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50 giovani da seguire nel 2024 - Terza parte
11 gen 2024
11 gen 2024
"El Diablito" Echeverri, Kayode e altri nomi da tenere d'occhio.
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IMAGO / Xinhua
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Continua la nostra lista di Under 20 da tenere d'occhio nell'anno che si è appena aperto. Martedì avevamo pubblicato i primi dieci nomi (li trovate qui), ieri altri dieci (qui), e così via fino a sabato. Buona lettura.21. Isaac Babadi, 2005, PSV (Olanda)Per Isaac Babadi la stagione era iniziata alla grande. Il nuovo tecnico del PSV, Peter Bosz, si era innamorato di lui nel ritiro estivo precampionato, e l’aveva fatto esordire da titolare nella prima partita della stagione - una partita che, per di più, metteva in palio un trofeo: la Supercoppa d’Olanda. Il PSV ha vinto contro il Feyenoord, ha superato facilmente i playoff di Champions League, dove Babadi ha segnato il suo primo gol tra i professionisti (contro lo Sturm Graz), e di lì a poco si è rivelata come la squadra dominatrice dell’Eredivisie (al momento è prima con 16 vittorie su 16, e 10 punti di distacco dal Feyenoord secondo). Esiste un contesto più favorevole per la crescita di un giovane talento? La risposta è sì, se non hai un contratto in scadenza nel 2024 e l’attenzione di molti club europei già addosso. Babadi ha sempre detto di voler rimanere al PSV, di avere la fortuna di non avere un vero agente alla caccia di commissioni ma suo fratello, eppure oggi siamo a gennaio e il suo rinnovo di contratto è ancora da firmare. E non ci possono essere molte altre ragioni se le sue presenze, dopo agosto, hanno iniziato a diradarsi. L’ultima volta che Babadi ha giocato più di un minuto in campionato era addirittura il 21 ottobre. Che 2024 aspetta Babadi, quindi? È possibile emergere fuori dalla squadra che ti ha cresciuto, dopo aver giocato poco più di 200 minuti tra i professionisti?

L’unico gol di Babadi tra i professionisti, per ora. 

Babadi sembra un centrocampista venuto da un’altra epoca. È lento e sembra assaporare i momenti in cui può controllare il pallone, condurlo per un po’ con il destro, prima di cercare magari un cambio di gioco. È uno di quei giocatori che già oggi sembra destinato a trasformarsi in regista, perché troppo pigro senza palla per sobbarcarsi tutto il lavoro che dovrebbe fare una mezzala, e troppo poco visionario per fare davvero il trequartista puro. Non è solo questione di coprirne i difetti, però, perché Babadi potrebbe anche avere le qualità giuste per fare da vertice basso: un sangue ghiacciato quando c’è da controllare il pallone sotto pressione, una buona capacità nell’usare il corpo a difesa della palla, soprattutto quella qualità funambolica che sviluppano i centrocampisti lenti per ingannare il diretto marcatore con l’uso del bacino e delle gambe. Per un giocatore così, una squadra allenata da Peter Bosz, un cultore del gioco di posizione, per di più in un campionato ideale per crescere in fretta come quello olandese, sarebbe stata come panna sulle fragole. Ma, come detto, le cose hanno ormai preso una piega molto diversa. Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa cosa lascia ma non sa cosa trova, si dice, e per Babadi il 2024 significherà innanzitutto iniziare a capire dove porta questa nuova strada che ha appena imboccato. 22. Franco González, 2004, Peñarol (Uruguay)Il calcio uruguayano, negli ultimi anni, si è un po’ stiepidito: i centrocampisti della generazione che si è messa in mostra in Celeste negli ultimi dieci anni sono soprattutto combattenti, dotati di una buona tecnica, sì, ma prima di tutto quintessenziali della celeberrima garra – box-to-box con mortai al posto dei piedi tipo Valverde. Il talento, la grazia, è stata un po’ marginale: i destini alterni dell’anodino De Arrascaeta sono un po’ il manifesto di questo mezzo fallimento. Franco González, "el Cepillo", che significa spazzolino, sembra venire da un’altra epoca, non necessariamente remota, tipo l’epoca in cui Nico Lodeiro dribblava nello stretto e ci stropicciavamo gli occhi.Cresciuto nel Danubio, passato al Peñarol dopo la vittoria nel Mondiale Under 20, "Cepillo" è più o meno l’archetipo del dieci-rioplatense-col-baricentro-basso, uno scricciolo tutto cambi di ritmo, pause e accelerazioni, amante delle finte didascaliche, accademiche, in cui il corpo si sposta da una parte, l’avversario abbocca, lui si rimette in equilibrio e lo supera. Ogni gambeta di Gonzalez – che ha, come tutti i dieci-rioplatensi-col-baricentro-basso il vizio del solipsismo esasperato – è netta, pulita, limpida. Trequartista come non se ne vedono più, non è mai irriverente, ma più funzionale: quando supera l’avversario la palla va semplicemente da un’altra parte, senza sbalordimenti, senza stupori. Lo abbiamo visto contro l’Italia nella finale del Mondiale Under 20: avete presente quell’azione in cui, in contropiede, con quattro compagni e di fronte soltanto Desplanches, si accartoccia in un trionfo di evanescenza? Ecco: per ora Gonzalez è questo. Ma con Bielsa potrebbe diventare un mezzo nuovo Mago Valdivia, un dagherrotipo di un calcio che non gioca più nessuno se non i dieci-rioplatensi-col-baricentro-basso.23. Gabriel Moscardo, 2005, Corinthians (Brasile)Il PSG ha deciso che strada prendere per il centrocampo di Luis Enrique in questa stagione. E dopo aver comprato Ugarte in estate e promosso a titolare inamovibile Zaire-Emery, a gennaio ha deciso di spendere i 20 milioni della clausola per prendere Moscardo dal Corinthians. C’è un filo conduttore dietro questi tre giocatori: Luis Enrique cerca equilibrio nel recupero immediato del pallone e sta puntando su centrocampisti in grado di coprire molto campo soprattutto in transizione difensiva in modo da sostenere una squadra che è abituata a giocare con tanti giocatori nella metà campo avversaria per lunghi tratti di partita. Da questo punto di vista, Moscardo è uno dei talenti più promettenti. Un recente infortunio al piede con conseguente operazione chirurgica prevista non ha permesso però il suo arrivo immediato, che è slittato in estate.

