
La WNBA sta attraversando uno dei momenti più rilevanti della sua storia: le Finals appena concluse sono state le seconde più viste di sempre dopo quelle dello scorso anno, la lega ha annunciato l’ingresso di cinque nuove franchigie da qui al 2030 e le giocatrici più in vista del campionato sono ormai calamite per sponsor e grandi investimenti. Sul parquet, la storia che l’ha fatta da padrona è stata l’incredibile stagione delle Las Vegas Aces, che hanno conquistato il terzo titolo in quattro anni. A’ja Wilson ha vinto il suo quarto titolo di MVP e il terzo di Defensive Player of the Year e ha consolidato la sua presenza come personaggio di culto nella cultura popolare americana.
Di fronte a questa crescita esponenziale, c’è una storia che è stata un leitmotiv per tutta la stagione, e che riguarda proprio la gestione di questa esplosione di popolarità e visibilità. Il 2025 rappresenta infatti un anno cruciale per la WNBA, visto che per il 31 ottobre è fissata la scadenza del Collective Bargaining Agreement, il contratto collettivo che regola i rapporti tra la lega e le giocatrici e che definisce, tra le varie cose, l’ammontare degli stipendi e le ripartizioni dei guadagni. In vista della scadenza del CBA le giocatrici, rappresentate dal sindacato della WNBPA, si sono sedute al tavolo con la dirigenza della lega, rappresentata dalla commissioner Cathy Engelbert, ma le difficoltà nel trovare un accordo per il rinnovo del CBA hanno monopolizzato l’attenzione, più di quanto è successo in campo.
La questione è emersa in maniera dirompente durante l’All Star Game quando le giocatrici hanno indossato una maglietta con scritto Pay Us What You Owe Us, ma è tornata calda nell’ultimo periodo, dopo che la stella delle Minnesota Lynx Napheesa Collier ha attaccato la dirigenza, affermando senza mezzi termini che «in questo momento abbiamo il miglior pubblico del mondo, le migliori giocatrici del mondo, ma abbiamo la peggior dirigenza del mondo».
Il discorso di Collier è durato circa quattro minuti e ha toccato praticamente tutte le questioni più rilevanti che ci sono in ballo nella negoziazione. Come avevano già detto altre giocatrici, Collier ha confermato che il raggiungimento di un accordo sembra ancora molto lontano, vista l’inconciliabilità delle posizioni delle due parti su numerosi temi. La scadenza del contratto, però, è fissata per il 31 ottobre e l’eventuale mancato raggiungimento di un accordo potrebbe frenare il processo di crescita ed espansione della lega.
LE QUESTIONI IN GIOCO
Collier ha iniziato la sua conferenza stampa partendo dal tema dell’arbitraggio. La numero 24 è stata costretta a saltare la decisiva Gara-4 delle semifinali a causa di un infortunio in Gara-3, in cui avrebbe subito un fallo non fischiato per mano di Alyssa Thomas.
Al di là del singolo episodio, gli errori nelle chiamate arbitrali sono un tema che attraversa la WNBA da sempre, viste le numerose ramificazioni della questione. In primis, chi arbitra vede spesso la lega come un semplice trampolino di lancio per arrivare sul palcoscenico più blasonato, ovvero quello della NBA. La carriera di chi arbitra in WNBA e in NBA inizia sempre nella G-League e questo fa sì che chi passi dalla lega femminile la veda spesso solo come una fase appunto di passaggio in vista del livello più alto, il che può intaccare gli standard di professionalità.
Inoltre, chi vuole intraprendere una carriera con il fischietto difficilmente sceglierà la WNBA: arbitrando nel college basketball si guadagna molto di più, e con la stagione che va solo da maggio a ottobre non è un lavoro che può essere sostenibile per un anno intero. Questo fa sì che ad arbitrare in WNBA non siano le figure più professionali e di esperienza, il che fa crescere il rischio di errori nelle chiamate. A inficiare sul prodotto c’è anche il fatto che in WNBA non esiste un off-site replay center come in NBA, per cui a giudicare la correttezza delle chiamate sono sempre le stesse persone che le hanno fatte. Infine, le giocatrici hanno spesso lamentato anche la mancanza di trasparenza, come suggerito anche dal fatto che non esistono documenti come il Last Two Minute Reports della NBA, che ha l’obiettivo di chiarire quello che è successo nei minuti finali. La mancanza di trasparenza e di dialogo finisce dunque con l’esacerbare una questione che, se non viene presa in carico, rischia di minare la qualità del prodotto partita.
