
Durante uno dei suoi monologhi agli Oscar 2025, il presentatore Conan O’Brien si è rivolto ad Adam Sandler, seduto a pochi metri dal palco: «Adam, che cos’hai addosso!?» Il tono, tra l’incredulo e il beffardo, era lo stesso che avremmo davanti a un caro amico sul punto di rendersi ridicolo.
Nella platea di abiti da cerimonia che riempiva il Dolby Theatre di Los Angeles, l’outfit di Sandler - felpa azzurra con cappuccio, camicia hawaiana e pantaloncini da basket oversize - spiccava come un coriandolo sull’asfalto. Quando Conan lo ha paragonato a un giocatore notturno di poker online, Sandler si è alzato invitando chiunque volesse a raggiungerlo per una partita di basket 5 contro 5 al vicino Veterans Park. «Il tizio di Nosferatu [probabilmente si riferiva al ben piazzato Bill Skarsgård] lo voglio in squadra con me!» Prima di lasciare la sala si è fermato a salutare l’amico Timothée Chalamet urlando il suo cognome, come se ci tenesse a far sapere a tutti il suo favorito tra i candidati all’Oscar per migliore attore protagonista.
Conan ha poi rivelato che l’idea dello sketch è stata interamente di Sandler, che cercava un pretesto per rinunciare al tradizionale smoking in favore del suo iconico abbigliamento casual. «Prendo i vestiti dall’armadio senza pensarci troppo. Molti mi prendono in giro, ma io vado per la mia strada» ha risposto Sandler quando gli hanno chiesto quale fosse il segreto del suo stile, che Internet ha ribattezzato Sandlercore e Vogue ha celebrato in un articolo del 2021.
In ogni scatto rubato alla sua vita privata Adam Sandler sembra pronto per qualche tiro a canestro: indossa abiti sportivi sempre troppo grandi, calzini di spugna e scarpe da basket (che porta anche in occasioni formali). Un dress code a cui non ha voluto rinunciare neanche per una cena con Jennifer Aniston: «Jackie [Sandler, la moglie] era bellissima, con un vestito di sangallo e i capelli acconciati; lui si è presentato in pantaloncini da basket di raso bianchi e neri, Nike alte e una polo Izod di velluto turchese».

I mille volti del Sandlercore.
Tutt’altro che un semplice vezzo estetico, l’abbigliamento di Adam Sandler rispecchia quell’atteggiamento noncurante che è anche uno degli ingredienti principali della sua comicità. Come ha scritto Rob Harvilla su The Ringer, "Sandler al suo meglio è populismo nella forma più pura e dolce; la sua storia ci mette in guardia sul pensare troppo a qualcuno la cui dote principale è non sembrare mai pensare troppo a nulla".
SANDMAN MIXTAPE TOUR
Apparentemente l’unico cruccio di Adam Sandler è quello di sapere, in qualunque parte del mondo si trovi, come raggiungere il più vicino campetto da basket. Durante le riprese di un film, lo stesso location scout incaricato di trovare i set si occupa anche di cercare i campetti per Sandler, che può così concedersi qualche partita durante le pause. «Quando non ho niente da fare, mangio o faccio due tiri a canestro: alti e bassi della vita di noi persone in carne» ha raccontato al celebre programma 60 minutes, che per l’intervista lo ha seguito fin dentro al campo da basket. «Sei a New York da 36 ore, quante partite hai giocato?» gli ha chiesto l’intervistatrice. «Direi cinque» ha risposto Sandler, lasciando intendere che potevano benissimo essere di più.
Un vecchio post su Reddit in cui ci si chiedeva se Adam Sandler toccasse un pallone da basket in ogni film ha raccolto negli anni diverse testimonianze di chi ha giocato con Sandler o lo ha visto dar prova del suo ball handling nei campetti della propria città. Il ritratto che ne viene fuori è quello di una persona umile e alla mano, ma con un lato competitivo pronto a emergere nelle vicinanze di un canestro. Si racconta di Sandler che arriva al campo da solo, aspetta pazientemente il suo turno, gioca senza risparmiarsi, e a fine partita se ne va in punta di piedi: come se fosse un tizio qualunque del quartiere e non uno dei volti più amati e riconoscibili dello show business.