Moscardo ha debuttato nel Corinthians nell’estate 2023 a 17 anni e in poco tempo è diventato titolare, incarnando il prototipo del centrocampista difensivo più ricercato in questo momento dalle grandi squadre europee. È un centrocampista dalle gambe potenti, veloce e dal fisico elastico pur con una buona altezza (185 cm), che può coprire quindi tanto campo in poco tempo. Che sia in riaggressione o tenendo l’uno contro uno, Moscardo riesce a essere molto efficace difensivamente, anche con entrate in scivolata molto spettacolari. Tecnicamente solido, riesce a distribuire il pallone e avanzare in conduzione già ad un buon livello: per questo è un centrocampista che può giocare sia come vertice basso che in coppia (un tipo di versatilità utile nel PSG). Da questo punto di vista può essere sviluppato come una sorta di Declan Rice brasiliano, un centrocampista dinamico che riesce a non pestare i piedi ai compagni e anzi ad aiutare tutto il sistema a rendere meglio nelle varie fasi di gioco. È presto per dirlo, ma dietro al declino di Casemiro potremmo già vedere la luce lontana dell'investitura.24 Tom Bischof, 2005, Hoffenheim (Germania) Bischof è l'ultimo esponente della florida tradizione dei rifinitori tedeschi dal baricentro basso e dalla grande tecnica. Nato nel nord della Baviera, è cresciuto nell’Hoffenheim e da anni è fisso nelle varie selezioni giovanili nazionali tedesche. Da questa stagione è passato stabilmente in prima squadra, giocando anche qualche partita. A livello giovanile si è sviluppato sulla trequarti, ma in prima squadra lo si è visto soprattutto come mezzala offensiva del 3-5-2. Bischof si esalta nel rifinire più che nell’orchestrare la manovra offensiva, nel trovare la giocata tecnica giusta o l’intuizione imprevedibile che sblocca la situazione da fuori area. Il controllo del pallone è il suo principale punto di forza, che utilizza per sfuggire alla pressione avversaria o per orientarsi lo stop e crearsi i presupposti per la conclusione col sinistro. Certo, forse gli manca quel punto di velocità che può fare la differenza nel superare l'uomo e questo potrebbe limitarlo nella creazione di gioco nell'ultimo quarto di campo. Ora come ora, comunque, è uno specialista nei calci piazzati ed ha un'adeguata visione di gioco per far filtrare o lanciare il pallone anche su azioni manovrate. Per arrivare davvero in alto, però, dovrà raggiungere l’eccellenza da un punto di vista tecnico per non essere abbassato in mediano. Pupillo di Nagelsmann, che lo conosceva bene quando allenava l’Hoffenheim e lo vedeva nelle giovanili, il tecnico bavarese ha provato in tutti i modi a prenderlo, sia al RB Lipsia che al Bayern. L’Hoffenheim ha sempre resistito e il giocatore sembra comunque deciso ad affermarsi per la squadra in cui è cresciuto. Il Dortmund post Brandt o il Bayer Leverkusen post Wirtz sembrano le destinazioni più logiche a breve termine. 25. Kevin Kelsy, 2004, Shakthar (Venezuela)Il calcio venezuelano sta vivendo una specie di nuova primavera: eppure, in certi ruoli, continua ancora a doversi affidare a nomi epici, che vengono da un’altra era geologica, tipo Salomón Rondón. Se oggi c’è un nueve che sembra avere tutte le carte in regola per raccogliere il testimone, però, quel nueve è Kevin Kelsy, ventenne che ha appena firmato il rinnovo di contratto al 2028 con lo Shakhtar. In Ucraina è arrivato attraverso quello stargate che a un certo punto si apre, in un posto indistinto del Sudamerica, per inglobare talenti: dopo essersi messo in mostra in patria, con i Mineros de Guyana – senza clamori, ma con una solidità inattesa per la sua età – era stato acquistato dagli uruguayani Boston River. Poi si è aperto lo stargate, stavolta a Montevideo, e Kevin si è trovato catapultato a Donetsk.A settembre ha segnato il primo gol europeo al debutto in Champions League – il quarto più giovane esordiente a farlo, dopo Rodrygo, Messi e Roque Santa Cruz, che è poi il calciatore a cui forse più somiglia. Poco meno di un mese più tardi è arrivata la prima doppietta in campionato con la maglia dello Shakhtar, eloquente di come giochi questo cristone di un metro e novanta tutto cuore e senso della posizione.

