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Dildo verdi, meme-coin, odio per le donne che fanno sport
12 ago 2025
Qualche settimana fa dei ragazzi americani hanno iniziato a tirare peni di gomma alle giocatrici della WNBA.
(articolo)
10 min
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IMAGO / Icon Sportswire
(copertina) IMAGO / Icon Sportswire
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A un minuto e cinque secondi dalla fine della partita fra le Atlanta Dream e le Golden State Valkyries il punteggio è sul 75 pari. Golden State è in attacco e fa girare la palla sulla linea da tre alla ricerca della giocatrice più libera per andare al tiro. Quando il proiettile verde lanciato dal pubblico seduto dietro il canestro attraversa il campo visivo è molto difficile riuscire a capire di cosa si tratta. Per poco schiva due giocatrici delle Valkyries e rimbalza tre volte sul parquet prima di andare a fermarsi vicino alla riga laterale. È un momento delicato del match ma, allo stesso tempo, abbastanza surreale. Le arbitre fermano il gioco, rimandano le squadre in panchina. L’oggetto lanciato in campo (e quindi, in un certo senso, sulle giocatrici) è un dildo di gomma fluorescente.

In occasione della conferenza stampa post-gara, Cecilia Zandalasini, che poco dopo quel momento avrebbe segnato il canestro della vittoria per 77-75 delle sue Golden State Valkyries, ha commentato: «Prima di tutto è stato estremamente pericoloso, poi credo che abbiamo semplicemente iniziato a ridere. Non ho mai visto niente di simile. Sono felice che siamo riuscite a superare quella situazione. Siamo rimaste concentrate, non ci siamo distratte». E in effetti quando la notizia del dildo verde a bordo campo inizia a circolare fra le giocatrici e la panchina, la videocamera che riprende la partita abbandona il campo e cerca di carpire e immortalare i volti delle atlete: occhi sgranati e bocche spalancate per uno stupore accentuato, qualche risatina nervosa, amara, oppure semplicemente divertita.

Mentre tornano in panchina alcune giocatrici camminano indicando l’oggetto fluorescente abbandonato sul parquet a chi fra le compagne non l’ha ancora identificato, come si indicherebbe una farfalla dai colori sgargianti a un bambino che stava giocando in giardino, prima che un addetto alla sicurezza del campo venga a recuperarlo e a portarlo via avvolto in un asciugamano.

Il giorno di quel lancio era il 29 luglio, e i giornali successivamente hanno commentato quel gesto come offensivo nei confronti di una categoria di professioniste che stava svolgendo il proprio lavoro su un campo da basket. Un pene di gomma lanciato su dieci donne concentrate per chiudere una partita punto a punto. Un pene di gomma scagliato su donne e atlete perlopiù apertamente omosessuali, che condividono la loro vita privata pubblicamente, anche e soprattutto come gesto politico.

Le donne in WNBA rappresentano uno spettro di femminilità che non si trova rappresentato in nessun altro sport o ambiente lavorativo, neppure tra quelli con la stessa apertura e lo stesso agio. Guardare le giocatrici di WNBA alle prese con il loro corpo o sentirle parlare ai microfoni di soldi, razza, sorellanza, fisicità, è una boccata d’aria per chi sta cercando di scoprire alternative in un mondo codificato e pieno di pregiudizi come quello sportivo. Che cosa voleva significare questo gesto mai visto prima?

Nemmeno il tempo di provare a ragionare sull’accaduto che i meme hanno iniziato a moltiplicarsi e i lanci del dildo a ripetersi: una volta, due volte, tre volte nel giro di una settimana. In altre città, in altri palazzetti, con altre giocatrici in campo. In seguito a questi eventi, nel frattempo, sono stati riconosciuti ed arrestati due uomini, uno di 18 e uno di 23 anni, con l’accusa di condotta disordinata. È stata la serialità degli eventi a far venire il sospetto che dietro alla serie di lanci del dildo fluorescente ci fosse un movente. E poi anche una coincidenza che a posteriori è difficile considerare come tale.

