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Gian Marco Porcellini
Wilfredo Leon sta cambiando la pallavolo
21 mar 2019
21 mar 2019
Un giocatore così non si era mai visto in Italia.
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Gian Marco Porcellini
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«C’era un giocatore che quando faceva i punti era diverso. Aveva una classe... era uno spettacolo. Si chiamava Wilfredo Leon Venero. Questo giocatore merita una città come Perugia (...) Io penso che se c’è un cristo, Leon verrà a Perugia. Wilfredo Leon idolo, l’attrazione della pallavolo non perugina, neanche italiana, ma europea». È il 12 maggio 2018, la Sir Safety Perugia ha appena perso la semifinale di Champions League contro lo Zenit Kazan, che il giorno successivo sconfiggerà anche Civitanova in finale, alzando la quarta Champions League degli ultimi 4 anni. Gino Sirci, eccentrico presidente della Sir, anziché disperarsi per l’eliminazione della sua squadra, sposta le luci su di sé e

una trattativa chiacchierata già da un paio di mesi.

 

Leon, 25 anni, cubano naturalizzato polacco, lo schiacciatore più forte e pagato al mondo (

un biennale da circa 900.000 euro a stagione), si trasferisce in Italia, un po’ come se un Messi o un Ronaldo fossero arrivati in Serie A nel picco del loro stato di forma. Detto in altre parole: gli umbri per alzare ulteriormente il livello di una rosa che in Italia nel 2017/18 aveva già vinto tutto (scudetto, coppa Italia e supercoppa) e azzerare il gap con lo Zenit (che aveva battuto la Sir anche l’anno precedente: 3-0 in finale di CL) hanno portato via ai russi la loro punta di diamante, che oltretutto tra i big della formazione russa era quello con più anni di carriera davanti (Mikhaylov e Anderson hanno entrambi superato i 30 anni).

 


L’impatto del cubano con la Superlega è stato semplicemente spaventoso, paragonabile a quello di un meteorite che sbriciola la materia con cui viene a contatto. Forse addirittura superiore alle aspettative, che pure erano parecchio elevate: Leon sta attaccando con un irreale 59,9% di positività su 546 palloni, per distacco il giocatore di palla alta migliore del torneo - dietro di lui c’è il compagno di squadra Atanasijevic, con il 55% su 614 palloni - nonché la terza migliore performance dal 1989 in una stagione regolare di A1, dietro al 60,9% di Cantagalli nel del ’96 e il 60,2% di un altro monumento della pallavolo internazionale, l’attuale allenatore di Milano Andrea Giani, entrambi però avevano attaccato meno della metà dei palloni del caraibico.

 

Questo dato impressiona ancora di più se incrociato con il rendimento nell’annata d’esordio in Italia di altri mostri sacri del volley mondiale, come Wijsmans (49% nel 1999/00), Miljkovic (49,6% nel 2000/01), Giba (46,4% nel 2001/02), Marshall (56,6% nel 2003/04), Kaziyski (57,2 nel 2007/08), Juantorena (56,5% nel 2009/10), Kurek (56,5% nel 2012/13) e lo stesso Atanasijevic (48,7 nel 2013/14).

 

Al netto di una lieve flessione accusata a fine gennaio, dovuta anche

della mano destra che non gli ha comunque impedito di scendere in campo («Il dito lo sento tutte le volte che tocco la palla in attacco e in battuta – ha dichiarato prima delle finali di Coppa Italia – non da non poter attaccare, ma si sente. L’importante è che tutti vedano che posso schiacciare, poi quanto dà fastidio o mi fa male è una cosa che riguarda me»), Wilfredo sta spostando ancora più in là il concetto di onnipotenza fisica e tecnica. Riesce letteralmente a piegare le contingenze alla propria volontà, giocando anche sopra le difficoltà di una squadra poco organica e discontinua nei fondamentali di seconda linea.

 

È alto 2 metri e un centimetro, può attaccare la palla fino a 3,85 metri d’altezza (solo Kaziyski la va a prendere più in alto, a 3,90) e già questo potrebbe bastare a definire l’unicità del giocatore, ma a renderlo unico è la capacità di eludere il muro, pur proponendo un set di soluzioni standard, e malgrado un’esecuzione dell’attacco relativamente macchinosa e rallentata.

