
Musulmano, socialista, pro-Palestina: cos’altro deve fare Zohran Mamdani per mettersi fuori dalla tradizione politica statunitense? La risposta è sotto gli occhi di tutti: giocare a calcio.
Il calcio per nuovo sindaco di New York è una passione autentica, genuina, soprattutto se parliamo dell’Arsenal. La fede nella squadra di Londra gliel’ha passato uno zio di Kampala, in Uganda, dov’è cresciuto fino all’età di cinque anni. D’altra parte le radici africane dell’Arsenal sono note, e lo stesso Arsenal le ha celebrate poco tempo fa con una maglia nera, rossa e verde come la bandiera pan-africana e che si ispira alla diaspora africana nel Regno Unito. «Sono cresciuto con Kolo Toure, Kanu, Alex Song, Lauren ed Emmanuel Eboue», ha detto in un’intervista a The Athletic dello scorso ottobre Zohran Mamdani che, dopo essersi trasferito negli Stati Uniti con la famiglia nel 1998, torna a Kampala nel 2003 per un anno, seguendo il padre che si era preso un anno sabbatico.
Il 2003 non è un anno come gli altri per i tifosi dell’Arsenal: è quello in cui parte l’incredibile cavalcata degli Invincibles, e forse in quel momento il giovane Mamdani deve aver pensato proprio che le sue radici africane centrassero qualcosa. «Gli Invincibles li avevo come magneti sul mio frigo. Ho amato David Seaman, Sylvain Wiltord, tutti loro. Sono andato ad alcune partite dell’Arsenal, la maggior parte con mio zio. È una grossa parte della mia vita e della mia identità».
Mamdani gioca a calcio a New York quando gli Stati Uniti non hanno ancora vinto la candidatura per i Mondiali del 2026, e quelli del 1994 sembrano ormai un ricordo sbiadito. Certo, il calcio è associato al mondo ricco e liberal di cui Mamdani fa parte, per quanto entrambe queste cose possano sembrarci strane da una prospettiva europea, ma non si può certo dire che sia uno sport popolare, o di moda, agli inizi degli anni 2000 - nemmeno in una città prevalentemente ricca e liberal come New York. Il Mamdani ancora minorenne si ritrova con gli amici nello splendido Riverside Park di Manhattan, dove gioca per la West Side Soccer League, un campionato giovanile che oggi è associato con le giovanili della New York Red Bull (perché non si scappa mai davvero dal capitalismo).
C’è anche un reperto archeologico di questi momenti che oggi ci appaiono mitologici. Mamdani diciassettenne che segna un gol di mezzo esterno facendo passare la palla sotto le gambe del difensore, che esulta mettendosi le mani tra i capelli, e che addirittura fa un’intervista post-partita in cui esalta lo spirito della squadra, capace di rimontare da 0-2 a 3-2 nel secondo tempo. È un video che ha tutta la grammatica di ciò che ci sembra non vada nel calcio americano: il campo che non è un campo da calcio, l’erba sintetica, un gol segnato da troppo vicino in una porta troppo grande.
Non so se il mio occhio europeo un po’ spocchioso, ma anche la tecnica è da rivedere. L’utilizzo del mezzo esterno un po’ casuale, la gamba troppo rigida. Mamdani sembra essere proprio il tipo di giocatore che ha visto calcio più di quanto ne abbia giocato. Lo si intuisce anche da un recente video della sua campagna elettorale contro la FIFA (ci torniamo) in cui si alza il pallone con la punta del sinistro facendoselo passare dietro al destro, lo pettina con la suola, ma poi calcia in maniera un po’ rudimentale, con la spalla un po’ troppo alta e un utilizzo del piede non proprio consapevole (ok, le scarpe da matrimonio non aiutano, ma insomma).
Queste però sono facezie di fronte alla notizia di oggi: e cioè che un ragazzo appassionato di calcio come te e me mio caro lettore - un ragazzo che vuole abolire il VAR e che nelle interviste sull'amministrazione di New York fa battutine velenose sul Liverpool - oggi è il sindaco della più ricca e importante delle città americane.
In realtà dietro a questa notizia, che è già bella grossa anche per i tempi di cambiamento che stiamo vivendo, ce n’è una meno evidente, ma non per questo meno importante. E cioè che il calcio, per Mamdani, non sia solo un aneddoto simpatico, al pari delle sue origini africane o della sua passione per l’Arsenal, ma anche un mezzo per raggiungere fini politici. E il fatto che la storia gli abbia dato ragione è forse la sua parte più sorprendente (anche il fatto che si sia dichiarato esplicitamente socialista non è da meno, mi direte, e avreste ragione, ma noi siamo pur sempre una rivista di sport).
È difficile risalire a quando e come sia nata l’idea di utilizzare il calcio per promuovere la propria campagna elettorale. Le prime tracce che ho trovato risalgono al dicembre del 2023, quando Mamdani è tra quelli che organizza la cosiddetta Keffiyeh Cup, un torneo di calcio ad Astoria Park, nel Queens, per raccogliere fondi da destinare ai rifugiati palestinesi attraverso l’UNRWA (ufficialmente, in italiano: l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente). Un mese dopo, Mamdani presenzia all’inaugurazione di un'accademia giovanile per immigrati dal Bangladesh nel quartiere di Forest Hills - “il tipo di posti”, come scrive il Morning Star “dove il calcio vive a New York”.
