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Zidane come sognato
08 ott 2025
Svegliarsi una mattina e rendersi conto che Zidane non ha davvero offerto la pizza dopo il calcetto
(articolo)
7 min
(copertina)
IMAGO / Agencia EFE
(copertina) IMAGO / Agencia EFE
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Ricordiamo tutti gli incubi che facevamo da bambini, quelli ricorrenti, quelli di una volta sola. Io ne ho ben presente uno durante il quale cadevo dal letto ma il pavimento spariva, per non precipitare nel vuoto prendevo le scale, ma quelle pure svanivano. Saltavo, correvo, arrivavo in strada e i marciapiedi e l’asfalto facevano la stessa fine. Urlavo ma senza voce. L’ho fatto per alcuni anni, un incubo degno di Michele Mari, che tra l’altro distingue tra «ho avuto un incubo» e «ho fatto un incubo», non sapendosi risolvere lascia poi (con un ghigno) la questione ai linguisti.
Allo stesso modo, con frequenza più o meno maggiore rispetto agli incubi, ricordo i sogni frequenti, spesso bellissimi, che a distanza di anni ogni tanto ritornano. Da piccolo, da adolescente, da grande, ogni tanto ho sognato di essere un grande calciatore. Non a occhi aperti, come tutti, ma proprio di notte. Ho passato il tempo a costruire viaggi onirici in cui duettavo con Maradona e Careca, facevo un assist a Romario, tiravo il rigore al posto di Baggio, uscivo meglio di Zenga su Caniggia. Così a centinaia. Alcuni poi molto elaborati, in cui il calcio entrava in maniera obliqua.
Per esempio, una volta ho sognato di essere il maestro delle elementari di Iniesta che un giorno gli diceva: «Le tue parole sono a forma di sfera, lascia che rotolino, stai attento ai rimbalzi, non avere paura». Ho sognato Garrincha che giocava a battimuro con mio padre. Li ho sognati tutti, fino a Kvara, fino – addirittura – a Mario Rui. Perché?
Certo, amo il calcio, lo seguo, lo racconto, ne scrivo, ma non è solo questo. Evidentemente, io al pallone – in maniera conscia o meno – penso di continuo. Nella vita in generale, nella scrittura, nel quotidiano, mi muovo sempre come se dovessi dribblare qualcuno, come se avessi un portiere da battere. Vivo a Venezia poi, dove camminare è tutto un dribbling alla Yamal, e salire in vaporetto necessita di una spaccata alla Haaland.

Uno dei calciatori che ho sognato più spesso è Zidane, diciamocelo se dobbiamo sognare facciamolo in bellezza. L’ho sognato con la maglia della Francia, soprattutto. Almeno una decina di volte ho sognato la sua doppietta di testa al Brasile nei Mondiali del 1998, solo che i cross li facevo io. L’ho sognato nelle sue finte meravigliose, il controtempo, la giravolta, il cambio di passo, la danza, la magia. Una volta, durante gli Europei del 2000, ero in Messico, ho visto una sola partita, ed era della Francia, insieme a due norvegesi. Cercavo di spiegare loro che Zidane non giocava, ballava con il pallone, alla fine mi hanno creduto.
Zidane, la leggerezza nei piedi e, contemporaneamente, l’espressione concentrata, seria del volto, gli occhi, due fessure. A fine azione però l’esultanza, il sorriso quasi da bambino. Che giocatore. L’ho sognato qualche notte fa ed è di questo che voglio parlarvi.

Premessa, un incubo fatto a occhi aperti - e che noi giocatori di calcetto a cinque, di calciotto, il martedì sera o il giovedì sera, abbiamo vissuto tutti, più volte: la realtà ricorrente – riguarda il tizio che all’ultimo momento non si presenta alla partita, senza avvisare, o magari ti avvisa pure ma quando ormai è troppo tardi per chiamare anche quel cugino che è sempre lì che aspetta e nessuno che lo chiami mai. Le scuse, le conosciamo, dalle più banali (guasto alla metro, tangenziale bloccata, ho bucato, ho la febbre) alle più drammatiche (sono andato a sbattere, sono caduto in cucina e mi sono slogato il polso, credevo fosse domani – sì la mettiamo nelle drammatiche -, ho litigato con Stefania, mio padre si è sentito male, ho la febbre – che sta bene in tutte le categorie-, ho il gomito che fa contatto col tallone – presa da Elio e le storie Tese per fingersi comunque simpatici -, ho dimenticato che stasera tocca a me andare a prendere Simone a judo). Un inferno.
L’incubo di rovinarsi la partita a cui pensi dal mattino, se non dal giorno prima, l’idea sempre sbagliata di raccattare qualcuno che ha finito sul campo accanto. L’orrore. Quello che non si presenta a calcetto è uno a cui pensi con disprezzo.