 

Non importa la qualità della ricezione, la velocità dell’alzata, la posizione da cui attacca, né la possibilità di eseguire o meno la rincorsa: il risultato è quasi sei volte su dieci un attacco vincente in diagonale che passa sopra o al fianco del muro. Non importa neppure la composizione del muro, perché Leon sa stringere la diagonale anche con il muro a 3, e chiudere la palla nei 3-4 metri, trovando degli angoli indifendibili per potenza e precisione.

 

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Il manifesto della pallavolo di Wilfredo Venero Leon: ricezione goffa in accosciata negli 8 metri, palleggio di Colaci e diagonale nei 4 metri - nonostante il muro a 3 di Trento - che sfaccia Grebennikov.


 

L’immagine della “lavatrice” - coniata anni addietro dal giornalista Alessandro Antinelli – che fa i buchi nella metà campo avversaria, per quanto inflazionata, aiuta a fotografare la portata dei suoi attacchi, acuiti ulteriormente dalla costanza della velocità espressa.

 

Anche per merito del suo palleggiatore, il capitano Luciano De Cecco, Wilfredo riesce quasi sempre a distendere il braccio e a colpire la palla “piena”, nel punto più alto del palleggio, disegnando traiettorie difficili da seguire persino per il pubblico televisivo. E quelle poche volte che tenta, più per necessità che per scelta, una palletta spinta in mezzo al campo, diventa altrettanto indifendibile, dato che la seconda linea si aspetta un attacco lungo e rimane sui 7-8 metri.

 

Con un'alzata più rapida e vicina all’asticella cerca la diagonale lunga, anche per anticipare l’eventuale assistenza del centrale in banda e colpire nel cono di luce in posto 6-5, ma non ha l’esigenza di essere servito con dei secondi tempi per essere smarcato. Al contrario, per sviluppare altezza, avere il tempo necessario per caricare l’extrarotazione della spalla e godere di una gamma di opzioni più ampia, sembra preferire un palleggio più arcuato, vicino ad un terzo tempo.

 

In queste situazioni, in cui il muro dovrebbe avere qualche decimo in più per posizionarsi e invadere, la cosa più incredibile dell’elevazione e dell’attacco in sé, è la capacità del cubano di ritardare l’impatto con la palla rimanendo sospeso in aria per qualche istante, mandando

. Un po’ come se Leon e i suoi avversari fossero montati su uno stesso video, che però viaggia a due velocità differenti.

 

E in una pallavolo sempre più rapida, contraddistinta da giocatori esplosivi che anticipano la schiacciata per togliere un tempo di gioco al muro difesa, il dominio fisico del cubano è a un livello tale che pare quasi vada nella direzione opposta, rallentando la sua azione fino all’ultimo istante utile. Il numero 9 è un diagonalista puro, che tuttavia può scegliere la parallela quando: a) ha di fronte il muro a 1; b) c’è il palleggiatore in prima linea; c) il muro gli concede molta parallela.

 

Giustamente si sottolinea il talento atletico dello schiacciatore di Perugia, però si parla poco del suo

tecnico-analitico: l’efficacia dei suoi attacchi seriali in diagonale è resa possibile anche da una manualità e una propriocezione considerevoli, che gli consentono di individuare e colpire negli spazi sguarniti. Oltretutto, è l’attaccante di palla alta a sbagliare meno in Superlega, appena il 10,6% dei suoi attacchi (26 errori e 32 murate), seguito dal 11,9% di Juantorena.

 

Malgrado la (teorica) prevedibilità delle sue traiettorie, è complicato leggerlo anche perché la rincorsa, sia che attacchi in diagonale o in parallela, non subisce sostanziali variazioni: quando ad esempio è in posto 5 e non riceve, sul cambio palla si apre qualche centimentro alla sinistra della linea laterale, terminando la rincorsa con il piede sinistro, quello più avanti al momento della schiacciata, appena dentro al campo al momento dello stacco. A determinare la direzione dell’attacco non è il movimento dei piedi, quanto

.

 

Leon è una sentenza non solo da posto 4 ma anche in "pipe", cercata da De Cecco soprattutto in caso di contrattacco. Se da prima linea l’ex Kazan predilige l’extrarotazione, da seconda invece gioca soprattutto palloni diretti in posto 6-1. Nell’ultimo periodo sta attaccando con risultati sorprendenti persino da posto 5 per aiutare Perugia a uscire dalla "P1", quella rotazione che cioè inverte opposto e primo schiacciatore. Una soluzione nel panorama maschile praticamente inedita, almeno in questi ultimi anni.

