Sono lontani i tempi in cui i calciatori dopo un gol si lasciavano andare a uno stitico saltello sul posto, accompagnato da un sorriso, l’abbraccio sparuto di un compagno. Qualcuno li rimpiange, come segno di un’epoca di maggiore spontaneità, dove la gioia poteva essere trasmessa in modo non filtrato da codici mediatici e di costruzione dei personaggi. Nelle vecchie esultanze questa gioia, in realtà, sembra semplicemente minore. Non riesco a capacitarmi, per esempio, di quanto fu relativamente contenuta l’esultanza di Gianni Rivera dopo il 4-3 alla Germania: due braccia al cielo, due abbracci con due compagni. Lo avessimo segnato in questi anni, quel gol, avremmo visto Buffon arrivare col monopattino elettrico dalla sua porta e planare su una mischia infinita di uomini per esultare. Oggi le esultanze non sono solo un momento di gioia, ma anche un modo che hanno alcuni calciatori – soprattutto quelli che segnano più spesso – per offrire un’immagine di sé al mondo esterno. Per questo le esultanze più comuni del calcio contemporaneo sono quelle scivolate, in cui i calciatori provano a trasformare sé stessi in statue impassibili. L’immagine stessa della freddezza in senso di coolness. Ci sono poi esultanze più ludiche (quest’uomo va sugli spalti ad applaudire sé stesso), più strane (Haaland che fa yoga), provocatorie (Fowler che sniffa cocaina) o rabbiose.
Esiste poi una categoria a parte che sono le esultanze di Sergio Ramos, che hanno assunto una complessità da testo religioso: ogni gesto ha un significato evidente e uno più nascosto, uno denotativo e uno connotativo. E i gesti che Ramos infila nelle sue esultanze sono tanti, diversi e scompagnati. Ieri, contro l’Atalanta, dopo aver segnato il calcio di rigore del 2-0 ha inanellato una serie di esultanze diverse e tutte complicatissime. Le abbiamo messe in sequenza provando a interpretarle.