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5 veli che abbiamo dimenticato
06 dic 2023
06 dic 2023
Ode all'arte di passare il pallone senza passare il pallone.
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IMAGO / Shutterstock
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Nel calcio il velo maschera l’intenzione di toccare il pallone, fermarlo, a favore della volontà di lasciarlo correre sull’erba per ingannare l’avversario. Chi lo realizza si nega l'opportunità di toccare la palla ma allo stesso tempo attira tutta l’attenzione dello spettatore su se stesso, in un gesto che è insieme un inno alla collettività - mi privo di giocare il pallone in favore di un compagno e della squadra - e un inno all'individualità - guardate cosa sono capace di fare: un passaggio senza toccare la palla; e di vedere: un compagno dietro le mie spalle. Il velo è un rischio, se si sbaglia il tempo si fa una figuraccia. Per questo, ci sono poche cose più attraenti. Il velo sottrae definizione alla realtà ma allo stesso tempo afferma quello che sta dietro, lo indica. La funzione del velo è quella di mettere in pausa, creare aspettativa per quello che sarà. Una volta caduto il velo rimane la sorpresa, la soddisfazione o l’insoddisfazione di fronte a quello che è stato. C’è poi una questione affascinante intorno ai veli: non ne sono rimasti molti in archivio e quindi nella memoria collettiva. A meno che questi non siano avvenuti immediatamente prima di un gol, non sono così semplici da recuperare. Il velo rimane un gesto raro e nascosto, sommerso dalla mole di dribbling, tiri, calci di punizione, rovesciate: tutte azioni che presuppongono il tocco della palla. Per ricordarsi dei veli è necessario fare uno sforzo di memoria supplementare. Ho raccontato cinque veli, li ho scelti in base a criteri soggettivi di originalità e allo stupore che mi hanno generato. Sono tutti veli che hanno favorito uno o più compagni: insomma, hanno prodotto un “passaggio”, se così si può chiamare. Sono rimasti fuori da questa brevissima lista il recente velo di Luis Alberto a cui Dario Pergolizzi ha dedicato un pezzo intero; gli auto-veli di Pelé, Fernando Torres e Vinicius che a loro volta meriterebbero un articolo a parte; il velo di Rivaldo per il gol di Ronaldo nella finale della Coppa del Mondo del 2002; e poi Messi, Camoranesi, Pirlo, Rashford, Bruno Fernandes, Lukaku e quanti altri? Ma soprattutto è rimasto fuori un velo di Lautaro Martinez che sono sicuro mi abbia fatto emozionare ma che non sono stato capace di recuperare nella memoria. Iniziamo.Il ballerino di flamenco (Julian Álvarez, Argentina-Perú, 2023)

Stavo correndo in bicicletta per il lungofiume della città di Cali, circondato da magliette gialle della Nazionale - si era appena giocata Colombia-Ecuador - quando da un televisore in mezzo alla strada ho visto le immagini di Argentina-Perù. Avrei voluto fermarmi, sedermi al tavolino, stappare una Poker con l’accendino e godermi la Nazionale campione del mondo, ma avevo un impegno inderogabile con la mia stanchezza e sono finito a dormire a casa su un’amaca rossa e precaria.Al mio risveglio ho dimenticato la partita, ma due giorni dopo, quando il mio collega argentino ci ha tenuto a farmi sapere che “il più grande di tutti”, "la Pulce", aveva segnato una doppietta, non ho resistito a guardare il riassunto delle migliori azioni. Dopo essermi sinceramente dispiaciuto per il mancato gol dalla trequarti di Paolo Guerrero e non essermi sorpreso del gol in corsa di Messi all’incrocio dei pali, sono rimasto confuso da quello che è successo al minuto 42.Al minuto 42 Messi fa di nuovo gol: e fin qui, tutto bene. Succede che l’assist è di Enzo Hernandez: e anche fin qui, tutto bene. Ma in mezzo c'è qualcosa che non rimarrà in nessuna statistica avanzata. Julian Álvarez fa una cosa a cui ho continuato a pensare per giorni. Guardando l’inquadratura ampia, nel tempo che trascorre tra il piede di Enzo e quello di Messi, Julian sembra mancare per errore la palla, inciampare prima del possibile impatto e il suo piede sinistro impuntarsi goffamente. Riguardandolo invece da dietro, da una prospettiva più ravvicinata e al rallentatore, si vede che l’attaccante del Manchester City va incontro al passaggio di Enzo, finta il tiro potente con il piede sinistro ma invece che lasciar scivolare la gamba come una falce nel grano, blocca la punta contro la terra.In quel momento il suo cervello lotta contro il suo istinto, esita - perché non tira Julian? Un tiro forte sul primo palo sarebbe stato senz’altro possibile - quanti gol ha già fatto così? Eppure in pochi istanti due situazioni lo fanno desistere: la possibilità che la gamba destra del difensore peruviano intercetti il suo tiro e la presenza del suo capitano che accorre alle sue spalle. Saltello, punta del piede sinistro nell’erba, saltello, punta del piede destro nell’erba e le braccia si spiegano come quelle di un ballerino di flamenco. La palla scivola verso il suo idolo d’infanzia e prima di arrivare al piede sinistro di Messi, tutta la difesa peruviana gira in tondo sorpresa, attivata dal passo di danza di Julian. Olé! Lo scrittore muto (Román Riquelme, Boca Juniors-Lanus, 2014)