L’aura stakanovista che lo circonda, un po’ cristianoronaldica, è dovuta al fatto che è sempre l’ultimo a lasciare il campo d’allenamento: si ferma un’ora, due ore in più per migliorare il tiro – calcia bene con entrambi i piedi – o affinare i colpi di testa. Il gioco aereo è di fatto la sua abilità più marcata, ma Kelsy è anche qualcosa di più, capace di giocare – forte del suo fisico – spalle alla porta per scaricare sul centrocampista che accorre; e poi è plastico, reattivo, sempre pronto a farsi trovare nel punto giusto al momento giusto, o a crearselo, quel momento giusto.26. Claudio Echeverri, 2006, River Plate (Argentina)Claudio Echeverri, con la faccia da schiaffi, il soprannome “El Diablito” ha tutte le stimmati del 10 argentino, di un angelo dalla faccia sporca. Parlando di lui è difficile uscire da tutti i luoghi comuni che circondano il calcio del suo Paese. Da almeno un paio d’anni si sa che è un fenomeno, a tenerci bassi da quando Di Maria parlò bene di lui. Per i più fanatici, invece, bisogna andare indietro a una partita contro la Juventus giocata con la maglia del River Plate. Echeverri, all’epoca un bimbo di 11 anni, segnò 3 gol e 1 assist, mostrando una grande varietà nel repertorio.

Al Mondiale Under 17 giocato quest’anno lo ha confermato. È riuscito a segnare 5 gol, con dentro una tripletta al Brasile ai quarti di finale. Di questi tre gol, due sono arrivati con azioni solitarie che descrivono la sua rapidità e la qualità nel controllo in spazi stretti - nella partita ha completato 6 dribbling. Il terzo gol, fatto saltando il portiere, è identico a un altro gol di Messi segnato al Brasile.

