senza guardare la porta. Mutu è come un bug nel sistema, nel senso che è sì una seconda punta, ma non nell’accezione più tradizionale. O meglio, ha l’esplosività nel breve e la frequenza di passo tipica dell’attaccante dal baricentro basso, anche se è alto un metro e 80. Alla velocità abbina quindi l’uso del corpo quasi da numero 9, che gli permette di assorbire gli urti e prendere posizione.
È una stagione in cui sfoggia un repertorio realizzativo abbastanza profondo, fatto di guizzi da animale d’area, progressioni con la palla incontenibili e 7 centri su punizione, forse un record. Di questi 2 calciando sul palo del portiere, forse perché in quel periodo era particolarmente bravo a leggere gli spostamenti degli estremi difensori. Per Mutu però queste 7 reti da calcio piazzato saranno un exploit isolato, visto che nel resto della carriera ne farà solo altre 4.
La punta del Parma sarà una delle rivelazioni di quell’anno e nell’estate del 2003 arriva la chiamata del Chelsea del neoproprietario Roman Abramovich, che lo paga 22 milioni di euro. La prima stagione è nel complesso positiva (mette insieme più di 2400 minuti e segna 10 gol tondi), ma in quel momento la sua vita fuori dal campo inizia ad agitarsi, condizionando anche la sua carriera.
Il primo gol in Inghilterra è anche il più bello, un manifesto di un giocatore praticamente ambidestro.
Nel settembre del 2004 verrà trovato positivo alla cocaina e squalificato per 7 mesi, con annesso licenziamento da parte del club il 29 ottore. «Qualche mese prima di arrivare a Londra, avevo divorziato da mia moglie», ha detto Mutu nel 2009 «Avevo anche un figlio e la cosa fu pesante. Poi, come quando arrivai per la prima in Italia, la gente, la lingua, era tutto nuovo. Sono andato un po’ in depressione. All’inizio non lo sentivo perché con il calcio andava tutto benissimo. Poi, ho avuto la pubalgia per tre mesi e sono iniziati i guai (...) era facile sbagliare: ero molto famoso, a Londra andavo dappertutto e mi trattavano da re. Sono stato ingenuo, un pollo».
Inizierà una lunga causa tra il club e il giocatore, che verrà condannato nel 2018 dalla corte di Strasburgo a pagare una multa di 17 milioni “per i danni d’immagine arrecati al Chelsea dall’attaccante”, come riportava il Corriere della Sera nel 2008. Nell’inverno del 2004 quindi Mutu si ritrova svincolato e la Juventus nel gennaio del 2005 lo ingaggia a parametro zero attraverso il Livorno, per eludere la regola degli extracomunitari ingaggiati da un campionato estero. La società toscana, cioè, lo tessera ma lo gira subito in prestito ai bianconeri e Mutu farà il suo esordio alla scadenza della squalifica, cioè nell’ultima giornata di campionato.
Mutu allunga un affollatissimo parco attaccanti, composto da Ibrahimovic, Trezeguet, Del Piero e Zalayeta, tanto che troverà spazio solo come esterno di centrocampo nell’inscalfabile 442 di Capello. Giocherà soprattutto nella seconda parte del 2005/06, approfittando della flessione di Nedved, o eventualmente come cambio di Camoranesi sulla destra.

Fotografia di un centrocampo sperimentale in una partita di Coppa Italia.
Se Olivera e lo stesso Nedved svariano molto sulla trequarti, Mutu rimane più ancorato alla fascia sinistra. Si dimostra ordinato e generoso in fase difensiva, anche se non troppo lucido nel leggere i movimenti dei compagni una volta che entra dentro al campo. Rappresenta invece un valore aggiunto quando va negli spazi senza palla e attacca il secondo palo, arrivando alla doppia cifra (11 reti) anche in una stagione da comprimario e da ala sinistra.
In estate però la Juve viene retrocessa in B per via di "Calciopoli" e Mutu viene ceduto alla Fiorentina in cambio di Bojinov e 8 milioni.