Il sogno. Era un giovedì qualunque, tutti quanti eravamo arrivati al campo, ci eravamo cambiati, qualcuno si riscaldava. Mancava Michele, ma non eravamo preoccupati, Michele è sempre stato quello che arriva a cinque minuti dall’inizio. Tre minuti alle 21.00, Michele non si vede, nessuno ha ricevuto messaggi da parte sua. Nel sogno si fa avanti mio padre, che è il gestore di questo centro sportivo, di fianco a lui, qualcuno vestito come se dovesse giocare.
Avanzano nel chiaroscuro della luce dei riflettori. Quando arrivano al campo ci guardiamo stupefatti, il tizio accanto a mio padre è Zinedine Zidane, avrà 24, 25 anni. Dice: «Mi ha telefonato il signor Mimmo e mi ha domandato se fossi disponibile, tanto stasera il vostro amico Michele non si presenta. Sono disponibile, posso giocare?».
Nei sogni le cose sono incredibili e, infatti, noi nove scemi in calzoncini davanti a Zidane, mica abbiamo detto subito: «Certo Zizou, sei il benvenuto», noi abbiamo detto cose come: «Ma siamo certi che Michele non arrivi?» oppure «Magari ci vede che giochiamo al completo e ci resta male».
Mio padre, Mimmo, che è morto e quindi sa più cose, scuote la testa: «Li scusi Zinedine, non sanno quello che dicono e che fanno», poi rivolto a me e agli altri: «Se ho chiamato questo ragazzo è perché sono certo che Michele non si presenterà stasera, ora se volete rovinarvi la serata fate pure, ma secondo me questo sa giocare».
Dopo è tutto un prego Zinedine, vieni pure, si tentano rimescolamenti improbabili di squadra, perché – diciamocelo – chi è (in sogno o meno, o forse eravamo già in quello stato prossimo alla veglia, come in una prosa di Mark Strand) che vorrebbe avere Zidane contro in una partita di calcetto?
Mio padre va a sedersi su una piccola tribuna. Decidiamo che Zidane, per correttezza, giocherà nella squadra di Michele (chissà che fine ha fatto poi). Nei primi cinque minuti sembra il Zidane della Juve, molto scattante, finte, controfinte, giravolte, non lo vediamo neanche passare, fa due gol, ne fa fare altri due. Sorride. Balla su questa erba sintetica di periferia. Io, nel sogno, mi fermo, non gioco più (tanto è uguale) e guardo solo Zidane cosa fa ed è come se proiettassi laggiù tutte le sue azioni che ricordo a memoria e che lui replica.
Eccolo che su lancio da dietro, aggancia al volo, salta mio cugino con un pallonetto e poi anticipa Sandro (il nostro portiere) con un tocco d’esterno.
Eccolo che ci ubriaca di finte come in un Real Madrid – Espanyol e poi batte di nuovo Sandro (poraccio) di esterno destro.
Eccolo che ci dribbla tutti con un solo movimento del corpo, come gli ho visto fare decine di volte. Ci guarda, sorride, ricomincia, ci offre degli assist incredibili, a caso, che - per lo stupore e perché siamo scarsi – sprechiamo. Mi salta con una giravolta, non trovo il pallone, non trovo lui, segna, torna indietro, mi dà una pacca sulla spalla, mio padre in lontananza se la ride.
Non abbiamo il coraggio di fargli fallo, vogliamo finisca, malediciamo Michele, sogniamo la doccia, la pizza. Desideriamo non vederlo più.
Il tempo, per fortuna, passa, la partita finisce. Zidane dà la mano a tutti, ci abbraccia, ci ringrazia, mi guarda e dice: «Grazie per avermi tirato fuori da You Tube per una sera». Non ci capisco più niente.
Andiamo alle docce, viene pure lui, sente che parliamo della pizza, quasi a bassa voce, chiede se può venire, che gli piacerebbe offrire. Ci rilassiamo e tutti gli diciamo che è stato un privilegio vederlo giocare negli anni, quelle finte in progressione, le giravolte, la palla sotto la suola, gli assist, i tiri imparabili. Bei tempi, mi pare sussurri, poi ci ringrazia.
In pizzeria gli domandiamo quale sia il suo gol più bello - qua però siamo ufficialmente nella prosa di Strand, con un piede fuori dal letto e con un occhio aperto, mi sembra tutto troppo reale - molti di noi pensano sia il sinistro al volo fatto in Champions League con il Real Madrid. Dice che quello è uno dei migliori, ma che i due colpi di testa al Brasile valgono di più e che quindi sono più belli. Gli chiedo se è vero quello che ha scritto Jean-Philippe Touissant (nel bellissimo La malinconia di Zidane, edito da Casagrande) sul fatto che la sera dei Mondiali del 2006 sia andata in quel modo perché non sapeva come andarsene.
Risponde: «Sì, non lo sappiamo mai il modo, sappiamo forse quando è tempo di andare via, ma come farlo? Questo non lo impariamo mai».
Paga davvero lui e verso la fine del sogno lo vedo salire su una macchina e mi pare che – aprendo lo sportello – faccia un giro su sé stesso come se avesse qualcosa sotto la suola.

Mi sveglio (di nuovo? sul serio?) pensando a quanti giovedì sera avrebbe potuto rovinarci Zidane presentandosi al posto dell’amico mancante, e penso anche a quanta meraviglia però.
Cioè, quando ci ricapita che Zidane ci paghi la pizza?

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Zidane come sognato – Ultimo Uomo