L’equazione di Mamdani è semplice da un punto di vista puramente aritmetico. A New York la popolazione di origine straniera e quella giovane è più forte che in qualsiasi altra città degli Stati Uniti, e queste due fasce demografiche tra i vari punti in comune hanno anche il calcio. O almeno questa è stata la sua scommessa. D’altra parte, se si escludono gli afro-americani e i bianchi, che com’è noto negli Stati Uniti sono tradizionalmente legati ad altri sport, rimane comunque una fetta che equivale all’incirca alla metà della popolazione di New York, e le persone sotto i 24 anni, più sensibili alla nuova popolarità del calcio negli Stati Uniti, a più di un terzo. E questo senza contare che la Premier League sta sfondando anche tra l’élite bianca e le sue partite continuano a battere record di share negli Stati Uniti.
In Europa lo sappiamo bene: uno dei più grandi punti di forza del calcio è che è trasversale, da un punto di vista demografico ma anche sociale, di classe. E quindi non c’è nessuna contraddizione in un sindaco socialista di origine indiana che tifa per la stessa squadra a cui si è appena affezionato il broker di Wall Street o il lobbista di Washington, e che entrambi giochino allo stesso sport del bambino appena arrivato negli Stati Uniti dal Bangladesh o dal Costa Rica.
Questa interpretazione, ci tengo a sottolinearlo, non è farina del mio sacco. Nell’intervista a The Athletic che ho già citato si parla ad esempio dello scrittore dei discorsi di Mamdani, Julian Gerson, che voleva che i riferimenti calcistici del candidato democratico fossero più mainstream e che invece si è visto costretto a sostituirli con giocatori come Bukayo Saka e William Saliba. Il senso è che Saka e Saliba sono tra i giocatori dell’Arsenal preferiti da Mamdani, certo, ma anche che sono un inglese e un francese con genitori e origini africane. “In una città in cui la diversità è un fattore”, si può leggere nel pezzo “l’amore per il calcio di Mamdani fa leva sulle giovani generazioni, che sono chiave per il suo sostegno, ed è uno strumento per connettersi alle comunità immigrate nei cinque quartieri di New York”.
Non è forzato dire che il calcio è stato uno dei pilastri su cui si è retta la campagna elettorale di Mamdani. Ad agosto il suo team ha organizzato un torneo di calcetto a 32 squadre (il "Cost of Living Classic”) poi molto comunicato sui social, e di lì a poco è entrato direttamente nel suo programma elettorale, con la proposta di chiedere alla FIFA la fine del sistema del dynamic pricing per i biglietti delle partite dei Mondiali del prossimo anno e permettere così anche alle classi meno abbienti di partecipare a questa festa di cui New York sarà una grossa parte (al Metlife Stadium, a pochi chilometri da New York, si giocheranno otto partite, tra cui la finale).
È stata una mossa molto furba e col senno di poi vincente, per quanto possa suonare poco credibile. Da una parte perché ha permesso di ancorare il tratto più personale e pop della figura di Mamdani al cuore della sua proposta elettorale, cioè quella di rendere New York una città più economica e quindi vivibile anche per le fasce più basse della sua popolazione. Dall’altra perché adesso, col Mondiale alle porte e Donald Trump che ha già minacciato diverse volte di spostare le sue partite dalle città amministrate dai democratici, sarà un tema che probabilmente gli permetterà di avere una risonanza nazionale, che va ben oltre New York, con un occhio quindi anche al suo futuro politico. Mamdani, in effetti, ne ha già parlato. «I Mondiali sono un momento in cui accogliamo il mondo», ha detto a The Athletic «Eppure molte persone mi hanno contattato per chiedermi se ci saranno agenti della ICE [l’agenzia federale americana per il controllo delle frontiere, accusata in questi mesi di arresti violenti e di espulsioni illegali, ndr] fuori dallo stadio, o se dovranno portare sempre i documenti con sé. Queste sono le condizioni che il presidente sta creando ora a New York e anche in tutto il resto del Paese».
Probabilmente sto correndo troppo e non vorrei nemmeno far passare Mamdani per un calcolatore che almeno da fuori non sembra essere. D’altra parte: chi avrebbe mai detto anche solo pochi mesi fa che puntare così forte sul calcio si sarebbe rivelato vincente nella corsa per diventare sindaco di New York? Forse stiamo cercando del senso dove non c’è e oggi bisogna solo godersi le dichiarazioni di Mamdani che vorresti fossero state fatte dal tuo sindaco o dal deputato eletto nella tua circoscrizione elettorale.
Cose come: «Non credo che si possa costruire un futuro stabile per il calcio negando ai tifosi della classe lavoratrice la possibilità di guardare le partite dal vivo». Oppure: «Lo sport è stato talmente commercializzato e corporativizzato che i tifosi ormai vengono considerati una merce. È compito dei leader intervenire quando il profitto diventa l’unico movente, al punto che molte persone che un tempo partecipavano a questi eventi oggi non possono nemmeno pensare di farlo». Quanto possiamo ritrovare noi stessi, i nostri amici, in queste parole dette da un uomo americano di 34 anni nato a Kampala da genitori indiani?
Il 2025 aveva già abbattuto diverse nostre certezze. Che fosse il sindaco di New York a ricordarci che cos'è e su cosa si basa il calcio, però, pensavo fosse fuori dall’orizzonte del possibile persino di questo anno surreale e sciagurato.