ASCESA E DECLINO A FIRENZE
Nei primi tre anni in Toscana troverà finalmente maggior stabilità e quindi più continuità, di impiego e di rendimento. Mutu arriva in una società che ambisce a inserirsi tra le squadre di vertice del campionato, dopo la qualificazione ai preliminari di Champions League del 2006 “revocata” sempre a causa di calciopoli. Nella formazione del ritrovato Prandelli, il romeno sarà il leader tecnico, rifinitore e finalizzatore.
La fisionomia della Viola cambierà a seconda della sua posizione, un 433 che in fase di non possesso è più simile a un 442, visto che Mutu non sempre ripiega sotto la linea della linea. Un sistema che espone di più la fascia sinistra e costringe mediani più statici, come Liverani o Donadel, a dei macchinosi scivolamenti laterali.
Prandelli vorrebbe controllare delle porzioni di partita attraverso la palla, con un’uscita palla paziente sui terzini, i quali successivamente cercano i tre centrali di centrocampo, che si scambiano di posizione per ricevere ad altezze sfalsate (tutti giocatori abbastanza compassati ma preposti a gestire il pallone, come i già citati Liverani, Donadel, più Montolivo e Kuzmanovic). In una squadra dove Montolivo – il vero playmaker della squadra - provava a ordinare la fase offensiva, Mutu creava il caos con i suoi strappi.
Un numero 10 che non può essere considerato un regista, o comunque un creativo. Il suo gioco è più minimale, quello appunto dell’attaccante che entra dentro il campo puntando sui duelli individuali vinti da convertire in un tiro in porta o un passaggio chiave. Ogni tanto si abbassa, ma più per la necessità di mantenere un contatto con la palla che non per accentrare la manovra o portare fuori posizione l’avversario. Mutu aveva bisogno di essere al centro del gioco, essere ambizioso, a volte anche incaponendosi in scelte autoreferenziali e poco utili. Per esempio i colpi di tacco.
Se a Parma lui e Adriano giocavano come punte parallele, a Firenze Mutu ha fatto coppia con dei centravanti eccellenti nel ripulire i palloni, nell’ordine Toni, Pazzini e Gilardino. Si è specializzato quindi da mezza punta a tutti gli effetti, che dalla fascia sinistra si accentra rapidamente per posizionarsi qualche metro sotto al compagno di reparto. Il romeno orbita nella zona del centravanti come un pianeta che ruota attorno al sole, a caccia di seconde palle.
Mutu vicino alla punta, un classico di quegli anni.
Il romeno “utilizza” la prima punta come una sponda, che lo aiuta a prendersi dei tiri in situazioni e posizioni più favorevoli. O come un blocco cestistico che gli libera degli spazi, anche su azioni laterali: in questo Fiorentina-Cagliari di fine 2007, parte dietro a Vieri per poi passargli davanti tagliando sul primo palo e infilare di testa il cross di Jorgensen.
Mutu è riuscito a sviluppare una buona intesa un po’ con tutte le punte della Fiorentina e, per quanto sia più bravo a sfruttare il lavoro del compagno spalle alla porta che a valorizzarlo, ha “redistribuito” parte di quella ricchezza, facendo registrare 16 assist nel biennio 2006/08. Perché è vero che ama appoggiarsi sul centravanti, ma può cercare pure di triangolare con lui o mandarlo in porta.
Il numero 10 si muove prevalentemente in zona centrale e decide di allargarsi (o di rimanere aperto, visto che nominalmente parte come ala sinistra) quando ad esempio la Viola attacca in contropiede e deve creare l’ampiezza a sinistra, una contingenza in cui può decidere di prendere il fondo e cercare lo scarico per il compagno a rimorchio. Non si allarga per associarsi con Pasqual (o Gobbi), anzi quando il terzino sale palla al piede si posiziona in area in attesa del cross. Eventualmente lo fa per uscire da zone congestionate e trovare luce sul lato debole. Più in generale, se non può affrontare l’uomo in velocità, è più abile a sbloccare le situazioni statiche quando riceve spalle alla porta, liberandosi dell’avversario facendo perno su di lui, o magari con un controllo orientato che toglie il tempo al difensore.
