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Foto di Alberto Pizzoli / Getty Images
Fondamentali Francesco Lisanti 18 marzo 2016 7'

A testa bassa

Nella partita più importante della sua stagione la Lazio ha giocato come peggio non poteva.

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Se delle parole di Pioli si facesse una nuvola, indicizzando le più ricorrenti, “approccio” sarebbe esattamente al centro, ingombrante rispetto alle altre. L’allenatore della Lazio si era presentato in conferenza stampa mercoledì dicendo «non possiamo permetterci nessun cambio di atteggiamento rispetto alla partita dell’andata, quando siamo entrati in campo per essere propositivi e aggressivi». A partita conclusa, le sue prime parole sono state «abbiamo sbagliato l’approccio, quando sbagli tanto lo paghi in questi palcoscenici, poi diventa dura».

 

Questa sinistra circolarità è in parte il riflesso della stagione della Lazio, che sempre seguendo un percorso circolare è iniziata con il 3-0 subito a Leverkusen ed è probabilmente finita ieri, con lo 0-3 che porta la firma di Dockal, Krejci e Julis. Se c’è una parola in grado di riassumere tutte le difficoltà di una squadra dalla fragilissima tenuta mentale, è proprio “approccio”.

 

Inversione a centrocampo

Gli infortuni occorsi a Radu e Milinkovic-Savic hanno costretto Pioli a ridisegnare la formazione che non aveva mal figurato solo una settimana fa a Praga. Nel ruolo di terzino sinistro è stato impiegato Lulic, con pessimi risultati, mentre a centrocampo Mauri ha vinto il ballottaggio con Cataldi. Di conseguenza Pioli ha invertito il triangolo, disegnando una mediana composta da Biglia e Parolo con Mauri trequartista, in una sorta di 4-2-3-1.

 

Per quanto sottile, questa variazione ha minato le certezze della Lazio, sia in fase difensiva che in fase offensiva. Lo Sparta Praga è organizzato principalmente per veicolare la manovra sugli esterni, difatti la gara di andata si era risolta in una serie di duelli in parità numerica sulle fasce, su entrambi i lati del campo. Con un uomo in meno in quella zona, la Lazio ha perso i riferimenti difensivi ed è stata incapace di attuare le dovute rotazioni che le permettessero di trovare la parità numerica.

 

D’altra parte in fase offensiva Mauri ha occupato una zona facilmente presidiata dallo schieramento dei cechi, che una volta saltato il primo pressing preferivano abbassarsi al di là della linea della palla con grande densità in zona centrale, spesso lasciando gli esterni laziali Candreva e Keita in situazioni di uno contro uno in ampie porzioni di campo. Una scelta che ha pagato, soprattutto grazie alla scarsa fluidità della manovra laziale.

 

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Il 5-3-2 molto compatto dello Sparta Praga. Lulic potrebbe provare ad appoggiarsi su Keita ma tira dritto e si fa respingere il tiro.

 

 

Le correzioni dello Sparta

 

Anche Zdenek Scasny ha rivoluzionato il suo schieramento rispetto alla gara di andata, paradossalmente senza cambiare nessuno degli undici titolari, ad eccezione della prima punta. L’uomo-ovunque Frydek, nella gara di andata trequartista deputato a difendere su Biglia, è stato schierato terzino sinistro in una difesa a 5. Dockal, ala destra del 4-2-3-1 nella gara di andata, è stato abbassato come interno destro di un centrocampo a 3 trovandosi ad agire nella zona di Biglia. Krejci, probabilmente il più talentuoso dei cechi, da ala sinistra è stato spostato a seconda punta.

 

L’intuizione del 5-3-2 è stata notevole in considerazione del piano gara dello Sparta, che con uno 0-0 sarebbe stata eliminato e non aveva nessun vantaggio nel difendere il risultato: i cechi erano costretti a segnare almeno un gol. Anche questa volta Scasny ha schierato i propri uomini in funzione dello schieramento avversario – i due attaccanti sui due difensori centrali laziali e i due interni di centrocampo su Biglia e Parolo garantivano la perfetta parità nel primo pressing. Il divario di intensità tra le due squadre ha fatto il resto, e dopo dieci minuti la Lazio si è vista travolta da due gol e praticamente estromessa dalla competizione.

