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You call it Madness (but we call it love)
15 mar 2017
15 mar 2017
Squadre, storie e personaggi dell’atto conclusivo della stagione di College Basketball, il Torneo NCAA.
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Sono già passati undici mesi dalla tripla con la quale Kris Jenkins ha fatto esplodere di confetti bianchi e blu l’NGR Stadium di Houston. Undici mesi in cui, mentre noi siamo andati avanti con la nostra vita, centinaia di adolescenti americani hanno lavorato come matti per farsi trovare pronti nell’eventualità che quel tiro questa volta tocchi a loro. La redazione dell’Ultimo Uomo ha lavorato molto meno, ma li ha seguiti per voi e ora è pronta a rispondere alle seguenti pressanti domande.

Qualcuno suggerirà a Roy Williams che le fantasie a quadrettoni sono fuori moda da un paio di secoli? Gonzaga riuscirà a lavare le lacrime di Adam Morrison? Quale Cenerentola si infilerà le scarpette giuste per ballare fino al weekend successivo? Riuscirà il pacemaker di Dick Vitale a reggere questa fenomenale classe di freshman? Seth Davis e Jay Wright sono stati mai visti insieme nella stessa stanza? Quale cheerleader strizzerà l’occhio per far partire One Shining Moment? Quale “double digit seed” si inserirà nella pinacoteca degli upset di Kansas? Duke è la giusta regina di un paese che ha votato Trump? E soprattutto riuscirà Jim Boeheim a tornare alle Final Four dopo essere stato vergognosamente maltrattato dai Commissioner?

The ball is tipped,

Let’s Dance

REGINETTE DEL BALLO

Villanova (#1 East Region) - Repeat, l’ossessione. Se vincere un titolo è un’impresa, ripetersi è leggenda. Dal dominio di UCLA a inizio anni ‘70, solo due squadre ci sono riuscite: Duke 1991-92, quella di Grant Hill e Christian Laettner, e Florida 2006-07, quella di Joakim Noah e Al Horford. Il talento di questa edizione dei Wildcats non è lontanamente paragonabile a quello di quelle due squadre, eppure la sensazione è che Nova sia la squadra campione in carica messa meglio per riuscirci degli ultimi dieci anni. Merito, su tutti, di Josh Hart, uno dei giocatori tatticamente e tecnicamente più versatili della nazione. Alto 1.98 e dal fisico massiccio, non c’è niente che non sappia fare: gioca in post basso, prende rimbalzi come un’ala forte, tira da tre col 40%, passa la palla. E con 18.6 punti a partita è il miglior realizzatore della squadra. Al suo fianco troviamo le rassicuranti presenze dell’ala Kris Jenkins -- eroe nazionale della vittoria dello scorso anno, e altro giocatore di grande versatilità -- e del play Jalen Brunson, bravo ad approfittare dei minuti lasciati liberi dalla partenza di Ryan Arcidiacono. Al netto del fatto che molto protagonisti sono ancora lì, è anche la disciplina tattica di coach Jay Wright a essere l’arma in più di questo gruppo. Un allenatore che -- magia delle giurie popolari -- è passato da perdente a eroe nel corso di una sola serata, pur predicando negli anni un credo di una coerenza invidiabile. Responsabilità offensive diluite, difesa a uomo aggressiva, quintetti di estrema versatilità sia davanti che dietro. Questa versione dei Wildcats è tanto fedele alle sue idee quanto quella della scorsa stagione: le possibilità di entrare nella storia rimangono basse, eppure non sono mai state così alte.

