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Emiliano Battazzi
Zero vittorie
19 feb 2016
19 feb 2016
L'andata dei sedicesimi di EL non è andata benissimo per Napoli, Fiorentina e Lazio. Chi ha più possibilità di passare il turno?
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Emiliano Battazzi
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I sorteggi delle coppe europee ci stanno abituando a delle sfide ricorrenti, dei nuovi classici, per così dire. Tra le più strane c’è quella tra Villareal e Napoli, che si ritrovano al Madrigal per la terza volta negli ultimi 5 anni.

 

La prima esperienza, esattamente 5 anni fa, lasciò l’amaro in bocca: il Napoli di Mazzarri si presentò con molte riserve in campo (con Cavani in panchina) e si fece eliminare da un gol di Pepito Rossi, proprio nei sedicesimi di Europa League. Anche Sarri non ha voluto cambiare le sue abitudini europee, e si è affidato ai giocatori con minor minutaggio: quando si lotta per lo Scudetto, può essere difficile concentrarsi anche su una cavalcata europea così dispendiosa (chi arriva fino in fondo gioca ben 17 partite).

 

Le novità, rispetto all'undici di base sarriano, sono state: Chiriches al centro della difesa (vicino Koulibaly), Strinic terzino sinistro (dall'altra parte Hysaj) e Valdifiori in regia con David Lopez mezzala (l'altra mezzala era il capitano Hamsik) e Manolo Gabbiadini più Mertens nel tridente offensivo (oltre al solito Callejon). Sei “rincalzi” in una squadra che effettivamente in campionato usa i suoi undici giocatori migliori come “titolarissimi”, cioè sempre presenti.

 

Dall’altra parte, il pragmatico Marcelino ripropone il suo 4-4-2 sacchiano, impostato su automatismi veloci, verticalizzazioni immediate e grande difesa della zona centrale. Anche per il Villareal c’è un obiettivo da raggiungere in campionato: al momento è quarto con 8 punti di vantaggio sul Siviglia. Ormai vede vicina la qualificazione ai preliminari di Champions League ma forse inizia a sentire la pressione per un traguardo semplicemente inaspettato a inizio stagione.

 

Anche Marcelino ci aveva abituato al turnover nelle coppe, ma questa volta preferisce andare sul sicuro dimostrando di tenere molto all’impegno europeo: davanti al portiere francese Areola, il terzino destro è Mario Gaspar (che ha l’incredibile record di aver segnato due gol nelle due presenze finora raccolte con la Nazionale spagnola), i centrali sono Musacchio (rientrato a dicembre dopo un lungo infortunio) e Victor Ruiz (che giocò nel Napoli quella partita di 5 anni fa), con Jaume Costa terzino sinistro. A centrocampo, l’eterno capitano Bruno Soriano garantisce i tempi e la copertura insieme a Trigueros, mentre gli esterni Dos Santos e Suarez regalano ampiezza e soluzioni tra le linee. In attacco ritorna titolare Leo Baptistao al posto di Bakambu, con Soldado a fargli da partner.

 

I primi 45 minuti sono un elogio degli spazi corti: come in certi allenamenti settimanali, il campo del Madrigal sembra essere ristretto da coni invisibili agli spettatori ma non per i giocatori.

 


Dove sono i coni? Il Napoli è altissimo, con la linea difensiva a centrocampo e due punte a schermare l’inizio azione avversario; il Villareal è molto ampio in una sorta di 4-2-4 (in basso è fuori inquadratura Suarez)


 

Il Villareal spegne ogni velleità del pressing napoletano ad inizio azione, appena accennato: la fluidità del possesso basso dei padroni di casa farebbe invidia persino a Cruyff che da sempre ne sottolinea l’importanza. Gabbiadini è spesso costretto a coprire entrambi i centrali, con risultati inevitabili: il Villareal si muove bene fino alla trequarti, fino a quando il dispositivo difensivo di Sarri si mostra in tutta la sua efficacia, grazie a distanze quasi nulle tra i reparti e Koulibaly sempre pronto all’anticipo.