Il 2 agosto la guardia di Indiana Fever Sophie Cunningham aveva condiviso su X un post in cui chiedeva di smettere di lanciare dildo in campo perché prima o poi qualcuna delle giocatrici si sarebbe fatta male. Ovviamente le risposte sessiste e il meme con dildo verdi fluorescenti postati in risposta fra i commenti non hanno tardato ad arrivare. Niente di sorprendente. La solita shit-storm di commenti sessisti a una donna che chiede semplicemente di smettere di essere trattata in maniera sessista. Niente di sorprendente, dicevamo, almeno finché il confronto dal piano della comunicazione digitale non è passato a quello della realtà. Poche ore dopo il post su X, un dildo è stato lanciato sul campo durante una partita fra Indiana Fever e Los Angeles Sparks, proprio davanti ai piedi di Sophie Cunningham, che in quel momento si trovava in campo.

Mentre andava in onda l’ennesimo lancio del dildo, è iniziata a venire a galla la verità sul movente di questi gesti. Un gruppo di giovani uomini in livestream audio su X si è vantato di aver contribuito a aumentare il valore di un memecoin, una criptovaluta derivante da un meme internet ma scambiata attraverso mercati online reali. La moneta è stata creata il 28 luglio - il giorno precedente al lancio del primo dildo in campo mentre giocavano le Golden State Valkyries - e il 7 agosto il valore della moneta era quasi triplicato nella sua prima settimana di esistenza. E negli ultimi giorni un gruppo collegato alla criptovaluta ha rivendicato la responsabilità dei diversi lanci avvenuti sui campi da basket. La memecoin si chiama, ovviamente, Green Dildo Coin.

Quindi, il gesto che in un primo luogo è stato identificato come offensivo nei confronti delle giocatrici, in realtà non era altro che una trovata di marketing. Un modo rapido, in grado di entrare nei trend di internet, per dare visibilità e far crescere il valore della criptovaluta, come poi di fatto è successo.

Delle modalità con cui il lancio ripetuto di un dildo di gomma, su un campo da basket in cui giocano donne, possa diventare un trend che fa aumentare il valore di una criptovaluta, ne scrive Lee Escobedo sul The Guardian. Secondo il giornalista americano il lancio del dildo non è satira, è rumore. E il dildo, simbolo perfetto di quest’epoca, non vuole dire niente: è lì proprio per questo. In un mondo dove l’attenzione vale più del contenuto, l’assurdo diventa forma d’espressione. Il vero spettacolo non è più la partita, ma il degrado culturale in livestream. In fondo, tutto questo ci dice solo una cosa: siamo arrivati al punto in cui perfino l’umiliazione è contenuto, purché venga condivisa online dal numero di nickname più alto possibile.

A fare da sfondo c’è il contesto culturale americano contemporaneo sempre più "anti-woke", secondo cui le battaglie per una parità di retribuzione tra atlete e atleti negli sport di alto livello sono da ridicolizzare, perché lo sport femminile non sarà mai spettacolare e commercialmente appetibile come quello maschile. Appunto: è più spettacolare un dildo di gomma.

Il dibattito di quanto poco guadagnino le giocatrici di WNBA non solo a confronto con i loro colleghi della NBA, ma in assoluto rispetto alla macchina macina soldi che la WNBA sta diventando stagione dopo stagione, è tornato di moda in occasione dell’All Star Game. Tutte le giocatrici sono scese in campo per il riscaldamento pre-partita indossando una maglietta su cui c’era scritto “pay us what you owe us”, cioè “pagateci quello che ci spetta”.

In WNBA il tetto fisso e inamovibile degli stipendi è settato intorno ai 250mila dollari, che al momento è la cifra più alta in assoluto che una giocatrice può guadagnare in una stagione. Non importa quanto forte o importante essa sia: 250mila dollari è il massimo. Per dare un metro di quanto sia iniquo questo tipo di pagamento basti pensare che Caitlin Clark, la giocatrice che con il suo talento ha dato una visibilità alla WNBA mai raggiunta prima, nella sua prima stagione nella massima lega professionistica americana ha guadagnato circa 78mila dollari. Nella stessa stagione da rookie Victor Wembanyama, una possibile controparte maschile, ha guadagnato circa 12 milioni di dollari ai San Antonio Spurs.

