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Zenga amico del popolo
29 giu 2016
La telecronaca dell'Italia di Walter Zenga sta diventando un vero culto.
(articolo)
9 min
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“Questa è un’altra Italia. Vogliamo fare le cose”.

Walter Zenga durante Italia - Irlanda

Fin qui il binomio Italia - Europei è stato fortunato e gioioso. Gioia che aumenta a livello esponenziale grazie soprattutto all’atmosfera di rivalsa che ha da subito circondato una Nazionale sulla carta considerata da molti come “La più scarsa degli ultimi anni”. Allenata da un tecnico che ha da subito giocato molto sulla retorica della rivincita sullo scetticismo e su nemici e detrattori, spesso anche immaginari.

La partita con la Spagna racchiude tutte le chiavi di lettura dell’Europeo italiano. Partiti da sfavoriti, nettamente sfavoriti, giochiamo una partita di grande applicazione tattica e sacrificio agonistico, colmando progressivamente il grosso gap tecnico che ci separava dagli spagnoli. Un vero manifesto di riscossa lungo novanta minuti.

Conte ha sofferto con noi, anche se alla fine, impettito e glaciale, ammetterà di aver sempre saputo che sarebbe andata bene.

A fare da cornice a tutta questa serie di emozioni, la telecronaca. Quest’anno sono addirittura tre: la classica, sovietica, Rai; la versione ironica, ormai istituzionale, della Gialappa’s; e infine quella pettinata di SKY, con Caressa e Bergomi.

Negli ultimi anni di telecronache la seconda voce, il cosiddetto “commento tecnico”, ha acquisito un’importanza crescente e la RAI si è trovata a dover rinfrescare il proprio commento tecnico proprio in vista degli Europei, sostituendo la voce molto criticata (ma da qualcuno amata) di Giovanni Trapattoni. E lo ha fatto con Walter Zenga, un personaggio perfetto per flirtare con la retorica della rivalsa di cui è imbevuta questa edizione della Nazionale italiana.

La street cred Zenga se l’è costruita soprattutto attraverso i celebri tre minuti di pugilato televisivo con Enrico Varriale, uno dei momenti aurei del trash televisivo italiano. Una scena in cui Zenga si è guadagnato una fama da ruvido uomo di campo, almeno per una parte del pubblico. Per un’altra parte invece – una parte di cui fa parte anche Aldo Grasso – è un “gigione logorroico”. Un po’ un montato, uno che sente il bisogno di parlare tanto per coprire il fatto che ha poco da dire.

Zenga è una figura complessa. Non è solo un duro, è anche un duro incompreso, in questo per certi versi davvero simile ad Antonio Conte. Il passato pesa sulle sue spalle in maniera quasi disumana: i successi in campionati est-europei o medio-orientali, bilanciati dai fallimenti in patria (una buona esperienza al Catania, quasi del tutto oscurata però dalla brutta panchina del Palermo l’anno successivo; l’esonero alla Samp dopo neanche mezza stagione, per far spazio a un tecnico più spendibile ma che ha di fatto accumulato quasi la sua stessa media punti).

Zenga in qualche modo sente che in Italia non gli è stato mai riconosciuto ciò che gli spettava. Per questo sembra provare il bisogno di difendere il proprio orgoglio con un carisma e una forza per certi versi spropositate. Questo senso di inadeguatezza ha fatto sì che si creasse uno Zenga e un suo doppio, un suo Doppelganger: il primo Zenga si relaziona in termini negativi con tutti coloro che non fanno parte del suo universo umano, critici, i detrattori; l’altro Zenga, invece, con chi ne fa parte, ovvero i giocatori della Nazionale di Conte e la Nazionale tutta come sineddoche di inadeguatezza ricolma di voglia di rivincita.

Il classico saluto dell’Uomo Ragno.