Amare Riquelme significa amare la schiettezza dell’anticonformismo. Basta ascoltare come rispondeva alle domande dei giornalisti da giocatore e come lo fa ora da vicepresidente e direttore tecnico del Boca Juniors. Il suo soprannome è il “Mudo” ma Román, in realtà, le parole le sa usare, ne usa poche, spesso in maniera polemica e in controtendenza con la retorica del linguaggio utilizzato nel mondo del calcio. Ma le usa.Quello di Riquelme è un esercizio di sottrazione, dal consueto ma anche dall’inutile: eliminando le parole superflue ci si avvicina all’essenza dei significati. Per Román la precisione della parola nell’elaborazione di un discorso ha la stessa importanza della precisione del passaggio nel gioco del calcio. Saper giocare a pallone, ci dice, non è altro che passare bene la palla, stopparla bene e ripassarla bene. Fare le cose semplici e con cura, con quella leggerezza calviniana che aspira a emozionare chi legge e chi guarda.Cos’è il “passaggio” se non la “parola” in un campo di calcio? I giocatori si parlano con i passaggi, l’erba del terreno di gioco e l’aria non sono altro che connettori: il suono della voce o un foglio su cui scorrono e si elaborano i pensieri. I dribbling sono monologhi brevi, funzionali a un discorso più ampio e collettivo, i tunnel battute ironiche che possono produrre reazioni sproporzionate o moti d’orgoglio. Chiedete a Yepes. O all’amico che quando gli fai un tunnel ti stende con un calcione.

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Riquelme dentro e fuori dal campo praticava un costante esercizio di sottrazione. Nonostante la sua classe e la sua superiorità tecnica rispetto alla maggioranza dei suoi contemporanei, Román non era iperboli e avverbi, ma sostantivi e aggettivi ben calibrati. E a volte, come in questo caso, trasformava il suo corpo nel silenzio che intercorre tra una parola e l’altra. Non aveva bisogno di toccare il pallone per influire nel discorso. L’assenza stessa della parola-passaggio assumeva più importanza e profondità del passaggio stesso. Ed eccolo quindi, ricevendo un pallone forte e perpendicolare al suo corpo non far altro che alzare leggermente il piede destro, come a volerlo stoppare di suola, ma lasciarlo sfilare al suo fianco, ingannando il difensore appostato dietro di lui. La palla scivola sull’erba, oltrepassa Román, e s’infila tra le gambe del difensore, che prova a incrociare la gamba sinistra all’indietro, come un principiante alla prima lezione gratuita di salsa, senza nessun esito. Riquelme ha appena realizzato un tunnel senza toccare il pallone (ci è riuscito anche Abraham quando giocava al Chelsea), che poi rotola preciso verso un attaccante del Boca, sorpreso dal gioco di prestigio del suo compagno di squadra.Il missionario (Mesut Ozil, Arsenal-Leicester City, 2018)