Kansas (#1 Midwest Region) - Dei mostri di costanza che anche quest’anno non fanno eccezione. Negli ultimi 17 anni hanno raccolto quattro seed n.4 e due seed n.3: le altre volte sempre numero 1 o numero 2. Cambiano gli uomini, non le idee: Bill Self continua a presentare miscele di talento ed esperienza, fedele alla strategia di diversificare il reclutamento il più possibile, dai freshmen di grandi speranze come Josh Jackson (l’ala dalle mille risorse destinata a una chiamata di alta lotteria nel prossimo Draft) fino a uomini costruiti in casa. Esempio illustre è il guizzante Frank Mason III, una delle cose più vicine a Tyus Edney mai vista nella storia recente del gioco, che alla sua ultima stagione da Jayhawk ha tirato fuori cifre da candidato giocatore dell’anno. Oppure Sviatoslav Mykhailiuk, ala ucraina che, dopo due anni da giocatore di rotazione, ha assorbito bene le nuove responsabilità, portando versatilità e pericolosità perimetrale. L’incognita resta quella di sempre: il sistema molto bilanciato li ha resi macchine da guerra in regular season, ma squadra relativamente vulnerabile nelle serate in cui il collettivo non gira. Senza Jackson, è arrivata l’inaspettata sconfitta nel primo turno del torneo della Big 12 contro TCU. Un campanello d’allarme. O forse una provvidenziale lezione, pochi giorni prima dell’ennesima avventura marzolina.

Bitch, I’m Frank Mason (ndr: sì, è proprio lui che canta).

North Carolina (#1 South Region) - The ceiling is the roof. Con questa frase enigmatica Michael Jordan ha salutato i senior all’intervallo dell’ultima partita della stagione a Chapel Hill, non spiegando se avesse avuto problemi con il piastrellista o se i ragazzi di Roy Williams dovessero ripartire da dove si era tragicamente conclusa la scorsa stagione per fare quel passettino in più che porta dritti al paradiso cestistico. Persi Marcus Paige e Brice Johnson, il peso delle responsabilità è caduto sulle spalle di Joel Berry e Justin Jackson che hanno risposto presente, conducendo i Tar Heels ad una vittoriosa cavalcata nella giungla dell’ACC. In un mondo che cambia senza sosta sotto i nostri occhi, Good Ol’ Roy è certezza di un basket vintage, su e giù per tutta la lunghezza del campo a farne sempre uno in più dell’avversario. North Carolina è la solita squadra alta e fisica, che domina sotto i tabelloni (di gran lunga il miglior team a rimbalzo della nazione) e sfinisce con il ritmo forsennato le resistenze altrui, grazie anche alla lunghezza infinita della panchina. Meeks e Hicks sono due lunghi che si trovano a memoria, Jackson sta avendo la sua miglior stagione in maglia celeste e Joel Berry è un leader oltre che una sicurezza da tre. Nonostante tutto le due sconfitte contro Duke hanno messo a nudo tutte le debolezze strutturali dei Tar Heels, che vanno in netta difficoltà quando non riescono ad imporre il loro tonnellaggio nel pitturato e sono costretti a gestire i minuti che Berry passa in panca, svuotando il parquet di playmaking. North Carolina dovrebbe avere vita facile fino ai Regional, poi servirà un pizzico di quel karma che Kris Jenkins gli deve ancora restituire per finire tra i coriandoli.

Gonzaga (#1 West Region) - Gonzaga ha sfiorato l’impresa di arrivare al Torneo da imbattuta, guadagnandosi comunque una testa di serie pienamente meritata. L’ipotesi che si tratti di una squadra “over-seeded” è confutata dalle vittorie contro squadre come Florida e Arizona (la n°2 nella loro parte del tabellone) e dallo sweep ai danni di St. Mary, che nell’indifferenza generale e coi riflettori puntati sugli Zags ha comunque costruito una signora squadra.

Il punto di forza di Gonzaga è la profondità e un roster capace di trasformarsi e giocare in modo diverso ogni singola notte, senza perdere di efficacia. Coach Few ha potuto contare sulla struttura solida che ha costruito in questi anni per rendere un roster completamente rivoluzionato rispetto all’anno scorso (solo due giocatori in rotazione hanno giocato nel precedente torneo) come se si conoscesse da anni. Gli Zags giocano con una rotazione ad 8 giocatori, 4 guardie (di cui 3 sempre in campo) e 4 lunghi. Nessuno di questi otto sembra fondamentale rispetto agli altri, pur riconoscendo la leadership che portano Nigel Williams-Goss e Przemek Karnowski. Il loro sistema corale sfrutta a volte il gioco in post di Karnowski, a volte l’uscita dai blocchi di Matthews, altre l’alto-basso di Tillie e Collins mettendo in campo un’esecuzione offensiva armonica ed efficace che fa da contrappunto alla rocciosa difesa (la seconda in tutta l’NCAA, dati Kenpom). I dubbi sono sempre quelli di una squadra che, sebbene viaggi con una sola sconfitta a carico, risulta comunque agevolata dalla scarsa competitività della WCC: se l’anno scorso Gonzaga è caduta a causa di una rotazione ridotta agli sgoccioli, quest’anno hanno la consapevolezza che nessun acciacco o problema di falli potrà scuoterli terribilmente.

