In un certo senso, Youcef Belaili è già un ex-calciatore. Una leggenda locale, diremmo adottando il punto di vista eurocentrico corrente, con un talento sconfinato finito nell’imbuto di una storia complicata. Forse sfortunato, sicuramente pigro, autosabotatore. Il suo è un nome che ogni tanto viene fuori in qualche conversazione tra nerd e sopravvive soprattutto nei video YouTube - Belaili humiliating everyone - e quando vedi una nuova clip su Twitter ti fa riflettere: ah quindi gioca ancora.
Se mostrassi una sua foto a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare potrebbe pensare si tratti di un giocatore degli anni settanta, forse persino più vecchio, solo il contesto della maglia, del taglio di capelli, potrebbe tradire la sua contemporaneità. Con quello sguardo perso nel vuoto, leggermente strabico, che non restituisce nulla, come non restituiscono nulla le catene montuose al turista che si ferma ad ammirarle; con la faccia un po’ quadrata e il petto bombato come uno scaldabagno, le gambe tozze da asino, più che da cavallo da corsa, Belaili sembra non appartenere a nessuna epoca calcistica in particolare. Sembra uscito dalla nostra memoria, se non dalla nostra fantasia. Se non ce lo siamo inventato di sana pianta. Esistono ancora giocatori come Youcef Belaili?
Ebbene sì e per me è un piacere poterne scrivere con una scusa davvero banale. Cioè: alla fine del mercato di gennaio 2022, Belaili - da svincolato dopo aver rescisso il contratto con il Qatar SC - è stato messo sotto contratto dal Brest, squadra di metà classifica in Ligue 1 che doveva sostituire Faivre passato al Lione. Per via della sua fama nella comunità nordafricana, e in quella francese di origine nordafricana, il Brest ha raddoppiato i suoi numeri sui social. Belaili è stato una specie di fantasma evocato per emozionare le tifoserie di Marsiglia e Montpellier, squadre del Sud affacciate sull’Algeria, e quando ormai sembrava troppo tardi si è materializzato a Brest, in Bretagna, dall’altra parte del Paese. A quanto pare abbassandosi lo stipendio, rispetto al Qatar, del 60%.
Perché hai scelto di tornare in Europa? Gli è stato chiesto. «Per mostrare alla gente chi è Youcef», ha risposto lui, parlando di sé in terza persona. E appena arrivato ha giocato subito le sue prime due partite da titolare, realizzando anche il suo primo assist.
A proposito di calciatori leggendari di cui si parla poco: Lakhdar Belloumi, algerino che insieme a Rabah Madjer e Salah Assad ha battuto la Germania Ovest ai Mondiali dell’82, ma che a differenza loro non ha mai giocato in Europa. Un maestro visionario del dribbling e della pausa, questo numero qui sopra è pura e semplice bellezza calcistica.
In un sistema sportivo in cui i nomi dei giocatori forti si conoscono da quando hanno meno di diciotto anni, e i migliori club europei sono pronti a scommetterci da qualsiasi parte del mondo provengano - sperando nella probabilità che almeno qualcuno, uno, di essi, mantenga le promesse e gli altri, be’, pazienza, peggio per loro - l’idea che un calciatore “forte” possa arrivare ad avere la sua chance in un campionato europeo per la prima volta a ventinove, quasi trent’anni, non sembra realistica. Questa di Belaili, in realtà, sarebbe la seconda volta nel campionato francese. La prima però non conta.
Nel 2017, quando aveva venticinque anni, è stato qualche mese ad Angers, dove l’allenatore Sthéphane Moulin non lo ha giudicato pronto dal punto di vista fisico. Belaili veniva da due anni di squalifica, perché trovato positivo alla cocaina - «un errore di gioventù», ha commentato lui - due volte, a luglio e settembre 2015. La CAF lo aveva squalificato per quattro anni (due per ogni positività), poi per otto anni perché non si era presentato davanti alla commissione al Cairo, ma il Tas aveva ridotto la pena a due anni. Al termine dei due anni il presidente dell’Angers, Said Chabanne, nato in Algeria, ha voluto portare Belaili in Ligue 1: «Lo abbiamo preso ad occhi chiusi», ha detto il presidente (oggi accusato di violenza sessuale da sette donne).