 

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Il tridente dello Sparta in pressing sul primo possesso laziale. Dockal è sempre su Biglia e le due punte coprono i passaggi sull’esterno. Comunque ci sarebbe Bisevac libero e non si capisce perché Marchetti debba lanciare lungo, perdendo palla.

 

 

Al di là della tecnica

Le intenzioni manifestate da Pioli prima della partita sono parse da subito incredibilmente vane. Al di là di un’ingenuità di Costa che dopo quindici secondi ha messo Candreva solo davanti al portiere, la Lazio non ha mostrato nulla che somigliasse all’aggressività auspicata dal suo allenatore. Se da un lato poteva avere senso sfruttare la propria posizione di vantaggio e lasciare allo Sparta Praga l’onere di fare il gioco, dall’altro il linguaggio del corpo lasciava presagire il peggio.

 

La Lazio non si è schierata a protezione della propria area di rigore, piuttosto in una posizione intermedia che non disturbava lo sviluppo del gioco dei cechi né mostrava certezze sulle distanze da coprire. Nel primo tempo sono stati solo sei i contrasti vinti dalla Lazio, tre dei quali ad opera di Biglia, e nessun contrasto è stato vinto sulle fasce, dove lo Sparta Praga sviluppava con estrema facilità la propria manovra.

 

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La fase di gioco più congeniale allo Sparta, il possesso consolidato sulle fasce attraverso le catene laterali. Lulic è sempre in ritardo, Biglia viene bullizzato al centro del torello.

 

 

Certamente la Lazio ha un problema con la propria difesa, che è stato acuito dall’infortunio di De Vrij, ma sarebbe ottimistico pensare che le carenze della squadra di Pioli siano puramente di carattere tecnico. Lo Sparta Praga non ha trovato la porta in seguito a contropiedi fulminanti, errori marchiani o lanci lunghi alle spalle (dopo la disastrosa gara di andata, Hoedt e Bisevac si sono preoccupati molto di non concedere la profondità).

 

I cechi hanno avuto modo di organizzarsi, muoversi negli spazi, scambiarsi il pallone, liberarsi per la conclusione. Il tutto mentre la Lazio sembrava in totale confusione sulle assegnazioni difensive e sulle decisioni da prendere. Lo spogliatoio della Lazio non deve vibrare di fiducia in questo momento, e le dichiarazioni di Lulic sono un forte indizio («quando si devono prendere i fischi come stasera si prendono tutti insieme. Noi non siamo rimasti tutti in campo. In 5-6 si sono presi i fischi, gli altri sono corsi negli spogliatoi, scappati»), ma l’impressione è che alla base di tutto ci siano problemi di comunicazione.

 

 

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Qualche minuto prima del secondo gol subito, Bisevac potrebbe servire Candreva completamente solo sul lato debole (che però Krejci è veramente bravo a schermare) ma perde il tempo della giocata e cerca un passaggio verticale verso il centro, dove lo Sparta Praga è in superiorità.

 

 

Senza fiducia è facile perdere la concentrazione, senza concentrazione è facile sbagliare i tempi. Ancora una volta i problemi difensivi si specchiavano in quelli offensivi: sia con la palla che senza, la Lazio è parsa completamente fuori sincrono. Nell’azione del terzo gol ci sono stati due rimpalli che hanno parzialmente favorito lo Sparta Praga, ma solo perché i cechi si sono dimostrati più attenti nell’intuire quali zone del campo aggredire. Nel frattempo i giocatori della Lazio dimenticavano l’uomo, lo raggiungevano in ritardo, liberavano spazi.

 

 

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La pigrizia in fase difensiva: nonostante non ci sia nessun altro attaccante nella zona, Lulic è in ritardo e concede una linea di passaggio gratuita a Vacha, per nulla disturbato dal pressing blando di Biglia.