Quello che ripetutamente viene chiesto dalle cestiste non è di guadagnare quelle stesse cifre, quanto piuttosto che le istituzioni mostrino rispetto per il loro lavoro con un guadagno appropriato, in percentuale alle cifre che il loro gioco sempre più spettacolare sta producendo. È assurdo che una giocatrice come Diana Taurasi, che ha vinto sei ori olimpici e tre titoli WNBA con le Phoenix Mercury, ancora oggi, qualche mese dopo il suo ritiro ufficiale, torni sulla questione di quanto poco ha guadagnato in carriera.

Le dichiarazioni di Taurasi sul suo stipendio sono state rilasciate durante l'anteprima del documentario su Prime Video che racconta la sua ascesa: «Sono la migliore giocatrice al mondo e dovevo andare in un Paese comunista per essere pagata come una capitalista», ha detto Taurasi, che durante le pause tra una stagione e l’altra americana, anziché riposare, per più di dieci anni ha giocato in Turchia e Russia, dove le venivano offerti stipendi anche dieci volte superiori (nel 2015 ha persino rinunciato a tornare negli Stati Uniti perché il suo club russo le aveva offerto più soldi per riposarsi e non rischiare infortuni).

Di questa storia avevamo parlato più approfonditamente in occasione dell'arresto di Brittney Griner, in Russia.

«Non guadagnavamo molto, per fare i soldi veri dovevamo andare in Russia ogni anno. Ora dobbiamo restare a casa [da qualche tempo, specie dopo il caso di Brittney Griner è di fatto impossibile alle giocatrici americane andare in Russia, anche se non è formalmente vietato, ndr] ed essere pagate praticamente niente, per giocare in un campionato più difficile, in condizioni peggiori, contro le migliori avversarie del mondo. Il fottuto custode dell'arena guadagnava più di me».

Chi ha lanciato quel dildo in campo cercava visibilità. Un crash visivo studiato: un oggetto fallico che interrompe un momento di sport femminile professionistico. Il gesto non ha bisogno di significato, basta che sia vistoso. Nell’ecosistema digitale contemporaneo, l’attenzione si ottiene così: con atti grotteschi, sbilanciati, che puntano il dito verso chi può essere colpito senza troppe conseguenze. Le donne continuano a occupare questa posizione di vulnerabilità pubblica, e ancora di più se esercitano un mestiere in un settore come quello sportivo, che molti considerano ancora ostinatamente maschile.

I ragazzi coinvolti, ventenni cresciuti dentro il linguaggio dei meme, non sembrano interessati a un’analisi del contesto. Maneggiano bene il formato, non il contenuto. Per loro, un dildo lanciato sul campo non è (solo?) un insulto, ma un espediente performativo, utile a innescare loop virali, far salire un token, far ridere un pubblico che non ha interesse né per lo sport né per chi lo pratica. Ma ciò che per loro è un gesto neutro, o “ironico”, finisce per affermare ancora una volta che, anche quando le donne lavorano ai massimi livelli, il loro spazio può essere invaso, disturbato, ridicolizzato. Per il gioco, per il marketing, o per puro rumore.

Ma è anche interessante notare come un gruppo di giovani maschi che ha dichiarato di non essere per niente interessato allo sport giocato da donne ci abbia fornito anche una delle metafore visive più fedeli della vita di una donna alle prese con il mondo lavorativo. Così come le giocatrici della WNBA, anche le donne che fanno lavori in altri ambiti sono costrette a schivare espressioni più o meno concrete di sessismo che costellano la loro quotidianità professionale e privata. Non sempre servono oggetti lanciati in campo: bastano commenti sessualmente ambigui, mani fuori posto, complimenti mascherati da offese o viceversa.

È una presenza costante, più o meno evidente, che segna il ritmo delle giornate. Se ignori, allora ti piace. Se reagisci, sei rigida, permalosa, senza senso dell’umorismo. Il dildo lanciato proprio ai piedi di Sophie Cunningham, dopo che lei stessa aveva chiesto pubblicamente di smetterla, non è una provocazione qualunque. È una replica ostinata, costruita per sminuire: un messaggio brutale, diretto, che comunica disinteresse verso ciò che una donna pensa, dice o chiede. Non è una goliardata.

È un gesto punitivo, calibrato per riaffermare un dominio, per ribadire che anche quando una donna prende parola, può essere ridotta al silenzio con un atto idiota ma spettacolare.

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