C’è da dire che il sentimento di Zenga, questa voglia di dimostrare a un imprecisato altro che si sta sbagliando, è qualcosa di molto universale che piace agli italiani. Per questo, in maniera impronosticabile, Zenga sta diventando un commentatore molto amato, capace di mediare nel modo più onesto e genuino possibile tra l’esperienza televisiva calata dall’alto e il ventre del paese.

I 90 minuti con la Spagna, come tutti i precedenti 270, in un uroboro di dolore infinito, sono stati un lungo cammino delle mille anime di Zenga commentatore, nuovo beniamino del pubblico.

Zenga amicone

Nel suo sdoppiamento interiore emerge un lato della personalità di Zenga auto-critico. Un pezzo di Zenga che si riconosce dei piccoli difetti in ciò che fa e dice e che cerca l’abbraccio del pubblico, provando a massimizzare l’esperienza “comunitaria” di una partita della Nazionale.

In quei momenti non si può non empatizzare con lui, perché è proprio l’amico che incontri dopo anni dalla fine del liceo, con il quale non hai più nulla in comune che, accortosi del distacco e dell’imbarazzo adulto, cerca di riportare tutto a un livello adolescenziale, facendo battute e gesti di dieci anni prima, nel tentativo di rendersi simpatico come un tempo.

https://twitter.com/StefanoRossi_/status/747479382739066880

Un tweet che spiega la percezione del pubblico di Zenga.

In cabina di telecronaca Zenga sta ancora allenando. Sta allenando noi telespettatori, stravolti e trasfigurati dalla tensione partita, cercando di proteggerci dal collasso. I calciatori vengono chiamati “i nostri”, indicando una relazione di proprietà diretta. E nel rapporto tra “i nostri” e “gli altri” Zenga cerca di assecondare il suo istinto protettivo, che è anche il nostro. Per salvaguardare l’equilibrio interiore di tutti. Allora Sergio Ramos “sfrutta il suo carisma per condizionare le decisioni dell’arbitro”; mentre la gomitata di Chiellini su Shane Long non è colpa di Chiellini ma di Shane Long, “troppo basso”.

Se ci fosse un coro da stadio per la telecronaca, sarebbe certamente “Uno di noi, Zenga uno di noi”. Nel suo commento prende in giro i calciatori come faresti sul divano, sfottendo Thiago Motta perché non si è preparato a dovere per il riscaldamento. Quando Rimedio gli chiede un commento sullo scarso apporto proprio di Thiago Motta lui si limita a rispondere “boh”. Una specie di afasia in cui esplodono le contraddizioni di Zenga, lo scontro tra il suo dovere di seconda voce tecnica e il suo ruolo spirituale di governatore dello spirito del tifoso italiano, che a quel punto avrebbe voluto sparare al numero dieci.

Alla fine della partita contro il Belgio la sua comunione col pubblico da casa si compie quando canta, fuori onda, “Ma il cielo è sempre più blu”, che è anche l’inno della Samp, segno che, nonostante lo abbiano cacciato a pedate, il cuore di Zenga è sempre doriano.

Me lo immagino davvero, dare pacche sulla spalla a Rimedio mentre pronuncia “te l’avevo detto”, il suo vero claim.

Zenga vittima

C’è un momento, bellissimo, di Italia - Spagna che racchiude al meglio diversi aspetti della morale di Zenga, ed è questo:

Sono state chiare quasi fin da subito le potenzialità metaforiche di questo calcio al pallone. Da solo capace di fare da compendio a tutto il geistcontiano: l’attenzione ai dettagli, la vocazione alla disciplina, al giocare per l’altro, al peso specifico di tutto questo nell’incredibile vittoria.

La prima preoccupazione dello staff Rai, non appena Antonio Conte calcia via il pallone è “adesso sarà allontanato?”. E mentre come fossero al bar discutono sulle possibilità che questo accada o meno, Zenga se ne esce con una frase che, a memoria, suona più o meno così “Beh, c’è qualcuno che è stato cacciato per molto meno”.