Joshua Jackson, habitué dei campetti di Atlanta, ha avuto la fortuna di ricevere uno dei più bei passaggi di Adam Sandler mai documentati. Il video, girato nel piccolo e anonimo campo di una palestra, mostra Sandler in posizione di playmaker che riceve un passaggio dalla guardia e serve di tocco il taglio di Jackson sul lato debole. «È ancora oggi il più bel passaggio che abbia mai ricevuto», ha ammesso Jackson, «e non lo dico perché me lo ha fatto Adam Sandler».
Hang it in the Louvre.
C’è anche chi, con un po’ di fortuna, si è trovato coinvolto in partite organizzate ad hoc dall’entourage di Sandler. DJ Foster, ex vice direttore sportivo dell’Aquinas College - un piccolo istituto privato di stampo cattolico in Michigan -, ha raccontato a ESPN di aver giocato con Sandler quando il suo tour di stand-up comedy aveva fatto tappa in città. Per avere a disposizione la palestra il giorno dello spettacolo, lo staff di Sandler aveva contattato il direttore con due mesi di anticipo.
Dopo aver perso le prime due partite, la squadra di Foster e Sandler ha vinto le successive tre, soprattutto grazie al carisma dell’attore. «Dalla terza partita ha iniziato a farsi sentire,» ha ricordato Foster, «continuava a ripetere che dovevamo vincere». In un'altra intervista ha raccontato che Sandler «ama passare la palla dietro la schiena, ma anche dribblare avversari in giro per il campo finché non trova qualche compagno libero, come fanno gli Harlem Globetrotters».
Una foto per l’annuario del college.
Sandler è a tutti gli effetti un giramondo della pallacanestro e i suoi avvistamenti provengono dai posti e dalle situazioni più disparate: nei pressi di un ricevimento nuziale in Florida, con tanto di foto post-partita insieme agli sposi; in mezzo a un gruppo di dodicenni prima di uno spettacolo ad Atlantic City; a Kensington con un ragazzo appena uscito da scuola; ma anche nei decisamente più familiari campetti di Downtown Manhattan in compagnia di Timothée Chalamet. Una volta ha persino forato davanti a un campetto - chissà se inconsciamente o intenzionalmente - e si è messo a giocare per ingannare l’attesa del soccorso stradale. In quell’occasione, come ha raccontato a Jimmy Kimmel, Sandler ha scoperto che gli avversari lo avevano scambiato per Ben Stiller e ha pensato di approfittarne per giocare un po’ più duro.

Wikipedia don’t lie. Peccato solo che si siano dimenticati del suo soprannome, “The Sandman".
«Il modo in cui si veste per giocare mi ricorda l’era AND1 nei primi anni duemila», ha detto di lui The Professor, leggenda dello streetball e dell’AND1 Mixtape Tour, in cui la squadra dell’allora popolarissimo marchio di abbigliamento viaggiava per i campetti degli Stati Uniti sfidando una selezione di talenti locali. Il che, a pensarci bene, non è poi così diverso da quello che ancora oggi fa Adam Sandler nel suo tempo libero.
Non può quindi essere un caso se in Hustle, il suo primo film interamente incentrato sulla pallacanestro, Adam Sandler abbia riservato una piccola parte anche a The Professor. «Ho capito subito che Adam è una persona tranquilla e coi piedi per terra», ha aggiunto The Professor visibilmente emozionato. «Abbiamo iniziato subito a parlare di pallacanestro e mi ha detto di essere un fan dei miei video - citando i suoi preferiti - e di essere stato in alcuni dei campetti in cui li ho girati. Non ci potevo credere».