Belaili dice che tempo due mesi era tornato in forma - «Persino in Francia si sono stupiti delle mie qualità tecniche» - e la seconda squadra gli è iniziata ad andare stretta, mentre Moulin gli chiedeva di pazientare. Pensavano ci sarebbe voluto più tempo anche perché non veniva solo da due anni di inattività ma era anche infortunato, sostiene Belaili, ma quando ha visto che stava bene non ha più voluto aspettare. Di recente il giornalista Robert Molina ha accusato Moulin di aver discriminato i giocatori magrebini e di aver provato a convincerne qualcuno a saltare il ramadan. Fatto sta che ha giocato una sola partita ufficiale prima di tornare all’Esperance de Tunis con cui aveva già vinto due campionati ed era arrivato in finale della Champions League africana.
Così Belaili aveva messo nel suo curriculum non solo due anni di squalifica per doping, ma anche un fallimento in Europa. Chi avrebbe mai potuto immaginare, a quel punto, che sarebbe tornato ad esprimersi ad alto livello? Potete pensare quello che volete della squalifica, giudicare Belaili e considerarlo inaffidabile - sicuramente più di un dirigente lo ha fatto - e in fin dei conti è vero che non basta, come spiegazione, il fatto che Oran, la seconda città più grande d’Algeria, dove è nato, è un posto festivo, leggero, ribelle. Ma gli va dato atto per il miracolo sportivo fatto dopo: essere tornato migliorato dopo quei due anni.
Fino a vincere due Champions League africane consecutive con l’ES Tunis (2018 e 2019) e a conquistarsi un posto da titolare nell’Algeria di Belmadi che ha vinto la Coppa d’Africa nel 2019. Quello stesso anno è stato candidato al Pallone d’Oro africano, unico a non giocare in Europa tra i 10 finalisti (lo ha vinto Mané, che aveva vinto la Champions con il Liverpool), vincendo il premio di miglior giocatore africano a giocare nel continente. Nel 2012 aveva vinto il premio del giornale El Buteur come miglior speranza del calcio algerino e pochi mesi fa, a dicembre 2021, ha vinto la Coppa Araba, con quell’Algeria in cui lui dice di giocare meglio che con il club, con un gol da poco dopo centrocampo segnato nei minuti di recupero dei quarti di finale contro il Marocco.
Poi in semifinale Belaili ha battuto il rigore (al quindicesimo minuto di recupero) con cui l’Algeria ha superato il Qatar padrone di casa. E il giorno dopo il suo club, il Qatar Sc, appunto, ha annunciato la rescissione consensuale del contratto che li legava, ma senza rancore, Belaili aveva deciso di trovarsi un contratto con un club europeo e lo hanno accontentato liberandolo. Il giorno dopo.
Belaili ha paragonato il gol al Marocco a uno di quelli di Captain Madjid, che sarebbe la traduzione araba di Holly e Benji. Il che la dice lunga sul tipo di calcio che ha in mente, il calcio del Tiro Della Tigre, della Catapulta Infernale, queste cose qui. I suoi allenatori passati, intervistati da Goal, hanno sottolineato come, negli anni, sia migliorato sia da un punto di vista difensivo, sia nelle letture tattiche, nelle scelte con la palla. Che è maturato, è più tenace e potente nelle sue percussioni (secondo Hubert Velud è addirittura «più forte di Ryad Mahrez», io arrivo solo fino a dire che è più carismatico). Ma Belaili resta quel tipo di giocatore a cui è impossibile togliere la palla, un maestro dell’evasione in spazi stretti, con le spalle al muro della linea laterale, uno che porta palla con lunghe falcate come se saltasse da una pietra all’altra per attraversare un lago, uno per cui il campo è in salita, curvo come in Holly e Benji, e che non vede l’ora di scollinare e veder comparire la traversa della porta avversaria.
Prima ho detto che lo sguardo di Belaili sembra perso nel vuoto, ma forse sarebbe stato meglio dire che è sfuggente. È uno sguardo che dribbla chi lo osserva, come Belaili stesso sembra vivere per sfuggire alle restrizioni fisiche degli avversari. È facile innamorarsi di lui vedendolo scomparire davanti al difensore per poi riapparire alle sue spalle come il mago interpretato da Christian Bale in The Prestige che usciva da una parte della scena e rientrava da quella opposta senza soluzione di continuità, e in realtà aveva un fratello gemello con cui si divideva il compito (sempre meglio del mago interpretato da Hugh Jackman che pur di averla vinta, in quella disputa tra illusionisti, uccideva se stesso in un punto e si clonava in un altro).