ALLE SPALLE DELLE GRANDI

È ufficiale: Duke (#2 East) is Back e pronta a riprendersi lo scettro. Dopo una stagione sulle montagne russe tra infortuni, sgambetti, ricoveri e players-only meeting, i Blue Devils durante il torneo dell’ACC hanno ricostruito la Morte Nera ad una velocità tale da non lasciare neanche il tempo ai commissioner di dargli la #1 che gli spetta per successione reale. Le vittorie contro Clemson, Louisville, North Carolina e Notre Dame hanno la forma della dentatura dello squalo che sente l’odore del sangue. A fine Gennaio Coach K aveva chiuso i suoi giocatori fuori dagli spogliatoi perché non si meritavano di indossare le divise di Duke, ora quella stessa squadra - finalmente sana - è sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori e sembra impossibile che Grayson Allen e compagni possano... subire lo sgambetto da qualcuno sulla strada verso Phoenix.

Kentucky (#2 South) ha navigato a velocità di crociera in una SEC non irresistibile mostrando il solito sfavillante talento, ma anche molti problemi. Calipari ha sempre lasciato che i suoi giocatori trovassero il modo migliore per integrarsi senza imporre dall’alto un sistema - una soluzione che in passato ha funzionato quando c’era abbastanza talento, e che invece in anni di magra (rispetto alle abitudini a Lexington, of course) rischia di essere una coperta troppo corta per mascherare le ambizioni di Final Four. Malik Monk e De’Aaron Fox formano un backcourt pirotecnico da oltre 35 punti in due a partita, Bam Adebayo è il nemico numero uno del Sindacato Ferri e Retine della Souteastern Conference e Briscoe è uno slasher che ha lavorato tutta l’estate sul jumper ma tira ancora con percentuali rivedibili. Poi poco altro, tanto che Calipari è stato salvato spesso e volentieri dal basso gregariato dei suoi seniors. Dopo è andato a confessarsi.

L‘altra metà del cielo del Kentucky è occupata dal rosso di Louisville, la #2 seed nel Midwest.La squadra di Pitino nei momenti migliori assomiglia alla versione Jumanji di Cards Against Humanity, una piovra tentacolare che soffoca ogni tentativo di arrivare al ferro da parte dei malcapitati avversari. Le braccia telescopiche di ogni componente in maglia Cardinals sono classificate su KenPom al sesto posto tra le migliori difese della nazione e la loro capacità di passare da uomo a zona press nel giro di un possesso li rende un Cubo di Rubik irrisolvibile. In compenso, nei momenti peggiori il loro attacco a metà campo si manifesta sotto forma di un’inquietante serie di palleggi sul posto che terminano con l’inconfondibile suono del ferro. A mitigare le percentuali offensive interviene la facilità con la quale recuperano i rimbalzi dopo i loro errori al tiro, la seconda squadra dell’ACC dopo gli inarrivabili Tar Heels. Sfortunatamente per Pitino le due anime spesso convivono nello stesso spazio-tempo abbassando il tetto delle aspettative, ma quando azzecca la serata giusta da dietro l’arco Louisville può davvero passare sopra ogni avversario.

Le prestazioni di Donovan Mitchell sono l’ago della bilancia della squadra di Pitino

Arizona (#2 West) invece ha finito la stagione in impennata con le due belle vittorie contro le rivali di Pac12 che l’hanno proiettata come #2 a Sud nel regional di Gonzaga. Dopo molti dubbi sono arrivate finalmente delle certezze per Sean Miller: Trier è tornato dalla squalifica con una voglia immensa di spaccare il mondo, Markkanen è un matchup che non fa chiudere occhio ai coach avversari e la profondità e la fisicità del roster ha pochi eguali nel College Basketball. Trovato finalmente l’equilibrio tra la fisicità degli esterni (Trier, Alkins, Allen) e la tecnica europea dei due lunghi (Markkanen e Ristic), Arizona arriva a Marzo come una delle squadre più in forma e desiderosa di regalare le prime Final Four al suo allenatore.