In Hustle Adam Sandler interpreta Stanley Sugarman, scout internazionale dei Philadelphia 76ers, e nel film compaiono alcuni dei campetti più iconici della città. Come quello di South Philly all’angolo tra i due templi del cheesesteak Pat’s e Geno’s, in cui sono state girate le scene con The Professor e il protagonista del film Bo Cruz (Juancho Hernangómez). A quella giornata di riprese hanno preso parte altri volti noti dell’AND1 Mixtape e un patito di pallacanestro come Sandler non poteva farsi sfuggire l’occasione di fare qualche tiro con loro.

Foto ricordo con (da destra): The Professor (ginocchiere e gomitiera rosse), Juancho Hernangómez (petto nudo e tatuaggio leonino), Bone Collector (canotta e bandana), The Sandman (proprio lui), Main Event, AO e Prime Objective (fonte: YouTube/Professorlive)
SANDLER E LA NBA
L’ex 15esima scelta dei Denver Nuggets Juancho Hernangómez non è l’unica figura del mondo NBA coinvolta nella realizzazione di Hustle. Il ruolo dell’antagonista è affidato a Anthony Edwards - a suo agio nella parte quasi quanto sul parquet - mentre a interpretare loro stessi ci sono molti membri della squadra e dello staff dei Sixers, incluso l’allora coach Doc Rivers. «La cosa che ho apprezzato di più è stata la professionalità di Adam Sandler», ha detto Rivers. «Come un allenatore, controlla tutti: attori, sceneggiatori e tecnici».
Con oltre 30 film in quasi altrettanti anni di carriera, svariati successi al botteghino e un contratto multimilionario siglato con Netflix nel 2014, Sandler e la sua casa di produzione Happy Madison hanno raggiunto un livello di autonomia creativa pressoché totale. Gli orari di lavoro consentono a Sandler di accompagnare le figlie a scuola e di andarle a prendere, mentre i film vengono solitamente girati durante l’estate, alla fine dell’anno scolastico, così Sunny e Sadie sono libere di raggiungere il padre sul set. Sandler è abitudinario anche in fatto di collaboratori e solitamente ingaggia vecchi amici come Chris Rock e Rob Schneider - rispettivamente in 7 e 9 film con Sandler - o persone che un film dopo l’altro finiscono per diventare suoi amici. A quest’ultima categoria appartiene anche un’icona della NBA come Shaquille O’Neal.

Primatista assoluto in collaborazioni con Adam Sandler è in realtà Steve Buscemi, con ben 16 film all’attivo (nella foto era il 1993 e i due erano insieme a Brendan Fraser sul set di Airheads).
Fin da bambino Adam Sandler è stato tifoso dei New York Knicks, ma dividendosi tra La Grande Mela e Los Angeles ha avuto la fortuna di assistere da vicino ai gloriosi Lakers di inizio millennio. Così da vicino che Shaq ha raccontato di essersi proposto a Sandler anche durante le partite, sentendosi però rispondere che prima di avere una parte avrebbe dovuto almeno vincere un titolo. «Anni dopo [Adam] mi ha chiamato e mi ha detto: ‘Shaq, hai vinto 4 titoli quindi ho 4 film per te’. Mi ero persino dimenticato di averglielo chiesto».
Inutile dire che Adam Sandler ha trovato il modo di giocare anche insieme a Shaq, in un 5 contro 5 a tutto campo. «Adam era [Larry] Bird, io ero Magic [Johnson]. Abbiamo dominato la palestra, Adam ha un fadeaway dannatamente buono», ha raccontato lo stesso Shaq in una puntata del suo podcast.