 

Marcelino sembra aver studiato bene i pochi difetti del Napoli e spinge la sua squadra ad insistere sull’attacco in ampiezza e sui cambi di campo, per colpire sul lato debole.  Anche Sarri, però, non è da meno e fa salire molto la squadra sul campo, riuscendo così ad annullare i movimenti tra le linee di Soldado e Leo Baptistao, visto che di linee in realtà quasi non ce ne sono più.

 

Anche le due ali di attacco, Suarez e Dos Santos (poi sostituito da Castillejo), sono sempre raddoppiate e offrono opzioni solo quando si accentrano. In fase offensiva, il Napoli riesce a rendersi pericoloso con rapide transizioni ma spesso sbaglia nell’ultima scelta, anche perché disturbato dalla velocità dei recuperi avversari e dal loro pressing a nuvola.

 


Il 4-4-2 ipercompatto del Villareal: non c’è spazio tra le linee e Gabbiadini è braccato nel quadrilatero di protezione centrale di Marcelino


 

La partita sembra incanalarsi verso uno 0-0 divertente, con due squadre tatticamente vicine alla perfezione. Il Villareal è ben contento di lasciare il pallone al Napoli per ripartire negli spazi, ma sbaglia troppo in fase di conclusione: è un gioco frenetico fatto di triangolazioni continue in cui l’errore è un elemento naturale.

 

Quando Bruno Soriano (2 passaggi chiave, 91,5% di precisione) sbaglia un passaggio, e l'errore viene accolto dagli applausi dello stadio, si capisce che le squadre sono stanche. Gli spazi aumentano ma la difficoltà di giocare così velocemente rimangono: Hamsik riesce a farsi trovare bene tra le linee e crea un’ottima catena di fascia con Mertens (2 passaggi chiave e 1 dribbling) e Strinic (5 tackle, 6 anticipi, 1 dribbling), ma mancano le conclusioni (solo 2 tiri nello specchio della porta a fine partita).

 

La sfida si sblocca nell’unico modo possibile, un calcio piazzato: è bravissimo Suarez nel tiro a giro forte e sotto la traversa, sebbene non sembri un tiro particolarmente angolato. Dopo lo svantaggio, l’aggressione del Napoli, rinforzato da tre titolarissimi (Higuain, Allan e Insigne), non produce gli effetti sperati e su calcio di punizione, proprio il numero 24 napoletano, non riesce ad imitare il suo collega spagnolo.

 


Quando Mertens si accentra in posizione di seconda punta riesce a creare più pericoli: qui detta il passaggio tra le linee che taglia il centrocampo avversario.


 

Una punizione magari ingiusta per il Napoli, che però

nonostante il controllo del pallone e ha sbagliato forse l’unica grande occasione della partita con Callejon servito da uno splendido lancio di Valdifiori. Il Villareal non è l’invincibile armata e il miglior Napoli può tranquillamente ribaltare la situazione al San Paolo. La domanda è se sarà il miglior Napoli a giocare la partita di ritorno. Quello del Madrigal non lo era; e sebbene non ci sia nulla da rimproverare a chi ha sostituito i titolari (ottima partita di Chiriches, Strinic, Valdifiori), la squadra usata da Sarri per le coppe è alla seconda sconfitta consecutiva (la prima in casa contro l’Inter in Coppa Italia).

 

La gestione del turnover è uno dei grandi enigmi irrisolti del calcio moderno e il metodo usato da Sarri ha la sua logica: ma quando giocano sempre gli stessi, poi è difficile chiedere ai sostituti quella brillantezza necessaria a vincere le partite. Insomma, il Napoli rischia di aver ripetuto lo stesso errore di 5 anni fa al Madrigal: per fortuna, però, c’è ancora una partita di ritorno, per dimostrare tutta le differenza che c’è tra avere Higuain in campo e sistemarlo in panchina, ad esempio.