 

 

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Andrea Lucchetta direbbe che con questa pipe ha trovato il petrolio.


 


Eppure c’è un altro fondamentale su cui il numero 9 si sta rivelando ancora più dominante e fuori scala rispetto al livello del torneo: il servizio. Dopo 25 giornate è arrivato a 89 ace, 3,56 a partita, 1,06 a set.

 

Per inquadrare meglio questo dato mostruoso basta pensare che già alla 17a giornata, dopo cioè poco più di un girone e 4 gare, aveva già ricavato più punti da questo fondamentale di tutti i primatisti nell’intera regular season degli ultimi 26 anni.

 


Nella tabella i migliori battitori di ogni regular season dal 1997 più il bulgaro Ljubo Ganev, il recordman in questa classifica.


 

Anche dai 9 metri ritroviamo una serialità quasi da automa nei suoi movimenti: il cubano parte sempre da posto 1, circa un metro dentro al campo, e batte lungo la sua rincorsa.


 

Tutti gli altri aspetti in cui si scompone il servizio sono costanti: l’altezza del salto, il lancio palla, lo slancio, che gli permette di andare a prendere la sfera nel punto più alto e impattarla quasi nei 7-8 metri, e la frustata del braccio, che “fascia” la palla e rimane ben disteso per servire con una potenza massimale.


 

Di base serve nella fascia centrale del campo, difficilmente cerca le righe. Significa che, oltre a mirare le zone di conflitto tra i ricevitori, varia di pochi gradi l’angolo di rotazione del braccio. Al massimo quando batte in serie può decidere di cambiare il ricevitore su cui servire.


 

A differenza di altri battitori, in possesso di un repertorio più ampio e in grado quindi di aumentare la propria imprevedibilità (ma anche il margine di errore, considerato che una battuta fuori rincorsa verso le righe porta a snaturare la biomeccanica del gesto, oltre che diminuire forza e precisione del servizio), come in attacco Leon propone uno schema motorio consolidato, difficile da ritrovare in altri atleti, che immagino essere frutto di un allenamento ossessivo (qui potete trovare un filmato di una sua battuta girata con una GoPro montata sulla sua testa).


 

C’è un ace che più degli altri 70 mi ha fatto comprendere l’ineluttabilità del suo servizio, quello a 134 km orari contro Modena lo scorso 11 novembre, grazie al quale ha eguagliato il record di velocità in battuta detenuto da Zaytsev.


 

Leon ha appena firmato una battuta vincente, disegnando una traiettoria pazzesca per potenza e precisione, che si è spenta sulla riga alla sinistra di Urnaut, quando da posto 1 scaglia un altro meteorite nella zona dell’impotente schiacciatore sloveno. Il quale si fa colpire (o viene colpito?) dalla palla, ma più che per ricevere, sembra quasi usi il petto per ripararsi, un po’ come un Wile E. Coyote apre l’ombrello per proteggersi dalla caduta di un masso sulla sua testa.


 

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Dal suo arrivo in Superlega, Leon sta mantenendo un rendimento paranormale dai 9 metri, nettamente superiore agli anni precedenti (nelle ultime 4 edizioni di Champions League aveva una media di 2,73 ace a partita), in più ha il pregio di sbagliare pochissimo: 134 errori a fronte di 89 punti, un rapporto 1:1,5.


 

In questa regular season è arrivato a 7 ace in una sola partita, alla 9a giornata d’andata contro Monza, eppure nei play-off di Superliga russa dello scorso anno ha toccato addirittura quota 10, durante gara 2 delle semifinali contro il Kemerovo Kuzbass.


 

Può sembrare paradossale che un’eccellenza mondiale in questi due fondamentali sia così scadente negli altri, però parliamo pur sempre di uno sport dai ruoli estremamente specifici, fatto di specialisti in determinati aspetti del gioco. In altre parole Leon rappresenta, o meglio accentua, questo trend, mentre sono talenti poliedrici come Kovacevic e Ngapeth a costituire l’eccezione.


 

Detto ciò, è un peccato che un elemento con una struttura fisica così imponente riscontri dei problemi così evidenti a muro, in particolare nelle letture del gioco, nel ritardare il tempo di salto e nell’accoppiarsi al centrale che lo affianca in assistenza.