La frase, apparentemente, cade lì, nel vuoto, fino a che Rimedio non chiede esplicitamente se si stia parlando dello stesso Zenga, ricevendo come risposta una risata, tra il nervoso e il liberatorio.

Zenga si sente dimenticato, abbandonato, anche quando commenta Buffon, cerca di ricordare ciò che è stato, probabilmente ha paura che il tutto venga cancellato dalla sua barba colorata o dall’esonero alla Samp e dal suo recente passato all’estremo est della cartina. Così, anche fuori dalle telecronache, in questo periodo, ci ricorda di essere stato il migliore, un tempo. Noi lo sappiamo, non dimentichiamo, lui però vuole ricordarcelo.

Zenga e la sofferenza

Prestando massima attenzione a ogni parola di Walter Zenga durante la telecronaca, non si può non uscire cambiati. Se qualcuno creasse un drinkin’ game su di lui, in qualche modo nella lista di parole punibili con uno shottino ci sarebbe “sofferenza”.

Un dolore empatico, quello di un qualsiasi tifoso sul divano di cui Walter Zenga si fa ambasciatore. Per non tenersi tutto il dolore dentro, con un ritmo abbastanza regolare, Zenga si lascia andare al suo memento sulla sofferenza: “Non soffriamo, dai, dai, dai”, “no in questo momento stiamo soffrendo la Spagna”, “Stiamo un po’ soffrendo, Alberto, eh”. E con loro soffre lui.

Aldo Grasso è arrivato a scrivere che la cura Conte ha influito anche su Zenga, coinvolgendolo nella partita al punto di farlo sembrare una specie di allenatore in seconda. Nella sua testa, Zenga, è seduto al fianco di Conte, che spesso chiama “Antonio”, specie quando parla concitato, a dimostrare che se potesse sarebbe lì, al suo fianco, a sanguinare ai goal di Giaccherini e a dare indicazioni.

Zenga padre protettivo

Verso questa Nazionale l’atteggiamento di Zenga somiglia a quello di una figura paterna paranoica e pieno di insicurezze, che in qualche modo prova a proiettare su un figlio su cui ha un’ascendente minore di quanto potrebbe ammettere.

I momenti alti della Nazionale sono dimostrazioni chiare, per Zenga, che il mondo si è sempre sbagliato. Non appena Pellè conclude in rete praticamente a porta vuota, in una situazione molto simile a quella contro il Belgio, dove in entrambi casi il passaggio aereo per la girata dell’attaccante sembra durare dai 15 minuti all’ora abbondante, Walter Zenga si libera e sbotta: «Al prossimo che dice che siamo scarsi, lo picchio». È la fine del cammino di espiazione, il momento più alto di tutta la telecronaca.

In quel momento è il padre di famiglia, con il SUV in doppia fila che attende suo figlio, il più bistrattato dal consiglio scolastico, dagli altri genitori dai compagni. Zenga, con un po’ di aggressività, fa da scudo, si mette davanti e urla, difende, dimostra il suo affetto non elogiando i suoi ma intimorendo gli altri, come potrebbe fare un drago innamoratosi della principessa alla quale deve fare da guardiano.

Che Zenga senta sua la partita lo si capisce dall’ultimo lancio lungo della Spagna, quando ripete gridando di sollievo “è lunga è lunga è lunga”, come fosse a bordo campo, in panchina o a due passi dalla palla, con la divisa azzurra sudata.

Il momento più alto della liberazione rimane l’hashtag: nella sua gioia Walter è inclusivo. Il suo sogno è una grossa corazzata azzurra contro il nemico, tutti uniti sotto la cupola dell’#editeciancorachesiamoscarsi.

E così, mentre tiene d’occhio tutti questi aspetti, Zenga nei 90’ minuti cambia e torna sé stesso, come di fronte a Lucifero fa una capriola, vede il mondo sottosopra e esce a riveder le stelle. Poi, non pago, rifa la capriola e ricomincia tutto da capo. Di nuovo. Soffrendo.

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