L’istintività, unità alla velocità d’esecuzione, è la chiave del suo talento: Mutu non è un giocatore razionale, piuttosto scommette sulla sua capacità di girarsi puntando sulla rapidità nei primi passi e sul fatto che non ha una direzione preferita.
Contro il Palermo si inventa un’occasione dal nulla ricevendo di spalle da fallo laterale.
Mutu fin dagli esordi ha mostrato una buona confidenza anche col sinistro, che utilizza spesso per crossare o per calciare. È grazie a questa che riesce ad essere così imprevedibile, soprattutto quando può usare il fisico per coprire la palla. Sempre in quella sfida con il Palermo del 2006, aveva controllato una palla di spalle e mandato a vuoto Diana sbilanciandosi prima a destra, salvo poi sterzare con un secondo cambio di direzione dalla parte opposta e prendersi lo spazio per girarsi e calciare.
Anche la finta di tiro è un pezzo forte del suo repertorio. Essendo un giocatore pericoloso dalla medio-lunga distanza, quando finge di caricare la conclusione l’avversario prova ad affondare il contrasto, ma in questo modo al romeno è sufficiente proseguire la corsa sul piede forte (o spostarsi la sfera sul sinistro) per superarlo.
Mutu però, più che con le pause, è un giocatore che si accende in situazioni dinamiche, quando può prendere velocità e calciare in corsa. Un attaccante in grado di fare la differenza grazie alla rapidità con cui si prepara il tiro. Alla dimensione dell’attaccante d’area, che finalizza le occasioni a un tocco, si aggiunge quella del numero 10 capace di accelerare la frequenza della conduzione e chiudere l’azione con un tiro secco dai 15-20 metri.
Uno dei suoi gol più belli con la maglia della Fiorentina, che nasce dalla “solita” sponda di Pazzini e prosegue con uno stop di petto e due tocchi, grazie a cui si costruisce lo spazio per un destro fulminante sotto l’incrocio. Un giocatore vorticoso, che ama andare dritto.
L’attaccante era arrivato in una Fiorentina penalizzata dal processo sportivo con un pesante -19, che partirà male perdendo 3 delle prime 4 giornate della Serie A 2006/07. Poi però la squadra sale di livello e concluderà virtualmente al terzo posto con 73 punti, 58 considerando la penalizzazione (successivamente ridotta a 15 punti).
L’anno successivo "la Viola" centra il quarto posto che vale il ritorno in Champions League dopo 8 anni. Quel 2007/008 per il romeno è la migliore annata di sempre a livello realizzativo, 23 reti tra campionato e Coppa UEFA, in cui la squadra di Prandelli perderà una semifinale beffarda coi Rangers ai rigori.
Nel ritorno dei quarti di finale, Mutu vive una delle notti più esaltanti della sua carriera, tornando al gol su punizione dopo 5 anni di digiuno.
La Fiorentina bisserà la qualificazione alla Champions anche nel 2008/09, superando addirittura il girone di qualificazione da primi in classifica nel 2010. La squadra di Prandelli uscirà agli ottavi contro il Bayern Monaco in un doppio confronto che Mutu però salterà per squalifica.
Il 29 gennaio del 2010 infatti era risultato positivo alla subutramina, uno stimolante che annulla gli effetti della fame, e fermato per 8 mesi. Sarà la stagione in cui la parabola dell’ex Parma e Chelsea, che nel mentre aveva superato i 30 anni, cala in maniera abbastanza repentina: perde centralità in una formazione a sua volta al canto del cigno, dove un giovane Stevan Jovetic si sta ritagliando sulla trequarti un ruolo sempre più importante.