Per Sandler l’NBA è un affare di famiglia: suo zio Michael era infatti grande amico di “Coach Zen” Phil Jackson, che tra il 1967 e il 1978 ha vestito la casacca dei Knicks. «Penso abbiano fumato molta erba insieme» ha scherzato Sandler parlando del loro rapporto. «Quando mio padre ci ha accompagnato in macchina dal New Hampshire al Madison Square Garden per vedere i Knicks, a fine partita lo zio Michael ha portato me e mio fratello vicino ai giocatori: Walt Frazier, Willis Reed, Dave DeBusschere. Poi ci ha presentato Phil Jackson, che mi ha stretto la mano. Ho passato tutte le quattro ore e mezza del viaggio di ritorno pensando a quanto puzzasse la mano sudata di Phil Jackson». Sandler ha anche raccontato di aver rivisto il coach molti anni dopo, quando Jackson allenava i Lakers di Shaq e Kobe: «Avrò visto 600 partite dei Lakers seduto di fianco alla panchina. Quando mi salutava - non più di una volta a stagione - il coach mi chiedeva come stesse mio zio. Io intanto pensavo: ‘Ma si rende conto che sono una c***o di stella del cinema?!’».
Insieme al più famoso tifoso dei Lakers. Jack è stato anche lo squilibrato terapeuta di Sandler nel film del 2003 Terapia d’Urto.
Tra i campioni NBA che hanno diviso il palcoscenico con Adam Sandler, Kevin Garnett merita una menzione speciale. I due si sono conosciuti sul set di Diamanti Grezzi, in cui Adam Sandler interpreta un gioielliere ludopatico (Howard Ratner) entrato in possesso di un misterioso opale che finisce per diventare l’oggetto dei desideri di Kevin Garnett (nel ruolo di sé stesso). Il film dei fratelli Safdie si è meritato lo status di culto non solo perché si tratta di una delle rare interpretazioni drammatiche di Adam Sandler - per molti ingiustamente snobbata dall’Academy -, ma anche per il ritmo adrenalinico, la scrittura brillante e le grandi prove attoriali. Sandler e KG sembrano nati per recitare insieme.
A distanza di tre anni, quando si sono ritrovati per una puntata del podcast di Garnett (sì: ogni giocatore NBA è potenzialmente anche un podcaster), la chimica tra i due era inalterata. Sandler e KG sembravano due vecchi amici costretti a vedersi meno di quanto vorrebbero e desiderosi di recuperare il tempo perduto: dopo essersi informati sulle rispettive famiglie e aver condiviso le loro disavventure genitoriali, hanno riflettuto sulle gioie e i dolori dell’invecchiamento; finendo però col scambiarsi consigli sui posti migliori dove fare surf, come due ragazzi nel pieno delle forze.

Bro fist (fonte: YouTube/AllTheSmokeProductions).
Inevitabilmente la conversazione ha toccato anche le partitelle di Sandler, e KG ha voluto farsi raccontare di quella con i giocatori NBA durante le riprese di Hustle. «Eravamo 5 contro 5 e c’erano molti ragazzi della lega: Trae [Young], Tobias [Harris] e Boban [Marjanović]. Giocavano in maniera molto tranquilla, lasciandomi il pallone. Ho ricevuto uno scarico da Trae e quando ho tirato la mano mi tremava come non mai: pensavo ‘Non sprecare il passaggio di Trae!’», ha ricordato Sandler, che a fine partita si sarebbe volentieri regalato il bis. «Le loro facce però sembravano dire: ‘Senti, ne abbiamo fatta una, ora lasciaci giocare al nostro ritmo’».
Il sogno proibito di ogni appassionato di pallacanestro.
CHE GIOCATORE È ADAM SANDLER
Nel corso dell’intervista Garnett ha anche chiesto a Sandler quale fosse la sua signature move. «C’è una finta che faccio spesso, anche se tutti mi chiamano passi», ha risposto Sandler, mimando l’atto di raccogliere il palleggio dietro la schiena per poi scattare in avanti. «Rondo!», ha esclamato entusiasta KG, riferendosi alla ball fake resa celebre dal suo ex compagno di squadra Rajon Rondo. Sandler, vero nerd della pallacanestro, non era però del tutto convinto («il mio è un “piccolo Rondo”»); così KG ha corretto il tiro («allora è una “Smitty”!») e fatto centro. Che la sua signature move fosse la stessa di Steve “Smitty” Smith aveva perfettamente senso per Adam Sandler: «La mia prima apparizione in TV, quando avevo 18 anni, è stata ne I Robinson e interpretavo un personaggio di nome Smitty».