 

 

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Poco dopo Mauri ha completamente perso di vista Dockal, e Zahustel detta l’ennesima sovrapposizione elementare con cui puntualmente lo Sparta Praga trovava il fondo. Il cross non troverà nessuno, ma sul controcross segnerà Julis, pur tenuto sotto stretto controllo da Bisevac.

 

 

A testa bassa

La fase offensiva può essere perfettamente riassunta da un dato: 45 dribbling tentati (9 da Candreva, 8 da Keita, 10 da Lulic). È un altro prodotto dell’incomunicabilità: per quanto Candreva si sforzi di caricarsi la squadra sulle spalle (e anche ieri ha servito un pallone perfetto a Mauri che poteva almeno riaprire la partita), il suo gioco a testa bassa è particolarmente inefficace contro difese organizzate per raddoppiargli la marcatura. Peggio di lui ha fatto Felipe Anderson, subentrato nel secondo tempo in un’insolita posizione di interno destro in un 3-5-2. 39 tocchi al pallone, 6 palle perse in trenta minuti di sostanziale garbage time.

 

Sul piano della tenuta difensiva, lo Sparta Praga ha evidenziato gli stessi pregi e gli stessi difetti già messi in mostra nella gara di andata. Primo pressing molto efficace, centrocampo aggressivo e perfettamente istruito sulle marcature da rispettare. Alle spalle del centrocampo, una difesa molto passiva e solitamente molto spazio da attaccare, spazio che né Keita né Candreva sono riusciti a sfruttare. Un po’ per indolenza, un po’ per predisposizione naturale (le due ali della Lazio preferiscono il pallone tra i piedi che dettare il passaggio), un po’ per l’assenza in rosa di una prima punta che aggredisse la profondità. Se non è costretta a scappare all’indietro, per quanto lontana possa essere la difesa troverà il tempo di accorciare.

 

 

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La migliore occasione costruita dalla Lazio in novanta minuti, in contropiede. La difesa dello Sparta Praga non accorcia mai e per Mauri e Keita c’è tantissimo spazio. Mauri sbaglierà il più classico dei rigori in movimento.

 

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Le difficoltà dello Sparta nell’accorciare le distanze tra i reparti non sono scomparse neanche nel secondo tempo. Candreva ha tanto tempo e tanto spazio per ricevere e girarsi, ma il linguaggio del corpo di Keita e Klose è indicativo di quanta voglia avesse la Lazio a questo punto della partita.

 

Come esperienza

«È una vergogna quello che abbiamo fatto. Una vergogna. Una vera vergogna. Speriamo che questa serata possa servire come esperienza. Oggi dovevamo fare di più, basta». La frustrazione di Lucas Biglia è quella di tutti gli spettatori, dei tifosi che hanno iniziato a fischiare dopo il secondo gol e non hanno più smesso, e di tutti gli appassionati che speravano di poter continuare a sostenere una squadra italiana nelle coppe europee.

 

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Quando vedi Keita sfidare l’avversario distante tre metri con un doppio passo a centrocampo, capisci che è finita davvero.

 

 

La Lazio non poteva giocare peggio. Nella partita che avrebbe dovuto dare un senso a tutte le delusioni che questa stagione ha regalato, ha offerto l’immagine di una squadra pigra, deconcentrata, incapace di gestire le difficoltà più banali sia sul piano tecnico che sul piano emozionale. Se la circolarità degli eventi ha avuto il suo corso, questo è il classico fondo da cui si può solo risalire. Il punto è che per quanto si possa risalire, non ci sono più obiettivi da raggiungere.

 

Tags : europa league 2015/16laziosparta pragaStefano Pioli

Francesco Lisanti è nato a Matera nel 1994, a Torino si è laureato ingegnere, a Milano ha iniziato a lavorare. Deve tutto al blog di Wannabe Radio. Al momento si divide tra la passione per il calcio e la pianificazione della produzione.

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