Sono sicuro che Mesut Ozil sia una di quelle persone che trova più piacere a prendersi cura degli altri che di se stesso. Non si spiegherebbe tutta questa fantasia messa a disposizione del prossimo. Ozil è più felice se più persone intorno a lui sono felici e se tutto questo può accadere grazie ai suoi colpi di tacco, ai suoi veli e ai suoi cucchiai di esterno. Guardate questa azione e ditemi se non siete d’accordo. Il 22 ottobre del 2018 è un lunedì, ed Ozil è riuscito a coinvolgere nell’azione del gol ben cinque giocatori solo per poter iniziare al meglio la sua settimana. Lucas Torreira (1) è il giocatore che, dal lato sinistro della difesa, lancia una palla tesa verso il cerchio di centrocampo che rimbalza due volte sull’erba prima che il trequartista tedesco la impatti con un colpo di tacco al volo e di controbalzo - accompagnato dall’ovazione di tutto lo stadio. La palla rotola esattamente sui piedi di David Luiz (2), che riceve e lancia sulla fascia destra Hector Bellerin (3). Il difensore vede Ozil correre verso l'area di rigore e lo serve con un pallone teso rasoterra, ma quello ha già guardato due volte verso sinistra, e da sinistra sta accorrendo il suo numero 9. Allora Ozil apre le gambe in corsa e ci fa scorrere in mezzo il pallone che arriva preciso a Lacazette (4), per poi buttarsi come un forsennato in mezzo all’area di rigore. Lacazette lo premia chiudendo il triangolo con un tocco d’interno destro che dà un giro delizioso al pallone. Ozil si ritrova solo davanti al portiere, a pochi centimetri dall’area piccola, ma invece di tirare si inventa un cucchiaio di esterno sinistro e mette direttamente in porta Aubameyang (5).Dal colpo di tacco al velo sono passati sette secondi, dal velo al cucchiaio tre. In dieci secondi Mesut Ozil ha coinvolto mezza squadra in un gol e ha fatto girare la testa ad almeno quattro giocatori del Leicester. Nel caso di Evans e Maguire l’espressione è letterale: il primo, che avrebbe voluto contrastarlo prima del tacco volante, è costretto a girarsi di 180° e ripiegare a tutta velocità; il secondo, quando realizza di essere stato beffato dal velo di Ozil, è obbligato ad avvitarsi su stesso di 360° e vedere materializzarsi Ozil di fronte alla porta.Il magnete (Luka Modric, Dinamo Zagabria-Rijeka, 2005-2008)

C’è stato un tempo in cui Luka Modric calcava gli stadi croati con la maglia blu della Dinamo Zagabria. Aveva vent’anni ma il suo profilo era spigoloso e il suo fisico magro e asciutto come oggi che ha trentotto anni. In alcune foto di gioventù Modric assomiglia a Cruyff: sguardo concentrato, capello biondo lungo ma non troppo e naso aquilino.Come Cruyff, Modric ha fatto dell’arte dell’illusione un modus operandi quotidiano per sopravvivere e dettare i suoi tempi sul terreno di gioco. Le finte di corpo per eludere la pressione, con o senza palla, deve averle affinate a diciotto anni, nell’anno in prestito nel campionato bosniaco. Per rendere l’idea della fisicità che ha dovuto affrontare quell’anno, con un’auto-profezia, disse: «Se qualcuno riesce a giocare nel campionato bosniaco, può giocare ovunque». Modric ha dimostrato di poter giocare ovunque e di rendersi protagonista su qualsiasi palcoscenico: con la maglia dello Zrinjski Mostar o del Tottenham e con picchi di prestazioni surreali con il Real Madrid e la Nazionale croata. Non è un caso che sia stato l’unico giocatore capace di interferire, vincendo il Pallone D’Oro nel 2018, nella decennale diarchia Messi-Cristiano Ronaldo.Si è scritto molto sulla sensibilità del suo esterno destro, Daniele Manusia si è spinto ad affermare che “Modric ha nell’esterno del piede una sensibilità superiore a quella che molti uomini hanno nei polpastrelli delle mani” e rivedendo i video dei suoi passaggi, non andiamo molto lontani dalla verità. Si è scritto meno sulla sua costante funzione di calamita, sulla capacità di attrazione e repulsione magnetica degli avversari. Modric si muove sul campo come un magnete iperdinamico capace di controllare il campo magnetico che lo circonda e influenzare i movimenti degli avversari. Il suo corpo attrae e respinge gli altri corpi proprio come i poli negativi e positivi di una calamita. Quelli che girano intorno a Modric sembrano corpi condannati ad avvicinarsi e allontanarsi da lui senza mai poterlo afferrare, in un contrappasso che somiglia a quello del girone degli ignavi, coloro che in vita sono stati incapaci di scegliere. Gli avversari, condannati a girargli intorno senza mai potergli rubar palla, possono scegliere soltanto di non scegliere.In questo video dai pixel sgranati, possiamo vederlo compiere un primo velo e dopo soli tre secondi compierne un secondo, correndo su una linea retta che punta direttamente alla porta avversaria. Intorno a lui gli avversari corrono persi, non capendo il perché di tutto questo mistero, perché non stoppa la palla? Con due veli Modric ha fatto risalire velocemente la sua squadra e attraversato tutto il centrocampo. Non ha fatto altro che aprire una volta le gambe e correre in verticale, aprire una seconda volta le gambe e correre in verticale, per poi farsi passare la palla per davvero. È come se avesse dato vita a una doppia triangolazione senza mai toccare la palla. Quando finalmente riceve e avanza, Modric ha perlomeno sei giocatori avversari che corrono verso di lui: l’attrazione magnetica di cui parlavamo. Solo uno, il settimo, quello che è intervenuto andando a vuoto sul primo velo, cammina. Lui non finirà nel girone degli ignavi perché ha scelto di non correre e prendere atto dell’eccezionalità di Luka Modric.I poeti dimenticati (Marlon e Fred, Nova Iguaçu-Fluminense, 2015)

