All’interno del calcio italiano sono pochissimi i club che riescono a rimanere riconoscibili nel tempo, al cambiare dei giocatori, degli allenatori e dei dirigenti. Tra questi, l’Empoli è forse il caso più peculiare. Non solo perché punta sulla capacità del proprio vivaio di rifornire di talento la prima squadra con continuità senza avere le capacità finanziarie dell’Atalanta – un’altra squadra con un grande settore giovanile che però ha ormai la possibilità di rinforzare la rosa con allenatori e giocatori di alto livello – ma soprattutto perché da circa un decennio si aggrappa a una serie di principi tattici che gli permettono di non venire inghiottito da quel mare in tempesta in cui di solito navigano a vista i club che fanno su e giù tra la Serie A e la Serie B. È almeno dai tempi di Spalletti che l’Empoli ha la nomea di essere un trampolino di lancio per giocatori e allenatori ambiziosi, ma dal 2012, cioè da quando Maurizio Sarri si è seduto sulla sua panchina, la nostra idea della squadra toscana si è definita ancora di più. È da circa un decennio che, anche senza sapere chi sia l’allenatore in panchina o i giocatori in campo, siamo sicuri di trovare l’Empoli con il 4-3-1-2 a rombo, almeno un paio di giocatori interessanti, la difesa a zona e un gioco che cerca di manipolare l’avversario con il possesso – qualsiasi sia la squadra che affronta o la categoria in cui gioca.
Dopo tre stagioni in cui, con Sarri e Giampaolo, pensavamo che la squadra toscana potesse sopravvivere per sempre nel deserto di idee del calcio italiano come un’oasi incontaminata, però, ci siamo resi conto che nella sua affermazione non c’era nulla di scontato. L’Empoli è retrocesso dalla Serie A una prima volta nel 2017 e da quel momento la sua posizione ai più alti livelli del calcio italiano non è stata più stabile come prima. È arrivata una nuova promozione (nel 2018, dopo un campionato di Serie B dominato) e una nuova retrocessione, per certi versi sfortunata visto il gioco propositivo e ambizioso. Dopo una stagione scialba, conclusa con il settimo posto in Serie B e l’eliminazione ai playoff per mano della Cremonese, quest’anno l’Empoli è tornato dove siamo abituati a vederlo. Con l’ultima convincente vittoria contro la Reggina per 0-3, la squadra toscana ha infatti consolidato il suo primo posto in classifica in Serie B mettendo quattro punti tra sé e il Venezia, e lo ha fatto a suo modo: con un allenatore giovane e promettente come Alessio Dionisi in panchina, il 4-3-1-2 in campo, e una serie di giocatori di cui già si parla molto anche in Serie A, come Samuele Ricci, Fabiano Parisi e Nedim Bajrami. Anche se i risultati hanno iniziato ad arrivare con meno continuità, insomma, l’Empoli non ha mai abbandonato l’idea di seguire dei principi tattici guida con giocatori giovani e uno scouting ambizioso.
La storia recente dell’Empoli, però, non si può sintetizzare facilmente con parole vaghe come “programmazione” e “progettualità”, ed è in realtà anche il frutto di scelte difficili e a volte di coincidenze che non sono garanzia di per sé contro la fragilità della posizione delle piccole squadre, la cui permanenza ad alti livelli spesso dipende da dettagli minuscoli. La coerenza tattica e manageriale dell’Empoli negli ultimi anni, ad esempio, nasce nel 2012 non solo con la scelta di Maurizio Sarri ma anche con il tesseramento a parametro zero di Pietro Accardi, ex giocatore di Palermo, Sampdoria e Brescia ormai a fine carriera. Dopo i suoi due ultimi anni da calciatore, Accardi è stato assunto dal club toscano come assistente dell’allora direttore sportivo, Marcello Carli, sostituendolo definitivamente nell’estate del 2017 con lo scopo di dare seguito al suo lavoro. Da quel momento, al netto dei risultati, per Empoli sono passati alcuni dei giocatori che vediamo più spesso in Serie A adesso: da Caputo a Bennacer, da Traoré a Di Lorenzo. Oggi Pietro Accardi ha poco più di 38 anni e l’Empoli rimane una delle squadre più interessanti da seguire, pur avendo appena il nono monte ingaggi della Serie B. Questa è l’intervista che abbiamo realizzato con lui pochi giorni fa, editata per favorire la scorrevolezza di lettura e la chiarezza.
Vorrei iniziare dal momento in cui è finita la tua carriera da giocatore ed è iniziata quella da dirigente. Tu sei stato tesserato dall’Empoli nella tua ultima esperienza da calciatore nell’anno in cui è arrivato Maurizio Sarri [il 2012, nda]. Lui ha avuto un qualche ruolo o un’influenza nella tua decisione di percorrere una carriera da dirigente? O è stato un caso?
Foto di Jennifer Lorenzini / LaPresse.
Ma c’è stato un allenatore nella tua carriera di calciatore che pensi ti abbia influenzato?
Anche nel modo in cui porti avanti il tuo lavoro, nelle tue idee, nel modo in cui vedi il calcio oggi insomma.