 





 

Nell’andata dei sedicesimi del Franchi si sono affrontate due squadre dai principi di gioco simili. Sia la Fiorentina di Sousa che il Tottenham di Pochettino, però, non sono scese in campo al 100% delle loro potenzialità, tra assenze forzate e turnover. Ma il livello della partita è stato comunque alto. Lo stesso Sousa in conferenza, prima, aveva parlato di un match “degno della Champions League dal punto di vista tecnico, tattico e fisico”.

 

Sousa ha scelto il suo solito 3-4-2-1. Con Tatarusanu in porta, linea a 3 con Tomovic, Astori e Gonzalo. Sugli esterni hanno agito inizialmente Blaszczykowski a destra e Marcos Alonso a sinistra. Borja Valero e Tino Costa sono stati scelti come pivote in mezzo al campo, mentre Ilicic e Bernardeschi hanno agito dietro a Zarate, sicuramente non un tipo di prima punta paragonabile a Kalinic o Babacar.

 

Nonostante la rotazione, anche Pochettino è rimasto fedele al suo 4-2-3-1: in porta Vorm, poi linea a 4 con Alderweireld e Wimmer al centro, quella che attualmente è la coppia titolare anche in campionato a causa dell’infortunio di Vertonghen. Sulle corsie, invece, le seconde scelte Trippier, a destra, e Davies, a sinistra. I giovani Mason e Carroll hanno formato il  duo di centrocampo mentre in avanti Chadli, Eriksen e Alli hanno supportato Son, anch’egli non esattamente un attaccante convenzionale

 

Il livello di intensità del match è stato elevato fin dall’inizio, tanto che nessuna delle due squadre riusciva a superare la metà campo senza essere sotto pressione. Sono stati gli “Spurs”, però, ad andare in vantaggio nel primo tempo, mostrando una superiorità che ha ammutolito il pubblico del Franchi. La Fiorentina difendeva e pressava come al suo solito in un 4-4-2/4-4-1-1 a cui gli uomini di Pochettino rispondevano costruendo bassi sempre con tre giocatori: solitamente era Mason ad abbassarsi in mezzo ai centrali di difesa, che a loro volta si allargavano come da manuale della Salida Lavolpiana. Alternativamente Mason rimaneva in posizione e si formava una linea a tre leggermente decentrata sul lato di uno dei due terzini, che rimaneva più basso.

 


La salida lavolpiana del Tottenham con Mason che si abbassa in mezzo a Alderweireld e Wimmer. Si notano anche i terzini più avanzati e larghissimi.


 

In questo particolare caso la superiorità creata ai danni di Ilicic e Zarate permetteva anche di attirare la pressione della Fiorentina, per cercare poi di cambiare gioco sul lato debole dove, specie nel primo tempo, Trippier e Davies hanno avuto molte libertà. In questo modo, infatti, i fluidificanti della Viola erano messi in difficoltà dalle continue rotazioni dei trequartisti del Tottenham: due di essi rimanevano sempre vicini a Son sugli interni, creando un potenziale 3 contro 2 con i difensori centrali a cui Kuba e Alonso doevano rispondere stringendosi anche più del solito e lasciando molto spazio sulle corsie, dove gli Spurs cercavano sfogo per aggirare la densità centrale della Fiorentina.

 


I cambi di gioco o comunque i palloni in fascia sono stati uno dei temi dle match per entrambe le formazioni, visto che nessuna delle due aveva vita facile al centro del campo e nemmeno poteva contare sulla profondità di un attaccante puro.


 

Ma le rotazioni dei trequartisti non erano frequenti solo nell’ultimo terzo di campo: ogni volta che Mason si abbassava, uno tra Eriksen e Alli scalava a centrocampo, andando così a ristabilire la parità numerica al centro contro i due centrocampisti dei padroni di casa. Queste costanti rotazioni e il movimento continuo di Son e dei trequartisti permetteva al Tottenham di liberare sempre un uomo e quindi di riuscire a progredire dietro le linee di pressione della Fiorentina.