Per Oregon (#3 Midwest) la notizia della rottura del legamento del ginocchio di Chris Boucher è arrivata nel momento meno indicato della stagione, poco prima della sfida con Arizona che metteva in palio il titolo della Pac12. Per i Ducks avrebbe significato far doppietta con quello della Regular Season; invece lo spogliatoio scosso ha finito per perdere contro i Cats ed è stato punito con una eccessiva #3 nel Midwest. La squadra di Dana Altman anche senza il suo miglior intimidatore rimane un cliente scomodo per tutte le squadre che si troveranno ad affrontare i ragazzi con il catarifrangente addosso. Guidati dalla clutchness di Dillon Brooks e dalla concretezza di Jordan Bell, i Ducks hanno già sfiorato le Final Four lo scorso anno e non vogliono farsi scappare nuovamente l’occasione.

Lonzo Ball è sceso da Chino Hills e ha ribaltato sottosopra la stagione di UCLA (#3 South) salvando Steve Alford dal finire al posto di Tom Crean a Bloomington e il figlio Bryce dal palleggiarsi sui piedi, lasciandolo libero di operare in catch&shoot dietro la linea da tre, dove punisce con un mortifero 43,5%. Il figlio di LaVar dirige un attacco nucleare con sei giocatori di media in doppia cifra, il migliore dei quali è un altro freshman T.J. Leaf, messo troppo spesso in penombra dallo stardom di Lonzo. Il meraviglioso ottovolante di Westwood ha un piccolo difetto: per quanto faccia canestro spesso e volentieri, non evita che anche gli avversari facciano altrettanto. Mai una squadra con un’efficienza difensiva così bassa (99.8) è riuscita a tagliare la retina a fine stagione. Se i Bruins riusciranno nell’impresa, poi a Lonzo basterà conquistare solo sei o sette titoli NBA per diventare il più grande vincente di tutti i tempi.

Meglio degli Osbournes, quasi al livello dei Kardashians

MINE VAGANTI

Sotto alle contenders troviamo un nugolo di squadre che agisce nel pericoloso limbo che nella stessa maniera può portarli a una inaspettata presenza all’atto finale di Phoenix come a un precoce viaggio verso casa.

La veterana di questa fascia è sicuramente Wichita State (#10 South), che negli ultimi anni si è tolta di dosso l’etichetta di sorpresa diventando una di quelle squadre che nessuna delle grandi scuole vuole trovarsi sul tragitto. Gli Shockers sono incredibilmente solidi, riuscendo a bilanciare in maniera ottimale le due fasi di gioco (nella top-20 della Nazione sia per Offensive che Defensive Rating) affidandosi a una coralità di giocatori che garantisce versatilità e varietà di soluzioni a coach Gregg Marshall, il migliore tra le mid-major. E come ogni anno valgono decisamente di più del loro seed.

Rimanendo in tema di versatilità, nella American Conference quest’anno è sbocciata una Southern Methodist (#6 East) che si candida ad essere un pericolosissimo dark horse per le Final Four. Il quintetto composto interamente da giocatori sopra il metro e 95 di altezza permette loro di cambiare in difesa su tutto e tutti e di potersi adattare a ogni tipo di squadra; dall’altra parte del campo Semi Ojeleye, scarto di Duke, sta mettendo su numeri impressionanti (19 punti con il 43% dal campo) ben sostenuto dalla grande predisposizione della squadra a rimbalzo offensivo sfruttando la maggiore stazza. Non c’è più Larry Brown a causa del ban dello scorso anno, la panchina sembra essere un po’ troppo corta per un evento che prevede due partite in tre giorni, ma i Mustangs di Jankovich hanno tutte le potenzialità per fare rumore.