Pensi ci sia stato qualcosa dalla tua carriera di calciatore che ti sei portato dietro poi nella tua carriera dirigente?
Tu sei passato da un ruolo in cui avevi un rapporto molto diretto e amichevole con i giocatori a un altro in cui invece credo tu debba avere un po’ di distanza, magari prendere anche decisioni difficili umanamente. Hai avuto delle difficoltà in questo cambio di prospettiva sia professionale sia umano all’inizio?
Dici a livello tecnico, psicologico… figura più specializzate, professionalizzate?
Cosa pensi sia cambiato?
Com’è cambiato il tuo lavoro ora con la pandemia? Ad esempio: com’è cambiato il vostro sistema di scouting? Avete aumentato l’utilizzo di strumenti che vi permettono di fare scouting a distanza, come Wyscout?
Sei un amante del video? Perché c’è anche chi dice che certe cose si possono vedere solo dal vivo.
A questo punto devo chiederti anche se fate più affidamento sulle statistiche proprio per compensare la mancanza della percezione dal vivo che vi è venuta meno con la pandemia.
Mi chiedevo però se per guidarvi nelle scelte seguite anche delle indicazioni statistiche. Per esempio se vi serve una mezzala più creativa o meno creativa, più diretta o meno diretta. C’è qualcosa che vi guida per restringere il campo? Perché immagino che avete una rosa di nomi abbastanza ampio per ogni ruolo.
Un’altra cosa di cui si discute è come affrontare il salto dalla Serie B alla Serie A a un livello manageriale. Tu hai già vissuto alcune promozioni quindi immagino ti sarai fatto un’idea. C’è una grande discussione ad esempio se tenere l’allenatore che ha ottenuto la promozione o cambiarlo, puntare su giocatori più esperti per il salto di categoria o tenere un gruppo giovane, e così via. La tua idea qual è? Quale pensi sia la strategia migliore per affrontare il salto di categoria?
Però oggi non lo rifaresti di puntare su giocatori più esperti.
Mi interessava anche perché nelle ultime stagioni mi sembra che stiate puntando sempre meno su giocatori che hanno avuto delle stagioni alle spalle in Serie A e state facendo più acquisti direttamente dalla Serie B, penso a Leonardo Mancuso, a Stefano Moreo, a Leo Stulac. Non so se è effettivamente un cambio di strategia da parte vostra, e se vogliate mantenerla anche in futuro, o se è semplicemente un caso.
Ma risalendo in Serie A pensi sia possibile pescare ancora dalla Serie B?
Da quando sei arrivato all’Empoli sono passati diversi giocatori che poi hanno fatto il salto nel cosiddetto grande calcio: penso a Bennacer, Zajc, Dimarco, Di Lorenzo, Traoré, la lista è abbastanza lunga. Qual è il giocatore che ti ha reso più fiero? Non per forza tra questi.
Anche quest’anno ci sono alcuni giocatori dell’Empoli per cui già si parla di grandi squadre in Serie A, parlo per esempio di Samuele Ricci e Fabiano Parisi. Visto che da un punto di vista finanziario il tuo lavoro consiste anche nel sapere quando vendere, volevo sapere se secondo te è più saggio vendere subito, cioè una volta che un giocatore esplode e arrivano tante offerte, oppure rischiare e puntare sul talento di quel giocatore per aspettarsi una crescita ulteriore. Non parlo per forza di anni ma magari una, due stagioni in più e aspettarsi una crescita ulteriore delle offerte che arriveranno in futuro.
Tu sei DS di una società che è una delle pochissime in Italia che lavora con i giovani da sempre, segue determinati principi anche di gioco, penso anche all’adozione del 4-3-1-2, del rombo a centrocampo, della difesa a zona, il controllo del possesso… Abbiamo visto anche come questo tipo di filosofia abbia influenzato allenatori che poi sono diventati importanti, abbiamo detto Sarri, ma anche Giampaolo. Poi quando sei arrivato tu da DS avete continuato su questo solco scegliendo Martusciello. Ti chiedo: nella pratica esiste veramente questa filosofia? La società ti chiede di scegliere allenatori con queste caratteristiche? E se sì, volevo sapere in che modo specifico ti guida o magari ti limita questa filosofia.
A proposito di questo esiste un dibattito se sia stato Sarri a cambiare l’Empoli o il contrario.
E perché avete tenuto il 4-3-1-2 anche dopo Sarri allora?
Anche Alessio Dionisi [attuale allenatore dell’Empoli, nda] gioca con il 4-3-1-2 a rombo.
Dionisi arriva dopo una stagione difficile dove l’Empoli cambia diverse volte l’allenatore [tre volte, passando da Bucchi a Muzzi a Marino, nda]. Con lui l’Empoli sembra un po’ tornata alle origini: una squadra molto giovane che segue determinati principi. Il ragionamento che ti ha portato a sceglierlo si è basato sul gruppo che avevate a disposizione oppure è il contrario? Cioè avete scelto Dionisi per le sue idee e poi avete plasmato il gruppo di conseguenza?