L’eredità può essere solo messianica, visto che Echeverri è destro, ama giocare in zona centrale e correre come un pazzo nei corridoi più angusti del campo. È piccolo, elettrico, sa usare tutte le parti del piede per portare palla, passarla o tirare. Ha quel tipo di energia nervosa che lo fa essere più forte fisicamente di quanto sembri. La palla gli rimane sempre sotto al piede, seguendo una legge di gravità diversa. È veloce, ma non ha una velocità fuori scala, e questo forse è il suo limite maggiore.Mi rendo conto che questo pezzo tiene insieme tantissimi giocatori talentuosi, e noi qui abbiamo una speciale predilezione per i giocatori tecnici. Il talento di Echeverri, però, è qualcosa di diverso anche dagli altri giocatori di cui abbiamo scritto in questi articoli. È un talento generazionale: tutto può andare storto, certo, ma Echeverri - così come Endrick per il Brasile - ha le potenzialità per trascinare un movimento calcistico storico come quello argentino.27. Roony Bardghji, 2005, Copenaghen (Svezia)Che Roony Bardghji sia un predestinato lo si intuisce dal fatto che abbia segnato il suo primo gol tra i professionisti ad appena quindici anni e che abbia disputato da titolare col Copenaghen tutta la parte finale della stagione 2021/22, quando aveva compiuto da poco sedici anni. Classe 2005, nato in Kuwait dove i suoi genitori si erano trasferiti dalla Siria, ha trascorso la sua infanzia in Svezia ma si è formato calcisticamente in Danimarca. Il Copenaghen è stato una delle squadre migliori del 2023. Guidati dal trentacinquenne Jacob Nestruup, i danesi giocano un calcio caratterizzato da grande intensità in fase di pressing. Bardghji, o se preferite Roony come c’è scritto sulla sua maglia, non sempre parte titolare, ma tecnicamente sembra già di un’altra pasta rispetto ai compagni. Mancino, si piazza a destra, sia nei corridoi intermedi che sulla fascia, per portare palla col piede forte e puntare la porta. Sa saltare l’uomo con naturalezza, ma il suo obiettivo principale è sempre arrivare al tiro, senza perdersi in troppi ghirigori nonostante la grande tecnica. Nel 2023/23 ha firmato 11 gol in 30 presenze, spalmate però su 1513’, numeri per nulla scontati per un ragazzo che ha compiuto diciotto anni a novembre. Il più importante lo ha segnato in Champions League contro il Manchester United, il gol del 3-2 finale per il Copenaghen che, a posteriori, ha permesso ai danesi di qualificarsi agli ottavi di Champions League.28. Michael Kayode, 2004, Fiorentina (Italia)Scartato dal settore giovanile della Juventus, Kayode a 16 anni si è fatto le ossa, come si dice, giocando in Serie D. La Fiorentina lo ha fatto rientrare nel calcio che conta e, dopo due anni in Primavera, Vincenzo Italiano lo ha fatto esordire la scorsa estate in Serie A. Era il 19 agosto e la Fiorentina era ospite del Genoa neopromosso. Il tempo di scaldarsi, un’oretta scarsa, e Kayode si è fatto conoscere al grande pubblico con una giocata di quelle che non passano inosservate. Dalla sua posizione, di terzino destro, si sovrappone internamente a Nico Gonzalez, che lo serve rasoterra in profondità. La palla è appena lunga, Kayode ci arriva poco prima della linea di fondo con un avversario pronto a chiudere il poco spazio rimasto per entrare in area di rigore, ma lui sorprende tutti con una sterzata di tacco che fa scivolare il difensore mentre lui gli gira intorno. Poco importa che poi si allunghi la palla, quanti diciannovenni avrebbero anche solo pensato una giocata del genere all’esordio in prima squadra?