Quando mi sono trovato a pochi metri dalla Garganta del Diablo, alle cascate di Iguazú, mi sono emozionato talmente tanto da mettere in discussione il mio agnosticismo. Ho sentito una forza inspiegabile, che ha fatto vacillare anni di materialismo storico e cinismo. Poi, quando mi sono allontanato, è tornato tutto come prima. Ci sono un’infinità di cose che non comprendiamo ma di cui non ci preoccupiamo. E poi ce ne sono altre che un giorno ci raggiungono, ci assillano e non ci lasciano più. Cosa avranno pensato i difensori del Nova Iguaçu quando hanno subito con un solo passaggio un doppio velo, da parte di due giocatori diversi della Fluminense? Il Brasile è il paese con il maggior numero di persone cattoliche al mondo, quanti tra i difensori del Nova Iguaçu avranno messo in discussione la propria religiosità di fronte a questo fenomeno più raro delle apparizioni della Madonna? Sono quindici quelle riconosciute per decreto dalla Chiesa, dodici delle quali avvenute dopo il 1848, anno in cui si stabilirono le prime regole del calcio in Inghilterra. Quanti doppi veli come questi sono stati realizzati in partite ufficiali dal 1848 ad ora?Quando Wellington avanza con il pallone sulla trequarti destra, Marlon accorre nei pressi della lunetta dell’area di rigore avversaria e si ritrova davanti un difensore con la maglia arancione fosforescente del Nova Iguaçu. Dietro di lui Fred calpesta la linea dell’area di rigore, saltella all’indietro per evitare il fuorigioco, e con il braccio sinistro invita Wellington a un cross in area. Wellington decide invece di servire Marlon che a prima vista sembra aprire le gambe, in realtà fa scivolare il pallone alla sua destra per favorire il velo per Fred e prosegue la corsa verso la porta. Il pallone giunge a Fred che potrebbe provare il tiro o servire Marlon, ma ha un altro difensore con la maglia arancione fosforescente davanti. La difesa del Nova Iguaçu sta facendo un buon lavoro. Fred, come Marlon, non stoppa la palla, ma la lascia sfilare, questa volta sì in mezzo alle gambe, perché nel frattempo ha visto accorrere dietro di lui Jean. A questo punto tutta la difesa avversaria è stata presa in controtempo da un doppio velo che ha finito per propiziare il gol. L’assist, incredibile ma vero, è di Wellington. A Marlon e Fred la gloria eterna e la poesia collettiva.

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