 

Leon è soltanto il 27° schiacciatore del torneo per muri/set, con 0,20 punti a parziale. Per dire, il suo compagno di squadra e di reparto Pippo Lanza, per qualità e statura non certo un muratore, viaggia a 0,25. In ricezione invece (appena il 17,4% di palloni perfetti) ha problemi ad ammortizzare il pallone con le gambe e orientare il bagher con le spalle, in più diventa (comprensibilmente) ancora più impacciato quando si deve comprimere a terra per ricevere, situazione in cui si sbilancia in avanti e mette giù le ginocchia, anziché rimanere in posizione frontale e atterrare sul fianco.


 

Gli stessi problemi si verificano in difesa, considerato che lo scarso dinamismo lo limita nel coprire lo spazio dietro al muro, arrangiandosi invece nelle difese di posizione, in cui cerca di farsi colpire nella parte superiore del tronco. Anche il secondo tocco è scolastico e si limita a un’alzata in bagher telefonata, senza inventarsi niente.


 

I punti deboli di Perugia
Ingaggiando un talento così peculiare a livello tecnico e oneroso a livello economico, indirettamente la Sir Safety ha deciso di rinunciare al pacchetto schiacciatori Zaytsev-Russell, grazie al quale era riuscita a raggiungere dopo una lunga gestazione un labile equilibrio tra fondamentali di prima e seconda linea, che l’hanno portata a vincere Superlega, Coppa Italia e Supercoppa italiana la scorsa stagione.


 

Zaytsev, l’equilibratore della squadra, nonché il protagonista di una crescita considerevole, specie in attacco (27,6% complessivo di rice ++ e 47,9% in attacco nelle partite del 2018), sia per una questione di sostenibilità economica (alla Sir era il giocatore più pagato, 500.000 euro a stagione) che per la volontà di tornare a giocare da opposto, è andato a Modena, mentre Russell si è trasferito a Trento in quanto costituiva per caratteristiche un doppione di Leon, oltre che per l’obbligo minimo dei 3 italiani in campo. L’obiettivo era quindi una banda italiana e la scelta è ricaduta su Lanza, che ha compiuto il percorso inverso di Russell.


 

Anche se nelle rotazioni Lanza ha preso il posto di Russell, come ruolo ha sostituito Zaytsev. Un compito gravoso, che lo costringe a coprire molto campo, data la scarsa mobilità di Leon. Lanza sta ripetendo le prestazioni altalenanti dell’ultimo anno, facendo registrare numeri discreti in attacco (dove però è poco coinvolto, 47,7% su 363 palloni) ma preoccupanti in ricezione (21,6% di ++ su 472 palloni), nettamente peggiori di quelli di Zaytsev e addirittura simili a quelli di Russell (20,7% in ricezione), che pure era il martello deputato all’attacco.


 

Del resto la seconda linea della Sir, composta dai due martelli e il libero Colaci, per due terzi è la stessa della nazionale, che ai mondiali ha sofferto parecchio sia in ricezione che in difesa quando è aumentato il livello delle avversarie, con Leon al posto di Juantorena. Un downgrade oggettivo, lo switch tra i due cubani, nei fondamentali difensivi: se Osmany da quando milita in A1 viaggia sul 33,9% di doppio positiva, Leon nelle oltre 150 sfide scoutizzate da worldofvolley.com, non va oltre il 22%.


 


Anche i 2,03 muri/set non rappresenta un dato particolarmente esaltante.


 

Malgrado gli umbri siano quartultimi per percentuale di ricezioni perfette (21,6%) e penultimi in quelle positive (45,22%), vantano il miglior attacco della Superlega per distacco (57,3%, oltre 3 e 5 punti percentuali in più di Civitanova e Trento), oltre che il miglior servizio (2,68 ace/set, seguiti dalla Lube con 1,86).


 

In altre parole la Sir, più che colmare le lacune di Leon, ne ricalca pregi e difetti, con il cubano che sta definendo il contesto di una squadra le cui fortune stanno dipendendo dal suo rendimento e da quello di Atanasijevic - per picchi prestazionali e profondità del repertorio il miglior opposto al mondo in questo momento assieme a Sokolov – che mettono assieme il 56,8% dei punti complessivi e attaccano il 60,2% dei palloni, quasi 2 su 3.


 

Se non entra il servizio (il serbo e il caraibico tra l’altro servono rispettivamente in P4 e P3, uno dopo l’altro) o uno dei due attaccanti cala di livello, è molto difficile per Perugia portare a casa la partita: nelle 3 sconfitte contro Padova, Monza e Trento, “Bata” non è andato oltre il 45,8% offensivo, mentre il numero 9 si è attestato su un 48,3% dignitoso, ma ben distante dai suoi standard, specie per una formazione che spesso non ha alternative alla palla alta.