Pur essendo dotato, a detta di Garnett, di un tiro “niente male” e di un palleggio “da 10 e lode”, il fondamentale in cui davvero eccelle Adam Sandler è il passaggio. Shaq una volta si è rivolto a lui chiamandolo “Adam Maravich” (alludendo al leggendario playmaker degli anni ‘70 “Pistol” Pete Maravich), ma Sandler tende a schermirsi quando vengono sottolineate le sue doti di passatore: «Provo una sorta di senso di colpa quando gioco con 4 giocatori che penso siano migliori di me: perché dovrei essere io a tirare? Così faccio di tutto per far arrivare la palla al migliore tiratore».
Nell’attaccare il canestro, Sandler ricorre spesso al reverse layup: un terzo tempo concluso all’indietro, passando sotto al ferro. Chissà che non sia un omaggio più o meno consapevole al suo idolo d’infanzia Julius “Dr. J” Erving. «Amo il Dottore, era il più figo di tutti. Avevo in camera un suo poster in cui era in aria con la maglia dei Nets», ha raccontato Sandler, che sul set di Hustle ha realizzato il sogno di incontrare dal vivo Julius Erving. «Al liceo mi ero anche fatto crescere in testa una specie di “afro” in suo onore».
Da non perdere, al minuto 4:44, The Sandman vs Meatball.
Tutto considerato, il modo di giocare di Adam Sandler non è troppo diverso dal suo stile di recitazione: per lo più estremamente rilassato, ma punteggiato da improvvisi accessi di follia. «Ho conosciuto Sandler giocando a basket insieme a lui», ha raccontato il produttore di Diamanti Grezzi Bear-McClard. «Per lui [il basket] è una catarsi. Qualcosa tra la gestione della rabbia, la meditazione e l’esercizio fisico.
Alla soglia dei 59 anni, l’avversario più temibile che Sandler dovrà affrontare sarà il suo fisico. Non che in questi anni gli siano mancati gli infortuni - nel 2008 si è rotto una caviglia e nel 2013 è toccato alla spalla (ha poi raccontato di aver giocato a basket col chirurgo che lo ha operato); poi nel 2021 ha avuto uno stiramento agli adduttori e nel 2024 ai legamenti del pollice -, ma presto o tardi potrebbe essere costretto a rinunciare alle sue scappatelle sul cemento.
Bill Simmons glielo ha chiesto esplicitamente: «Quanti anni [di partite al campetto] pensi ti siano rimasti? Ormai vai per i 60, sei nel pieno della fase “rottura-menisco-e-collaterale” del basket». «Bella domanda, penso che continuerò ad andare avanti», ha risposto Sandler. «Quando mi sono stirato il pollice ho pensato ‘forse devo smettere di giocare’, perché faceva troppo male quando tiravo. Ma dopo quattro mesi ero di nuovo in campo».
Se è vera quella massima per cui non smettiamo di giocare perché diventiamo vecchi, ma diventiamo vecchi perché smettiamo di giocare, Adam Sandler potrebbe aver trovato la sua Pietra Filosofale nella palla a spicchi. È un moderno Peter Pan che gioca a basket invece di giocare alla guerra coi pirati; invecchia, ma ha l’aria di un bambino a cui abbiano disegnato le rughe e appiccicato una barba posticcia.
Diviso tra l’amore del pubblico e lo scetticismo dei critici, Adam Sandler va per la sua strada, che poi è quella che lo porterà al più vicino campetto.