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Nelle tre partite successive Italiano lo ha tenuto in panchina ma poi, complice l’infortunio di Dodo a fine settembre, quando è stato disponibile Kayode ha giocato sempre titolare. Il coraggio è la qualità che spicca sulle altre, la voglia di non rinunciare mai al possesso, neanche quando pressato, e l’intraprendenza con cui si fa vedere in fase offensiva. Sempre la scorsa estate ha segnato il gol vittoria in finale dell’Europeo under 19, contro il Portogallo, schiacciando di testa un cross arrivato alto e lungo sul secondo palo. Ricorda vagamente un altro terzino italiano di origine africana, Udogie, proprio per la fiducia con cui porta palla e punta l’avversario. Di Udogie non ha l’esplosività né la qualità in conduzione, ma compensa con la velocità e letture senza palla ancora più offensive. Grazie alla sua elasticità e al coraggio negli interventi dice la sua anche difensivamente, è difficile da saltare per quasi tutti gli esterni del campionato. Deve migliorare i tempi nel crossare e in generale nell’ultimo terzo di campo può diventare più efficace (purché non si normalizzi diventando più timido, rinunciando a quel coraggio che lo ha aiutato ad emergere), ma tutto lascia pensare che Kayode abbia un futuro radioso davanti. Magari, un giorno, anche in Nazionale maggiore.29. David Pejicic, 2007, Udinese (Slovenia)Riuscirà Pejicic in ciò in cui ha fallito Pafundi, ovvero trovare spazio nell’Udinese? Intanto difficile immaginare due giocatori più diversi. Pafundi col baricentro basso, il controllo palla al velcro, lo stile offensivo; Pejicic che a 17 anni ha già il fisico di un adulto. È già in grado di reggere il duello fisico con i giocatori della Serie A. La maturità con cui gioca è ciò che salta all’occhio guardando Pejicic. Non si tratta solo del fisico, appunto, ma anche della calma con cui gioca sotto pressione, della lucidità delle scelte. Ha esordito contro il Cagliari e non ha mai tremato, cercando di mettere intensità nel suo gioco. «Sembrava un trentenne», ha detto Cioffi. C’è un’azione in cui si mette a incitare direttamente il pubblico con grande carisma.

Nasce come numero 10 ma si è adattato un po’ a tutto; ha giocato mediano, mezzala, esterno a tutta fascia. Ha un serbatoio atletico che gli permette un po’ tutto. È un giocatore grezzo, non è semplice capire in che direzione possa svilupparsi, ma sembra una mezzala, con un gioco molto solido e che sbaglia poco. È giovanissimo ma è abituato a giocare con i più grandi. In primavera, la scorsa stagione, ha giocato tre anni sotto età, e sembrava il più giocatore. Stare in una squadra che vive una stagione difficile, e che flirta con la zona retrocessione in modo imprevisto, ha vantaggi e svantaggi. Pejicic in fondo non ha tantissima concorrenza davanti a sé (anche se la rosa dell’Udinese è forse meno scarsa di quanto si dica), ma deve giocare partite delicate, in cui è molto responsabilizzato. Eppure lui non sembra avere grandi problemi a comportarsi da adulto.30. Samson Baidoo, 2004, Red Bull Salisburgo (Austria)Calmo e composto, si ispira a Rudiger e con l’infortunio che tiene lontano dal campo Solet è diventato titolare nella difesa del Salisburgo, centrale di destra. Samson Badoo sarà anche alto un metro e novanta ma sembra grosso il doppio di un giocatore normale. Certo contro l’Inter, in Champions League, si è scontrato contro uno degli attaccanti più grossi del calcio europeo, Marcus Thuram, e qualche difficoltà l’ha avuta ma di solito può usare la propria forza fisica per gestire con tranquillità i duelli. A diciannove anni, oltretutto, può ancora crescere dal punto di vista muscolare. Ma Baidoo non è solamente alto e grosso, è anche tecnico con e senza palla, presente nei duelli ma mai troppo aggressivo, pronto a sfruttare il minimo passo falso del giocatore che provi a sfidarlo nell’uno contro uno. Nato in Austria da genitori ghanesi, ha cominciato come centravanti e poi è stato spostato dietro a quattordici anni. Forse è anche il passato da attaccante a dargli oggi una buona capacità nelle letture, fondamentale per giocare a 4 in una squadra aggressiva e alta come il Red Bull Salisburgo. Baidoo ha esordito anche in Nazionale maggiore e ormai sembra aver compiuto il salto da giovane promessa a difensore di élite. Anzi, le sue qualità con la palla, in conduzione e nei passaggi anche lunghi, permettono di usarlo anche in modo polivalente. Ad esempio nell’ultima partita prima della pausa invernale, giocata in Champions League contro il Benfica, è stato schierato in fascia, come terzino destro. Sembra tagliato per ricoprire un ruolo importante in una squadra di alto livello della Bundesliga tedesca, seguendo magari le orme di Dayot Upamecano che come lui ha cominciato al Salisburgo.

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