Florida State (#3 South) è un caso un po’ più particolare. Ha un seed e un curriculum che dovrebbe inserirli nella fascia superiore, se non fosse per la scarsa continuità di risultati e rendimento. Tra fine dicembre e inizio gennaio hanno collezionato 6 vittorie su 7 contro squadre invitate al Torneo, mettendosi davanti addirittura a Duke come rivale annuale di North Carolina per la conquista della ACC, salvo poi sciogliersi come neve al sole lontana dalle mura amiche, mostrando tutti i difetti dell’inesperienza del roster e di alcuni elementi. Rimangono comunque una squadra di grande talento, con un giocatore proiettato nella lottery del prossimo Draft (Jonathan Isaac) e due giocatori come Dwayne Bacon e Xavier Rathan-Meyers con molti punti nelle mani.

Infine, è impossibile non avere un briciolo di simpatia per Michigan (#7 Midwest), scampati a un possibile disastro aereo alla vigilia del Torneo della BigTen che li ha messi in dubbio fino all’ultimo minuto. Gli Wolverines quelle partite non solo le hanno giocate ma si sono permessi di vincere la BigTen da testa di serie numero 8, conquistando l’invito automatico al Torneo NCAA, diventando la grande storia delle prime due settimane della March Madness. Senza dimenticare che sono una delle squadre più amate dai puristi del gioco per la loro esemplare esecuzione offensiva, tutta farina del sacco di John Beilein.

BRACKET-BUSTERS

È arrivato il momento di dare un’occhiata a quelle squadre che non hanno grandi velleità di vittoria, ma che faranno di tutto per rovinare la marcia ai grandi atenei, quelle squadre che vengono chiamate comunemente Cinderellas.

Un ruolo che Middle Tennessee (#12 South) ha già recitato lo scorso anno, piazzando l’upset più rumoroso del tabellone al primo turno contro una Michigan State che sembrava lanciatissima per le Final Four. Tornano ancora più forti dopo aver dominato in lungo e in largo la loro Conference, il trio formato da JaCorey Williams, Giddy Potts e Reggie Upshaw è la spina dorsale di un roster lungo che ha le potenzialità per tirare brutti scherzi a chiunque. Minnesota è avvisata, ma non sorprendetevi se passasse al weekend successivo.

E a proposito di intruse alle Elite Eight… DUNK CITY IS BACK! Florida Gulf Coast (#14 East) ritorna nel Torneo con il piglio dell’ammazza-grandi pronta a rievocare le gesta del Torneo 2013 dove riuscirono quasi a staccare il biglietto per la Finale del Regional. Non sembrano solidi come allora, il coach è cambiato (Enfield a USC, al comando ora Joe Dooley, ex-assistente di Bill Self) ma la grande forza di squadra rimane un attacco scintillante che tira con più del 50% dal campo e le solite giocate di atletismo che nel mese di Marzo valgono doppio.

Con questa schiacciata Rayjon Tucker ha rotto il cronometro sopra il canestro… DUNK CITY!

Nella Midwest Region invece troviamo Vermont (#12), altra squadra con storia cenerentolesca in passato (2005, upset su Syracuse) che è una delle formazioni più in forma del tabellone, provenendo da 21 vittorie consecutive. La America East non è tra le conference più competitive delle mid-major, ma i Catamounts fanno della pazienza e dell’efficienza al tiro il proprio credo, a ritmi bassi (64 possessi a partita) e prediligendo le conclusioni all’interno dell’area. L’accoppiamento con Purdue, squadra di stazza e potenza, può non sembrare dei migliori, ma in pochi riescono ad addormentare la partita a proprio vantaggio come loro.

Non va dimenticata neanche North Carolina Wilmington (#12 East), una delle migliori squadre offensive della nazione (117.8 di Offensive Rating per KenPom) che nonostante i ritmi alti spreca pochissimi possessi e tira con alte percentuali. Kevin Keatts è uno dei coach emergenti più interessanti nel panorama collegiale, la guardia Chris Flemmings è uno dei migliori attaccanti di cui nessuno parla e l’accoppiamento con Virginia, rinomata per le regole difensive ferree di coach Tony Bennett, è da leccarsi i baffi per la differenza di approcci al gioco.

Occhio anche all’opener (giovedì ore 17 italiane), dove i cervelloni di Princeton (#12 West) cercheranno di disinnescare l’attacco di Notre Dame.