 

Al di là delle difficoltà nell’organizzare con continuità le corrette spaziature tra muro e difesa, il tecnico Lorenzo Bernardi ha denunciato le pause accusate dal suo gruppo, specie quando si inceppa il cambio palla. Dopo la vittoria con Ravenna a dicembre ha parlato  di «amnesie frequenti, per non dire costanti, che possono diventare pericolose», mentre dopo la sconfitta a Trento per 0 a 3, il primo e finora unico ko in campionato in uno scontro diretto, ha spiegato che «facciamo fatica ad accettare qualche errore o qualche bella azione degli avversari, siamo un po’ fragili», invitando la squadra, dopo il 3-2 con Verona nel boxing day, «a lavorare sui vuoti».


 

E però, si potrebbe ribaltare il discorso precedente e affermare che Perugia si può permettere di essere meno strutturata, di giocare una pallavolo quasi scheletrica nella distribuzione e commettere qualche errore sul cambio palla, proprio perché sa di contare su due eccellenze offensive o un alzatore del calibro di De Cecco - un altro top mondo - in grado di riciclare e risolvere ogni tipo di scambio. E il fatto che sia seconda nei break point e ultima come cambi palla vinti è emblematico ai fini di questo ragionamento.


 

Una Superlega mai così competitiva
Lo scorso 10 febbraio Leon ha conquistato il suo primo trofeo italiano, la Coppa Italia vinta grazie al 3-2 contro Civitanova dopo essere stato sotto 0-2, ed è stato eletto mvp della gara.


 

A dispetto dei 26 punti complessivi, non è stato dominante in senso assoluto, anche a causa del già citato infortunio alla mano e a un problema al piede. O meglio, lo è stato negli ultimi due set, in cui è riuscito ad alzare in maniera esponenziale il suo livello: 5/7 nel quarto, 6/6 nel tie break, nessun errore in attacco negli ultimi 3 parziali e soprattutto il turno al servizio nel quarto da 5 battute (da 17-19 a 22-19), compresi 2 ace, che ha allungato la sfida al quinto.


 

In finale, dopo un inizio in cui è stato ben controllato dal muro difesa della Lube (11/27 nei primi 3 set e 5 errori), che sembrava avviata verso un perentorio 3-0, Leon ha trovato continuità variando il suo gioco, cercando, oltre alla solita diagonale, parallela e mani alte del muro e caricandosi sulle spalle un squadra con evidenti problemi nel cambio palla.


 

Nonostante il successo in Coppa Italia, e nonostante il primo posto in classifica della Sir conquistato con un turno d’anticipo, frutto anche delle 5 vittorie su 6 negli scontri diretti giocati con le altre big (Trento, Civitanova e Modena), rimane una delle edizioni della Superlega più equilibrata di sempre. Anche perché l’acquisto dello schiacciatore caraibico ha innescato più o meno direttamente un effetto domino clamoroso: in A1 sono arrivati diversi nomi importanti, tipo Torres e Hernandez, che avevano già fatto bene in Italia, oltre a talenti in cerca di consacrazione come Boyer, Ghafour, Marouf e Al Hachdadi, a rinforzare i club di seconda e terza fascia, ma anche diversi top mondo affermati tra le fila delle big, vedi Lisinac approdato a Trento, Simon e Leal a Civitanova, Solé e Kaziyski a Verona.


 

A questo va aggiunta la permanenza nel nostro torneo della maggior parte dei fuoriclasse (solo Ngapeth ed Erik Shoji sono andati all’estero) e gli scossoni del mercato interno  (il passaggio di Grebennikov dalla Lube a Trento e lo scambio di palleggiatori Christenson-Bruno tra Modena e Civitanova) stanno portando a un livello medio nettamente più alto, specie da parte delle grandi, che oltretutto hanno ancora margini di miglioramento.


 

Perugia non può che essere la favorita per lo scudetto, ma la situazione resta aperta, considerato che nei play-off si riparte da zero e considerate la maggior funzionalità di un sestetto come Trento e la ritrovata competititività di Civitanova dopo il cambio allenatore. Quel che è certo è il salto di qualità a livello tecnico e mediatico della Superlega: il torneo più competitivo al mondo, sempre più la NBA del volley. E Leon è la punta dell’iceberg di questo movimento italiano che, a livello di club, è in piena  espansione.


 

 

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