Stando alle dichiarazioni di Collier la commissioner, in una conversazione privata tra le due su questo tema, avrebbe affermato che «solo i perdenti si lamentano dell’arbitraggio», una frase che ha finito per rafforzare il sentimento condiviso dalle atlete secondo cui la dirigenza della lega non si mette nella posizione di ascoltare le loro richieste. La critica di Collier alla commissioner era infatti relativa prevalentemente a questo punto, ovvero alla non presa di responsabilità della WNBA nei confronti delle atlete e delle loro necessità.
Lo scoglio principale contro cui si sono arenate le negoziazioni sul CBA è stato infatti il sistema di ridistribuzione dei cosiddetti basketball-related income, ovvero i ricavi complessivi generati da attività direttamente legate al basket, come ad esempio la vendita dei biglietti e del merchandising, i diritti tv o le sponsorizzazioni. Le giocatrici della WNBA ricevono meno del 10% del totale di questi guadagni, contro il 50% che invece percepiscono i giocatori della NBA. Inoltre, sempre in contrasto con quello che accade nella lega maschile, nel campionato femminile i BRI non vengono usati per determinare il salary cap: se così fosse, più questi aumentano più aumenterebbe il tetto salariale delle squadre e di conseguenza gli stipendi delle atlete.
Engelbert ha offerto un cospicuo aumento degli stipendi alle giocatrici, ma quello che le atlete vogliono è cambiare il sistema di redistribuzione dei ricavi, in modo tale che anche loro possano beneficiare del momento di crescita della WNBA, visto anche il fatto che sono loro e le loro gesta sul campo il motore dell’incremento di popolarità e visibilità.
Riguardo a questo tema, Collier ha sottolineato come le posizioni della lega siano ancorate al momento in cui la WNBA è nata. Collier ha raccontato di quando ha chiesto a Engelbert cosa aveva intenzione di fare per riparare al fatto che giocatrici come Caitlin Clark, Angel Reese e Paige Bueckers guadagnano così poco nei loro primi quattro anni, pur avendo portato così tanta visibilità alla lega. La risposta di Engelbert sarebbe stata: «Clark dovrebbe essere grata, ha la possibilità di guadagnare 16 milioni di dollari fuori dal campo grazie alla piattaforma che la WNBA le fornisce, perché senza questa non sarebbe in grado di guadagnare niente. Le giocatrici dovrebbero inginocchiarsi e ringraziarmi per il contratto con i media che ho garantito loro».
Seppure Engelbert abbia negato di aver pronunciato queste parole, ciò che resta reale è il principio che sorregge dichiarazioni come queste, tutt’altro che nuove per la commissioner. Quello che appare evidente è l’incapacità di leggere il momento che sta attraversando la lega e agire di conseguenza. Quando la WNBA è nata, la lega rappresentava effettivamente una piattaforma unica per le atlete, che altrimenti non avrebbero avuto possibilità di avere visibilità e di conseguenza attrarre sponsor e interesse. La narrativa della gratitudine è stata portata avanti per tanto tempo, rafforzata da una dinamica di genere secondo cui delle atlete donne dovessero ringraziare una lega di uomini (la NBA) per aver dato loro uno spazio in cui potessero competere e, di fatto, un posto di lavoro. Da questa posizione di svantaggio, le atlete non avevano possibilità di avanzare richieste: a decidere per loro era solo ed esclusivamente la dirigenza, che dietro la giustificazione della sostenibilità economica della lega ha spesso agito indisturbata.
Il momento in cui la WNBA si trova adesso è però ben diverso: per quanto la sostenibilità economica sia un tema che non va mai tralasciato, è anche vero che adesso la WNBA sta esplodendo in termini di esposizione, e questo le sta permettendo di attrarre sempre più investimenti e sponsorizzazioni. Soprattutto, le atlete oggi hanno davanti a loro infinite possibilità e spesso arrivano dal college con un portato di popolarità che a volte supera quello della lega stessa. Clark, Bueckers e Reese sono dei business da sole, e si sono costruite come personaggi e identità ben prima del loro arrivo nella lega, attraverso mezzi come il college, il NIL e i social media. Il processo quindi è quasi ribaltato, perché sono loro a dare valore alla lega, a portare alla WNBA un capitale di fan, interesse, curiosità e affetto da tramutare in valore economico.