Infine, sempre a proposito di cervelloni, un caloroso benvenuto nel tabellone a Northwestern. Un’università che, con la scusa degli standard accademici più rigorosi che altrove, ha abbracciato la realtà alternativa prima dello staff di Donald Trump, giustificando anni di imbarazzanti sconfitte come se fosse una cosa normale. Era l’unica squadra di una conference di elite a non essere mai arrivata al torneo. Spezza l’incantesimo dopo 80 anni, grazie al pragmatismo di coach Chris Collins. Figlio di Doug, allievo di Krzyzewski a Duke. Se la vedranno contro Vanderbilt, in una partita presumibilmente equilibrata. In caso di vittoria, tutt’altro che impossibile, avranno il record migliore nella storia della NCAA. Almeno fino a sabato.

TORNEO CON VISTA DRAFT

Anche quest’anno ci dobbiamo rassegnare a non vedere la più che probabile prima scelta assoluta intossicata dalla follia marzolina. Come Ben Simmons l’anno scorso, Markelle Fultz non ha perso tempo e si è già dichiarato eleggibile per il prossimo Draft per la felicità di tutte le squadre in pieno tanking. Oltre all’ormai ex Huskie mancheranno anche le gambe fotoniche di Dennis Smith Jr., tagliate dalla deludente stagione di Nc State. Ma non disperate! Ci sono molti vagoni disponibili sul treno dell’hype pronto ad infuocare le rotaie che portano fino a Phoenix.

Il vagone dell’antinostaglia è guidato da Lonzo Ball che, prima di sostituire Steph Curry a Golden State (babbo dixit), proverà a riportare il Titolo a Westwood. Il figlio di LaVar è ad oggi il prospetto più chiacchierato della sua classe, spesso e volentieri per motivazioni extra-cestistiche: giocare con tutti i riflettori addosso potrà finalmente spostare l’attenzione sul suo particolare quanto strabordante talento e non più sulle interviste sotto DMT del patriarca.

Un altro talento purissimo che deve sfruttare la Big Dance per dimenticare i disastri lontani dal parquet è Josh Jackson, sospeso da Bill Self dopo essere stato citato in giudizio dalla polizia di Lawrence per un incidente stradale. La partita saltata da Jackson è coincisa con la sconfitta di Kansas al primo turno del Torneo della Big12 per mano di TCU, dimostrando quanto il talento della California sia il vero ago della bilancia per la #1 del Midwest. Se Frank Mason e Devonté Graham sono i mattoni per costruire una squadra da titolo, Josh Jackson è la malta che tiene tutto insieme: già contro NC Central dovrà rimettersi il cappello di giornale e tornare a spatolare.

Qualsiasi cosa abbiate fatto nel weekend, siamo sicuri non sia stato come quello di Jayson Tatum, che con quasi novanta punti in quattro giorni ha regalato a Duke il ventesimo titolo ACC della sua storia e a Coach K il suo degno ruolo di antagonista. Dopo un inizio stentato, come tutti i Blue Devils Tatum sta raggiungendo il massimo momento di forma quando conta davvero, risultando tanto sinuoso in attacco quanto determinante in difesa, dove comincia a tenere fisicamente i “4” avversari e permette i cambi sistematici. Il suo talento ibrido consente a Duke di mettere in campo un quintetto estremamente fluido e praticamente inarrestabile.

E fortunatamente Tatum è riuscito a trovare continuità giusto in tempo per eliminare UNC dal Torneo ACC

Se si fa una visita guidata alle squadre dominate dall’adolescenza incosciente, una tappa fondamentale è come sempre la fabbrica dei mostri di John Calipari. Malik Monk è stato il “microwave scorer” che ha trascinato a furia di ventelli i Wildcats per tutta la stagione, ma se Kentucky vuole sopravvivere al Regional di ferro con UCLA e North Carolina sarà determinante l’apporto alla causa di De’Aaron Fox. Passato in secondo piano solo a causa della sovrabbondanza di point guard nella sua classe, Fox è stato appena nominato MVP del torneo della SEC dopo aver tirato fuori a mani nude Kentucky da ogni trappola disseminata sul suo cammino. Il diciannovenne di New Orleans si sta trasformando da virtuoso solista in compositore d’ensamble: Calipari is amused.