 

In effetti gli stessi viola hanno abbassato l’intensità del pressing dopo i minuti iniziali del primo tempo, cercando più che altro di controllare in formazione le zone centrali del campo.

 


Le rotazioni del Tottenham per mantenere almeno la parità numerica quando la Fiorentina aggrediva alta.



 

Il pressing (e il gegenpressing) del Tottenham hanno invece messo in difficoltà la Fiorentina, che è riuscita a limitare i danni non riuscendo, però, a creare granché anche a causa della distanza tra Ilicic, Zarate e il resto dei compagni. Tra l’altro, l’argentino era spesso costretto a ricevere spalle alla porta, fondamentale in cui certamente non eccelle.

 

Chiuso il primo tempo in svantaggio di un gol (rigore causato da Tomovic e trasformato da Chadli) la Fiorentina è tornata in campo con un altro piglio, e ha recuperato lo svantaggio al 59esimo quando ben cinque “Spurs” sono stati attirati da un dribbling in diagonale dalla destra di Kuba. Il polacco ha quindi servito Bernardeschi che anche grazie ad una deviazione di Mason ha sorpreso Vorm dalla distanza.

 


Kuba taglia in dribbling verso il centro del campo epermette a Bernardeschi di smarcarsi poco prima di servirgli il pallone valso il gol del pareggio.


 

Raggiunto il pareggio, Sousa ha inserito Badelj per Ilicic e Kalinic per Kuba, mossa che grazie alle sapienti doti di gestione della palla sotto pressione del croato (poi supportato anche dall’ingresso di Vecino) e a un calo del Tottenham, ha permesso alla Fiorentina di prendere in mano la partita, conquistandosi anche l’occasione di vincerla con Gonzalo nel finale.

 

Il secondo tempo della Fiorentina è stato una prova di forza che ha risposto a quella degli uomini di Pochettino nel primo tempo. L’1-1 finale favorisce sicuramente il Tottenham, ma la Fiorentina ha dimostrato di poterlo mettere in difficoltà, specie con gli ingressi dei titolari nel finale.

 





 

Il tabù dell’Ali Sami Yen poteva essere sconfitto: nel feroce catino di Istanbul nessuna squadra italiana vince dal 1963. La Lazio ci è andata davvero vicina, in una partita piuttosto brutta, e può guardare con ottimismo al ritorno, soprattutto perché il minimo indispensabile, ovvero il pareggio con gol in trasferta, è stato portato a casa.

 

Pioli ha schierato la formazione migliore possibile al netto degli infortunati (Basta, De Vrij, Gentiletti e Onazi) e ha così confermato la centralità dell’Europa League nell’altalenante stagione dei biancocelesti. Davanti a Marchetti hanno giocato Konko, Mauricio, Hoedt e Radu, a centrocampo Milinkovic-Savic, Biglia e Parolo, in attacco Felipe Anderson, Matri e Lulic.

 

Mustafa Denizli ha schierato una sorta di 4-2-3-1 molto elastico (ma mai fluido, e soprattutto mai compatto) che vedeva davanti a Muslera una linea difensiva composta da Denayer, Günter, Balta e Carole, una mediana composta da due difensori centrali, Donk e Chedjou, e quattro uomini davanti cui era concessa massima libertà: Sabri a destra, Sneijder a sinistra, Inan dietro Podolski.

 

Il piano gara del Galatasaray era estremamente elementare: i difensori centrali costruivano il possesso dal basso in attesa dell’occasione di lanciare la palla sulla sinistra, tra i piedi di Wesley Sneijder. A quel punto l’olandese coordinava una serie di scambi a un tocco con Podolski o Inan che hanno messo in seria difficoltà il recupero palla laziale e creato spazi sul lato debole per gli inserimenti di Sabri. In qualche modo, quello che succede prima del gol, che pure nasce da una palla respinta male e da una deliziosa intuizione di Inan, che supera con uno scavetto una mal disposta linea laziale.