Le giocatrici chiedono alla lega di essere considerate come delle partner negli affari, anche perché senza di loro la WNBA non avrebbe alcun potere. Quello che ha fatto David Stern negli anni ‘80 che ha portato la NBA a un livello globale, seppur con delle problematicità, è stato proprio abbracciare le potenzialità delle stelle della lega, sia in termini di marketing che di ricavi. L’atteggiamento della WNBA finisce per minare il suo stesso prodotto, perché la lega non vuole riconoscere il fatto che le persone vanno alle partite per seguire le giocatrici. Per quanto si sia cercato di narrarla in questo modo, Caitlin Clark non è la sola responsabile dell’esplosione della lega, ma è anche vero che la presenza di una giocatrice come lei fa la differenza: in tutte le arene degli Stati Uniti c’erano persone con la maglia numero 22 delle Indiana Fever al di là del tifo, a dimostrazione di come tanto pubblico si sia avvicinato alla WNBA attraverso il canale aperto da queste giocatrici ben prima del loro arrivo nella lega. Nelle parole di Napheesa Collier: «Andiamo in battaglia ogni giorno per proteggere una maschera che non ci apprezza. La WNBA sembra credere di avere successo non grazie alle sue atlete, ma malgrado loro».
LE PARTI IN GIOCO
La portata delle parole di Napheesa Collier è qualcosa che non ha precedenti nella WNBA e la credibilità di chi le ha pronunciate mette la lega nella posizione di dover reagire. Collier si è fatta carico di un discorso che viene portato avanti da tutto il sindacato delle giocatrici, ovvero la WNBPA, che riunisce al suo interno tutte le atlete. La numero 24 è la portavoce perfetta di queste istanze: è uno dei volti più noti della lega, All-WNBA First Team nelle ultime tre stagioni e stella di una delle franchigie date come favorite per il titolo all’inizio della stagione. Accanto a questo è soprattutto la fondatrice di Unrivaled, una lega di 3x3 creata per offrire alle giocatrici USA un’alternativa al basket overseas durante l’offseason, risparmiando così alle atlete la fatica di giocare ininterrottamente per tutto l’anno e dando loro la possibilità di rimanere negli Stati Uniti senza rinunciare a uno stipendio. Unrivaled è una lega che è nata dalle giocatrici per le giocatrici e il fatto che sia Collier ad averla fondata la mette in una posizione simile a quella di Engelbert: anche lei è, di fatto, a capo di una lega professionistica e sa cosa significa gestirla.
Secondo la dinamica tutta americana che finisce spesso per riportare tutto a uno scontro tra singoli individui, la parte avversa nel discorso di Collier è appunto la commissioner Cathy Engelbert. Ex CEO di Deloitte, Engelbert è la prima commissioner della storia della WNBA ed è in carica dal 2019. Prima che venisse istituita questa figura infatti, il vertice della presidenza della WNBA era rappresentato da un generico “President” che restava molto nell’ombra o dal commissioner di turno della NBA, la lega che ha creato la WNBA e che tutt’ora ne gestisce gran parte. Ciò che non bisogna dimenticare infatti è che Engelbert incarna il bersaglio delle critiche, ma rappresenta solo la facciata esterna della dirigenza della WNBA. La lega femminile è infatti in mano per il 42% alla NBA, per un altro 42% ai proprietari delle squadre e per un ultimo 16% ad altri stakeholders. Considerando il fatto che molti proprietari di squadre WNBA lo sono anche di franchigie NBA è inevitabile guardare alle responsabilità della lega maschile in questa situazione, visto che è nettamente chi ha in mano le quote più ampie della WNBA. Potrebbe essere funzionale anche per la NBA stessa che le critiche si indirizzino verso Engelbert più che verso il sistema, in modo tale da poter avere un capro espiatorio su cui riversare tutto e uscire il più pulita possibile dalla situazione.