Infine, Monte Morris non finirà in lotteria, e forse nemmeno al primo giro - eppure resta un interprete del gioco con pochi eguali. Playmaker con duplici compiti di costruttore e finalizzatore, è il miglior realizzatore dei suoi (16.3 punti di media) e miglior assistman (6.1). E fin qui tutto normale, se non fosse che, con poco più di 1 palla persa a partita, è pure il dominatore incontrastato del rapporto assist/turnover. Anzi, come abbiamo appreso oggi, potrebbe perdere 59 palloni di fila, e comunque finire primo nella nazione. Iowa State può arrivare almeno al secondo turno, e mentre ancora ci torturiamo per decidere se si tratti di un play puro, vi consigliamo di non perdervi le sue movenze felpate per nessun motivo al mondo.

IDOLI DI MARZO

A causa di un infortunio che l’ha tenuto fuori dal campo per tutta la scorsa stagione, Przemek (pronunciato Scìmek) Karnowski è tornato quest’anno a guidare il reparto lunghi di Gonzaga, recuperando col passare delle partite forma fisica ed agilità. Przemek è un manuale vivente di post basso, dove grazie alla stazza riceve con facilità e dove possiede un arsenale di mosse secondo a nessuno nel torneo. Può infatti avvitarsi e svitarsi a piacimento, senza favorire troppo una spalla sull’altra, può sgusciare a centro area facendo a sportellate o danzare via per tirare in allontanamento. E soprattutto è un passatore micidiale, oltre che insospettabilmente fantasioso, come nel video sotto.

La cosa per cui ne cadrete follemente innamorati è la sua capacità di passaggio dal post, in cui con le sue manone serve millimetricamente sia tiratori che taglianti.

Se nemmeno questo vi è sufficiente ad amarlo follemente sappiate che è anche il più convincente Babbo Natale che possiate avere.

Considerando la forza degli Zags del polaccone e l’improbabile upset di una 1 da parte di una 16 - evento mai successo nella storia - è molto probabile che la partecipazione di South Dakota State (#16 West) nel Torneo sia molto breve, ma questo non ci negherà almeno una visione del loro top-scorer, Mike Daum. Era dai tempi di Kevin Pittsnogle che non si vedeva un lungo di stazza con una completezza tecnica offensiva tale da permettergli di segnare da ogni posizione, come testimoniano i 25.3 per gara e i 51 piazzati il mese scorso contro Fort Wayne. Nonostante il valore degli avversari e lo scarso talento dei suoi, non è da escludere che possa esplodere sopra i 30 anche contro Gonzaga.

Passando dalla parte opposta del tabellone e precisamente nella Midwest Region, Oklahoma State (#10) ripone tutte le sue speranze nelle mani di Jawun Evans, piccola ed esplosiva point guard che sfrutta le sua innata capacità di creare situazioni dal palleggio per far girare al meglio l’attacco dei Cowboys, il migliore della nazione secondo le cifre di KenPom (124.8 ORtg). Abile sia a livello realizzativo (19.0 ppg) che come facilitatore (miglior assist-man della Big12) Evans si è elevato in questa stagione come una versione collegiale di Chris Paul, capace di contribuire con numeri e leadership, senza tirarsi indietro nella fase difensiva. Probabilmente il giocatore più divertente da vedere in azione assieme a Lonzo Ball.

La sfida tra Jawun e Frank Mason è una delle miglior cose successe in questa stagione.

E se siete amanti dei piccoli playmaker realizzatori merita uno sguardo anche la Winthrop (#13 Midwest) guidata da Keon Johnson, che dal basso dei suoi 170 centimetri rimane uno dei migliori tiratori pound-per-pound della NCAA (40% da 3 con 8 tentativi a sera). L’incrocio con Butler è pericoloso e se iniziate a sentire puzza di upset cominciate a incolpare le triple del piccoletto.

Bonus track: a Florida (#4 East) il quinto figlio maschio di Rick Barry, Canyon, tira i liberi dal basso…. convertendone l’88%. Who’s the fool now?

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