 



 

I turchi hanno dimostrato pochissime idee sia nella fase difensiva, aspettando la Lazio a ridosso della propria area di rigore, sia in quella offensiva, affidata alle intuizioni dei singoli, e sono stati salvati dalle buone prestazioni individuali: Muslera ha fatto 6 parate, Donk è sembrato Strootman per 15 minuti, Denayer è un mostro di atletismo e Chedjou in difesa ha sbagliato pochissimo.

 

La Lazio si è espressa nella sua versione migliore, quella con Biglia in campo (4 passaggi chiave!), ma ha confermato di peccare proprio in quelli che sembravano i suoi punti di forza: il recupero palla e la fluidità del ritmo offensivo. Contro un centrocampo dalla qualità scarsissima, e che comunque ha concluso con il 52% di possesso palla, la Lazio è stata sconfitta per distacco sia negli intercetti (31 a 22) che nei contrasti vinti (24 a 16). I biancocelesti hanno perso quell’atteggiamento compatto e aggressivo che li caratterizzava, e ora si trascina nel campo in cerca delle distanze giuste, sempre un attimo in ritardo nella copertura della linea di passaggio. Una spirale di indolenza che inizia da Matri e coinvolge tutta la squadra.

 

Quanto al ritmo offensivo, lo scarso stato di forma di Felipe Anderson e Candreva ne è causa e conseguenza. I due esterni fanno quasi sempre la scelta sbagliata, spesso cedendo all’individualismo, mentre il resto della squadra se lo aspetta e non attacca lo spazio con l’entusiasmo mostrato nella passata stagione. La cartina tornasole sono le grandi statistiche difensive degli uomini della catena sinistra del Galatasaray: per Chedjou 4 intercetti e 5 contrasti vinti, per Carole 6 intercetti e 3 contrasti vinti. Tutti eventi di gioco accaduti a ridosso della linea laterale, dove il Gala riusciva senza difficoltà a schiacciare la Lazio.

 

Decisamente migliore la prestazione dell’altra catena laziale, quella composta da Radu, Parolo e Lulic, che quantomeno ha mostrato varietà di soluzioni e movimenti nello spazio. Lulic è stato probabilmente il migliore in campo, ha conquistato il fallo da cui è poi nato il gol del pareggio ed è stato il principale riferimento per l’attacco laziale, sia in transizione, nelle rare occasioni in cui il Gala si è scoperto, sia a difesa schierata, mostrando anche buona capacità di giocare nello stretto. Il numero di passaggi tentati (41) se paragonato a quello di Felipe Anderson (17) dice molto dello squilibrio associativo tra le due fasce.

 



 

Il pareggio porta la firma di Sergej Milinkovic-Savic, che rimane uno dei principali motivi per cui seguire il finale di stagione della Lazio. Il giovane serbo ha ancora gravi carenze nelle letture difensive e a volte poca aggressività senza palla, come dimostra il 40% di contrasti vinti, ma per intensità e tempi di inserimento è già preziosissimo. Ha avuto le due migliori occasioni per portare in vantaggio la Lazio e la qualità del suo gioco è aumentata moltissimo con l’ingresso di Klose, che gli ha creato spazi. Matri è stato costantemente un uomo regalato alla difesa del Galatasaray.

 

Per la Lazio le possibilità di passare il turno rimangono alte, soprattutto alla luce del pareggio fuori casa, ma è una squadra troppo incompleta per proiettarsi al livello delle candidate alla vittoria. Non c’è un attaccante che garantisca continuità di rendimento, non c’è un difensore che coordini il reparto, non c’è neanche la fiducia necessaria perché Felipe Anderson e Candreva giochino con leggerezza.

 



 

 

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