Il rapporto tra la piazza e il giocatore, che nell’estate del 2008 era stato vicinissimo alla Roma – Mutu ha raccontato su Instagram che fu Totti a convincerlo a trasferirsi, salvo poi decidere di restare su intercessione di Prandelli - inizia a sfilacciarsi, per poi deteriorarsi completamente nel 2010/11. La punta rientra dalla squalifica il 31 ottobre, ma a gennaio il club lo mette fuori rosa per un mese per aver forzato la cessione tramite l’agente. A febbraio torna in campo, ma ha ormai svalicato il suo prime: la brillantezza atletica non è più la stessa e negli ultimi due campionati segna appena 8 gol.
EPILOGO INCOLORE
Mutu se ne va nell’estate del 2011 quasi nell’indifferenza, almeno in relazione al giocatore che è stato. Verrà ceduto al Cesena, con cui firma un biennale. È la punta di diamante di una squadra fresca di salvezza, che mette in piedi un progetto ambizioso, portando in Romagna individualità di livello, come Eder e Candreva, dopo aver trattenuto già Parolo. Giampaolo vorrebbe lavorare Mutu come prima punta sulla scia della moda guardiolista del falso nueve, per sfruttarne la fisicità e nasconderne il dinamismo ridotto.
Quel Cesena però resterà un’idea in potenza, che retrocederà quasi senza lottare. Il romeno va a intermittenza, siglando due doppiette e 8 reti complessive, ma non riuscirà a calarsi nel contesto. La sua vita continuerà ad essere burrascosa: a marzo salterà la partita in casa della sua Fiorentina per non essersi presentato alla ripresa degli allenamenti.
Nel 2012 abbandona l’Italia per trasferirsi all’Ajaccio, in Francia. Nella prima stagione in Ligue 1, ormai da punta centrale, segna 11 reti e contribuisce alla salvezza, poi a gennaio del 2014 fa il suo ritorno in patria con la maglia del Petrolul Ploiesti. La Gazzetta in quell’estate parla di un clamoroso ritorno a Firenze sfumato per motivi economici, prima che Mutu intraprenda altre due esperienze trascurabili, in India e nuovamente in Romania, e si ritiri nel 2016 a 37 anni.
Come dimenticare anche questo video musicale in cui Mutu fuma il sigaro in discoteca circondato da donne, con aria da gangster.
Negli anni seguenti ha allenato varie squadre, tra cui l’Under 21 romena, mentre il 31 dicembre è diventato il tecnico del Petrolul Ploiesti, uno dei suoi ultimi club da giocatore. Una carriera da allenatore mai davvero decollata.
Rimane il giocatore e la sua posizione peculiare, a metà strada tra i cannonieri delle grandi squadre e i bomber di provincia. A Firenze ha trovato la sua dimensione, contribuendo alla rinascita di un club che è tornato in Europa, a ridosso delle grandi della Serie A. Per la piena consacrazione gli è mancata una vittoria di squadra, o magari un’esperienza più significativa in un club di prima fascia (che sarebbe dovuto essere il Chelsea, o il Manchester City o il Real Madrid, queste ultime due rifiutate nel 2007 secondo la Gazzetta dello Sport), o ancora un campionato da capocannoniere. Mutu infatti ha superato solo due volte i 20 gol stagioni, nel 2002/03 e nel 2007/08.

Mutu è nella top 10 dei marcatori di Serie A nel decennio 2000-10, nonostante abbia saltato due anni (tra il 2003 e il 2005) e due campionati da comprimario, nel 2000/01 e nel 2009/10 (dati trasfermark.it).
Adrian Mutu però è stato un attaccante completo, capace di segnare (e far segnare) in ogni modo, con entrambi i piedi come di testa. Con l’influenza crescente del gioco di posizione, le squadre hanno preferito via via affidarsi a un solo attaccante, supportato da un trequartista con doti di regia, o due ali a piede invertito. Sempre meno allenatori hanno optato per le due punte pure, o comunque per una seconda punta da posizionare vicino al centravanti, con le sue caratteristiche da rifinitore e finalizzatore. Da questo punto di vista Mutu è una specie quasi estinta. E forse è per questo che oggi ci sembra un talento così irripetibile.