Il fascino di Belaili è quello dei giocatori impalpabili, fatti d’aria, che appaiono sul campo da calcio come la nebbia che si solleva da terra. Avete mai provato a mettere la nebbia in un barattolo? E contribuiva, a questo tipo di fascino, il fatto che si esprimesse in territori remoti, ai margini della cartina calcistica, in Tunisia, in Algeria, in Qatar. E il senso di perdita che accompagna tutto ciò che è lontano dalla nostra portata, il semplice fatto di dover cercare su internet, se ad esempio come me lo avete scoperto durante la Coppa d’Africa del 2019, dove stia giocando oggi, se sta ancora giocando o se è successo qualcos’altro di drammatico. (Il dramma sembra far parte della storia di Belaili anche in modo indiretto, al termine di un derby tra JS Kabylie e USM nell’agosto del 2014, in cui ha segnato un gol piuttosto bello dribblando due volte lo stesso difensore, prima con un sombrero poi con una sterzata, è morto l’attaccante camerunense Albert Ebossé, colpito forse da una pietra lanciata dai suoi stessi tifosi oppure, come direbbe un’autopsia fatta svolgere in Camerun dalla famiglia, tenuto fermo e picchiato per ragioni misteriose). Cosa può aggiungere il suo arrivo in Europa? Andrò contro i presupposti stessi di questo pezzo, ma secondo me la risposta è: niente.
Lo scorso ottobre, in Qatar, aveva segnato un altro gol da centrocampo.
Cosa potrebbe realizzare, in Francia, Youcef Belaili? Cosa potrebbe diventare? Anzitutto si è reso reale, meno fantastico di quanto non fosse quando, per vederlo, bisognava aspettare la Coppa d’Africa, o cercare qualche rimanenza ectoplasmatica online. E la realtà a volte è difficile da accettare - in queste due prime partite non gli è riuscito neanche un dribbling, sembra lento, forse non è ancora in forma o forse i difensori sono troppo rapidi rispetto a quelli che conosceva lui; sembra, ed è assurdo scriverlo per me, mi si spezza il cuore, prevedibile. Ma anche se si rivelasse eccezionale, quanti giocatori eccezionali ci sono in Ligue 1? La grandezza è sempre relativa, d’altra parte, dipende dalla misura, dal confronto. Cosa vuole dimostrare Belaili? A chi? La gente, per rispondere a quanto detto da lui, sa già chi è Youcef. O meglio, chi doveva saperlo lo sapeva già.
Certo, sono contento di poterlo vedere più facilmente all’opera. E va da sé che qualsiasi cosa eccezionale gli riuscisse in Francia avrebbe un sapore leggermente diverso. Ma lo preferivo lontano, distante, parte di un passato immaginario. Invece eccolo, alla prova del presente. Il contesto perfetto per Belaili era YouTube, Twitter, contro difensori impreparati, che non avevano mai visto un giocatore come lui - e quindi, per estensione, facevano sentire anche noi che guardavamo come se fosse stata la prima volta che un giocatore faceva cose di quel tipo.
Nel mio immaginario Youcef Belaili era contemporaneo di Belloumi e occupava uno spazio vicino a El Trinche Carlovich, a quei calciatori il cui valore reale è impossibile da verificare e che non hai nulla da perdere a romanticizzare, a immaginare migliori di quello che sono davvero. Nella mia testa Youcef Belaili era uno degli inventori del calcio, la sua bellezza era quella delle pitture rupestri, dei monoliti dell’Isola di Pasqua, non sentivo nessun bisogno di vederlo vicino a Rembrandt e Tiziano. Forse è proprio questo che non stava bene a Belaili. Forse non si sta così bene nei panni di una leggenda misteriosa, di un fantasma che perturba la fantasia con la sua assenza. Forse quello che a me fa più paura, la sua possibile normalizzazione, è la cosa che Belaili in realtà desidera; essere, finalmente, a trent’anni, un giocatore normale.