Engelbert in quest’ottica è la figura perfetta, visto anche i contrasti che ha avuto negli anni con le giocatrici. Engelbert ha avuto sicuramente un impatto rilevante sulla WNBA in termini monetari: ha accompagnato la lega in un momento di grande crescita favorendone l’espansione, portando un aumento di capitale da 75 milioni di dollari, creando un nuovo media deal da 200 milioni di dollari all’anno e investendo nell’acquisto di charter che hanno permesso alle squadre WNBA di viaggiare come atlete professioniste e non rimanere bloccate da voli di linea cancellati o ritardati. Quello in cui ha fallito però, è la capacità di instaurare delle relazioni autentiche con le atlete, che nel corso degli anni hanno perso sempre più fiducia e stima nei suoi confronti. Nelle varie premiazioni a cui ha partecipato si è sempre percepito un grande imbarazzo, come se non ci fosse serenità nel rapporto con le giocatrici coinvolte, con la formalità a farla da padrona.
Della sua gestione molte atlete hanno lamentato soprattutto la mancanza di ascolto e di empatia, quelle soft skills che mettono una leader nella posizione di essere stimata e rispettata dalle persone con cui si interfaccia. Molte giocatrici che si sono accodate al discorso fatto da Collier hanno sottolineato proprio l’importanza delle relazioni, un aspetto spesso trascurato dalla commissioner. Elena Delle Donne, due volte MVP del campionato, ha scritto su Instagram che “non sono nemmeno sicura che Cathy sappia che mi sono ritirata, visto che ho ricevuto messaggi e chiamate da chiunque tranne che da lei” e Caitlin Clark ha aggiunto «penso che la cosa più importante quando si parla di leadership, che si tratti della WNBA o di un’azienda, sia la cura delle relazioni con chi ti circonda. Perché le mie compagne di squadra dovrebbero rispettarmi se non ho una relazione con loro?».
Engelbert ha commentato le parole di Collier affermando che metterà in atto una task force per rimediare alla questione arbitrale, ma come detto ha negato le presunte affermazioni sulle giocatrici. Ha provato a dire che c’era possibilità di dialogo, ma questo suo messaggio è stato immediatamente invalidato dal fatto che Collier, dopo essere stata di fatto accusata di aver mentito, ha cancellato l’incontro che avevano in programma. La credibilità della commissioner è ai minimi storici, anche perché la popolarità delle atlete ha portato il pubblico a schierarsi immediatamente dalla loro parte.
IL FUTURO
Il momento che la lega si trova ad affrontare non ha precedenti e quello che accadrà da qui alle prossime settimane è abbastanza incerto. La lega sembra procedere con lo svolgimento delle sue attività, come dimostrato dall’annuncio recente della sede del prossimo All Star Game, e l’ipotesi più concreta potrebbe essere quella di posticipare la data di scadenza del CBA. Se non si arriva a un accordo, però, il rischio di un lockout e dunque di una sospensione delle attività non è da escludere.
Per quanto questo non avrebbe un impatto monetario sulle giocatrici, a meno che la questione non si prolunghi fino a maggio quando inizierà la stagione, il rischio è mettere in crisi il normale svolgimento dell’offseason, eventualità che a cascata avrebbe un impatto su tutto il resto. Per le giocatrici un lockout significherebbe infatti l’impossibilità di utilizzare le strutture delle squadre per allenarsi, oltre al fatto che non potrebbero essere tenuti gli expansion draft delle due squadre che si uniranno alla lega nel 2026. Al momento alle nuove franchigie non sono state date linee guida su questo tema, poiché si è detto che sarebbero arrivate solo a contrattazione finita. Senza CBA, poi, non si potrebbe partire con la free agency: tutte le giocatrici WNBA che non hanno un contratto da rookie, tranne due, hanno infatti i contratti in scadenza quest’anno, proprio in vista del rinnovo del CBA, ma finché non c’è un contratto che definisca un salary cap e di conseguenza i salari individuali non si può procedere alla negoziazione.
Il futuro di questa situazione è ancora nebuloso; ciò che è certo è che la WNBA sta attraversando un momento storico, figlio del fatto che le atlete hanno scelto di superare la narrativa della gratitudine. La WNBPA è il primo sindacato di atlete donne professioniste della storia e le sue rivendicazioni hanno contribuito alla forma che il basket e in generale lo sport femminile hanno oggi negli USA. Gran parte dell’aspetto che avrà il futuro dipenderà, ancora una volta, dalla risolutezza e dalla forza delle atlete che ne fanno parte.